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Autore: Adeia Di Elferas    01/03/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ “Perchè? Voglio sapere il perchè del vostro tradimento. Credevo che avessimo un accordo.” disse con calma Caterina, mentre lei e Codronchi si sedevano l'uno di fronte all'altro alla scrivania.
 “Ci ho pensato e i termini non mi sono più sembrati adeguati.” rispose l'uomo, con disinvoltura.
 Erano soli, nella stanza. Codronchi aveva insistito affinché il servo della Contessa aspettasse fuori e così anche Caterina aveva avanzato la richiesta che le guardie del corpo di Codronchi attendessero oltre la porta.
 “Dopo tutto – riprese il traditore, alzando le spalle – questa rocca è impossibile da conquistare con le armi. Con le migliorie che voi stessa, mia signora, voi stessa, ricordatelo bene, avete approntato, nessuno potrebbe espugnarla.”
 “Una rocca è inespugnabile finché qualcuno non la espugna.” buttò lì Caterina, con tono sibillino.
 Codronchi la osservò un momento, poi soffiò: “Ebbene, perchè siete qui? Credete davvero di avere qualcosa da offrirmi? Guardatevi... Siete gravida, appesantita, stanca... Dovrei davvero avere paura di una donna come voi?”
 Così dicendo, Codronchi si era alzato e si stava lentamente portando alle spalle di Caterina. Ella finse di non insospettirsi, anche se teneva le braccia lungo le cosce, pronta a far scattare la mano sotto alle vesti per recuperare il suo pugnale.
 “Se volessi, potrei uccidervi qui e ora e nessuno farebbe nulla.” disse piano Codronchi, con un sorrisetto che denunciava la sua eccessiva sicurezza.
 Nell'arco di una manciata di secondi si susseguirono varie azioni concitate e confuse.
 Codronchi estrasse dal fodera il suo spadino e caricò il colpo per trafiggere la schiena della Contessa, mentre lei, avvertendo per tempo il fruscio sinistro dell'arma, si era alzata di scatto, estraendo contestualmente il suo pugnale dalla fodera nascosta.
 La lama troppo lunga dell'arma di Codronchi lo impedì nei movimenti, mentre Caterina riusciva a fargli uno sgambetto, facendolo cadere. Gli pestò il polso, costringendolo a lasciare la presa sull'elsa, e poi si mise sopra di lui, tenendogli il pugnale contro la gola, tanto premuto da far già scorrere una sottile stria di sangue verso terra.
 “Ascoltatemi bene – disse Caterina, a denti stretti, il volto coperto dai capelli che nell'impeto dell'azione si erano scompigliati – mio zio Ludovico Sforza sa bene quello che sta succedendo a Forlì e se io non uscissi viva da qui, statene certo, scatanerebbe contro di voi tutta la forza dell'esercito di Milano. Sono già in marcia, aspettano solo un mio segnale per affrettare il passo e intervenire. Credete che una rocca come questa resisterebbe alle truppe sforzesche? Guardate, io non credo proprio. E questa rocca la conosco bene, perchè in parte l'ho progettata io, come avete voi stesso ricordato poco fa.”
 Codronchi era senza fiato, terrorizzato, incredulo davanti a tanta furia. Mai avrebbe creduto di poter essere sopraffatto a quel modo da una donna di ventiquattro anni che era anche incinta. Forse era stata la sorpresa o forse lui non era più agile come un tempo...
 Fatto restava che il pugnale – tra parentesi, da dove era spuntato quel maledetto pugnale?! – gli stava lentamente scavando la pelle e gli ci sarebbe voluto molto poco prima di recidere anche le vene del collo...
 “Volete uccidermi?” chiese Codronchi, con un filo roco di voce.
 “Voglio trattare con voi.” fece Caterina, senza mollare la presa: “Se vi uccidessi potrei riprendermi la rocca, certo, ma sarebbe molto più comodo per me far in modo che tutti i forlivesi pensino che voi me l'avete consegnata di vostra spontanea volontà.”
 Codronchi sgranò gli occhi, incredulo di fronte a una simile proposta. Perchè la Contessa voleva concedergli quella possibilità?
 “Ora chiamerò qui il mio servo. Stileremo una lista di condizioni e poi vi darò un po' di tempo per ragionarci, in modo che la vostra resa appaia veramente spontanea. In capo a tre giorni, verrò di nuovo qui a parlamentare con voi.” disse Caterina, che cominciava a essere stanca di tenere quella posizione innaturale per bloccare le braccia e le gambe del traditore.
 Codronchi annuì e così Caterina chiamò dentro il suo servo.
 Il ragazzo restò attonito nel vedere una scena simile, ma, com'era nel suo carattere, finse di non trovarvi nulla di particolarmente strano.
 Caterina, lentamente, si rialzò, cercando appoggio nella scrivania, liberando Codronchi, che si affrettò ad asciugarsi il sangue che colava dal taglio sul collo con la manica della giubba.
 “Sapete scrivere?” chiese la Contessa al suo servo.
 Questi, che aveva imparato proprio stando al servizio della Contessa, annuì con un velo di orgoglio e prese il necessario per scrivere dalla scrivania.
 “Ora vi detterò le mie condizioni.” annunciò Caterina: “E quando avrò finito mi lascerete uscire incolume dalla rocca, per farmi rientrare tra tre giorni. Siamo intesi?”
 Codronchi, sedendosi pensantemente sul suo scranno, annuì, ancora sconvolto dalla piega presa dagli eventi, maledicendosi per essere stato tanto avventato da sottovalutare quella peste di donna.
 
