Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: The Writer Of The Stars    29/02/2016    2 recensioni
Nella tua vita da liceale puoi essere solo tre cose:
-Bello e popolare, giocatore di Football o Cheerleader.
-Normale e anonimo. Non sei né carne né pesce.
-Oppure puoi essere uno sfigato, e sai, se fai parte di questa categoria, ti consiglio di armarti di una buona dose di sopportazione e soprattutto mi auguro per te che ti piacciano le granite, perché in questi quattro anni ne riceverai centinaia. In faccia.
Quando per colpa di una serie di fatalità e problemi comuni Petra si ritrova costretta a passare un pomeriggio in aula punizioni insieme ad altri cinque ragazzi come lei, il suo unico pensiero è quello di non arrossire troppo dinanzi agli sguardi e alle occhiate dei suoi compagni. Ma basta una melodia improvvisata sul momento, l’audacia dei timidi e una sintonia perfetta e quasi utopica a far tornare a gridare forte come non mai la voce del vecchio Glee Club ormai inesistente. E loro non lo sanno, ma forse, grazie a quella punizione, potranno per una volta dimostrare di essere qualcuno e diventare, senza nemmeno saperlo, la voce di quelli che una voce non l’hanno mai avuta.
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Long AU! |Rivetra| |Accenni JeanMarco|
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Armin, Arlart, Hanji, Zoe, Mikasa, Ackerman, Petra, Ral
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Volente o nolente, Petra aveva dovuto accettare per forza l’ingresso dei due nuovi membri nel Glee Club. Non che quei due vantassero chissà quali abilità artistiche – Annie, ad esempio, era intonata ma faticava a raggiungere note vagamente più alte, mentre quell’energumeno di Reiner si limitava a strimpellare qualche accordo alla chitarra e non azzardava più di quanto concerne alle sue corde- ma ne avevano sinceramente bisogno e Petra, che era sì arrabbiata, ma più di tutto era altruista, aveva deciso di accettarli nel gruppo per il bene della squadra. La crisi avvenuta quel giorno l’aveva spaventata un poco, ma Levi non si era accorto di nulla e probabilmente aveva pensato stesse semplicemente piangendo per un puro capriccio egoistico. Ad ogni modo, fino a che le reggevano le gambe ed era in grado di cantare e comportarsi con una parvenza di normalità, le cose sarebbero di certo andate bene e, poco ma sicuro, non avrebbe mai rivelato il proprio “problema” agli altri ragazzi. Perché i bulli alla fine poteva sopportarli, le parole ormai non facevano così tanto male; ma la pietà e la compassione, oh, quelle non le avrebbe mai accettate.
 ****
Ad ogni modo, era un anonimo lunedì mattina quando conobbero “Gesù con le lentiggini.” Petra non aveva mai disdegnato la pioggia, anzi, sin da piccola si divertiva a correre in giardino durante un torrenziale temporale e, sorda ai richiami della nonna, allargava le braccia e incatenava gli occhi alle nuvole bigie e al cielo tinto di violetto, assorbendo in sé l’acqua e l’essenza della pioggia. La sua salute cagionevole ne aveva sempre risentito, in verità, ma dopo una decina di giorni passati sotto le coperte, Petra gettava via la pezza bagnata poggiata sulla sua fronte, e via sgattaiolava fuori, ad abbracciare di nuovo la pioggia. Certo, crescendo aveva preso consapevolezza che il rischio di ammalarsi per lei avrebbe potuto non limitarsi ad una semplice influenza, perciò aveva imparato a restarsene buona buona in casa, ad osservare la pioggia cadere oltre il vetro spesso della finestra; ma la passione per quell’odore così acre e il ticchettio regolare che batteva sull’asfalto, non l’avrebbe mai abbandonata. Per questo motivo quella mattina, quando affacciandosi alla finestra aveva intravisto quella pozzanghera di fanghiglia formarsi in giardino, contrariamente alle aspettative di chiunque, era corsa a vestirsi con uno zelo che quasi non le apparteneva e sorridendo era corsa fuori di casa, senza nemmeno un ombrello, dirigendosi verso la scuola quasi serenamente. Ancora rilassata e con un pizzico di gioia, si era lasciata cullare dall’eco della pioggia che rimbombava nei suoi timpani, sino al momento in cui era giunta dinanzi l’aula canto dove era attesa. Spalancando la porta infatti, la melodia naturale e lieve che albeggiava in lei venne brutalmente schiaffata via dalla voce acuta di Hanji e dalle risate smodate dei suoi compagni. Eppure sorrise, anche mentre correva a sedersi nella sedia dinanzi a Levi, perché forse le risate dei suoi amici erano anche più belle dell’ingannevole canto della pioggia. Levi era come sempre impassibile e ritto sulla sua sedia a braccia incrociate osservava gli strumenti impolverati con sporadico interesse. Petra si voltò lentamente, sorridendogli con fare timido in segno di saluto, e lui ovviamente non ricambiò il sorriso, ma quel gesto che le rivolse col capo bastò a scaldarle un altro po’ il cuore. Persino la presenza di Annie e Reiner, seduti a distanza di sicurezza da lei, sembrava non recarle particolarmente danno quella mattina e se ne compiacque interiormente, lieta che la sua felicità non dovesse sempre dipendere dagli altri.

