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Autore: kate98    23/02/2016    0 recensioni
Kathlyn andrà a vivere con la famiglia Anderson in un quartiere malfamato.
Jenna, la sua migliore amica, è preoccupata per lei, come farà a trovarsi degli amici quando tutti lì sono conosciuti come dei delinquenti?
Non appena arriva, Kath incontra Nathan, un ragazzo affascinante ma anche abbastanza stronzo.
Il modo di comportarsi di Nathan confonde Kath che sente di odiarlo ma ne è anche un po' attratta.
Ma non può lasciarsi incantare da lui, potrebbe essere pericoloso.
Riuscirà Kath a resistere alla tentazione e al fascino del ragazzo?
Genere: Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Relocate


«Starò dagli Anderson.» 
Jenna sgranò gli occhi, come se le avessi tirato un pugno nello stomaco. 
«Quella famiglia che abita a Rickson St.?! Ma sei impazzita?». 
«Che c'è di male, scusa? Sono vecchi amici di famiglia, sono sempre stati gentili con me. Mi troverò bene!» un po' stavo cercando di convincere anche me stessa che sarebbe andata così. 
«Non sono loro il problema. Il problema è il posto. Ho sentito dire che è un brutto quartiere. Non c'è gente per te lí.» potevo vedere la preoccupazione chiara sul viso della mia amica. 
«Beh, vorrà dire che starò in casa, passerò il tempo a studiare. E poi loro hanno due figlie, giocherò con loro, lo sai che mi piacciono i bambini. Starò bene, davvero. Poi non sono mai stata una che esce molto, lo sai.»
«Lo so, lo so. Ogni volta per farti venire ad una festa devo pregare in aramaico. Però venerdì non puoi mancare, davvero!». 
«In realtà vorrei preparare le valigie, non so...». 
«Ma è una festa in tuo onore, verranno tutti a salutarti, non puoi non esserci. Saranno tutti lì per te, ci divertiremo un mondo...». 
«Va bene, ci sarò.» acconsentii sapendo che era l'unico modo per zittirla. 
Mi sorrise e mi abbracciò. 
La strinsi più forte che potevo, mi sarebbe mancata. 

«Oddio, ma hai invitato anche Alex? Perché?» Guardai in cagnesco Jenna. 
Lei scosse la testa «Non l'ho invitato io, ma non ho invitato nemmeno un sacco di gente che è qui stasera, lo sai come vanno le cose a queste feste. Inviti 10 persone e te ne ritrovi 30. In ogni caso non farti rovinare la serata da lui, lo dicevi tu che é un idiota, no?» e mi passò un bicchiere di una qualche bevanda alcolica che non avevo alcuna intenzione di bere. 
«Vado un attimo in bagno». 
«Va bene, io vado a ballare, ti aspetto in pista così poi ci scateniamo!»
Salii le scale e mi ritrovai nella camera dei genitori di Jenna. Andai nel loro bagno e mi guardai allo specchio. Ero pallida, più del solito. Già solitamente il colore della mia pelle era un po' troppo biancastro. Il viso incorniciato da una cascata di capelli color fuoco. Occhioni marroni un po' troppo grossi e lucidi. Sembrava che fossi sempre sul punto di piangere. Il naso piccolino e le labbra carnose. Avevo una figura esile, Jenna diceva sempre di invidiare il mio corpo. Ricevevo spesso complimenti e molti ragazzi si interessavano a me. Ma a me non interessavano loro. Mi lavai le mani con acqua fredda e poi andai a sedermi sul letto.
Si, Alex era un vero idiota, non c'erano dubbi. Eravamo stati insieme sei mesi e poi lui mi aveva lasciata senza un apparente motivo. 
Non che mi dispiacesse più di tanto, non avevo mai provato nulla di particolare per lui. 
Però era stato il primo ragazzo che avessi mai baciato. 
Ogni tanto ritornavo con la mente a quel mio primo bacio: non mi era piaciuto per niente. 
Avevo fantasticato da sempre su come sarebbe stato, su ciò che avrei provato, su quanto mi sarebbe piaciuto. E invece, mentre ci baciavamo, il mio unico pensiero era "Tutto qui? Ma dura sempre così tanto? Ma la gente non si annoia?".
Arrivata a casa, dopo quella nostra uscita mi ero chiesta come mai quel bacio non mi fosse piaciuto. Ho pensato che probabilmente era perché era stato il mio primo bacio e non ero tanto pratica, di sicuro poi la situazione sarebbe migliorata. 
Ma non era migliorato proprio nulla. 
Durante i successivi sei mesi, ogni volta che ci baciavamo i miei pensieri erano sempre gli stessi. 
Ma probabilmente il problema ero io. Non mi piacevano i baci, fine della storia. 
Un po' ero dispiaciuta, avrei voluto provare anche io quelle sensazioni che Jenna mi diceva di provare ogni volta che baciava Nick. Ma niente da fare. 

