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Autore: herflowers    02/02/2016    1 recensioni
"La situazione era diventata ridicola, Matthew lo sapeva e voleva solo che non dovessero più nascondere tutto sotto un tappeto sporco [...], e poter essere loro stessi senza più mascherare i loro sguardi, senza dover stare attenti a tutto quello che si dicevano; desiderava solo che Harry ricambiasse il suo stesso sentimento [...], e che lo amasse tanto quanto lo amava lui in quel preciso istante."
SLASH|| HARRY STYLES/MATT HEALY (THE 1975)|| OCC
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Tell me how to feel.
 
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11 ottobre 2014.
 
Un forte odore di fondo di caffè, misto a quello zuccherino di brioche e dolci, impregnava le pareti di tutto il corridoio al piano terra che conduceva alla caffetteria interna dell’università; quello a cui Harry pensava in quel momento era infatti il caffè nero che avrebbe preso, come quasi tutte le mattine.
 
La giornata sarebbe iniziata meglio se non si fosse dimenticato di puntare la sveglia la sera prima, svegliandosi così in ritardo e perdendo le prime due lezioni: si era passato nervosamente una mano tra i capelli nell’alzarsi dal letto, maledicendo quell’aggeggio ormai vecchio nonostante fosse consapevole che la colpa fosse la sua, ma così avrebbe alleviato il senso di fastidio che provava da quando aveva messo gli occhi sull’ora segnata in rosso sul piccolo display.
Sbuffò e, tenendo stretti tra le dita un libro e l’agenda sulla quale prendeva appunti, cominciò ad uscire dall’appartamento raggiungendo le scale per incamminarsi verso la caffetteria a grandi falcate, nonostante la calma che metteva nello spostare un piede davanti all’altro.
Da dove abitava lui, in un condominio non molto lontano dall’università, il tempo che impiegava tutte le mattine per andare a lezione era poco più di un quarto d’ora; preferiva di gran lunga vivere per conto suo, coi suoi spazi e solo la sua roba da sistemare, nonostante l’affitto da pagare ogni mese.
 
A pochi passi dalle vetrate della caffetteria intravide l’amica, Jocelyn, seduta in disparte con gli auricolari nelle orecchie e un giornale davanti, le gambe accavallate come ogni volta. Entrando all’interno del locale, venne avvolto completamente dall’odore dolce e forte, dal calore della macchina del caffè e dal vociare di persone intente a fare una pausa prima dell’inizio della lezione successiva; chi di fretta, chi si prendeva il suo tempo, Harry passò tra le persone in piedi e le sedie occupate per raggiungere l’amica. I lunghi capelli castani erano raccolti frettolosamente con un elastico viola; alcune ciocche le ricadevano sul viso, incorniciandolo e facendolo sembrare delicato, l’opposto di come era la ragazza in realtà.
Si conobbero circa due anni prima allo stesso corso di matematica quando il professore si concesse un minuto per bere un sorso d’acqua dopo quasi due ore di quella che doveva sembrare la spiegazione di un argomento, ma che in realtà divenne un continuo biascicare di parole incomprensibili. Successivamente formò gruppi da cinque studenti, Harry e Jocelyn si ritrovarono nello stesso, fino a crearne uno composto solamente da loro due, vista la compatibilità e la simpatia che c’era tra loro, aiutandosi a vicenda.
 
