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Autore: Hagumi    25/03/2009    2 recensioni
Tutta dedicata alle mosche bianche, a cui raccomando di leggerla solo con una buona dose di insulina a portata di mano: questo é miele allo stato puro, può provocare diabete, maneggiare con cautela! ;)
[Dal quarto capitolo] Cenammo chiacchierando amabilmente. No anzi, rettifico: tu parlavi di tutto ciò che ti passava per la testa, e io rispondevo quel tanto che bastava a farti sentire soddisfatta, o comunque nelle poche pause che mi concedevi per dire qualcosa, mentre riprendevi fiato o buttavi giù un boccone di questo o quell’altro.
Eri radiosa, e potevo intuirlo da quanta voglia avessi di chiacchierare e raccontare tutto ciò che ti passava per la testa, anche le più assurde frivolezze. Sei sempre stata così, fin da bambina, quando eri felice non davi un attimo di tregua al tuo interlocutore. E a me andava bene così. Non sono mai stato uno dalle molte parole, però ero un ottimo ascoltatore e sentirti dire tutte quelle cose, mentre ti aprivi e mi raccontavi tutti i tuoi più intimi segreti e desideri, mi lasciava estremamente soddisfatto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Shikamaru/Ino
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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First date

Quella sera passai a prenderti in modo ufficiale, tirato a lucido con un completo elegante (mia madre mi aveva obbligato ad indossarlo minacciandomi di morte), chiedendo il permesso a tuo padre di portarti fuori. Lui accettò di buon grado, diceva che ero un bravo ragazzo e che era contento che quella stupida di sua figlia si fosse finalmente tolta di testa quel ragazzo problematico. Ovviamente si riferiva a Sasuke Uchiha.

Mi fecero accomodare in salotto, mentre tu eri ancora di sopra a prepararti. Una tipica donna con la tipica mania di far aspettare gli uomini, insomma, e questo mi rendeva ancora più pazzo di te, quando in realtà avrebbe dovuto farmi imbestialire. Non ero tanto normale di testa neanche io, effettivamente.

“Shikamaru!” la tua voce squillante mi fece sobbalzare e mi alzai dal divano così velocemente da provocare un moto di risatine nei tuoi genitori, con cui stavo chiacchierando fino ad un attimo prima.

Mi voltai verso l’entrata della sala e rimasi sbigottito: eri bellissima.

I capelli lunghi e biondi erano lasciati sciolti, a ricadere sulle spalle e sulla schiena come una lunga onda dorata e luminescente. Indossavi un semplice vestitino color lavanda, un tubino che risaltava le tue forme, ma non in modo volgare. Un filo di trucco sul volto e delle scarpe con quel po’ di tacco che rendeva le tue gambe, già bellissime, ancora più slanciate. Eri meravigliosa, ricordo che per la prima volta in vita mia mi resi conto che qualcosa, da qualche parte nel mio cervello, si era spento. Riuscivo solo a guardarti, ammirarti e rendermi conto che fossi troppo bella per uno come me, e che ero il ragazzo più fortunato della terra.

“Ah. Stai bene.” Ostentavo il mio solito tono, o per meglio dire la mia solita atonia. Nel mio cuore gridavo che eri bella da morire, ma non ero il tipo da dirtelo spudoratamente in faccia e tu lo sapevi, per questo mi sorridesti solare e mi venisti incontro raggiante. Non ti eri buttata giù, mi conoscevi bene e lo sguardo famelico con cui ti avevo guardata ti aveva fatto intuire con semplicità quanto ti desideravo.

“Lo so” rispondesti semplicemente, senza un velo di umiltà. Io non potei fare altro che pensare che una bella come te, poteva permettersi tranquillamente di non essere modesta, non ce ne sarebbe stato motivo. “Allora noi andiamo, papà!” aggiungesti guardando il tuo vecchio.

Terminati i convenevoli e prestabilita con il signor Yamanaka l’ora in cui ti avrei tassativamente dovuto riportare a casa, ci dirigemmo al ristorante in cui avevo prenotato il tavolo migliore, quello vicino alla terrazza che affacciava sull’intero villaggio e che di notte veniva illuminata da una bella luna, in quel periodo

Avevo scelto il giorno con cura, perché doveva esserci la luna piena. Ti piaceva da morire, e fartela vedere da lì era il meglio. E io volevo darti solo il meglio.

Cenammo chiacchierando amabilmente. No, anzi, rettifico. Tu parlavi di tutto ciò che ti passava per la testa, e io rispondevo quel tanto che bastava a farti sentire soddisfatta, o comunque nelle poche pause che mi concedevi per dire qualcosa, mentre riprendevi fiato o buttavi giù un boccone di questo o quell’altro.

Eri radiosa, e potevo intuirlo da quanta voglia avessi di chiacchierarmi e raccontare tutto ciò che ti passava per la testa, anche le più assurde frivolezze. Sei sempre stata così, fin da bambina. Quando eri felice, non davi un attimo di tregua al tuo interlocutore. E a me andava bene così. Non sono mai stato uno dalle molte parole, però ero un ottimo ascoltatore e sentirti dire tutte quelle cose, mentre ti aprivi e mi raccontavi tutti i tuoi più intimi segreti e desideri, mi lasciava estremamente soddisfatto.

