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Autore: Blablia87    27/02/2016    9 recensioni
[Omega!verse]
[Alpha!Sherlock][Omega!John]
Pezzi di una filastrocca come briciole di pane lasciate da un passato pronto a riscuotere la sua vendetta.
Genere: Angst, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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John bussò un paio di volte, in modo leggero, affacciandosi nell’emiciclo subito dopo, mantenendosi con il corpo fuori dalla stanza. Razionalmente – se ne rendeva perfettamente conto - non aveva alcun senso l’essersi annunciato in quel modo, ma gli era sembrato un buon modo per prepararsi mentalmente e fisicamente al trovarsi nuovamente in un piccolo spazio assieme al detective, dopo quanto successo nella caffetteria.
“Ehi.” Esordì, sorridendo in modo impacciato in direzione di Sherlock. “Che ci fai qui?” Domandò poi, aprendo un po’ di più la porta. “Avevo detto che ti avrei chiamato io, ci fossero state novità.”
Il detective, immobile al centro della stanza, chiuse gli occhi per un secondo, prendendo un respiro profondo. Nessuno stimolo olfattivo lo raggiunse, e lo cosa lo tranquillizzò più di quanto immaginasse.
“Mi annoiavo.” Mentì, tornando con lo sguardo sul viso del medico. “Ho pensato che se fossi stato abbastanza fortunato da arrivare in tempo mi avreste fatto assistere all’autopsia.” Aggiunse, facendo qualche passo indietro e andando a sedersi su una delle panche di legno.
“Questo era totalmente fuori discussione, lo sai, vero?” Chiese John, finendo si aprire la porta e facendo qualche passo verso l’interno.
Non sapeva fino a che punto Sherlock si fosse accorto del suo disagio, quella mattina, e la cosa lo agitava. Non voleva dover fornire spiegazioni in merito al suo comportamento, ancor meno considerato che non aveva neanche lui un’idea precisa di cosa lo avesse provocato.
“Sì… Lo so.” Annuì Sherlock, assumendo una posizione rigida e dirigendo lo sguardo oltre il vetro.
“Perché sei qui?” Insistette il medico, andandosi a sedere all’altro capo della panca, mantenendo una certa distanza tra loro. “Veramente, intendo.” Specificò, intrecciando le dita delle mani e appoggiandole sulle gambe, anche lui rivolto verso la vetrata.
“La tua scia si è riattivata, questa mattina.” Buttò fuori Sherlock, cercando di mantenere un tono distaccato. Il suo odore, però, si alzò e iniziò a vibrare, spezzandosi in tante fragranze e sentimenti diversi.
John strinse con più forza le dita tra loro, tanto che i polpastrelli divennero bianchi, mentre il dorso delle mani andava arrossandosi.
“Lo sapevo.” Sibilò, sentendosi avvampare di rabbia e vergogna. “Me lo sentivo che era successo qualcosa. Maledizione!”
Si alzò di scatto, iniziando a muoversi per la stanza in modo circolare, con movimenti scomposti.
Sherlock, sguardo ostinatamente fisso davanti a sé, seguì con la coda dell’occhio il medico, mordendosi il labbro inferiore in un automatismo che lo accompagnava sempre, quando doveva seguire il filo di un pensiero particolarmente complesso.
“Hai assunto Snubber dopo essertene andato?” Chiese, atono.
“Dio, certo che no! Non si può assumere un’altra dose mentre si ha in circolo quella precedente.” Rispose l’altro, con voce roca.
“Quanto manca al Calore?” Continuò Sherlock, come se non lo avesse sentito.
“Che importanza ha? Un mese, ad ogni modo.” John si era fermato, e adesso osservava il detective con aria interrogativa.
“Quindi non hai assunto nuovamente inibitori.” Ripeté Sherlock, quasi distrattamente.
“No. Se lo avessi fatto probabilmente adesso sarei in un altro reparto di questo ospedale, se non sdraiato in uno dei lettini al piano di sotto.” Sottolineò, indicando oltre il vetro.
Sherlock sentì lo stomaco contrarsi a quelle parole, ma cercò di ignorare il suo - del tutto indesiderato - istinto di protezione che continuava a manifestarsi.
“Eppure non hai scia, al momento.”
“Sì, così pare. L’ho chiesto personalmente a Mike, appena arrivato, e ha confermato.”
“Hai chiesto a Stamford se la tua scia era ancora azzerata?!” Sherlock alzò uno sguardo incredulo su di lui.
“Certo che no, non sono matto!” Controbatté John, rimanendo immobile. “Ma avevo bisogno che qualcuno mi confermasse che fosse tutto ok. Non mi sono accorto della scia, alla caffetteria, ma… Beh, sono stato piuttosto male venendo qui. Ho avuto paura che fossero gli inibitori.” Ammise, voltandosi verso l’obitorio. Sentiva la paura premere sui muscoli del suo volto, pronta a deformarne i tratti, e non voleva che Sherlock lo notasse.
I due rimasero in silenzio per qualche secondo, John viso alla vetrata, Sherlock con occhi fissi sulla sua schiena.
“Cosa è successo in quella caffetteria, John?” Domandò quindi il detective, sforzandosi di far uscire le parole nel modo più distaccato possibile.
