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Autore: Adeia Di Elferas    23/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina non riusciva a stare ferma. Teneva le mani allacciate dietro la schiena e camminava avanti e indietro, un po' curva.
 I dolori alla pancia stavano diventando sempre più frequenti e chiunque, al suo posto, avrebbe temuto di aver anticipato almeno di un paio di settimane il travaglio.
 Siccome, però, Caterina aveva un impegno urgente, si rifiutò in modo categorico di prendere in considerazione quell'ipotesi.
 Era notte fonda e Feo non si era ancora fatto vivo.
 Forse non riusciva a trovare Codronchi, o forse non riusciva a convincerlo. Non sarebbe stato tanto strano. L'ultima volta che Codronchi era stato richiamato da Caterina, lei lo aveva cacciato da Castel Sant'Angelo. Forse temeva qualche punizione o qualche rimbrotto...
 Caterina si massaggiò la fronte, chiudendo con forza gli occhi. Era nella camera dei suoi figli, quella in cui si ritiravano a giocare o a farsi raccontare qualche favola, quando erano a Forlì.
 Sperava con tutta se stessa che nessuno di loro si fosse accorto della sua partenza. Se tutto fosse andato secondo i piani, sarebbe riuscita a tornare a Imola prima di destare sospetti.
 Se Ottaviano avesse scoperto che se n'era andata senza dirglielo...
 Un colpo alla porta la fece sobbalzare: “Chi è?” chiese subito.
 “Vi porto un ospite.” disse la voce di Tommaso Feo.
 Caterina si lasciò andare a un mezzo sorriso, mentre concedeva: “Entrate pure.”
 Codronchi aveva un'espressione guardinga e incerta sul viso. Osservava Caterina, strizzando gli occhi alla luce tremula delle candele.
 Si vedeva benissimo che quella sera aveva bevuto un po', ma almeno non sembrava ubriaco. Si era vestito in fretta, era in disordine, quindi probabilmente Feo l'aveva dovuto far levare dal letto all'improvviso.
 Caterina si schiarì la voce e riprese a misurare la stanza a piccoli passi. Se stava ferma, i dolori all'addome aumentavano e le toglievano lucidità.
 Con un profondo respiro fu costretta a dire: “Feo, per favore, lasciateci soli.”
 Non avrebbe voluto estrometterlo, ma voleva restare sola a quattr'occhi con Vincenzo Codronchi, per essere più concentrata e per accertarsi meglio della buonafede di quell'individuo.
 Tommaso Feo si accigliò, ma non ribatté in alcun modo. Fece un breve inchino e uscì dalla stanza, chiudendo la porta in modo appena più secco del necessario.
 “Siete sempre amico di Melchiorre Zaccheo?” chiese a bruciapelo Caterina, imponendosi di star ferma almeno qualche minuto.
 “Amico...” prese a dire Codronchi, sulla difensiva: “Diciamo che siamo in discreti rapporti...”
 “Passavate intere giornate a giocare a scacchi quando avreste dovuto dare aiuto a mio marito con gli affari dello Stato. Non vorrete dirmi che ora non lo fate più.” lo pungolò Caterina.
 Codronchi, non sapendo quanto la Contessa sapesse davvero, fu costretto ad ammettere: “Sì, sì, qualche partita la facciamo ancora...”
 “Ogni quanto?” chiese Caterina, sulle spine.
 “Ogni sera, o giù di lì.” confessò Codronchi.
 “Anche questa sera?” indagò la donna.
 “Sì, sì...” annuì Codronchi, accigliandosi, non capendo dove la Contesse volesse andare a parare.
 “E visto che Zaccheo è il castellano di Ravaldino e non può uscire dalla rocca, scommetto che voi andate da lui.” tirò le somme Caterina.
 Codronchi annuì di nuovo, sempre più perplesso.
 “Sapete cos'ha in animo di fare quell'ubriacone?” fece Caterina, riprendendo a camminare, non riuscendo più a sopportare le fitte.
 Codronchi scosse il capo: “Di preciso no...”
 Caterina osservò con attenzione la faccia smunta dell'uomo e gli parve sincero, tuttavia si accertò: “Non siete coinvolto nel suo piano?”
 “Non so nemmeno se ce l'ha, un piano...” buttò lì Codronchi, cominciando a innervosirsi.
 Quella donna lo stava forse accusando di qualcosa? Lo stava trattando come un traditore?
 “A chi va la vostra fedeltà?” chiese Caterina, incalzandolo sempre di più.
 “Ma ai Riario, è ovvio. Senza vostro marito io non sarei qui, forse non sarei nemmeno vivo, chi può saperlo...!” si difese Codronchi, ormai certo dell'accusa nella voce della Contessa.
 Sapeva che di lì a poco quella donna lo avrebbe comunque dichiarato colpevole di qualcosa di grave e orrendo, poco contava se non era davvero colpevole! E lui, che aveva sempre cercato di tenersi fuori da cose troppo pericolose, avrebbe pagato lo stesso...!
 La convinzione in lui era ormai tanto forte che stava per farsi venire un attacco di panico. Perciò restò oltremodo esterrefatto quando la Contessa parlò di nuovo.
