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Autore: Adeia Di Elferas    28/02/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Esattamente come avevano fatto pochi giorni addietro, Caterina Sforza e Tommaso Feo corsero lungo la strada alternativa che collegava Imola con Forlì. Evitarono di farsi scoprire dai Manfredi passando in mezzo ai boschi, ma spronarono i loro cavalli con tanta energia da colmare con la velocità i chilometri aggiunti al tragitto.
 Entrarono in Forlì che era pomeriggio inoltrato, quasi sera, ma il sole caldo dell'agosto ancora non mollava la presa.
 La città era in fermento. Il clima era ben diverso rispetto a quando Caterina era arrivata a Forlì di nascosto per indagare sulle intenzioni di Zaccheo. Questa volta, mentre attraversava le stradine assolate, sentiva su di sé mille occhi e vedeva come ogni forlivese fosse in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto.
 Il tradimento di Codronchi era palese e ormai tutti ne erano al corrente. Da come avrebbe saputo gestire la cosa, sarebbe dipeso il futuro della sua famiglia.
 I presenti parlottavano tra loro, ma nessuno l'acclamava né cercava di attirare la sua attenzione. In molti la guardavano con sospetto e alcuni con un che di derisorio.
 'Io vi ho curati dalla peste – pensò Caterina con rancore, guardandoli uno per uno – e voi ora sareste pronti a far di me carne da cannone, se solo qualcuno ve lo chiedesse.'
 Qualche frase detta a mezza bocca arrivò alle orecchie della Contessa e non le fece affatto piacere. C'era chi si spiegava il suo arrivo solo con la morte del Conte Riario, altri, invece, sostenevano che lui, vile com'era, aveva preferito mandare una donna al suo posto. Altri, poi, osavano insinuare che lei fosse d'accordo con gli Ordelaffi e che quella fosse tutta una beffa ai danni del Conte.
 Caterina si portò una mano alla bocca dello stomaco. Sentiva un fortissimo senso di nausea, ma sapeva bene che il figlio che portava in grembo e che, per tutto il viaggio, non se n'era stato fermo un momento, non c'entrava nulla. Quella nausea era dovuta alla tensione, alla paura e all'insicurezza.
 “Come state?” chiese piano Tommaso Feo, avvicinandosi a lei con circospezione.
 I loro cavalli si misero allo stesso passo e Caterina disse solo: “Nulla di cui preoccuparsi. Passiamo davanti alla bottega di Andrea Bernardi, prima di andare alla rocca.”
 Tommaso annuì e insieme svoltarono nella strada in cui si trovava il negozio del barbiere-storico.
 Il Novacula era fuori dalla porta, schierato assieme ad alcuni suoi clienti. Come tutti in città, aveva sentito che la Contessa era arrivata, con un unico uomo come scorta, e che stava andando alla rocca di Ravaldino per chiederne le chiavi al traditore.
 Quando la Contessa passò davanti a Bernardi, finse di non riconoscerlo, ma lui capì che era solo una farsa. Non capiva per quale motivo, ma gli bastò il rapidissimo saluto che la donna gli concesse per capire che gli era grata. Probabilmente per via del messaggio che aveva fatto recapitare a Tommaso Feo...
 Era da tempo, ormai, che non la vedeva. La trovò gravida e grossa alla gola, sofferente, ma non per questo meno bella...
 La folla seguì come un fiume la Contessa e il suo accompagnatore. Non c'erano urla, né recriminazioni. Anzi, c'era fin troppo silenzio e il nodo allo stomaco di Caterina non faceva che peggiorare man mano che la rocca si faceva più vicina.
 Non appena fu davanti al ponte levatoio sollevato, Caterina si guardò attorno. Mezza Forlì era lì a guardare. Si stava giocando tutto, dalla reputazione alla vita.
 Notò che la bandiera della sua famiglia non svettava più oltre le merlature e quello era un segno di tradimento che nemmeno Zaccheo aveva osato mostrare.
 “Codronchi!” chiamò, con tutta la voce che aveva in corpo. Le guardie che stavano sui camminamenti fecero finta di non sentirla e per qualche minuto i suoi richiami caddero nel vuoto.
 “Fatti vedere, brutto figlio d'un cane!” ruggì alla fine, mentre il cavallo cominciava ad agitarsi e faceva dei piccoli cerchi per scaricare la tensione.
 Finalmente Codronchi ebbe il coraggio di mostrarsi in pubblico.