“Non lo so.” Rispose l’altro, scuotendo la testa. “Io davvero non lo so.” Ripeté, appoggiando una mano contro il vetro freddo.  “Forse gli inibitori si stanno inattivando poco alla volta, ad intervalli irregolari… Io…” Si fermò un attimo, prendendo un respiro profondo e combattendo l’istinto di raccontare a Sherlock dei pensieri che aveva avuto relativi al ragazzo che li aveva serviti. “Ad ogni modo non ha molta importanza. Andrò via da Baker Street oggi stesso.” Disse invece, dopo qualche secondo di silenzio. “Sei venuto per questo, non è vero?” John girò la testa in direzione di Sherlock, che si affrettò a spostare lo sguardo lontano da lui.
“Sono venuto per questo, sì.” Ammise, la voce percorsa appena da un flebile sussulto. John sentì la sua scia velarsi, farsi salata. Tristezza. La parola esplose nella sua testa con la stessa forza di un’esplosione. Sherlock, anzi, l’Alpha (si corresse mentalmente, iniziando a prepararsi al distacco imminente, cercando di ignorare il dolore sordo che iniziava a sentire premere contro i polmoni ed incendiare ogni respiro) era triste di dovergli chiedere di andarsene. Sì, la cosa era andata decisamente oltre i limiti che si erano dati.
“E per assicurarmi che stessi bene.” Aggiunse Sherlock, richiamandolo con la sua voce dai suoi pensieri.
“Non ti dovrebbe importare il mio stato di salute, fisica o mentale che sia.” Disse John, girandosi completamente in sua direzione. “Non ho bisogno di un Alpha che mi controlli.”
Un sorriso amaro increspò un angolo delle labbra di Sherlock.
“Ed io non ho bisogno di perdere tempo prezioso per le indagini per venire a controllarti.” Rispose. “Ciò nonostante-“
“Eccoci qui.” Terminò per lui John, addolcendo leggermente il tono di voce.
“Questo non era previsto…” Aggiunse, appoggiandosi con la schiena alla vetrata alle sue spalle.
“No invece. Era previsto, ed è per questo che abbiamo deciso già dal primo momento cosa fare se fosse accaduto.” Lo corresse il detective.
“Avevo previsto che gli inibitori avrebbero smesso di funzionare, prima o poi.” John chiuse gli occhi per qualche secondo, inspirando profondamente. “Non che…”
“Che?” Lo incalzò Sherlock, tornando con gli occhi su di lui.
“Non che mi sarebbe dispiaciuto dover andar via.” Ammise il medico, lasciando uscire l’aria con lentezza dalla bocca. “Ad ogni modo… È stato… Interessante, finché è durato.” Aggiunse, sorridendo appena. “Devi concedermi qualche ora, per portar via le mie cose.” Terminò, tornando ad assumere un tono di voce sicuro ed una postura rigorosa, militare.
“Certo. Starò lontano da Baker Street tutto il pomeriggio. Promesso.” Sherlock si alzò, passandosi le mani sul cappotto, distrattamente, come a sistemarlo. Fece un passo verso John, e allungò una mano verso di lui.
“Grazie di tutto, dottor Watson. È stato un piacere conoscerla.” Disse, voce seria e scia nuovamente immobile.
“Sono io a dire grazie. Per avermi mostrato che c’è un intero mondo oltre le mie idee su di esso.” John stinse con forza la mano attorno a quella dell’altro. Qualcosa, in mezzo al petto, bruciava e a doleva sempre più forte, ma si impose di ignorarla. Sapeva perfettamente che da quel rapporto, comunque lo si fosse potuto definire, non sarebbe potuto nascere niente di buono per lui. Lasciarlo andare era, oltre che anche la volontà di Sherlock, la cosa migliore, per entrambi.
Il detective ricambiò la stretta per qualche attimo, dirigendosi poi verso la porta, senza voltarsi o aggiungere altro.
Una volta uscito si avviò a passo svelto lungo il corridoio, imponendosi di non fermarsi per nessun motivo. Solo una volta finito di salire le scale lasciò la presa sulla sua scia, tenuta sotto controllo da quando aveva detto addio a John fino a quel momento. Il sentore di sale e agre che si liberò era talmente forte da risultare fastidioso al suo stesso olfatto. Sherlock meditò per qualche secondo di recarsi da Molly, nella farmacia dell’ospedale, ma infine decise di non farlo. Per anni aveva affidato al Soma in compito di sedare, nascondere, cancellare. Ma non voleva niente di simile, in quel momento. Per la prima volta voleva sentire, sentirsi. Studiare con occhio critico e analitico quelle emozioni che non credeva più di possedere, e che un Omega appena conosciuto aveva invece fatto riemergere. Conoscerle, capirle, voleva dire essere in grado di controllarle ed estirparle. Il Soma sarebbe stato solo un palliativo, non una cura efficace.
Alzò quindi il bavero del cappotto e uscì dall’ospedale.
     Dopo circa dieci minuti di camminata, il cellulare vibrò nella tasca del soprabito. Il primo pensiero che - fugace - gli attraversò la mente fu che si trattasse di John, e si vergognò per questo non appena il suo nome prese forma nella sua mente. Doveva pensare a lui come ad un capitolo chiuso. Metabolizzarlo e relegarlo in uno dei posti più lontani della sua memoria, non sperare che lo contattasse.
Estrasse il telefonino dalla tasca con un gesto rapido, sbloccandolo con un movimento fluido.
Sullo schermo era presente un solo messaggio.
 