 “Sareste disposto a uccidere un uomo che reputate vostro amico? Anzi, perdonate, con cui vi ritenere in discreti rapporti?” la voce di Caterina non aveva inflessioni.
 Era distaccata, come se stesse parlando del clima o di un pettegolezzo qualsiasi. Non era il tono di qualcuno che stava commissionando un omicidio.
 Istintivamente Codronchi fece un passo indietro: “Cosa...?” soffiò, accigliandosi come non mai.
 Era forse tutta una tattica per saggiare la sua integrità? Ma porco mondo, lui stava dormendo, aveva bevuto e mangiato bene, si stava godendo il suo riposo, ma che era saltato nella testa a quella strega di farlo chiamare per fargli quell'interrogatorio?
 Che poi, che ci faceva la strega a Forlì?! Non doveva essere a Imola con quel morto ambulante del Conte suo marito?!
 E a guardarla bene, era anche incinta, per Dio! Ma che aveva nella testa?!
 La confusione che ingombrava la mente di Codronchi era visibile nei suoi occhi assenti e nelle sue guance pallide e sudate.
 Caterina cercò di gestire meglio la situazione, dicendo: “Zaccheo non vuole consegnarmi la rocca. La rocca è imprendibile con le armi, questo dovreste saperlo anche voi. Ho anche apportato dei miglioramenti, in questi anni, quindi ora è veramente impossibile da espugnare. L'unico modo che ho per recuperarla è introdurvi qualcuno che uccida Zaccheo e che poi me la consegni ufficialmente.”
 “E io... Io che ci guadagno?!” sbottò Codronchi, ormai certo che la Contessa era seria e che davvero gli stava chiedendo di esporsi a quel modo, di rischiare così tanto... Ma per cosa?!
 “La vita. E la mia gratitudine.” rispose prontamente Caterina: “E vi assicuro che non dimentico chi mi ha servito con fedeltà. Avrete gli onori di un eroe. Non diremo a nessuno che sono stata io a mandarvi nella rocca. Passerà tutto come un vostro atto di coraggio e tutti vi ricorderanno per questo nobile gesto.”
 Codronchi provò a deglutire, ma aveva la gola secca. Alla fine, dopo una lunga esitazione, si asciugò il sudore gelido dalla fronte e fece segno di sì con la testa.
 “Se volete, vi procurerò io il necessario. Vi darò del cibo da portare in dono a Zaccheo, da mangiare durante una delle vostre partite. Le sue porzioni saranno avvelenate. Non dovrete fare altro che accertarvi che le mangi.” spiegò Caterina, che aveva già pensato a un modo per aggirare un eventuale guizzo di codardia di Codronchi.
 L'uomo la sorprese, opponendosi: “No. Il veleno è roba da donne. Lo ucciderò con la spada. Non si bada mai di farmi disarmare, perchè mi ritiene un amico. Quando saremo soli gli pianterò una lama nello stomaco.”
 Caterina lo fissò intensamente: “Va bene. Però dovete assicurarmi che sarete in grado di portare a termine questa missione.”
 “Ve lo assicuro, mia signora.” disse Codronchi, gonfiando il petto.
 La donna sorrise: “Ottimo. So che tra noi non c'è mai stata simpatia, ma se riuscirete in questo, vi assicurò che non sarò più così ostile nei vostri confronti.”
 Codronchi si inchinò, un ginocchio in terra, e, mentre teneva lo sguardo basso, domandò: “Che mi accadrà, nel caso in cui vi tradissi? Se tenessi la rocca tutta per me, una volta ucciso quel gran cane di Zaccheo, o se mi alleassi con lui?”
 Caterina gli fece segno di rialzarsi. Era una domanda strana...
 “Troverei il modo di uccidere anche voi, non abbiate dubbi a riguardo.” concluse.
 Il pomo d'Adamo di Codronchi andò su e giù un paio di volte, poi l'uomo abbassò il capo e disse: “Lo terrò a mente, mia signora.”
 “Ora andate. La cosa dovrà accadere domani notte, al più tardi dopo domani. Fate in modo di farmi sapere quando tornare in città per ricevere da voi la rocca.” ordinò Caterina.
 “Partite?” chiese Codronchi, mentre andava alla porta.
 “Non devo essere qui, quando Zaccheo morirà, se volete che la gloria di aver recuperato la rocca sia tutta vostra. Non credete?” chiese la donna, con un mezzo sorriso.
 Codronchi non ebbe a che ridire, e quando se ne andò dal palazzo, Caterina chiamò a sé Feo. Gli disse che Codronchi aveva accettato il suo compito e che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
 Dopodiché lo pregò di andare a preparare due cavalli freschi e, tenendosi il ventre con entrambe le mani, aggiunse: “Torniamo subito a Imola.”
 “Va tutto bene?” si informò Feo, proccupato dall'espressione tesa e dolente della sua signora.
 “Potrei perdere la città e la vita e secondo voi va tutto bene?! Smettetela di fare domande sciocche e andate a preparare subito il cavalli!” ringhiò Caterina, perdendo la pazienza a causa del dolore fisico.
 Tommaso Feo non disse più nulla, e sparì per andare nelle stalle a eseguire l'ordine appena ricevuto.
 Caterina, una volta sola, si sentì in colpa per aver trattato male quel giovane uomo che tanto la stava aiutando.
   
 
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