Mi ricordai che Jenna mi stava aspettando di sotto, così presi coraggio e scesi le scale. 
Mi ritrovai davanti Alex che si slinguazzava con una ragazza che non conoscevo. 
Guardai per un po' quella scena finché non mi sentii tirare un braccio. 
«Ehi, vieni dai andiamo via di qua» e senza aspettare una mia risposta Jenna cominciò a trascinarmi via. 
«Certo che è proprio uno stronzo. Ma tu non  farti scalfire. Tutti i ragazzi che sono qui stasera hanno fantasticato almeno una volta su di te. Scegline uno e baciatelo per bene.»
«No grazie, sono a posto così. Non me ne frega proprio nulla di chi si slinguazza Alex.» e poi, piuttosto che provare di nuovo quella sensazione di noia che mi pervadeva sempre durante un bacio, avrei preferito mangiarmi una pizza. 


«Kath, mi mancherai così tanto. Non so davvero come farò senza di te. Chiamami appena puoi, ok? E fai attenzione, mi raccomando. Cerca di parlare il meno possibile con i ragazzi di lì. Sono pericolosi.» Continuava a raccomandarsi Jenna piangendo. 
«Anche tu mi mancherai tantissimo, ti voglio bene. E stai tranquilla, farò attenzione» la strinsi forte a me dopo di che mi staccai, presi la valigia e salii sul pullman che mi avrebbe portata all'aeroporto. 

Due ore dopo ero scesa dall'aereo e stavo cercando con lo sguardo Amelie. Avevo paura di non riconoscerla più, erano passati anni da quando l'avevo vista l'ultima volta. 
Notai una donna dai capelli neri che mi stava sorridendo e sventolava un braccio in aria. 
La guardai per un paio di secondi e finalmente mi resi conto che era proprio lei. 
Le corsi incontro e la abbracciai. 
Ricambiò il mio abbraccio e mi diede un bacio sulla guancia. 
«Ma quanto sei cresciuta! E sei bellissima! Mi fa così piacere rivederti. Vieni dai, andiamo a casa.». 
E si incamminò prendendo la mia valigia. 
Le domandai come stessero il marito e le figlie. La più piccola non l'avevo ancora conosciuta, aveva quattro anni. La più grande ne aveva otto, quando ero più piccola spesso le facevo da babysitter e giocavamo insieme. 
Il tragitto in macchina durò un'ora e io e Amelie parlammo del più e del meno. 
Era così facile parlare con lei, era una donna così gentile. 

