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Autore: herflowers    25/02/2016    0 recensioni
"La situazione era diventata ridicola, Matthew lo sapeva e voleva solo che non dovessero più nascondere tutto sotto un tappeto sporco [...], e poter essere loro stessi senza più mascherare i loro sguardi, senza dover stare attenti a tutto quello che si dicevano; desiderava solo che Harry ricambiasse il suo stesso sentimento [...], e che lo amasse tanto quanto lo amava lui in quel preciso istante."
SLASH|| HARRY STYLES/MATT HEALY (THE 1975)|| OCC
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Tell me how to feel.
 
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Harry.
 
Una cosa che Harry sapeva perfettamente era che se una giornata cominciava male, di conseguenza finiva male. Dopo la caffetteria tornò a casa in compagnia di Jocelyn, che decise di saltare un paio di lezioni e tornare in facoltà in tempo per l’ultima ora di laboratorio di fotografia. Per strada si fermarono a prendere qualcosa da mangiare per pranzo, poi tirarono dritto per la loro strada fino alla palazzina dove abitava Harry che, arrivando al suo pianerottolo, notò una busta bianca infilata sotto la porta. Era curioso, non si aspettava una lettera da nessuno, e di conseguenza non aspettò per aprirla e leggerne il contenuto. Era in quel preciso momento, leggendo le parole dell’affittuario, che la curiosità di Harry passò a incredulità e poi in disperazione. Quel foglietto, strappato da un’agenda in maniera frettolosa, diceva che, anche se con dispiacere, avrebbe dovuto aumentare la quota mensile dell’affitto. Non si parlava di una cifra esagerata, certo, e avrebbe potuto fare qualche ora in più al lavoro, ma ci sarebbero stati degli scompensi per quanto riguardava l’università. Non poteva rischiare di perdere la borsa di studio, non doveva. Sognava da tutta una vita di potersi laureare in ingegneria, e il pensare di poter perdere tutto per un piccolo problema… no, era fuori discussione.
Harry lavorava in una caffetteria facendo turni pomeridiani e serali, quando capitava qualche serata dedita alla musica dal vivo, letture di poesie o serate cabaret. Ce l’avrebbe fatta, dopotutto tirava avanti così da due anni ormai, e si trovava bene nel suo continuo ripetersi delle stesse azioni. Aveva programmato e provveduto a tutto, ma non avrebbe mai pensato che un giorno le spese sarebbero aumentate, e ciò stava a dire che avrebbe dovuto trovare una soluzione al più presto, o ci avrebbe rimesso, in qualche modo.
“Potresti cercarti un secondo lavoretto, magari come tutor”, gli aveva suggerito l’amica, seduta sul divano intenta a sfogliare una rivista.
“E dove lo trovo il tempo? Le lezioni devo frequentarle, poi ho il lavoro che mi occupa la maggior parte della giornata. Potrei prendere in considerazione questa idea, comunque.” Harry sospirò e si appoggiò al piccolo tavolo in cucina, portando la testa sui palmi delle mani. Si stropicciò gli occhi con forza, cercando di far funzionare il cervello per poter trovare una soluzione. Quella che gli aveva appena proposto l’amica non era affatto male, nemmeno troppo impegnativa a dire il vero, ma non aveva il tempo necessario.
“Magari potresti fare un’ora di ripetizione dopo le lezioni, lasciandoti il tempo di riposare la mente e di mangiare un boccone. Potrebbe andare, secondo me. Se vuoi posso darti una mano, potremmo dare ripetizioni entrambi a due gruppetti di tre, o quattro persone alla volta, e la mia parte la darei a te. Che ne dici?”
“Non ho la minima intenzione di chiederti soldi, Joss.”, sbuffò Harry, alzandosi e avvicinandosi al frigo.
“Non me li chiederesti, te li darei di mia spontanea volontà, Harry, e sai che non si tratta di questo, comunque.”, rispose secca, Jocelyn. Si alzò e appoggiò la rivista dove era seduta poco prima, avvicinandosi all’entrata del cucinotto. “Oppure puoi sempre accettarli e far finta che sia tu a dare ripetizioni al secondo gruppo, o un regalo da parte di un ammiratore segreto. Avanti, Harry!”, sorrise lei, cercando di smorzare l’aria pesante e agitata che li circondava.
“No. Joss, assolutamente no.” Harry fece il giro del tavolo e uscì dalla cucina con una bottiglietta di acqua fredda tra le mani, della quale svitò il tappo velocemente per berne un lungo sorso. In vent’anni di vita non aveva mai chiesto soldi a nessuno e di certo non avrebbe cominciato in quel momento, c’era una soluzione a tutto e l’avrebbe trovata. Jocelyn sbuffò seguendo l’amico e sedendosi nuovamente sul divano verde pisello che vedeva come un brutale pugno nell’occhio e cominciò a fissare i piedi di Harry portarlo avanti e indietro lungo il perimetro della stanza.
“Okay, senti”, disse, fermandosi e guardando l’amica, la mano sotto il mento e l’altro braccio stretto al petto. “Potrei tranquillamente ricavare un’ora dopo le lezioni, come hai detto tu; fare ripetizione a un gruppetto di cinque persone, magari dello stesso anno sarebbe la cosa migliore, tornare a casa, riposarmi e prepararmi per il turno alla caffetteria. Dormirò di più la notte, comunque. Credo potrebbe andare.” Riprese a camminare avanti e indietro esaminando per bene la possibilità di cambiare le sue abitudini. “Poi non sempre ho la mattinata piena fino l’ora di pranzo. Sì, posso farcela.”
“Perfetto, allora. Se credi di poter reggere, è tutto risolto; non ci rimane che preparare qualche foglio da appendere alle bacheche e spargere la voce. E, Harry… il mio aiuto è sempre valido. Guadagneresti di più, pensaci.”
“Posso farcela da solo, grazie lo stesso, Joss.” Le sorrise, un sorriso nervoso, ma avrebbe visto tutto più fattibile e semplice già dal giorno dopo. Si rilassò appena, raggiunse Jocelyn sul divano e l’abbracciò. Non si erano mai scambiati tanti gesti affettuosi, ma in quel momento Harry sentiva che Jocelyn voleva cercare di farlo sentire meglio, e ci riusciva. Harry sospirò e rilassò i muscoli, ancora tra le braccia piccole di Jocelyn. Quando si raddrizzarono, Jocelyn chiese, poggiando una mano sullo stomaco:
“Allora, cosa mangiamo, Styles?”
 