Poi lo vide. Era alto, davvero alto, eppure aveva un fisico ben proporzionato; perseverava nel guardarsi intorno con fare timido, sembrava quasi spaventato, e non la smetteva un minuto di toccarsi la chioma scura nervoso. Oltre a ciò, però, la cosa che l’aveva colpita maggiormente erano state le lentiggini di cui le sue gote erano spruzzate, ne aveva davvero tantissime e quasi provò a contarle, ma dopo un vano tentativo abbandonò l’impresa, preferendo mantenere quella domanda come una meravigliosa incognita, come anche l’altra che si portava dentro, “ma le stelle quante sono?”, oppure quella che l’accompagnava da sedici estenuanti anni, “domattina aprirò gli occhi o sarà la mia ultima notte sulla terra?”

Le faceva tenerezza a dire il vero, perché sembrava davvero terrorizzato, come un animale al circo, la nuova attrazione dello spettacolo, e lo capiva bene, perché per tutta la vita si era sentita così anche lei. Ed Hanji, nel suo ruolo di saltimbanco plateale, richiamò così la loro attenzione, dimodochè tutti potessero ora osservare il nuovo venuto con la stessa curiosità che sino ad allora era stata solo di Petra.

“Miei cari ragazzi, vorrei cortesemente la vostra attenzione!” non era stato difficile catalizzare l’interesse di tutti su di sé, perché Hanji stringeva quel ragazzo con una stretta così amichevole e quasi fraterna che n’erano rimasti sconvolti, il giovane lentigginoso più di loro.

“Dopo l’ingresso del nostro caro Jean” -e qui tutti soffocarono una risatina all’udire lo sbuffo esasperato del giovane chiamato in causa, unito ad un borbottio congenere quello di una vecchia caffettiera- “e dei nostri volontari inaspettati, Reiner e Annie, ho il piacere oggi di annunciarvi un nuovo arrivato nel nostro gruppo!” gesticolare concitatamente era tipico di Hanji, i ragazzi v’erano ormai abituati, eppure il povero giovane intrappolato tra i suoi tentacoli sembrava sempre più sconvolto e la tonalità rosso borgogna che gli aveva acceso il volto era ulteriore prova del suo shock e imbarazzo.

“Lui è Marco Bodt; è arrivato nella nostra scuola la scorsa settimana, e quando gli ho proposto di scegliere il Glee Club tra i corsi extracurriculari obbligatori, è stato più che lieto di accettare!” squittì la professoressa con infantile gioia, mentre lo sguardo dei presenti si faceva invece stranito.

“Professoressa, ma non ci sono corsi extracurriculari obbligator…”

“Stai zitta, Sasha!” l’ammonì guardinga la donna, tornando poi a rivolgere un sorriso a trentadue denti al povero giovane.

“Allora, Marco, ti andrebbe di farci sentire qualcosa? Perché tu sai cantare, giusto?” lo interrogò, stavolta con una vaga preoccupazione. Marco abbassò lo sguardo, grattandosi la nuca con imbarazzo.

“A dire il vero suono la chitarra da diversi anni … a volte canticchio qualcosa, ma non ho idea di come sia messo dal punto di vista vocale.” Confessò nervoso, mentre Hanji tirava le labbra in un sorriso agitato.

“Beh, quale modo migliore per scoprirlo allora, se non suonandoci qualcosa? Jean, passa quella chitarra a Marco, per favore.” Jean sbuffò, afferrando lo strumento come richiesto e alzandosi dalla propria sedia. Marco, nel mentre, si era avvicinato, premurandosi di prendere la chitarra senza che l’altro si alzasse, e nell’arco di mezzo secondo, Jean, alzandosi in piedi, si ritrovò ad una distanza di circa tre centimetri dal volto del ragazzo. Sobbalzarono entrambi, e un rossore comune si impossessò dei loro volti; Jean però fu lesto a nasconderlo, e un ghigno gli prese le belle labbra mentre porgeva lui la chitarra.

“Facci sentire che sai fare, Gesù con le lentiggini.” Esclamò e Marco rimase basito per qualche secondo, tentando di capire per quale motivo avesse meritato quel soprannome dalla parvenza quasi blasfema. Ad ogni modo, dal momento che il rossore sulle sue gote cominciava a divenire troppo evidente e non poteva mica innamorarsi così di un ragazzo che gli aveva solo passato una stupida chitarra- ragazzo tra l’altro un po’ bastardo, a dirla tutta- Marco si allontanò, andando a sedersi su una delle sedie al centro dell’aula. Carezzò la chitarra con dolcezza, quasi fosse un bambino bisognoso d’affetto, sorridendo nel pizzicare vagamente una corda.

