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Autore: Marty_199    24/02/2016    2 recensioni
L’amore..dicono sia il sentimento più bello e più sincero che una persona può provare. Ma due ragazzi rimasti soli, senza mai aver avuto una vera dimostrazione d'amore dalle famiglie possono crederci? Riescono a provarlo senza averne paura?.
Eulalia è una ragazza di diciotto anni cresciuta in orfanotrofio, nella vita ha dovuto superare difficoltà che l’hanno portata a chiudere i suoi sentimenti e ad avere paura di provare amore verso qualcuno, perché la sua vita gira intorno alla convinzione che prima o poi tutti se ne vanno.
Duncan è un ragazzo di vent’anni, molto attraente e all'apparenza superficiale. Nessuno sa del suo passato tormentato che torna ogni giorno nel suo presente. La sua vita naviga nella rabbia, mentre vive nella proiezione di una felicità che non sente davvero sua, cercata tra le cose più banali: nelle donne, nella rissa e molte volte nell'alcool.
Ma può davvero l'amore non comparire mai nella vita di una persona? Tra vari incontri e amicizie i due ragazzi all'apparenza diversi si ritroveranno a provare l'uno per l'altra il sentimento tanto temuto, potrebbe essere l'inizio di qualcosa per entrambi..che li porterà su vie del tutto inaspettate.
Genere: Azione, Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                                              SCONTRO APERTO

"Io considero il mondo per quel che è:

 Un palcoscenico dove ognuno deve
 recitare la sua parte."

William Shakespeare, Il mercante di Venezia.
 

Duncan fissava negli occhi quell’uomo, venuto a rovinargli la sua “perfetta” vita da persona civile.
<< Dunque>> cominciò Alan con voce grave, ma Duncan lo fermò con una semplice occhiata.
<< Va dritto al punto, vorrei andarmene entro cinque minuti>> affermò serio, il viso contratto in una smorfia, che avrebbe dovuto somigliare a un’espressione amichevole.
<< Ragazzo mio, sai bene qual è il punto.>>
<< Oh ma certo, prendere i soldi della mia famiglia e con essi tutti i suoi errori, mettitelo in testa, non me ne frega un cazzo! E non ho intenzione di entrare nei giri sporchi di mafia e corruzione di mio padre e mio zio>> ruggì serio, mantenendo un tono basso per impedire a chi li circondava di ascoltare le loro parole.
<<  Nessuno te lo chiede ragazzo, ma dovrai riprenderti i tuoi soldi.>>
<< Io non li voglio>> Duncan scandì ogni parola, marcandole con tono grave, voleva solo lasciarsi alle spalle tutto, ma Alan non glielo avrebbe permesso.
<< Tuo padre possedeva molte aziende ed era un avvocato noto, non puoi fuggire per sempre>> il viso anziano e apparentemente innocuo di Alan si contorse in una smorfia seria e decisa.
<< E’ come se avesse fatto un patto col diavolo e ha coinvolto tutti noi, e ora guardaci.>>
<< Io odiavo tuo padre quanto te ragazzo, ma lavoravo per lui e devo ammettere che era bravo in ciò che faceva, posso dire lo stesso di te?>>