 
Era passata una settimana da quando aveva iniziato a pensare a dare ripetizioni e tre giorni da quando aveva cominciato a tutti gli effetti. Jocelyn lo aveva aiutato coi volantini e presto aveva ricevuto diverse chiamate da studenti del primo anno, alcuni del secondo che frequentavano i suoi stessi corsi; avevano organizzato buona parte del programma, si ritrovavano tutti in biblioteca ed era lì che Harry prendeva le vesti di un ipotetico docente, gli occhiali dalla montatura rettangolare sul naso e una matita tra le dita. Il primo ripasso fu discreto, la timidezza e l’insicurezza gli pesavano sulle spalle, ma la seconda volta andò meglio. Alcune facce erano conosciute ed Harry si sentì molto più sicuro di sé; il programma era stato ben definito la volta prima, gli schemi fotocopiati e le parole seguivano un filo logico ben costruito. Se tutto fosse continuato in quel modo molto probabilmente ce l’avrebbe fatta senza problemi, ma il carico di studio aumentava e i turni cominciavano a cambiare per coprire dei buchi qua e là.
 
Arrivato davanti la caffetteria sfilò le mani fredde dalle tasche del giubbino di jeans ed entrò, spingendo con forza la porta in vetro.
Poco prima di uscire di casa, dove aveva lasciato l’amica, aveva dato un’occhiata al notiziario dove dissero che sarebbe arrivata la pioggia: il sole stava calando, il vento soffiava e le nuvole si spostavano in massa sopra la cittadina. Nonostante sapesse del cattivo tempo, Harry era uscito di casa rimboccando la bretella dello zaino nero sulla spalla sinistra e aveva salutato Jocelyn, lasciando l’ombrello chiuso nell’armadio e indossando un giubbino leggero, indifferente.
Andò ad appendere il giubbino all’appendi panni che usavano solitamente, messo in un angolo della zona riservata al personale, e lo zaino sul pavimento. Prese il suo grembiule e lo allacciò in vita, stringendolo troppo come sempre e abbassandolo un po’ sui fianchi; si legò i capelli castani velocemente e prese posto dietro al bancone dove cominciò ad asciugare i bicchieri bagnati, ancora nel carrellino della lavastoviglie. Quella sera ci sarebbe stata musica live: avrebbe suonato una band del posto, anche se non molto conosciuta, di cui ricordava vagamente alcune canzoni.
Ci sarebbe stato un livello di clientela medio – alto, serate come quella piacevano parecchio, cioè molto lavoro e tante consumazioni, e tutto ciò voleva dire più mance.
Appoggiando il bicchiere asciutto sul bancone, alzò lo sguardo ed incontrò quello del collega, Adrian, al quale accennò un saluto. Adrian sorrise, ricambiando nello stesso modo; era un ragazzo simpatico, Harry si trovava bene quando era in sua compagnia anche se non conosceva poi tanto di lui: sapeva che veniva dal sud, che aveva sperato di poter trovare di meglio, trasferendosi lì, ma era arrivato a fare i doppi turni in quella caffetteria, e conosceva la sua età.
Tornò al suo lavoro concentrandosi sul vetro che teneva tra le mani, pensando a quando avrebbe avuto il gruppo di studio e se sarebbe riuscito a ricavare qualche minuto per dare una letta veloce agli appunti che aveva nello zaino. Sospirò, spostando il peso del colpo dalla gamba sinistra all’altra, e tornò ad alzare lo sguardo. Adrian lo stava raggiungendo con un piccolo block notes tra indice e medio, lo sguardo impegnato a leggere qualcosa sul cellulare. Non appena gli fu davanti, Harry sentì il profumo del ragazzo arrivargli addosso, impregnargli le narici e sconvolgergli i sensi: sapeva di sapone, quello buono e fresco, e di nicotina. Sapeva che nella tasca interna del suo giubbotto aveva il necessario per farsi le sigarette da solo, lo aveva visto, e durante i turni metteva il tabacco e qualche cartina nella tasca del grembiule che aveva allacciato in vita.
“In questo modo ne faccio una ogni tanto. Spesso non ho molta voglia di farle, con le mani fredde non ci riesco nemmeno, quindi fumo meno e risparmio.” Glielo aveva detto una sera, uscendo dalla caffetteria, mentre si accendeva la sigaretta di fine turno cominciando ad aspettare l’autobus che lo avrebbe portato a casa.
 