[From: unknown number][11:39 am]
 
Uno, due e tre,
che bell’Omega hai con te.
Quattro, cinque e sei,
è il Legame che vorrei.
Sette, otto e nove,
sul suo corpo adesso piove.
Dieci, e zero, e dopo mille,
sono vuote le pupille.
Mille, e cento e ancora zero,
resterà soltanto un cero.
 
Sherlock sentì un brivido salirgli lungo la schiena, mentre rileggeva una seconda volta il contenuto del messaggio appena ricevuto.
“Cazzo.” Imprecò a mezza voce.
Con un movimento rapido inoltrò il messaggio a Mycroft.
 
[To: Mycroft][11:41 am]
Rintraccialo. ORA.
 
Scrisse subito dopo, come spiegazione del primo sms.
Cercò poi il numero di John in rubrica e si portò il telefono all'orecchio, sperando di sentire la sua voce rispondere dall'altro capo.

Angolo dell'autrice:
Capitolo breve, ma non mi andava di lasciare la storia ferma troppo a lungo (fino a martedì, forse giovedì), quindi ho deciso di pubblicare quanto era già pronto.

L'ho riletto, ma ammetto che dopo otto ore di corso BLS-D (primo soccorso e defibrillazione) passate a spostare e praticare il massaggio cardiaco ad un manichino alto e pesante il doppio di me potrebbe essermi scappato qualcosa. XD
In compenso adesso potrei praticare la manovra di Heimlich e la respirazione bocca a bocca (e tutte le sue varianti) anche ad un riccio, penso. XD

Ho letto tutti i vostri commenti, e vi ringrazio tanto di averli lasciati! Domani prometto di rispondere a tutte, vecchi e nuovi commenti che siano. ^_^
Come giustamente suggerito da Koa (alla quale anticipo i miei ringraziamenti), evito di analizzare in questo spazio quanto accaduto nel capitolo (in effetti nell'ultima nota avevo avuto la sensazione di aver esagerato, anche prima che lei me lo confermasse nel suo commento XD).

Come sempre grazie a tutte/i per aver letto.
Spero di aggiornare prima di giovedì, ma davvero non posso assicurarlo.

B.
 
   
 
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