Appena entrammo a Rickson St. capii cosa intendesse Jenna. Era un quartiere abbastanza povero, lo si vedeva subito. 
Arrivammo davanti ad un palazzo con le mattonelle color Bordeaux, era uno dei palazzi messi un po' meglio. 
Amelie parcheggiò e io scesi dall'auto e andai a prendere la mia valigia dal portabagagli, non volevo che la portasse di nuovo lei. 
La seguii ed entrammo nel palazzo. 
Nell'androne c'erano dei ragazzi, miei coetanei. Si voltarono tutti a guardarmi, i sorrisi sui loro volti mi fecero rabbrividire. Le ragazze mi guardavano con aria di sfida. 
Faticavo un po' a trascinare la valigia su per le scale. 
«La principessa ha bisogno di aiuto?» disse uno di loro, credendosi divertente. 
Tutti gli altri si misero a ridere, le uniche a non trovarli divertenti eravamo io e Amelie che li fulminò con lo sguardo. 
«Nathan, invece di ridere come un imbecille, vieni a darle una mano.». 
Uno dei ragazzi si avvicinò con aria imbronciata. Aveva gli occhi più belli che avessi mai visto, erano di un azzurro ghiaccio, incantevoli. 
Tese la mano verso la mia valigia. 
Mi tirai un po' indietro «Ce la faccio da sola, grazie» non volevo che mi vedessero come una debole. 
Lui mi strappò la valigia di mano e si avviò sulle scale. Lo fulminai con lo sguardo mentre gli altri imbecilli scoppiavano nell'ennesima risata. Si divertivano con poco. 
Gli Anderson abitavano al primo piano. 
Il ragazzo posò la mia valigia davanti alla porta e, mentre aspettava che Amelie aprisse, iniziò a fissarmi, studiandomi da capo a piedi. 
Mi innervosii all'istante e, senza nemmeno pensarci, gli dissi nel tono più acido che potessi «Ma vuoi per caso anche una foto?». 
Scoppiò a ridere, ovviamente. 
Finalmente Amelie aprì la porta, afferrai velocemente la mia valigia ed entrai in casa. 
Speravo che il ragazzo se ne andasse, invece entrò pure lui e chiuse la porta. 
Sentii dei gridolini e vidi due bambine dai capelli ricci e biondi correre incontro ad Amelie. La abbracciarono e non potei che sorridere alla vista di quell'immagine adorabile. 
Si accorsero che ero lì e mi ritrovai due paia di occhioni verdi che mi fissavano. 
Debbie, la più grande, mi sorrise. Aveva le guanciotte rosse e paffute, era tenerissima. 
«Tu sei Kathlyn, vero? Mamma ha detto che da piccole giocavamo assieme ma io non mi ricordo di te»
«Tranquilla, è normale. Io invece mi ricordo di te, sai che sei diventata proprio una bella signorina?» le dissi abbassandomi per arrivare alla sua altezza «da piccola non ti staccavi un attimo da me, dimmi ti piacciono ancora gli abbracci come ti piacevano allora?» e allargai le braccia. 
Le ci si tuffò dentro e io sorrisi come non mai. 
Notai che la sorella mi guardava un po' confusa, mi avvicinai a lei ma non troppo, non volevo spaventarla. 
«Noi invece non ci conosciamo, come ti chiami tu?». 
Era esattamente come Debbie da piccola, uno splendore. 
Erano una più bella dell'altra, due bambine adorabili. 
Sapevo come si chiamava, Amelie me ne aveva parlato così tante volte al telefono che era come se già la conoscessi, ma volevo sentirlo dire da lei. 
«Io sono Elisa» disse timidamente. 
«Oh ma che bel nome che hai! Sai che sei uguale a tua sorella quando era piccola? Anche a te piacciono gli abbracci come a lei?». 
Annuì timidamente e si avvicinò a me. La strinsi leggermente e le sorrisi. 
«Cos'è la convention degli abbracci? Manchiamo solo più io e Nathan all'appello mi sa» riconobbi la voce di Alan. 
Mi alzai ed andai ad abbracciarlo. 
«Mi fa così piacere rivedervi tutti. E vi ringrazio di cuore per l'ospitalità. Cercherò di non essere di troppo disturbo.»
«Non potresti disturbarci neanche se volessi, tranquilla. Sentiti come se fossi a casa tua.» mi disse Alan con voce gentile. 
«Wow, come mai a me non dici mai di sentirmi come se fossi a casa mia?» Esordì il ragazzo. Mi ero quasi dimenticata che era lì. 
Lo guardai con freddezza. 
«Perché ti senti già fin troppo a tuo agio» lo punzecchiò Alan. 