Mise la sua roba sul tavolino rovinato, sedendosi alla sinistra della ragazza che, vedendolo, appoggiò il giornale e tolse un auricolare. Harry cominciò a guardarla divertito con la curiosità che formicolava sotto pelle e la fatidica domanda che gli ronzava in testa, pregando di essere posta ad alta voce, ma Jocelyn lo precedette:
“Non mi chiederai com’è andata ieri sera e, se avevi l’intenzione di farlo, sappi che non ti risponderò.”
“Non sto pensando a nulla se non a quanto sembri… carina, questa mattina.” Harry sorrise di nuovo, portandosi le dita della mano sinistra alle labbra curvate in un sorriso divertito, troppo per i gusti di Jocelyn, che lo guardò di traverso alzando gli occhi al cielo, spostando poi da una parte del tavolino il giornale.
“E’ stato orribile.” Jocelyn sbuffò, portando una mano sulla guancia, chiusa a pugno, e appoggiandosi al tavolo sistemando l’altro braccio, leggermente piegato, appena sotto il seno; portò lo sguardo in quello dalle iridi verdi e le ciglia lunghe di Harry. “Credimi, non so come possa avermi convinta a fare una cosa del genere, ma prometto che non uscirò mai più con un esaltato della squadra di pallacanestro.”
“Suppongo sia una cosa positiva, dopotutto tu odi la pallacanestro.”
Una donna col grembiule rosso allacciato in vita arrivò interrompendo il discorso, poggiando davanti a loro l’ordine fatto dalla ragazza poco prima che Harry arrivasse in caffetteria. L’odore del caffè amaro che usciva dalle due tazze bianche e una brioche vuota, per Harry, vicino ad una alla marmellata, per Jocelyn, fecero tacere i due, che provarono una sorta di piacere nel sentire il liquido caldo e forte inondare le papille gustative.
Dopo un morso alla sua brioche, Jocelyn esordì:
“Non ci trovo nulla di speciale, e posso risparmiarmi partite noiose. Andiamo, io e Joe non siamo fatti l’uno per l’altra anche per questioni di statura. Se solo volessi baciarlo, ipoteticamente parlando s’intende, mi servirebbe una scaletta di mezzo metro, cosa che dovrei comprare e portarmi dietro costantemente.”
“Amori che finiscono ancora prima di cominciare, che peccato”, rise, Harry. Addentò la sua brioche e bevve un sorso di caffè, tutto guardando Jocelyn con lo sguardo perso nel vuoto, sorridendo.
“A me non dispiace affatto, invece”, sentenziò lei, guardandolo e storcendo il naso. Harry rise portandosi una mano sulla pancia e appoggiandosi alla sedia, coinvolgendo anche l’amica.
 
_____
 
L’angolo del lenzuolo sfiorava il naso di Matthew dandogli quel leggero senso di fastidio, e i capelli, ricci e lunghi, erano una massa spettinata e inguardabile sparsa sulla fronte corrugata. Emetteva qualche lamento, l’amico al suo fianco aveva un braccio buttato fiaccamente sul petto di Matthew e una gamba incrociata alle sue. Matthew non riusciva proprio a dormire se aveva caldo ai piedi e, come in quel momento, si rigirava e lamentava nel sonno come in preda ad un incubo. Aprì gli occhi lentamente, quel poco necessario per notare i colori dell’alba riflessi sul soffitto; spostò gli arti del ragazzo senza tante preoccupazioni, si alzò e barcollò assonnato con le mani tra i capelli verso la porta del bagno. Odiava quel tipo di risveglio. Odiava sentirsi infastidito di prima mattina, di sentirsi frastornato e ancora stanco; avrebbe fatto un bagno e sarebbe tornato nel suo appartamento, dopo aver chiamato un taxi. Nel passargli accanto, prese un pacchetto di sigarette sopra il comodino, accendendosene una. Inspirò, trattenne la boccata di fumo, godendosela, prima di buttare tutto fuori, e aprire l’acqua calda nella vasca. Aveva quella strana abitudine di fumare solo mezza sigaretta per poi “buttare via l’eccesso”, dopo solo cinque boccate bruciare. Avrebbe fatto in tempo, si disse. Si sedette sul coperchio abbassato dl water portandosi il filtro alle labbra secche.
Meno due, si disse.
Aspettando l’acqua calda cominciò a pensare alla serata precedente, inspirando e bruciando altra nicotina:
Aveva bevuto tanta vodka – forse troppa –, l’aveva mischiata al rum e ad un bourbon scadente comprato al mini market a pochi metri dall’appartamento dell’amico. Si erano passati qualche spinello mentre cantavano tutti i coro una vecchia canzone rock, sparsi per il salottino. Ricordava qualche parola, un ricordo confuso, ma cominciò a canticchiarne la melodia pensando “Meno tre”, espirando. Si avvicinò alla vasca e chiuse lo scarico con l’apposito tappo, poco dopo si ritrovò con l’acqua calda che gli ricopriva il corpo nudo, arrivandogli alle scapole: il braccio sinistro era steso lungo la coscia, i polpastrelli che sfioravano il fondo liscio della vasca, e quello destro immerso per metà, indice e medio che reggevano la sigaretta accesa.
Mentre si toglieva i vestiti era arrivato alla quarta boccata di fumo, che trattenne mentre si accingeva a immergere un piede all’interno dell’acqua.
Non capiva come fosse arrivato a fare in quel modo tutte le volte, da cosa fosse nata quell’abitudine, ma stava già pensando “Cinque” quando si portò la sigaretta alla bocca, chiudendo gli occhi e rilassando completamente i muscoli. Forse era nato tutto dal ricordo dei genitori che fumavano, dal pensiero di lui bambino che credeva appunto che ogni tiro bruciato accorciasse di un minuto in più la loro vita, ma non aveva fatto lo stesso ragionamento nei suoi confronti, tanto che cominciò a fumare anche lui.
Gli piaceva fumare, nonostante non ci fosse divertimento, nonostante non ci fosse una qualche soddisfazione o dell’appagamento. Fumando passava il tempo, riempiva momenti vuoti e noiosi; lo faceva per non fermarsi, per trovare una scusa e prendersi un minuto all’aria aperta. Non si chiedeva realmente il perché, fumava e basta, e gli piaceva.
 
