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Autore: Adeia Di Elferas    25/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Caterina Sforza e Tommaso Feo lasciarono Forlì prima che sorgesse il sole.
 Scelsero il medesimo percorso dell'andata, per sfuggire al pedaggio – o forse al divieto di passaggio – dei Manfredi.
 Non parlarono quasi, ma per motivi diversi da quelli che li avevano resi zitti durante il viaggio precedente. Ora Feo stava zitto perchè non voleva disturbare la sua signora, che appariva vistosamente sofferente, mentre Caterina faceva già abbastanza fatica a stare in sella, senza dover sprecare energie in conversazioni inutili.
 L'estate era all'apice della sua furia e già alle prime luci dell'alba il caldo cominciò a rendere la traversata ancora più faticosa.
 Caterina si tormentava al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere a Forlì. Cercava di essere ottimista, ma non era così facile esserlo. Non si fidava troppo di Codronchi e temeva che avrebbe fatto di testa sua, magari provando a tenere la rocca per sé.
 Aveva ostentato una grande sicurezza, nell'assicurargli che l'avrebbe ucciso, in quel caso, ma in realtà non sapeva come avrebbe potuto fare a stanarlo da quel prodigio difensivo che era Ravaldino.
 C'erano poche rocche in Italia in grado di difendersi così bene da un assedio. Per quello che ne sapeva Caterina, l'unica che si potesse davvero paragonare a quella di Forlì era quella di Zavattarello, il castello dei Dal Verme.
 Al pensiero di quella rocca, a Caterina si chiuse lo stomaco. A quell'ora sua sorella Chiara si era di certo già risposata. Avrebbe mai detto al suo nuovo marito che fine aveva fatto veramente il primo?
 Caterina stava ancora pensando alla morte fatta da Pietro Dal Verme e al suo castello, inespugnabile, e a come ora tutti i suoi averi fossero stati presi da Ludovico, senza troppi complimenti, quando finalmente lei e Feo scorsero le porte di Imola.

 Girolamo Riario si stava aggirando per la sua stanza come un'anima in pena. Non aveva dormito per tutta la notte, perchè ogni volta che chiudeva occhio la sua mente si riempiva di fantasmi.
 Stava meglio, da quando sua moglie era tornata, e i medici che lei aveva fatto chiamare lo stavano aiutando, a suon di pozioni e consigli. Tuttavia non era ancora tornato l'uomo di un tempo. Ancora troppo spesso si sentiva sprofondare nel mare nero della confusione più assoluta e più di una volta si era trovato in punti del palazzo che non frequentava mai e non era riuscito a capire come avesse fatto ad arrivare fino a lì.
 La luce del sole d'agosto riempiva la camera che era ancora disordinata, ma che almeno non aveva più il tanfo e la sporcizia di prima.
 Sua moglie lo aveva costretto a togliere le pesanti tende scuri da davanti alle finestre, perciò gli era quasi impossibile rifuggire la luce. Anzi, qualche volta si lasciava tentare e si metteva a guardare fuori.
 Proprio in quel momento sentì il bisogno di dare una sbirciata a quello che stava accadendo attorno al palazzo. Non usciva da giorni, aveva perso il conto di quando era stata l'ultima volta in cui aveva messo fuori il naso. Aveva paura che, non appena avesse deciso di farsi un giro, anche se con una degna scorta armata, qualcuno avrebbe trovato il modo di ucciderlo.
 In parte capiva che la sua ossessione non era logica. Anche se c'era il rischio che qualcuno volesse assassinarlo, non doveva lasciarsi bloccare così tanto dalla paura di morire. Eppure non riusciva a vincersi in alcun modo...
 Con passo incerto andò alla finestra e osservò il panorama. In quel pomeriggio d'agosto Imola appariva calda e tranquilla. C'erano dei mercanti che spingevano i loro carretti e qualche bambino che giocava in strada.
 Forse non c'era davvero nulla da temere, in quel luogo. Forse era arrivato il momento, per Girolamo, di riprendere in mano la sua vita e tornare a comportarsi in modo più...
 Strinse gli occhi, catturato da una visione improvvisa. In fondo alla strada due persone a cavallo si stavano diringendo verso il palazzo.
 Erano un uomo, giovane e dall'aspetto atletico, e una donna. Girolamo non riconobbe il primo, anche se, da come era vestito e dalle armi che portava con sé, poté ben intuire che quello doveva essere un soldato.
 La donna, invece, la conosceva molto bene.
 Li seguì per tutto il tragitto con lo sguardo, il cuore che gli batteva con furia inaudita nel petto. Da dove arrivavano? Dove erano stati? Cosa avevano fatto insieme?
 Ormai sua moglie e l'uomo sconosciuto erano sotto alle sue finestre e si stavano dicendo qualcosa. Lui sembrava preoccupato, mentre lei gesticolava a scatti, come quando dava ordini.
 L'uomo fu il primo a smontare da cavallo e poi aiutò Caterina a scendere dal suo purosangue.
 Girolamo si sentì ribollire le viscere nel vedere come lui la prendeva per mano e poi la sosteneva afferrandola per un momento per i fianchi, mentre la donna smontava di sella.
 Ma chi si credeva di essere? Quella confidenza era più che sufficiente a comminargli una pena di morte. Aveva osato toccare con quelle mani da mercenario la moglie del Conte! Che sfrontatezza inaudita!
 Girolamo attese di vedere il modo in cui i due si fossero congedati. Se avesse visto qualcosa di indecente, avrebbe preso una spada dalla sala delle armi e sarebbe sceso in trada ad ammazzare quel pusillanime là dove stava!
 Invece Caterina e l'uomo sconosciuto si salutarono con un rapido cenno del capo e la donna entrò nel palazzo a passo svelto.

