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Autore: Adeia Di Elferas    27/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Erano passati due giorni da quando Caterina Sforza era tornata a Imola e Vincenzo Codronchi ancora non aveva trovato il modo di agire.
 La prima sera che si era presentato da Zaccheo, aveva preferito prendere tempo.
 In realtà aveva in animo di ucciderlo subito, ma appena si videro Zaccheo gli disse: “Non indovinerai mai che è stato qui ieri notte, poco dopo che te n'eri andato!”
 Condronchi, temendo che l'altro avesse su di lui qualche sospetto, aveva preferito fingersi molto stupito e rinviare l'azione omicida: “Chi?” aveva chiesto.
 “La cagna del Riario.” aveva risposto Zaccheo, con una risata roca.
 “Porco mondo... E che voleva?” finse di incuriosirsi Codronchi, mentre si andavano a sistemare al tavolo da gioco.
 “Che le consegnassi la rocca.” aveva risposto Zaccheo, alzando le spalle.
 “E tu?” aveva allora domandando Codronchi.
 “L'ho mandata a quel paese e me la sono tenuta per me, la rocca. E ho fatto bene, visto che quel diavolo di donna se n'è subito tornata a Imola con la coda tra le gambe.” aveva esultato Zaccheo, cominciando a mettere le pedine al loro posto.
 “Bravo amico mio.” aveva ribattuto Codronchi, fingendo di non capire le implicazioni di un simile gesto.
 Normalmente una notizia simile avrebbe dato adito a mille domande e a dubbi sul futuro sia della rocca sia dello stesso Zaccheo, ma questi era già troppo occupato a bere per dar peso all'apparente mancanza di interesse di Codronchi.
 Quella sera, invece, Vincenzo era deciso a portare a termine il suo compito.
 Si era organizzato come meglio poteva. Aveva visto che c'erano molte guardie e da qualche commento tra i soldati aveva intuito che alcuni erano fedeli a Zaccheo. Dunque, se non voleva che la sua missione si rivelasse un suicidio, doveva avere le spalle coperte e doveva trovare un modo per allontanare subito dalla rocca, una volta morto Zaccheo, tutti quelli che avrebbero voluto vendicarlo.
 Così si era scelto tre uomini, comprati a suon di monete e aveva spiegato loro come introdursi nella rocca senza destare troppi sospetti. Contava, soprattutto, sulla fiducia che Zaccheo aveva nei suoi confronti.
 “Questi miei servitori – disse alle guardie – portano un piccolo banchetto che ho deciso di far preparare per il mio amico. Se avete intenzione di non farli entrare, peggio per voi, ve la vedrete col castellano.”
 I due soldati, un po' contraddetti, alla fine cedettero e lasciarono entrare Codronchi e i suoi tre uomini, che portavano a braccia due pentoloni e quattro ceste piene di roba da mangiare.
 Zaccheo parve entusiasta dell'iniziativa dell'amico e mangiò tutto con gusto.
 Dopo il banchetto, i due si misero a giocare a scacchi e a un certo punto Codronchi disse: “Com'è avere in mano questa rocca?”
 Zaccheo vuotò il suo calice di vino: “Una meraviglia.”
 “Molto bene.” sussurrò Codronchi, mentre l'altro era intento a sistemare le pedine sulla scacchiera.
 Zaccheo non sentì quasi il commento fatto a mezza bocca, tanto era annebbiato dall'alcool e dall'impegno di sistemare i pedoni, ma quando udì il rumore sottile e minaccioso del ferro che usciva dalla fodera, i suoi occhi corsero subito verso l'amico.
 Non ebbe nemmeno il tempo di reagire, che la lama estratta da Codronchi era già conficcata nel mezzo del suo petto.
 Avvertì per un secondo un rivolo caldo uscirgli di bocca, e poi crollò in terra, morto.
 “Traditore!” urlò Codronchi, a pieni polmoni: “Traditore!”
 A quell'urlo, che era il segno pattuito, i suoi tre uomini estrassero le armi che portavano sotto le vesti e uccisero tutti quelli che cercavano di raggiungere le stanze di Zaccheo.
 Codronchi, intanto, stava ripulendo la lama del suo spadino contro il bordo della tunica. Il corpo di Zaccheo era ai suoi piedi e una chiazza di sangue si stava allargando sul pavimento.
 “Ora vedremo se è davvero così bello come dici, tenere per sé una rocca.” sghignazzò Codronchi, dando un calcio al cadavere.

 “Ma che cosa è successo?” chiese Bernardi, uscendo di corsa dalla sua bottega.
 C'era confusione in città. Qualcuno andava dicendo che Melchiorre Zaccheo, il castellano di Ravaldino, era stato ucciso e che Vincenzo Codronchi ne aveva preso il posto, trincerandosi nella rocca e rifiutandosi di far entrare chicchessia, finanche il Governatore Checco Orsi.
 “Dicono che abbia preso la rocca per consegnarla agli Ordelaffi!” esclamò uno dei passanti.
 “Ha ucciso lo Zaccheo perchè voleva tradire i Riario!” vociò un altro.
 “Ma ora Orsi sta chiedendo che la rocca gli venga consegnata per poi ridarla a Riario, ma quello che ha ucciso Zaccheo si è chiuso dentro!” aggiunse un altro.
 “Ha anche abbassato la bandiera dei Conti e ha tirato su il ponte!” riferì un altro ancora.
 Bernardi si passò una mano tra i capelli, già preoccupato per quello che sarebbe accaduto di lì a poco, a meno che la Contessa non fosse accorsa in città per porre rimedio alla questione.
 Fermò un ragazzo che passava, ricordandosi delle parole di Tommaso Feo, e gli disse, con solerzia: “Vai a cercare Giacomo Feo, il fratello di Tommaso, sai chi è?”
 Il ragazzino annuì, un po' restio.
 Il Novacula si cercò in saccoccia qualche spicciolo e lo mise in mano al giovane: “Vai subito e digli che la Contessa va informata subito!”
 Il ragazzino corse subito via e al Novacula non restò con sperare con tutto se stesso che riuscisse a trovare in fretta Giacomo Feo e che lui riuscisse a sua volta a mettersi in contatto con il fratello Tommaso.