Se lo trovò davanti in pochi secondi, ancora col sorriso sulle labbra mentre lo guardava e parlava.
“Le persone cominciano già ad arrivare.” Infilò il cellulare nella tasca del grembiule velocemente e si appoggiò al bancone, Harry appoggiò l’ennesimo bicchiere e cominciò a guardarlo, pensando a cosa rispondere.
“I più furbi si prendono i tavoli migliori,” lasciò lo strofinaccio arancione davanti a sé. “farei così anche io, ma sono un dipendente e nonostante tutto ho la postazione migliore di tutte”, fece un cenno con il capo verso il palco per poi allargare le braccia come ad indicare il bar alle sue spalle. Adrian sorrise, annuendo, ed incrociò le braccia al petto, spostando il peso del corpo sulla gamba destra.
“Con l'università va tutto bene?
 Da quando lavorava lì, Harry non si era mai sentito fare una domanda del genere, tutti tendevano a rispondere alle domande quando gli venivano poste e a ricambiare se si sentivano in dovere di farlo - in realtà senza il minimo interesse. Rimase fermo a guardare le sue mani appoggiate sul ripiano da lavoro per qualche secondo prima di alzare lo sguardo e sorridere, grato e sorpreso:
Tutto bene, grazie. Dopotutto la situazione non era critica, le cose andavano bene e procedevano regolarmente senza problemi. Sospirò prendendo un altro bicchiere, cominciando ad asciugarlo. Avrebbe ricambiato di rimando, ma non sapeva cosa chiedere, non conosceva nulla di quel ragazzo, però si buttò ugualmente, lo sguardo basso sul bancone. "Tu, invece?
Il ragazzo sospirò accennando un sorriso tirato, appoggiandosi al bancone con ancora le braccia incrociate, evitando lo sguardo di Harry. Era evidente come cercasse qualcosa da dire, qualcosa con il quale avrebbe evitato di addossare i propri problemi alle persone che lo circondavano, non gli piaceva piangere sulle spalle degli altri.
E' tutto a posto, solo ci sono giorni no, ma niente che non si possa risolvere sorrise brevemente, lo sguardo che lasciava intravedere del dispiacere e quello che sembrava un monologo interiore con il quale Adrian si diede dell'idiota per aver detto una cosa come quella. Si sentiva stupido, chi mai si sarebbe espresso in quella maniera? Uno debole, in cerca di pietà, ecco chi. Harry, accorgendosi della sua espressione, si voltò e prese due bicchierini dal ripiano dei bicchieri, allungando il braccio sinistro verso le mensole alle sue spalle, prendendone una bottiglia. Poggiò i bicchierini davanti alle braccia di Adrian e tolse il tappo alla bottiglia di vodka.
Tempo al tempo, intanto carichiamoci come si deve per il turno. Versò la stessa quantità ad entrambi, appoggiò la bottiglia per prendere il suo bicchierino e lo alzò dicendo un semplice "Cin", guardando il ragazzo negli occhi. Entrambi portarono il bicchierino alle labbra bevendo lo shottino, poggiandolo successivamente sul legno del bancone con un po’ troppa forza.
Adrian rise e si passò il dorso della mano sulle labbra, rosse e carnose.

Grazie, ne avevo bisogno, disse Adrian, tastando la tasca del grembiule in cerca del block notes. Vado a prendere gli ordini ai tavoli, ci vediamo dopo.
   
 
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