 Il suo volto indolente apparì tra due merlature e i suoi occhi restarono un momento spalancati nel vedere così tanta gente schierata davanti alla rocca. Tuttavia, dalla tranquillità che ostentò, si capì bene che era certo che nessuno avrebbe alzato un dito per dar man forte alla Contessa, in caso di bisogno.
 “Contessa!” gridò di risposta: “A cosa devo l'onore della vostra visita?”
 Caterina si sentiva ribollire. Era la copia esatta della scenetta che aveva sostenuto assieme a Zaccheo pochi giorni addietro. Le uniche differenze erano la luce del sole e l'identità dell'uomo che si prendeva gioco di lei.
 “Sono qui per riprendermi la rocca!” esclamò Caterina, tentando di far star fermo il cavallo.
 “Mi spiace, Contessa, ma ormai la rocca è mia...!” disse Codronchi, allargando platealmente le braccia.
 “Fate subito calare il ponte o giuro sulla mia vita che attraverserò il fossato a nuoto e vi ammazzerò prima di sera!” gridò Caterina.
 Codronchi incrociò le braccia sul metto: “Provateci, se ne siete in grado! Ma state attenta a non bagnarvi le sottane, mentre guadate il fossato...!”
 Al che Caterina, acciecata dalla rabbia, tolse tutti i freni e cominciò a inveire contro Codronchi con una furia che nessuno conosceva.
 I cittadini di Forlì rimasero attoniti nel sentire la Contessa sciorinare uno dopo l'altro i peggiori insulti mai inventati, in tutti gli accenti della penisola. In molti si chiesero dove mai avesse imparato una simile serie di volgarità e di colorite minacce, ma solo alcuni riuscirono a indovinare, imputando tanta erudizione all'infanzia trascorsa tra i variopinti soldati di Milano.
 Quando fu senza fiato, Caterina riprese un momento il controllo di sé e concluse: “Ridatemi subito la rocca!”
 Codronchi, che effettivamente era rimasto abbastanza colpito da tutti quegli improperi, soprattutto perchè detti da una donna così giovane e apparentemente così aggraziata, si riscosse velocemente e rispose con altrettante scurrilità.
 Caterina attese con pazienza che l'uomo desse fondo al suo repertorio, prima di dire altro.
 I forlivesi, intanto, si stavano godendo come non poco quella specie di battaglia verbale che aveva loro insegnato un sacco di nuove parole, benché spesso si trattasse di sinonimi o accrescitivi.
 “Pensate ai miei figli.” tentò Caterina in extremis, con la voce appena più remissiva.
 “Avete ben detto: sono i vostri figli, mica i miei! Dovevate pensarci prima di farli!” ribatté Codronchi, con sarcasmo.
 Caterina non lasciò cadere la questione: “Se voi condannerete me e mio marito, farete altrettanto con cinque, anzi, sei bambini innocenti.”
 Codronchi fece un ghigno e scosse il capo.
 Allora Caterina rincarò la dose: “Credevo foste amico fidato di mio marito!”
 “E allora dovevate mandare vostro marito!” fu l'unica risposta di Codronchi.
 “Sapete bene che è indisposto... Fate questo atto di carità cristiana! Pensate al vostro amico e ai suoi figli!” pregò Caterina, con un tono che quasi convinse pure il popolo.
 Codronchi stava per ribadire il suo diniego, quando Caterina buttò lì: “Concedetemi almeno di poter parlamentare in tranquillità, viso a viso. Vi prego, ricordate quello che ci siamo detti, quello che ci siamo... promessi.” l'ultima parola aveva un'inflessione inconfondibile: l'inflessione della minaccia.
 Codronchi restò un momento in silezio. Davvero quella donna sarebbe stata in grado di ucciderlo, magari con un espediente, come aveva creduto di poter uccidere Zaccheo?
 “E va bene!” cedette l'uomo: “Vi permetto un colloquio, ma non oggi. Ormai è quasi sera. Tornate domani per il pranzo!”
 E con queste parole, Codronchi sparì di nuovo dalla vista dei forlivesi e di Caterina.
 La Contessa deglutì con forza, in parte per ricacciare indietro l'agitazione e in parte perchè le si era seccata la gola, con tutto quel gridare.
 “Meglio andare.” suggerì Tommaso Feo, quando anche gli ultimi curiosi si stavano allontanando.
 Caterina annuì e lasciò che il soldato l'accompagnasse fino al palazzo, dove avrebbe cercato di riposare per qualche ora, mentre decideva come muoversi all'indomani.