Duncan riconobbe il tono di sfida che si nascondeva dietro quella domanda, Alan sapeva bene quanto le sfide potessero attirare e allarmare Duncan.
<< Dimmi tutto dunque>> con un sorriso di soddisfazione Alan si sistemò comodo sulla sedia.
<< I soldi ormai sono tuoi da quando hai compiuto diciotto anni Duncan, sotto volere di tuo padre e tua madre, come lo è la custodia di Tenshi, io ho solo provveduto ad amministrare il tuo patrimonio fino a che non li avessi presi tu>> Duncan indurì lo sguardo, tentando di nascondere la nota di dolore nel sentire il nome di sua sorella.
<< Se solo sapessi dov’è finita>> sputò con rabbia, stringendo le mani a pugno sotto il tavolo.
<< Sei come un erede al trono Duncan, devi solo prendere in mano il lavoro di tuo padre, la tua casa, i tuoi soldi, cosa ti costa?>> Alan aveva volutamente saltato di rispondere all’esclamazione rabbiosa di Duncan, ma quest’ultimo sapeva che Alan non si faceva coinvolgere nelle sue disgrazie famigliari, era lì solo per amministrare il suo patrimonio, ma ora era il turno di Duncan.
<< Diventare un mafioso? E’ questo che devo essere?>> ringhiò Duncan tra i denti.
<< Oh avanti, tuo padre non era un mafioso.>>
<< Ci era molto vicino, so cosa ha fatto nei giorni in cui mancava da casa, so quanto quel mondo lo attraesse.>>
<< So che anche tu hai una predisposizione alla violenza Duncan.>>
Il ragazzo accusò quel colpo come un pugno in pieno stomaco che gli fece mancare per un secondo il respiro, era vero e non poteva negarlo, Duncan adorava potersi sfogare con la violenza, molte volte era una necessità, ma non poteva negare a se stesso che fosse anche una cosa da un lato gradita, quasi fosse il marchio di suo padre impresso in lui come una maledizione.
Ricordava bene che ragazzino fosse all’età di dodici anni, ricordava di essere arrivato ad impugnare un arma, un giorno che gli sembrava tanto lontano quanto confuso, come il giorno in cui aveva quasi aggredito una ragazza, quel giorno nel quale aveva visto tutto nero e aveva pensato che la sua anima si fosse dipinta di nero.
<< Vaffanculo, sai cosa mi riprendo tutto, d’altronde è questo che sono.>>
“Basta scappare, tanto tutto torna.”
Pensò tra se con determinazione, avrebbe usato i soldi per trovare sua sorella, per rinsavire il suo cognome, per dare un taglio al suo passato e scriversi un suo futuro, la mentre corse a Eulalia, l’avrebbe coinvolta nella sua vita? La sua vera vita. Doveva raccontarle tutto, compresi i suoi più grandi peccati.
Lo farò.

Sussurrò una vocina nella sua testa, mentre contemporaneamente un’altra gli sussurrava “Menti a te stesso”.

 


Eulalia si svegliò di soprassalto, respirando a fondo sentendosi completamente sudata, aveva nuovamente sognato una donna dai capelli rossi che la chiamava per nome, la madre che non era nient’altro che frutto della sua immaginazione, perché lei sua madre non l’aveva mai vista.
Si passò una mano tra i capelli, portandoli indietro e facendo vagare lo sguardo per la stanza immersa nel silenzio, con solo la fioca luce proveniente dalla finestra a illuminare il tutto.
<< Duncan?>> Era sicura che lui fosse in casa, o almeno ci era stato fino a che non si era addormentata.
Con un leggero sospiro fece per alzarsi, diretta verso il bagno nella camera di Duncan, aveva assoluto bisogno di farsi una doccia e confidava nel fatto che a lui non avrebbe dato fastidio se usava il suo bagno.
Una volta sotto il getto d’acqua calda Eulalia si rilassò, la sua mente vagò, mentre si insaponava e passava la spugna sul corpo, i suoi occhi finirono sulla cicatrice che le attraversava l’avambraccio, ci passò piano la spugna sopra, ricordava che un tempo aveva quasi sperato di riuscire a cancellarla, si era strofinata con tanto vigore quella parte del braccio che aveva sperato vivamente che si fosse cancellata, come fosse stata una macchia di sporcizia. Ma era ancora lì, sempre pronta a ricordarle quanto potesse essere rischioso donare il proprio affetto a qualcuno.
“No, non è vero, loro erano sbagliati e io troppo ingenua e volenterosa di una famiglia.”
Quando aveva quindici anni, Eulalia ricordava bene che piangeva ogni volta che la riguardava, ma ora no, non vi avrebbe più sprecato le sue lacrime, nonostante fosse sempre un fattore che la sconsolava e la faceva viaggiare indietro nel tempo riportandole alla memoria ricordi dolorosi.
Con un poco di concentrazione nella sua mente riusciva ancora a rivedere la lama alzarsi con un scatto, la paura che l’aveva attanagliata e subito dopo il dolore lancinante al braccio, ricordava bene anche l’uomo che impugnava l’oggetto con il quale l’aveva ferita, la sua espressione sorpresa davanti l’azione che aveva compiuto.