 'Lo sposo appare gentile e di aspetto gradevole e fin da subito Chiara lo ha avvicinato con allegria. Credo che le basi di un buon matrimonio ci siano, sperando che gli affari della politica non vengano mai a renderli infelici.' scriveva la grafia di Lucrezia.
 Caterina chiuse la lettera, arrivata quella mattina, con molti giorni di ritardo rispetto al matrimonio di Chiara e Fregosino.
 Lucrezia sembrava molto ottimista, anche se non aveva perso occasione, a metà del resoconto, di sottolineare come la condizione di figlio illegittimo avesse fatto di quel Fregosino un uomo ignorante e privo di senso dello stile. Non era stato cresciuto come il figlio di un uomo potente, era stato riscoperto dal padre solo negli ultimi anni e ciò lo rendeva più simile a un paesano, che non a un nobile.
 Lucrezia scriveva anche che Ludovico era apparso contento quanto gli sposi e che aveva dato loro la sua benedizione e tutti i suoi migliori auguri.
 Chissà, forse aveva avuto ragione Chiara a volersi risposare. Però, Caterina non poteva non pensarlo, se mai il suo nuovo marito avesse scoperto di avere per moglie un'assassina, per certo il loro rapporto si sarebbe incrinato.
 “Ancora la storia della bisnonna!” disse Bianca, con insistenza, tirando Caterina per una manica.
 Bianca e Cesare erano con la madre nella sala dei giochi, teoricamente intenti a leggere, ma da qualche minuto entrambi stavano cercando di convincerla a raccontare loro una storia.
 Ottaviano era con il suo istruttore a tirare di spada, mentre Livio e Galeazzo Maria erano con le balie.
 Caterina sistemò la lettera di sua madre sul mobile accanto alla poltroncina su cui si era messa a riposare, sospirò e disse: “Va bene. Volete ancora la storia di quando ha conosciuto il vostro bisnonno, Francesco?”
 “Sì! Sì!” esclamò Cesare, lasciando da parte il libro che stava leggiucchiando.
 “Sì, è la mia preferita!” concordò Bianca, sedendosi in terra di fronte alla madre.
 Caterina si schiarì la voce e prese a narrare: “Dunque, quel giorno la vostra bisnonna, Bianca Maria Visconti...”
 “Mia signora, un messaggio urgente da Forlì!” disse un uomo, entrando nella stanza senza annunciarsi.
 Caterina lo guardò con tanto d'occhi, mentre, con un ritardo di alcuni secondi, uno dei servi arrivò affannato, dicendo: “Un mess... Un messaggio da Fo... da Forlì!”
 L'uomo, vestito da viaggio e tutto sudato, porse una lettera a Caterina, spiegando: “Ve la manda Checco Orsi e si tratta di affari urgentissimi.”
 Caterina si alzò in piedi, con una certa fatica, e prese il messaggio tra le mani.
 Perchè le scriveva Checco Orsi? Se doveva arrivarle un messaggio da Forlì, quello doveva essere da parte di Vincenzo Codronchi.
 Spezzò la ceralacca e lesse in fretta il contenuto.
 'Vincenzo Codronchi ha ucciso il castellano di Ravaldino, Melchiorre Zaccheo, e ora ne rivendiva la proprietà. Chiediamo il pronto intervento del Conte Riario, prima che il Codronchi venda la rocca a nemici delle vostre signorie. In fede, il Governatore Orsi.'
 Caterina restò un momento pietrificata. O Orsi non aveva capito la situazione, o Codronchi l'aveva tradita.
 Accartocciò il messaggio e disse con la staffetta: “Potete andare.”
 “La vostra risposta?” chiese l'uomo, sulle spine.
 “Nessuna risposta.” fece Caterina mentre il respiro le si faceva pesante.
 L'uomo fece un mezzo inchino e uscì, molto perplesso.
 Non aveva speranze, doveva andare subito a Forlì, per la seconda volta nell'arco di pochi giorni e doveva agire subito, senza esitazioni. Avrebbe arginato Codronchi, avrebbe spento la sua ribellione sul nascere.
 “Bambini, devo allontanarmi da Imola per poco tempo, badate voi a vostro padre, mentre sono via, va bene?” disse Caterina, guardando Cesare e Bianca: “E se vostro fratello Ottaviano si mostrerà insofferente, cercate di spiegargli che a volta vostra madre deve occuparsi di affari importanti e deve allontanarsi da casa.”
 I due bambini la fissavano senza parole. Erano svegli, ma obbiettivamente erano ancora troppo piccoli per capire davvero.
 Però Caterina non aveva tempo.
 Raggiunse in fretta le stanze della servitù e ordinò che le venisse preparato un vestito adatto per viaggiare con quel caldo e un cavallo veloce, il più veloce della scuderia.
 Quando ormai stava per uscire dal palazzo, arrivò, di corsa e senza fiato, Tommaso Feo.
 “Mia signora!” disse subito, parandosi davanti a lei: “So per fonte certa che Codronchi...”
 Ma non fece in tempo a finire la frase, perchè Caterina lo anticipò: “Ci ha traditi. Venite con me, sto andando a Forlì a riprendermi una volta per tutte quella maledetta rocca.”

   
 
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