 Quando Caterina Sforza uscì dalla rocca di Ravaldino assieme al suo servo, incolume e apparentemente di buon umore, tutti i presenti apparvero quanto meno sorpresi.
 “Tornate nelle vostre case e nelle vostre botteghe!” esclamò la donna, mentre raggiungeva Tommaso Feo e il resto della sua scorta: “Per oggi lo spettacolo finisce qui. Vincenzo Codronchi ha bisogno di qualche tempo per valutare le mie proposte, dunque dovrete pazientare per sapere chi la spunterà!”
 La folla non accennava a disperdersi, ma Caterina era stanca e non aveva voglia di trattenersi olte.
 “Andiamo al mio palazzo.” disse in fretta a Feo e con lui e il resto del suo seguito, si incamminò a passo spedito fino alla sua dimora.
 “Fate subito predisporre dei controlli, attorno alla rocca.” odrinò a Feo, non appena furono abbastanza lontani, parlandogli nell'orecchio: “Se nessuno potrà uscire e nessuno potrà entrare, Codronchi non avrà modo di chiedere aiuto a dei suoi eventuali alleati, né potrà chiedere notizie. Lasciamo che si senta solo e perduto e che si convinca che un esercito sta già marciando da Milano verso Forlì. La paura, Tommaso, è la chiave di questa battaglia.”
 L'uomo strinse gli occhi, già pensando a quali soldati mandare a pattugliare la rocca. Aveva già in mente un manipolo più che adatto al compito.

 “Non si può fare nulla – spiegò una delle guardie – ci sono uomini della Sforza a ogni angolo. Uscire equivarrebbe a farsi ammazzare, nessun soldato della rocca è disposto a rischiare tanto.”
 Codronchi lo guardò con astio. Dunque quella donna l'aveva messo con le spalle al muro. Aveva fatto scacco matto. Aveva previsto che lui avrebbe cercato di mettersi in contatto con qualcuno per chiedere aiuto e gli aveva chiuso ogni via di comunicazione.
 Se era vero che da fuori entrare nella rocca era quasi impossibile, Caterina Sforza aveva reso impossibile anche uscirne.
 Codronchi era completamente isolato.
 Preso dallo sconforto, scacciò la guardia di malagrazia e recuperò la lista stilata dalla Contessa il giorno prima.
 Lesse e rilesse, cercando di capire dove stesse nascosta la fregatura. Davvero l'avrebbe lasciato andare così? Davvero si sarebbe accontentata della sua parola? Possibile che non avesse già pensato a un pretesto valido per imprigionarlo o per ucciderlo?
 Codronchi si disse che da quel foglio non avrebbe tratto altre informazioni utili, così lo gettò in un angolo e, massaggiandosi il collo, si sentì sempre più vicino alla sua fine.
 I soldati della rocca cominciavano a essere insofferenti al suo comando. Non sapeva imporsi, come non aveva saputo imporsi quando era castellano a Castel Sant'Angelo. Era solo un povero inetto...
 Con un sospiro spezzato, andò alla finestra e guardò la cittadella annessa alla rocca. Quale altra donna avrebbe potuto progettare un simile prodigio di strategia e difesa?