Eulalia era scappata via, per la prima volta il suo unico desiderio era stato quello di tornare all’orfanotrofio, da Catarina.
Eulalia scosse la testa, cercando di scacciare via quei pensieri e uscendo da sotto la doccia, si infilò addosso l’accappatoio di Duncan e si asciugò.
<< Maledizione, non ho vestiti da Duncan>> Eulalia sbuffò, ricordandosi anche di avere il ciclo, per fortuna per un po’ dopo la doccia le si sarebbe bloccato.
Quasi lo avesse chiamato con il pensiero, la porta del salone sbatté.
<< Eulalia?>> la voce di Duncan la raggiunse e la fece anche sorridere.
<< Sono in bagno!>>
Duncan la raggiunse poco dopo, Eulalia si sistemò l’accappatoio uscendo e ritrovandosi nella camera di lui, che le stava poco lontano e la osservava con cosa? Ammirazione? Consenso?.
Eulalia arrossì nel vedere Duncan posare gli occhi sulle sue gambe, lasciate scoperte dall’accappatoio. Quando lui se ne accorse sorrise appena, un sorrisetto perverso e divertito.
<< Avevo bisogno di una doccia, ma mi sono accorta che non ho vestiti di ricambio.>>
<< Ah>> disse semplicemente lui, Eulalia lo osservò mentre con lo sguardo corrucciato cercava per tutta la camera all’interno dei cassetti qualcosa. Non appena da uno di questi tirò fuori dei pantaloncini rosa, Eulalia si accigliò confusa.
<< Metti questi intanto, posso andare a prendere qualcuno dei tuoi vestiti almeno ti cambi>> sospirò affondo, quasi con irritazione. << E magari parlo pure con la vecchietta.>>
Eulalia nonostante il tono scocciato di lui, sorrise, per poi guardare i pantaloncini con sospetto.
<< Aspetta, perché hai dei pantaloncini rosa nell’armadio? Non sono tuoi vero?>>
<< Ovviamente no.>>
Eulalia aveva usato un tono di voce allegro, sperando di suscitare un minimo divertimento con una domanda tanto stupida, ma la risposta cupa di lui la fece accigliare, cosa c’era che non andava?.
<< Perché li hai allora?>>
<< Non chiedere, fidati>> sentenziò con voce un poco più divertita, forse a causa della curiosità che ora aveva colpito la ragazza, che comunque, senza fare ulteriori domande tornò in bagno per vestirsi.
<< Io vado.>>
Eulalia non riuscì a finire di vestirsi, si affacciò con la testa oltre la porta del bagno.
<< Non far impazzire ulteriormente Catarina ti prego.>>
<< Ti nascondi perché non sei completamente vestita?>>