Però eri un genio anche nel cambiare idea facilmente, da un secondo all’altro. Dopo l’ultimo boccone di dolce, bevesti con avidità un bicchiere di vino, cosa che mi lasciò oltremodo perplesso perché tu non eri una bevitrice, quindi riappoggiasti il calice sul tavolo con un tonfo sonoro e mi guardasti duramente.

“Non mi hai fatto neanche un complimento quando mi hai vista, e non hai parlato per tutta la serata. Posso sapere di grazia che cos’hai?”

Ti guardai stupito, ed indeciso se scoppiare in una grossa risata o piangere di disperazione. Cos’era quel mutamento improvviso? Eri stata tu a non darmi un istante per parlare.

“Ma sei impazzita, Ino?” ti chiesi aggrottando la fronte, stupefatto.

“Lo so che ti annoia stare con me…” incrociasti le braccia al petto, guardando altrove tenendomi il broncio, come una bambina offesa. Eri adorabile, ma non te lo dissi, o mi avresti anche potuto dare un pugno.

“Che dici?”

“Beh, giustamente ti annoia tutto, dovevo aspettarmi quest’indifferenza anche la sera del nosro primo appuntamento, no? Insomma, ci doveva essere un motivo per il quale, anche se mi hai baciata la prima volta due mesi fa, ti sei deciso ad invitarmi ad uscire solo ora. Io ti annoio! Ah!”

Non sapevo davvero che rispondere, più che altro perché ti conoscevo bene e sapevo che qualunque cosa avessi detto, l’avresti rivoltata contro di me.

Rimasi in silenzio, bevendo anche io una sorsata di acqua dal mio bicchiere, per poi pulirmi le labbra ed alzarmi, arretrando la sedia facendola grattare appena sul pavimenti. Aggirai il tavolo e venni verso di te, porgendoti la mia mano. Se non potevo dimostrarti quando ero felice di stare con te con le parole, l’avrei fatto con i gesti, dopotutto quel tuo cambiamento repentino di umore riusciva solo ad intenerirmi, come sempre.

Mi guardasti diffidente, prima di fare un sospiro ed afferrare la mia mano. Ti condussi fuori dalla grande sala del ristorante e andammo sul terrazzo. Ci avvicinammo al bianco ed ampio corrimano in pietra bianca, al quale tu appoggiasti le mani. Guardavi dritto davanti a te il panorama che sapevo ti avrebbe colpito, ti conoscevo troppo bene in fondo.

Ero in piedi al tuo fianco, il volto girato verso di te e vidi chiaramente le sottili e perfette sopracciglia bionde incurvarsi appena per donarti un’espressione di stupore.

“Sembra… non so… di stare in una favola…” ridacchiasti appena, voltandoti anche tu verso di me e guardandomi. Ero alto, ti sovrastavo di parecchi centimetri e tu dovesti gettare un po’ la testa all’indietro per scrutarmi con i tuoi grandi occhi azzurri nei miei. Assumesti un’espressione un po’ colpevole, come quella di un piccolo cucciolo che ha appena fatto pipì sul parquet di casa e sta ricevendo una bella sgridata. Ma io non volevo di certo sgridarti, solo perché eri fatta in quel modo. Un modo estremamente incantevole, per me.

“Sei una seccatura” dissi sorridendoti appena, e anche tu ricambiasti il sorriso.

“Lo so.” anche stavolta ammettesti di conoscere già la mia affermazione, anche stavolta con una nota di presuntuosità. Insomma, per te era un complimento, detto da me.

Alzai una mano e la portai tra i tuoi lunghi capelli, mi piaceva passare le dita tra quei fili sottili e delicati, e soprattutto mi piaceva il profumo che emanavano e che mi arrivava alle narici grazie alla lieve brezza serale. Sapevi di fiori. E tu eri il fiore più bello di tutti gli altri esistenti.

Mi curvai verso di te, tenendoti la mano dietro la nuca per spingere anche te un po’ verso di me, ed unii le mie labbra con le tue. Erano calde, e la tua bocca emanava un vago sapore di vino. Mi piaceva il tuo sapore misto a quello di vino, era agrodolce e mi faceva impazzire.

Ricordo tutti i nostri grandi momenti, i nostri baci, ma quello forse fu il più particolare di tutti, perché non ti ho mai più assaggiata dopo che avessi bevuto del vino. E come avrei potuto? Eri astemia e il bicchiere bevuto poco prima aveva avuto il suo effetto. Aprii gli occhi notando che dopo un po’ non rispondevi più al gesto. Rimasi perplesso quando, staccandomi da te, mi ricadesti addosso.

Ti eri addormentata.

“Mendokuse… Ino, sei una maledetta seccatura…” dissi ancora, ma stavolta ridevo divertito.

Eri proprio la più bella ed imprevedibile seccatura di questo mondo.

 

 

 



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Ringrazio infinitamente chi ha letto e recensito questa storia *_* In particolar modo, se posso permettermi, vorrei ringraziare con tutto il cuore Sakurina, che ha lasciato dei commenti così entusiassti da rendermi estremamente felice. Grazie mille, sono i più bei commenti che le mie storie abbiano mai ricevuto =] Non merito tanto.
  
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