 Al terzo giorno, Caterina Sforza, con indosso un meraviglioso abito, abbastanza largo da mascherare un po' il pancione, si recò di nuovo alla rocca, accompagnata da Tommaso Feo.
 “Codronchi, sono qui! Calate il ponte!” esclamò Caterina, con sicurezza.
 Come era ormai consuetudine, le strade vicine alla rocca erano piene di gente. Tutti volevano sapere come sarebbe andata a finire quella diatriba.
 Senza farsi vedere, Codronchi diede l'ordine e il ponte venne calato.
 Caterina fece segno a Feo di seguirla e così lei e il fedele soldato varcarono la soglia della rocca assieme.
 Le guardie che aspettavano all'interno non li perquisirono, né chiesero loro alcunché. Li scortarono, invece, negli appartamenti in cui risiedeva Codronchi e lì li lasciarono, pregandoli di aspettare l'arrivo del castellano.
 “Ho una domanda importante da porvi.” disse Caterina, in fretta e a voce bassa, quando lei e Tommaso rimasero soli: “Forse meriterebbe un po' più di tempo per pensare, ma è una domanda che non potevo farvi prima, perchè non volevo in alcun modo influenzare le vostre azioni. Non volevo il vostro aiuto solo perchè speravate di ottenere qualcosa in cambio.”
 Feo restava in silenzio ad ascoltare, mentre una ruga gli si imprimeva in mezzo alla fronte.
 “Quindi vi prego di pensare bene, prima di rispondere, anche se la mia richiesta arriva solo ora.” aggiunse Caterina, con solerzia, temendo che Codronchi stesse per arrivare.
 “Ditemi pure, vi prometto che risponderò celermente, ma con cognizione.” assicurò Feo.
 “Volete essere il nuovo castellano della rocca di Ravaldino?” chiese allora Caterina, osservandolo con attenzione.
 “Troppo onore.” disse subito lui, scuotendo il capo con forza: “Di certo c'è un altro uomo più adatto di me, di cui vi fidate più di quanto non vi fidiate di me...”
 “L'unico altro uomo di cui mi fido in Forlì fa il barbiere, dunque non credo che riuscirebbe a tenere una rocca come questa. Accetterebbe, forse, ma sarebbe sopraffatto da un simile incarico e finirebbe per morirne.” constatò Caterina, mentre l'immagine subitanea di Andrea Bernardi che accettava, farfugliando ringraziamenti, benché atterrito da un simile impegno, le strappò un sorriso.
 “Questa è la prima volta in cui vi vedo sorridere così in questi giorni.” disse Tommaso Feo, incuriosito.
 “Il barbiere di cui vi ho parlato mi sta molto simpatico, sorridevo pensando a lui.” fece subito Caterina, tornando sulla difensiva: “Allora, qual è la vostra risposta?”
 Tommaso Feo deglutì, poi, abbassando il capo, rispose: “Accetto.”
 “Bene.” disse Caterina e proprio in quel mentre entrò Vincenzo Codronchi.
 
 Tutti i presenti furono concordi nel dire che Caterina uscì dalla rocca con la calma e la disinvltura di un caporale che aveva appena fatto un cambio della guardia.
 Era entrata con Tommaso Feo ed era uscita con Vincenzo Codronchi. Nel frattempo, la bandiera dei Riario e degli Sforza era tornata a sventolare sul punto più alto della rocca, a dimostrazione della vittoria della Contessa.
 “Sappiate – annunciò Caterina, mostrando il Codronchi come se fosse stato una bestia rara – mie cari uomini di Forlì, che la rocca era perduta, per me e per voi, nelle mani di costui, ma io l'ho riconquistata e ho lasciato qui un castellano scelto di mia volontà.”
 In molti esultarono e qualcuno si mise anche a imprecare contro Codronchi. Caterina non si aspettava certo di essere portata in trionfo, quindi anche quella pacata dimostrazione di sostegno le bastò per sentirsi una vincitrice a tutti gli effetti.
 Di punto in bianco, in molti, tra i presenti, cominciarono a fare domande. Volevano sapere i dettagli, i motivi, chi era davvero coinvolto e se ci sarebbero stati altri colpi di scena.
 Caterina non rispose a nessuno di loro, anzi, pregò uno dei servi che l'aveva seguita di andare a prendere i cavalli e il necessario per il viaggio.
 Come aveva annunciato a Tommaso Feo appena prima di lasciarlo a comando della rocca, sarebbe tornata immediatamente a Imola, dove l'aspettava un compito ancora più arduo rispetto a quello che aveva appena portato a termine.
 Riconquistare Ravaldino era stata una passeggiata, in confronto a recuperare la mente instabile di suo marito.
 Così, con affianco Codronchi e appena un paio di uomini di scorta, Caterina ripartì quella stessa mattina alla volta di Imola, lasciando i forlivesi liberi di pensare quel che volevano e di sparlare di lei come meglio credevano.

   
 
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