Eulalia arrossì nuovamente, portandosi ancor di più dietro la porta, non sapeva nemmeno lei il perché continuasse a coprirsi ai suoi occhi.
“ D’altronde ti ha già vista mezza nuda” le ricordò una vocina nella sua testa, e aveva ragione.
<< Il tuo sguardo mi dice proprio di sì>> gli occhi di Duncan luccicarono sotto quella prospettiva, la ragazza riconobbe lo stesso luccichio che aveva colto quei due pozzi neri, quando gli era stata sdraiata sotto e con molto poco a coprirla.
Con lentezza si sporse da dietro la porta, lasciandosi guardare con indosso solo i pantaloncini e il reggiseno, si sentiva ancora intimorita e imbarazzata sotto il suo sguardo, ma non tanto per lui, quanto per la sua inesperienza.
<< Niente che tu non abbia già visto>> esordì lei con voce allegra e stranamente maliziosa, sorrise.
<< Mi presti una tua felpa?>>
Duncan indugiò con lo sguardo su di lei, facendo vagare gli occhi sul seno coperto quanto bastava dal reggiseno, sulla pelle chiara, quasi da bambola di porcellana, per poi fermarsi nuovamente sul suo viso, Eulalia non si era mai sentita tanto strana e allo stesso tempo desiderata da un ragazzo.
Con un sospiro sofferente Duncan si avvicinò al cassetto che sostava vicino l’angolo della stanza, vicino l’armadio, per poi aprirne un cassetto e tirare fuori una felpona grigia.
Eulalia la prese infilandosela e sentendo un ulteriore e sonoro sospiro da parte di Duncan.
<< Cosa c’è che non va?>> lui si avvicinò, piegandosi con la testa e avvicinandosi tanto a lei da sfiorarle le labbra con le proprie, Eulalia credette che stesse per baciarla, ma lui non lo fece.
<< E’ un tormento vedersi per casa così, prima in accappatoio, poi in reggiseno e infine con la mia felpa, se non fosse per il tuo periodo particolare ti avrei già ributtato sul letto e ti sarei saltato addosso>> la sua voce roca e sensuale investirono Eulalia come una marea in piena, si alzò sulle punte  poggiandogli le braccia sul petto e sospirando. Quella frase non aveva nulla di minaccioso, era una semplice affermazione di quello che lui avrebbe voluto fare, e ciò fece ridere Eulalia.

Forse poteva essere presto, eppure l’idea di donarsi a Duncan come non aveva mai fatto con nessun ragazzo le passava per la mente come un’esperienza da poter fare, non perché fosse avida di esperienze e volesse provare ciò che le sue coetanee magari già avevano fatto.
Non le fregava molto se per alcune ragazze l’essere vergine a diciotto anni fosse strano, non che fosse andata a chiederlo in giro, ma lei la considerava una sua piccola zona off  limits, molto piccola in confronto a molte altre che si portava dentro.
Aveva donato affetto a chi non lo meritava e le si era ritorto contro, lo aveva rifatto ma nonostante le persone dicessero di amarla non avevano mai avuto il tempo di rimanere, ma tutto questo riguardava sempre e solo la famiglia, era quello che a lei mancava, perché doveva privarsi anche dell’amore?.
“ Dovrei lasciarmi andare per una volta, e vedere come va a finire.”

Si disse, ormai erano giorni che segretamente quella frase girovagava nella sua testa.
Puntò i suoi occhi azzurri in quelli di Duncan, osservandolo di nuovo da vicino, la mascella squadrata e ricoperta di quella leggera e incolta barbetta nera che ogni volta le pizzicava le guance o le dita mentre la sfiorava, ma che adorava.
I capelli bicolore leggermente lunghi e scompigliati ad arte, che contrariamente a quanto credeva, riuscivano a piacergli. Le labbra rosee e la carnagione un poco scura, che colorava quel corpo statuario, asciutto e muscoloso, che naturalmente Eulalia ammirava e adorava.
Duncan non era solo sexy, era bello, riusciva a esserlo con poco e ora lei sapeva bene che la maggior parte di quella bellezza proveniva dalla madre.
E maledizione a lui, era riuscito a entrarle davvero dentro, perché ora, con quanta paura potessero portarsi dietro quelle parole, non poteva non dire a se stessa che per la prima volta, capiva cosa voleva davvero dire innamorarsi di un ragazzo, perché era questo che era successo e che le stava succedendo in quel preciso momento, si stava innamorando ogni giorno di più, ogni giorno gli donava una piccola parte di sé, quasi lui la reclamasse con la sua sola presenza e lei non poteva che donargliela.