«Vieni cara, ti faccio vedere dove dormirai» Amelie mi fece segno di seguirla e io mi incamminai trascinandomi dietro la valigia. 
La stanza era piccola ma confortevole, mi sentivo come se fossi a casa. 
«Se vuoi fare una doccia il bagno è in fondo al corridoio a sinistra.»
Mi ricordai che non mi ero portata nè spazzolino nè spugna e dissi ad Amelie che avevo bisogno di comperare un po' di cose. 
«Oh, non c'è problema, dico a Nathan di accompagnarti al negozio». 
E si diresse verso l'ingresso. 
«No, in realtà non c'è bisogno, siamo passate davanti al negozio prima, sono sicura di riuscire ad arrivarci» Non volevo avere qualcuno che mi facesse da babysitter, men che meno quel ragazzo. Ma ormai era troppo tardi. Alan, che aveva sentito la moglie, aveva subito intimato a Nathan di accompagnarmi. 
«E cerca di essere gentile» lo ragguardó Amelie. 
Rassegnata presi la borsa che avevo posato sulla piccola poltrona che c'era vicino all'ingresso e seguii il ragazzo. 
Quando scendemmo le scale, gli altri si voltarono subito a guardarci. 
«Che succede Nath, sei già stato ingaggiato come babysitter per la principessina?». 
Lui fece il segno del dito medio al ragazzo che aveva parlato, sul suo viso però c'era un sorrisetto da stronzo. 
Sembravano tutti degli stronzi. 
Mi affrettai a seguirlo fuori dal palazzo. 
Camminava velocemente, cinque passi più avanti a me e ogni tanto sbuffava. 
Feci una piccola corsetta per raggiungerlo. 
«Guarda che davvero posso andarci da sola, non ho bisogno del tuo aiuto. Torna pure dai tuoi amici.» lo guardai negli occhi, cercando di sembrare il più decisa possibile. 
«La tua voce è sempre così fastidiosa? Mi stai facendo venire mal di testa» 
Rimasi a bocca aperta. 
«Oh e non dirmi che ti stai per mettere a piangere. Non così presto almeno, ho appena iniziato. »
«Io non piango» dissi ancora più decisa e mi incamminai lasciandomelo alle spalle. 
Fece una risatina da stronzo e mi superò di nuovo. 
Arrivammo al negozio. Entrai, presi più in fretta possibile ciò che mi serviva e andai a pagare. Stavo per poggiare lo spazzolino sul bancone quando un ragazzo mi spintonò via per appoggiare una bottiglia di vodka. 
Lo guardai in cagnesco ma decisi di farmi da parte, non volevo litigare. 
Nathan invece non la pensava come me e prese il ragazzo per la giacca e lo strattonò via. «C'era prima lei amico, levati dalle palle». 
Ebbi paura che l'altro reagisse male e che si sarebbero picchiati ma, per fortuna, non lo fecero. 
Il ragazzo si fece da parte e io potei pagare ciò che avevo preso. 
Fuori dal negozio ringraziai Nathan. 
«Non montarti la testa, bambola. Non l'ho fatto per te. Il fatto è che avrei delle cose da fare, gente da vedere e non vedo l'ora di liberarmi di te.»
«Beh allora vattene e lasciami in pace, ti ho detto che non ho bisogno del tuo aiuto». 
Ero veramente infuriata ormai, iniziai a correre verso casa. 
Ma lui era più veloce di me, mi raggiunse subito, mi prese il braccio e mi strattonò. 
«Lasciami subito!» mi tirai indietro. 
«Senti, smetti di fare la bambina. C'è un motivo se mi hanno mandato con te e cioè che le ragazze, specialmente quelle come te, non dovrebbero girare da sole qua. Ora, datti una svegliata e renditi conto che non sei più nel tuo bel mondo delle favole, c'è gente pericolosa da queste parti.»
«E che ne so che tu non fai parte di quella gente pericolosa?»
«Oh, io sono molto pericoloso. Ma gli Anderson sono sempre stati gentili con me, perciò cercherò di fare il bravo con te, ma non ho molta pazienza, sappilo»
«Non mi spaventi.» in realtà mi spaventava. Mi spaventavano tutti in quel posto, ma non volevo darlo a vedere. 
«Si, e io ci credo. Andiamo vah.» 
Lo seguii, non sapevo più che dire ormai. 

Non dissi più nulla durante tutto il tragitto fino a casa. Quando arrivammo davanti al palazzo mi prese di nuovo per il braccio e mi fece voltare verso di lui. 
«Cosa vuoi ancora?» gli domandai. 
«Senti, devi cercare di ignorarli, okay? Per ora sei la novità, ma se li ignori si stancheranno presto» disse riferendosi ai ragazzi che erano dentro. 
Ero confusa da quel suo comportamento. 
Ma feci come mi disse e passai con fare impassibile tra le loro risatine. 
Nathan si fermò con loro. 

Io salii le scale e aprii la porta con la chiave che mi aveva dato Amelie. 
Andai a farmi una doccia bollente. 
Mi sentii subito meglio. 
Andai in camera in accappatoio e mi chiesi come mi sarei dovuta vestire.
Era sera ormai e a breve sarei Amelie mi avrebbe chiamata per cenare. Optai per il mio pigiama tigrato, era così caldo e comodo.
E poi era come se facessi parte di quella famiglia, lo sapevo, perciò non ci sarebbero stati problemi se avessi cenato vestita così.
Pochi minuti dopo la voce di Amelie riecheggiò per la casa «A cenaa!»
Chiusi il libro che stavo leggendo e mi avviai verso la cucina.
Mi imbambolai sulla porta alla vista di quegli occhi azzurri che mi squadravano di nuovo da capo a piedi. Il solito sorrisetto da stronzo si stava aprendo sul suo viso.
«Carina.» disse in tono sarcastico.
Decisi di non lasciarmi intimidire da lui «Grazie, è il mio pigiama preferito.» mi sedetti nell'unico posto rimasto libero, cioè di fronte a lui.
Durante la cena tenni gli occhi fissi sul piatto, la testa bassa.
Mi sentivo in imbarazzo a stare in pigiama davanti a quel ragazzo.
Dopo cena mi alzai e andai a lavare i piatti nonostante le proteste di Amelie. Io volevo dare una mano, non volevo approfittarmi della loro ospitalità.
Nathan si alzò e salutò tutti, mi passò accanto prima di uscire dalla cucina.
«Buonanotte, tigrotta.» mi fece l'occhiolino e se ne andò. Il piatto che stavo lavando mi scivolò dalle mani ma per fortuna non si ruppe.
Mi lavai i denti, diedi la buonanotte a tutti e andai subito in camera mia. Ero stanchissima perciò mi addormentai subito.
  
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