 Era stato un viaggio estenuante e Caterina non desiderava altro che potersi stendere e bere una tisana che le rilassasse i muscoli dell'addome.
 Sarebbe stato opportuno anche chiamare un medico. Temeva che il parto fosse davvero vicino e si chiedeva se esistesse un modo per ritardarlo. Non poteva gestire un travaglio, un parto e un neonato in un frangente simile...
 Non aveva ancora fatto tre passi nel palazzo che una figura scarmigliata e un po' curva le si era parata davanti. 
 Ci mancava solo suo marito...!
 “Dov'eri?” chiese Girolamo, avvicinandosi a Caterina con fare insinuante e con occhio indagatore.
 Caterina si chiese da quanto tempo Girolamo si fosse accorto della sua assenza. In fine dei conti aveva lasciato Imola per un giorno, più o meno.
 “A caccia.” mentì Caterina, cercando di risolvere in fretta la discussione, in modo da poter raggiungere la propria stanza.
 “Non mentire.” disse Girolamo, con un filo di voce carico di rabbia.
 “Lasciami passare, sono stanca e...” Caterina si bloccò, prima di dire 'devo vedere un medico'.
 Girolamo le bloccò il passaggio allargando le braccia. L'avrebbe fatta confessare, le avrebbe fatto ammettere tutto.
 “Dov'eri? Sei andata a tradirmi con quella specie di stalliere che ho visto arrivare qui con te?!” sbraitò Girolamo, tremando di collera: “Scommetto che con lui non fai tutte le storie che fai con me, vero?!”
 Caterina lo fissò sconcertata. Come poteva dire cose del genere?
 Avrebbe tanto voluto dirgli la verità, cioè che era andata a Forlì perchè Zaccheo, lo stesso Zaccheo che lui tanto apprezzava, si era venduto ai loro nemici. Avrebbe voluto spiegargli che l'uomo che lui aveva chiamato 'stalliere' era stato tanto coraggioso e fedele da riferire quello che aveva scoperto e da aiutarla a riprendersi la rocca di Ravaldino.
 Però non gli disse nulla, perchè temeva troppo che una simile notizia lo avrebbe fatto crollare in modo definitivo. Tutte le sue fisime sui complotti e le congiure avrebbero avuto una riprova reale e allora chi più gli avrebbe fatto capire che esagerava nei suoi deliri di persecuzione?
 Caterina valutò anche l'ipotesi di prenderlo in giro, ammettendo di averlo tradito, ma la luce folle che filtrava dagli occhi di suo marito la fece desistere. In quello stato avrebbe anche potuto colpirla, mettendo a rischio anche la salute del bambino.
 “Non sei lucido.” disse soltando, scuotendo il capo: “Ti faccio portare una pozione per i nervi.” e così dicendo chiamò una delle serve e la pregò di dire a uno dei medici che stava a palazzo in quei giorni di preparare un tonico per Girolamo.
 “E fate venire il nostro medico nelle mie stanze, ho bisogno di essere visitata.” concluse.
 La serva chinò la testa e andò subito a cercare i due dottori per riferire gli ordini della Contessa.
 “A che ti serve un medico?” chiese Girolamo, con un'agitazione diversa.
 “Lasciami passare.” fece Caterina, scansandolo.
 Girolamo la guardò sfilare accanto a sé e solo in quel momento notò il ventre prominente e il viso grigio e stanco. Da quanto tempo era incinta? Perchè non se n'era accorto?
 Quando restò solo, si prese la testa tra le mani. Il passato, il presente e il futuro si stavano mescolando nella sua mente senza lasciargli il modo di ragionare lucidamente.
 “Conte Riario...” sussurrò il luminare che sua moglie aveva fatto arrivare per lui direttamente da Bologna: “Bevete questo, vi sentirete meglio...”
 Girolamo non fece domande né oppose resistenza. Prese il calice e sorbì il contenuto tutto d'un fiato.
 “Ora venite, meglio che restiate a riposo fino a che la medicina non avrà fatto effetto.” lo convinse il medico, prendendolo con delicatezza per un braccio.
 Girolamo si lasciò portare fin nelle sue stanze. Si coricò e cercò di concentrarsi su quel poco che gli pareva certo. Sua moglie era incinta. E sua moglie aveva un amante. No, di quello non era certo. Sua moglie era incinta, quello sì che era certo.
 Sarebbe diventato di nuovo padre. Un altro figlio.
 Girolamo sospirò e sorrise tenuamente, mentre la pozione del medico cominciava a rilassargli i nervi, facendolo sprofondare in un sonno sordo e senza incubi.

   
 
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