La paura che si portava dietro era sempre presente, come un bagaglio pesante sulla sua anima, ma forse col tempo se ne sarebbe liberata del tutto, per ora poteva solo alleggerirlo.
<< Ma non puoi, quindi perché non mi vai a prendere i vestiti? In pantaloncini ho freddo, sai è Dicembre.>>
Duncan si staccò da lei quasi a forza ed Eulalia lo vide uscire dalla camera, per poi sentire la porta del salone chiudersi.
Eppure era certa che qualcosa non andasse, non tra di loro, bensì Eulalia era convinta che dietro quello sguardo stanco e segnato, ci fosse una ragione al di fuori della stanchezza causata dal lavoro o dalle azioni quotidiane, Duncan aveva vari motivi per essere stanco, la madre, il padre, Eulalia si accorse di non sapere a fondo del suo passato, ma lui aveva avuto il fegato di raccontargli di sua madre, di fargliela vedere e se pur in modo molto esplicito e semplificativo di dirgli che il padre era morto. Gli aveva raccontato sporadici pezzetti del suo passato ma era sempre stato vario.

Ma non poteva costringerlo, un passato pieno di dolore, rabbia e rancore non doveva essere facile da raccontare e per quanto riguardava la parte del dolore, Eulalia lo sapeva bene.

 


Duncan si fermò davanti il portone in legno dell’orfanotrofio, osservandolo per qualche secondo, poteva entrare? Sicuramente avrebbe dovuto parlare con qualcuno.

Una volta all’interno, si prese il tempo di osservarlo bene, la volta prima a causa della foga del momento e della “scoperta” riguardante Eulalia, non si era preso la briga di guardarsi intorno.
Le pareti erano colorate di un leggero marrone, un poco opaco, il soffitto non molto alto, nel giusto. Davanti a lui si apriva un piccolo atrio nel quale era presente qualche sedia per sedersi e davanti un corridoio che doveva dare poi, sui lati le camere dei vari ragazzi e ragazze. Rabbrividì al pensiero che sua sorella fosse finita tutta sola in una struttura come quella, non lo spaventata tanto quello, più che altro il pensiero che lei potesse sentirsi abbandonata, di credere di essere stata abbandonata.
<< Mi scusi lei è?>> una donna, giovane dal timbro della voce comparve di fianco a Duncan, che si girò a guardarla, una donna con indosso una gonna stretta e lunga e sopra una camicetta lo guardava da dietro le lenti degli occhiali, con curiosità e attenzione.
<< Ah, sono qui per parlare con...>> Duncan aggrottò le sopracciglia, accorgendosi di non sapere il cognome della vecchietta antipatica.
<< Suor Catarina>> azzardò, sperando di non dover dare ulteriori spiegazioni, ma la signora sorrise, annuendo appena.
<< Vi accompagno.>>
Duncan seguì la donna, vedendo qui e là qualche ragazzo vagare per i corridoi e lanciargli vari sguardo, soprattutto i più piccoli, sguardi speranzosi e anche sì, sorridenti e curiosi. Per un attimo si sentì fuori posto, forse tutti, compresa la signora che lo accompagnava, si aspettavano o credevano fosse un uomo venuto per dare una famiglia a uno di quei ragazzi, ma non era così.
I corridoi erano luminosi grazie alla presenza delle finestre e alcune porte aperte davano su alcune camere piccole ma accoglienti. I due si fermarono davanti l’ennesima porta di legno scuro, la donna bussò, annunciando alla signora dentro che c’erano per lei visite e poi scomparendo lungo il corridoio, chiamata da uno dei ragazzi.