 
 Il giorno seguente, verso il mezzogiorno, quasi tutti i forlivesi – Andrea Bernardi compreso – si erano schierati vicino alla rocca di Ravaldino, chiedendosi cosa sarebbe accaduto di preciso.
 Caterina arrivò a piedi, il passo appena rallentato dal pancione, scortata da una quindicina di uomini, di cui solo un paio erano in armatura.
 Si trattava per lo più dei servi che vivevano al suo palazzo e solo alcuni erano soldati. Apparentemente di stava presentando in modo pacifico.
 “Codronchi, sono qui. Fate calare il ponte!” esclamò Caterina, appena fu a portata di voce.
 Subito, senza farsi aspettare come invece aveva fatto il giorno precedente, Codronchi comparve tra le merlature: “Buongiorno a voi, Contessa!”
 Il pubblico che assisteva con il fiato sospeso tornò a fissare la Contessa, mentre questa diceva: “Abbassate il ponte e lasciate che io entri assieme alla mia scorta!”
 “Potrete entrare, certo, ma vi concedo al massimo un servo come scorta! Dimenticatevi di poter portarvi appresso un soldato!” precisò Codronchi.
 Caterina diede una rapida occhiata agli uomini che la circondavano. Avrebbe preferito portarli tutti con sé, ma alla fine indicò il più ben messo dei suoi servi: “Venite voi con me.”
 Tommaso Feo, che le stava accanto, allungò una mano e cercò di fermarla, agguantandola per una manica. Ella si liberò dalla stretta con uno strattone e lo fissò con uno sguardo molto significativo.
 Feo non tentò più di trattenerla.
 “Avete scelto? Bene! Calate il ponte!” fece Codronchi, lasciando il camminamento.
 Caterina ascoltò il cigolio del ponte che scendeva lento e massiccio. Il popolo sembrava ancora in attesa di chissà cosa, ma ella era sicura che si sarebbero persi il vero spettacolo. La grande farsa si sarebbe tenuta nella cittadella, non certo davanti agli occhi di tutti.
 Assieme al suo servo, passò sopra al ponte e quando fu finalmente nella rocca, sentì di nuovo i rumori dei cardini. Ormai erano dentro e sarebbero usciti solo se tutto fosse filato liscio...
 “Questo ragazzo mi sembra fin troppo muscoloso...” notò Codronchi, guardando il servo con attenzione.
 Il giovane, che era di umilissimi origini e parlava solo se interpellato, non osava nemmeno alzare gli occhi verso il castellano. Secondo Caterina tanto sarebbe dovuto bastare per far capire a Codronchi che quel ragazzino non era un minaccia.
 Tuttavia il traditore proseguì: “Non mi ricordo di averlo incontrato a palazzo... Siamo sicuri che sia un servo?”
 “Anche se fosse un soldato, cosa potrebbe fare contro un'intera rocca piena di uomini in armatura e armati fino ai denti?” chiese Caterina, alzando un sopracciglio.
 Codronchi fece un sospiro lungo e pesante, mentre la squadrava, passando dal ventre ingombrante fino al viso dall'espressione dura e decisa.
 “Va bene.” concluse, poi fece segno a due guardie che lo afiancavano: “Perquisiteli entrambi.”
 Caterina non se lo aspettava. Il suo servo era pulito, ne era più che certa, infatti non ebbe nessun timore nel vedere come lo stavano frugando palmo a palmo.
 In quanto a se stessa, invece...
 La guardia prese a passarle le mani sulle braccia, poi attorno al seno, al ventre e ai fianchi, senza nessuna cura.
 Caterina sentiva la rigida lama del suo pugnale premerle contro la gamba e non sapeva come fare per evitare che quell'uomo la trovasse. La guardia stava tastando la sottana, ma era spessa e gli sarebbe stato molto difficile, se non impossibile, accorgersi dell'arma.
 Tuttavia, quando il soldato fu sul punto di alzarle la gonna per controllarle le sottovesti, Caterina gli riservò un'occhiataccia carica di disprezzo. L'uomo si vergognò visibilmente di quella tacita accusa e, mentre le orecchie gli diventavano rosse come il fuoco, lasciò subito il bordo del vestito e disse al suo padrone: “Lei è a posto.”
 Caterina si stava ancora riprendendo dal sollievo improvviso, che Codronchi le disse: “Bene, ora venite con me, andiamo a parlare nelle mie stanze.”
   
 
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