“Capisco che sei a corto di soldi e vuoi risparmiare, ma l’acqua calda a casa tua ce l’hai. Non capisco il senso di occupare il mio bagno, Healy.” L’amico dai capelli biondi, che lo aveva abbracciato nel sonno, si avvicinò al lavandino con ancora gli occhi chiusi, strofinando i palmi delle mani sul petto nudo e caldo.
“Mi piace la tua vasca.”
“Questo lo dici ogni volta, amico. Cambia repertorio.” Il ragazzo si bagnò il viso emettendo un grugnito, sospirando profondamente. Matthew espirò e guardò il fumo avvolgere le proprie dita e l’involucro che reggevano, per poi sparire.
Si sentiva terribilmente solo, ecco perché tardava il più possibile il rientro all’appartamento. Adorava abitare per conto suo, solo che c’erano giorni sì e giorni no, e quello era difatti un giorno no. Preferiva sentire l’odore che aveva la casa di qualcun’altro, invece che sempre lo stesso solito odore che apparteneva alle sue mura.
“Ti va di fare colazione in caffetteria?”, chiese Matthew, spostando lo sguardo sull’amico intento a sbadigliare.
“Alza il culo dalla mia vasca e và un po’ a casa. Dormi, stasera devi essere carico, e magari possiamo cenare tutti insieme prima dell’esibizione, ma ora devo uscire per delle commissioni.”
“Nonna Ronnie chiede la presenza del suo Georgie?”, Matthew rise al ricordo del nomignolo che l’anziana usava ogni volta con l’amico, immergendo quel poco la sigaretta, in attesa di sentire quel leggero sfrigolio della cenere contro l’acqua.
“Dieci minuti, non un minuto di più”, lo avvertì, George, uscendo dal bagno e accostando la porta.
“Salutami la dolce nonna Ronnie, Georgie!”, rise, affondando verso il basso.
Sarebbe andato via solo una mezz’ora dopo, come sempre, preparandosi con calma e lasciando l’appartamento vuoto dell’amico in completo silenzio, chiudendosi la porta blindata alle spalle.





 
Ciao a tutti, dopo una bel periodo di nulla totale sono tornata con una storia completamente diversa dal mio genere, ed ecco la mia prima fanfiction slash *partono le stelle filanti*.
Sono la prima a dire che la prima parte non c'entri molto, diciamo che serve da passaggio e il vero pov di Harry ci sarà nel secondo capitolo. Il pov di Matty, invece, lo introduce appena e mette in evidenza piccolezze a cui magari nessuno farebbe caso, ma eccole qui.
Se siete arrivati fino alla fine del capitolo e state òeggendo questo mio piccolo (si fa per dire) commento di fine capitolo, grazie mille per la lettura e spero che il prologo - il quale ho versato lacrime su lacrime - e questo primo capitolo vi siano piaciuti, o almeno che vi abbiano incuriosito quel tanto da dire "ma sì, la continuo anche solo per sapere come procede", e spero di ricevere consigli utili a migliorare la storia. Se trovate qualcosa che non vi convince, non esitate a chiedere! (sempre se qualcuno leggerà questa "cosa" xD)
   
 
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