Duncan sorrise divertito, sapendo di non essere una visita gradita.
<< Arrivo>> la porta si aprì e davanti a lui comparve Catarina, vestita come sempre con la sua tunica grigia e il velo sui capelli, nonostante le rughe sul viso gli occhi vispi e attenti volarono su di lui, restando visibilmente stupiti nel vederlo lì, la bocca sottile si stese in un piccolo sorriso forzato, che Duncan ricambiò con quella che somigliava tanto ad una smorfia.
<< Ho saputo che voleva parlarmi>> esordì lui con voce tesa, la donna si fece da parte, invitandolo ad entrare. Una volta nella stanza Duncan notò che lo studio era identico a come lo aveva lasciato, sempre in ordine nei minimi dettagli, pulito e luminoso, la grande finestra posta dall’altra parte della stanza pulita, seppur con i vetri un poco rovinati, due piccole librerie poste ai lati della stanza e una scrivania in legno nel mezzo, con davanti sempre le due poltrone.
<< Sì infatti, pensavo saresti venuto con Eulalia.>>
<< Sono in principio venuto a prendere le sue cose>> ribatté velocemente lui, vedendo il viso della donna assumere un’espressione allarmata, i piccoli occhi si spalancarono sorpresi.
<< Cosa vorrebbe dire?! Che si trasferisce li?! Come può...>> il suo tono allarmato risuonò per la stanza e Duncan fece per fermarla subito.
<< Voglio essere sincero, no, non si sta trasferendo da me, non ancora almeno.>>
Duncan la vide sospirare di sollievo, si chiese il motivo per il quale quella donna temesse tanto quella prospettiva, era tanto terribile pensare a lui come ragazzo di Eulalia? Alle apparenze poteva sembrare un teppista, e sì, dentro di sé si sentiva tale e il suo passato ne era la vera prova. Ma con Eulalia tutto era diverso, lui stesso si sentiva diverso, nonostante quella parte oscura di lui fosse sempre presente e quella donna sembrava poterla leggere dentro di lui.
La donna con un sospiro frustrato fece chiamare qualcuno, che sotto sua richiesta andò nella camera di Eulalia a prendere qualche vestito. Non appena la porta si fu richiusa, la suora tornò a guardarlo.
<< Mi pare chiaro che tu a me non piaci, ma a lei a quanto pare sì, dunque che intenzioni hai giovanotto?>> la sua espressione era mutata, da preoccupata quale era, la serietà aveva sostituito tutto, Duncan si sedette su una delle due poltrone senza troppe cerimonie, per poi guardarla dritto negli occhi.
Avrebbe potuto rispondere in qualsiasi modo, come un banale “io la amo e voglio stare con lei” o con un “mi pare ovvio, sono il suo ragazzo”. Ma niente di quello gli sembrava adeguato, anzi le riteneva risposte banali e sicuramente non da lui.
<< Voglio diventare la sua famiglia>> il tono serio e deciso di Duncan non ammetteva repliche, ci avrebbe provato con tutte le sue forze, avrebbe dato ad Eulalia quello che le era sempre mancato.
“ Ammesso che tu ne sia capace.”
Lo rimproverò la sua oscura vocina interna, che lui ignoro tranquillamente, continuando a guardare la suora negli occhi. Improvvisamente vi lesse tutto l’affetto che quella donna provava per la sua Eulalia e cominciava a capire perché quella donna temesse il loro rapporto.
<< Questo è un grosso impegno e non ho alcuna intenzione di vedere Eulalia alle prese con un’altra delusione, quindi vedi di tenere a bada la foga, fare una promessa del genere a una ragazza che non ha mai nemmeno visto la sua famiglia, non va preso come un gioco da adolescenti>> la suora alzò leggermente la voce, ma Duncan non ci badò, irrigidì i muscoli e la mascella senza mai abbassare lo sguardo, proprio come il padre gli aveva insegnato.

<< Non abbassare mai lo sguardo!>> il ragazzo rialzò esitante lo sguardo sul padre, livido di rabbia in viso. Assomigliava tanto a Tenshi, la sua sorellina, il viso dai lineamenti dolci, ma resi affilati dalla sua espressione, gli occhi chiari, proprio come i capelli, di un delicato biondo, tutto ciò che era riguardo il fisico sua sorella lo aveva ripreso, ma Tenshi era tutto tranne che identica a suo padre e per Duncan questa non era altro che una benedizione.
<< Mi dici sempre che non devo guardarti negli occhi, perché è un atto di sfida.>>
<< Questo perché sei debole! Non devi osare sfidarmi, non ne sei capace, ma potresti fingere almeno di avere un minimo di coraggio>> aveva esclamato con rabbia e disgusto il padre, facendo crescere nel ragazzo la rabbia, una rabbia piena di rancori, che col tempo lo avrebbero consumato.
Il ragazzo rialzò gli occhi scuri sul padre, guardandolo con odio misto al più puro dei disgusti. Quell’uomo se n’era andato, li aveva lasciati per andarsene con altre donne e per continuare i suoi affari. Era tornato quel giorno solo per vedere sua figlia ammalata e presto se ne sarebbe riandato, senza poter udire la moglie piangere e sua figlia contenere la tristezza di un ennesimo abbandono da parte del padre.