“Devi suonarla, mica scoparci con quella chitarra; quando hai finito i preliminari, potresti farci sentire qualcosa che assomigli ad un accordo?” Marco sobbalzò, abbassando lo sguardo per evitare quello quasi scocciato di Jean: rettificò il suo pensiero, quel tizio era estremamente bastardo. Chissà, probabilmente quella sorta di impazienza e curiosità nel sentirlo suonare riverberatasi nella sua voce, se l’era solo immaginata.

“Jean!”

“No, non fa nulla, ha ragione; devo darmi una mossa.” Sorrise, Marco, e per un po’ parve impensierirsi, ripassando accordi nella propria mente.

“Potrei fare questo … è la prima cosa che mi è venuta in mente.” Esclamò timidamente, e non ci fu tempo per rispondere, perché le dita magre erano già corse a pizzicare le corde ruvide.

I text a postcard sent to you
Did it go through?
Sending all my love to you
You are the moonlight of my life every night
Giving all my love to you

 
La voce di Marco era bella davvero; sembrava un po’ calante, eppure perfetta così. Aveva la stessa consistenza della carta pesta, molto ruvida eppure, ascoltandola con attenzione, v’era in lei un fondo di dolcezza e malinconia quasi tangibile. Vuoi forse per la canzone, che aveva davvero una patina di nostalgia in quella semplice melodia, o vuoi per il modo in cui Marco chiudeva gli occhi nel suonare, era assolutamente innegabile che nell’aula fosse calato un silenzio quasi religioso, eppure piacevole.

My beating heart belongs to you
I walked for miles 'til I found you
I'm here to honor you
If I lose everything in the fire
I'm sending all my love to you


“Furbo a scegliere i Green Day, il santino” Jean pensava e apprezzava internamente la scelta del tizio con le lentiggini. Doveva ammetterlo, non si aspettava che uno con la faccia d’angelo come quello potesse anche solo conoscere un gruppo punk, figuriamoci suonare un loro pezzo, seppur di rock ci fosse molto poco in quella ballad così malinconica che pure gli piaceva tanto. Forse non era così da sottovalutare, questo Gesù lentigginoso; oltretutto, aveva davvero una voce che meritava d’essere ascoltata: non era bella secondo i canoni classici di bellezza, non era bella come la voce di Petra, così dolce e pulita, né calda come quella di Levi, eppure era bella, perché era particolare. E contro ogni pronostico, Jean sorrise.

With every breath that I'm worth here on Earth
I'm sending all my love to you
So if you dare to second guess you can rest assured
That all my love's for you


My beating heart belongs to you
I walked for miles 'til I found you
I'm here to honor you
If I lose everything in the fire
Did I ever make it through?

 
L’accordo finale della chitarra sfumò nell’aria con la stessa timidezza con cui Marco rivolse il proprio sguardo ai ragazzi, e fu bello osservare quella sfumatura d’orgoglio e soddisfazione imbellettargli le gote così lentigginose allo scrosciare degli applausi sinceri dei presenti. Marco sorrise, perché anche gli altri sorrisero, e anche se ancora non conosceva i loro nomi, fu certo che quel gruppo di apparenti scapestrati sarebbe stato qualcosa di estremamente simile ad una famiglia. Quasi d’istinto alzò lo sguardo verso Jean, incontrando così il suo ghigno indecifrabile, che sembrava soddisfatto ma non voleva illudersi e così lo catalogò semplicemente come un sorriso da Jean. Eppure, Jean sorrideva.

“Benvenuto nel Glee Club, Gesù con le lentiggini.” E contro ogni pronostico, Marco sorrise.
 ***

E quella notte, osservando il riverbero della luce lunare illuminare pallidamente le pareti della sua stanza, Petra chiuse piano gli occhi e sorrise a se stessa, misteriosamente certa che quella non sarebbe stata la sua ultima notte sulla Terra.


Nota autrice:
No, non ero morta. Ero semplicemente stata sommersa dagli impegni, dalla scuola, dal blocco dello scrittore per questa storia, che non si sarebbe mai sbloccato senza gli incitamenti – minacce- della mia migliore amica (Martina, ora puoi dormire in pace.) Ad ogni modo, capitolo praticamente JeanMarco, ma ci voleva (e ce ne saranno altri, statene certi.) Dal prossimo capitolo le cose si movimenteranno, considerando poi che ora il Glee Club è anche completo di membri. Ah, la canzone cantata da Marco è “Last night on Earth” dei Green Day (https://www.youtube.com/watch?v=gKr3Ov5szbU )
Al prossimo capitolo! (Spero sinceramente presto.)
Letizia
   
 
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