Ormai Duncan aveva imparato a non provare più tristezza per quell’uomo, solo rabbia e rancore, perché dopo era lui a dover asciugare le lacrime dagli occhi della madre, ormai caduta in depressione e della sorella, piccola e fragile.
<< Non vedo nessun uomo qui, solo una schifosa merda>> aveva esclamato Duncan, aveva solo quattordici anni, ma non gli interessava minimamente della volgarità, anzi, non vedeva modo migliore per rappresentare suo padre.
L’uomo aveva indurito li sguardo, affilando gli occhi in due piccole fessure lanciati lampi di riabbia, che se possibile lo avrebbero fulminato sul momento, il ragazzo percepiva quelle ondate di odio scagliarsi contro di lui come lame affilate, pronte ad attraversarlo da parte a parte.
<< Brutto ragazzino volgare! Modera i termini davanti a me, davanti a tuo padre>> aveva sibilato lui, alzando la mano in un gesto intimidatorio, ma Duncan era troppo accecato dalla rabbia per provare il timore di uno schiaffo.
<< Non sei mio padre, sei una merda, un uomo che non è capace di essere tale, che scappa dalle sue responsabilità di padre...>> un sonoro schiocco era riecheggiato per il salone e il viso del ragazzo si era girato verso destra, mentre il dolore alla guancia prendeva il sopravvento.
Duncan aveva rialzato lo sguardo sul padre, sfidandolo apertamente... di li i ricordi si confusero, ricordava solo di essere stato schiaffeggiato con rabbia, fino a che il sangue non era preso a colargli dal naso e la madre sentendo il trambusto aveva provato ad allontanare il marito dal figlio che stava picchiando brutalmente.

Duncan scosse la testa, per allontanare da sé quel ricordo improvviso quanto sgradito, che lo aveva colpito come un pugno allo stomaco.
Si accorse che la suora lo stava fissando, con una muta domanda dipinta sul viso e un’espressione che sembrava volergli dire che lei sapeva più di quanto Duncan credesse.
<< Io non mi preoccuperei di questo.>>
<< A no? E di cosa?>>
<< Lei starà bene con me, probabilmente sa meglio di me che i “De Medici” se si danno un impegno,niente, niente! Li persuade altrove>> La suora fece un’espressione sorpresa, ma Duncan alzò un sopracciglio inducendola a dire tutto, d’altronde doveva esserci un motivo se lui non le piaceva e quello non poteva che essere il suo cognome.
<< Questo è il punto, so della tua famiglia! E non mi piaci!>>

Duncan sogghignò, un sorrisino che non coinvolgeva gli occhi ma che era soddisfatto, il vero motivo era venuto a galla.
<< La tua famiglia è coinvolta con la mafia! Sei figlio di un mafioso!>>
<< Non mi venga a dire di chi sono figlio! Lo so bene, mio padre non era una brava persona, anzi tutt’altro, gli piaceva la mafia e i giri sporchi, era un fottuto bastardo! Ma io non faccio parte di quel mondo! Non più! Ora voglio assicurarmi che Eulalia stia bene, è l’unica cosa che per ora ha senso nel mio mondo, nessuno me la porterà via, neanche lei.>> Duncan si accorse solo dopo di aver urlato, ma la suora non si era scomposta minimamente, mantenendo il corpo rigido e le spalle dritto, continuando a guardarlo negli occhi con sfida. Quello, malgrado Duncan fosse contrariato, le fece acquistare punti nella scaletta della stima. Era come uno scontro aperto, tra Duncan e la suora, per vedere chi tra i due l’avrebbe avuta vinta.
Ma ora non aveva tempo per perdersi in quelle stronzate, stava accadendo di nuovo, perdeva il controllo.
“ No, me lo sono promesso, mai più succederà una cosa del genere.”
<< Arrivederci>> Duncan uscì di fretta dallo studio della donna, sentendosi pulsare la testa e le vene di rabbia repressa, maledì il suo cognome, attribuendo ad esso tutti i suoi tormenti.
Prese malamente dalle mani di una ragazza la scatola con all’interno i vestiti di Eulalia. Dietro di sé sentì la suora parlare con quella ragazza, per poi seguirlo.
<< Tu puoi anche dire così, ma il tuo cognome e quel mondo ti seguiranno ovunque, non credo che potrai mai dirtene davvero fuori, non voglio che la metti in pericolo!>>
Duncan si ritrovò a maledirla sottovoce per la verità che le sue parole gli stavano sbattendo in faccia.
<< Non voglio farlo!>> urlò, perché quella donna non capiva? Lui stava cercando di cambiare e ci stava riuscendo. Nonostante tutto la donna aveva ragione, non avrebbe mai potuto eliminare da sé quella parte della sua vita, mai.
<< Dimmi a lei hai detto tutto questo?>> la suora aveva riacquistato la sua calma, per questo Duncan la invidiò, mentre la sua rabbia una volta accesa lo consumava.
Guardò serio la donna bassa e minuta, colei che aveva sempre fatto tutto per Eulalia, forse l’unica donna nella quale Eulalia aveva visto una figura materna.
<< Questo lo deciderò io>> Duncan prese e si girò, uscendo dall’orfanotrofio sotto lo sguardo criptico della suora. Aveva sempre imparato dal modo in cui il padre chiudeva un discorso come uscirne da vero capo, il suo tono non ammetteva repliche, la sue espressione era un muto incitamento a far restare in silenzio chiunque fosse davanti a lui.

Temeva quella parte di sé, ma non poteva fare a meno di esercitarla.
Tutto con l'arrivo di Alan sembrava essere tornato a galla, tutto ciò che Duncan aveva cercato di seppellire dentro di sé, rendendolo meno di un'ombra, era tornato alla luce come niente fosse, come se tutti quegli sforzi, d'altronde, fossero stati inutili, ed era proprio così. Gli tornò in mente per un qualche motivo una frase che la sorella gli aveva letto tempo prima, una frase che lo aveva colpito talmente tanto da riconoscere se stesso in essa.
Perché era vera, il mondo poteva essere equiparato a un palcoscenico, per alcuni poteva essere pieno di riflettori e di gente pronta ad applaudire e a lanciare fiori all'attore dal bell'aspetto, dalla bella storia e dal nobile animo, o magari dalla storia tormentata, ma comunque nobile dentro.
Mentre lui recitava una parte diversa, era di bell'aspetto, ma poteva facilmente trasformarsi, il suo nobile animo macchiato dai peccati commessi e dalla rabbia che lo divorava, eppure qualcosa in buono in lui rimaneva, per quanto lo nascondesse, Duncan sapeva di essere capace di amare, il suo errore era stato accantonare quella parte di sé per molto tempo, un ennesimo errore aggiunto alla lista.
Il suo pensiero corse ad Eulalia e a quante poche cose gli avesse detto davvero su di sé.
“Dovrò davvero dirglielo... ma questo potrebbe allontanarla da me e non posso permetterlo. Non più” Pensò Duncan, allontanandosi con in mano lo scatolone con all’interno qualche vestito.
Sapeva il perché non poteva permettersi di allontanarla, ma era ancora difficile per lui ammetterlo, prima credeva fosse solo attrazione, ora era fermamente convinto che non era così.
Forse dirle la verità era giusto, forse un minimo di distanza gli avrebbe fatto bene, perché lui non si spiegava ancora come potesse Eulalia dargli quella pace che lui aveva cercato per anni... in pochi minuti.

   
 
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