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Autore: killer_joe    02/03/2016    2 recensioni
Sanji è un informatico che vive solo per il suo lavoro, immerso nel tran-tran quotidiano e nel rimpianto di aver perso l'unica cosa che lo rendeva felice.
Ma non si sa mai cosa può riservarti la vita, a volte può capitare una seconda occasione e bisogna essere in grado di coglierla.
Sarà capace, Sanji? O rovinerà di nuovo tutto?
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Il titolo è penoso, lo so... concedete alla mia storia il beneficio del dubbio!
La Sanji/Zoro è presente nelle tematiche ma non è descritta nelle azioni.
Attenzione, Sanji a volte impreca in maniera colorita!
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Portuguese D. Ace, Roronoa Zoro, Sanji | Coppie: Sanji/Zoro
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Disclaimer:  non posseggo One Piece!, tutti i personaggi appartengono al sensei Oda.

Capitolo 2:

Per qualche mese le cose sembrano andare bene. Gli attacchi di hacker e simila sono costanti ma gestibili, l’atmosfera in ufficio è temperata, come il clima, dalla imminente primavera, e io fingo di sentirmi in forma e pieno di voglia di vivere.
In realtà sono sempre più uno straccio.

Non lo sento da quest’inverno ma ciò non significa che non sia costantemente nei miei pensieri, anzi. Sono preoccupato per lui, anche se non dovrei. O forse mi sto nascondendo ancora e in realtà sono preoccupato per me. Beh, il primo traguardo di ogni cura psichica è ammettere il problema a se stessi, posso dire di aver fatto un passo avanti.

Prima di raggiungere il Bronx passo al supermarket, gliel’avevo promessa, una spesa, e non sia mai che io non colga l’occasione di comportarmi da bastardo quale sono. Niente bibite gassate né cibi ipercalorici e molta verdura che so finirà a marcire in frigo. Già che ci sono, aggiungo alla lista una tavoletta di cioccolato. Bene, direi che ho preso tutto.
Mi avvio a piedi, questa volta sembro volare sull’asfalto e in meno di venti minuti sono già lì. Il portone è ancora rotto, manutenzione zero in quel palazzo. Salgo le scale e non ci metto niente a raggiungere il suo piano, ma mi stupisce la porta socchiusa. Nell’appartamento c’è confusione, piccole urla e schiamazzi come ci fosse un bambino divertito. Busso, poco convinto.
La porta si spalanca con un tonfo e vengo quasi travolto da un uragano formato ragazzo. Il tipo mi fissa e lo riconosco subito, nonostante sia passato del tempo. Anche lui si rende conto di chi sia.
“SANJI!” mi urla in faccia, prima di stringermi in una morsa spaccaossa che voleva somigliare a un abbraccio ma che non ci va neanche vicino. Cerco di ricompormi, prima di abbozzare un timido sorriso.
“Rufy…”

Rufy è un suo amico di vecchia data. Lo conoscevo bene, anni fa bazzicava per casa praticamente ogni giorno. A quel tempo era un ragazzino, ma anche ora sembra non aver perso la sua aria spensierata. Sapevo che era partito, un anno di viaggio studio in Australia che poi si era tramutato in tre anni di studio-lavoro. L’esperienza gli era servita a maturare, glielo si leggeva in faccia. Nonostante tutto era ancora ingenuo e perennemente allegro, e la sua leggerezza sembrava fare bene a Zoro, lo vedo più rilassato. Probabilmente fa bene anche a me, è la prima volta che riesco a sorridere spontaneamente e senza farmi violenza.
“…comunque dovete vederla, ragazzi. L’Australia! E sapeste i canguri” Rufy racconta, un fiume di parole in piena che nessuno di noi due ha intenzione di frenare, il silenzio altrimenti sarebbe  imbarazzante. Non ero nemmeno entrato che già Rufy si era fiondato su quello che aveva individuato essere cibo, non che la cosa mi stupisca particolarmente visto il pozzo senza fondo che il ragazzino si ritrovava al posto dello stomaco. Lui ha concesso un’occhiata veloce alla borsa e al suo contenuto, distogliendo subito lo sguardo e non commentando nulla.  Non mi aspetto altre reazioni, in fondo mi è bastato l’accenno di sorriso che non è riuscito a trattenere, stupido marimo.
La porta si apre di nuovo ed io mi volto sorpreso. Tutta questa gente a casa sua non me la aspettavo proprio. Rufy si fionda sul nuovo arrivato come aveva fatto poco prima con me, chiamandolo tra gli strilli.
“Fratellone!”
Il ragazzo appena entrato si chiama Ace, è il fratello maggiore di Rufy e amico di Zoro da sempre. Non mi ha mai sopportato e la cosa è reciproca, ma entrambi eravamo legati a lui e nessuno dei due era disposto a lasciare il passo. Appena mi vede, sbarra gli occhi.
“Tu che cazzo ci fai qui?”
Già, me lo chiedo anch’io. Che mi è venuto in mente?
“Ciao anche a te, Ace…”
Non mi va di litigare adesso, in casa sua, dopo mesi che non mi faccio vedere e anni che non lo frequento. Lui si alza e, senza una parola, mi sorpassa e raggiunge Ace. Temo quello che sto per vedere, ma non accade nulla.
“Dov’è la roba?” gli chiede semplicemente, e non riesco a trattenere un sorrisino strafottente nel vedere
l’espressione delusa del moro.
“Neanche ‘ciao’?” chiede Ace, con un lampo di speranza. Lui sembra rendersi conto della sua freddezza, credo voglia rimediare.
“Ciao, Ace. Dov’è la roba?”
Però, ha sfoggiato tutta la sua empatia… per un attimo sento un po’ di compassione per il ragazzo moro. Ma è solo un attimo. Ace sbuffa leggermente ma tira fuori un pacchetto dai pantaloni.
“Alta qualità caro, stasera ci sballiamo per bene” commenta, ottenendo un suo ghigno soddisfatto. Poi rialza lo sguardo su di me e mi squadra minaccioso.
“E lui rimane?” chiede acido, lanciandomi la sfida con gli occhi. Questo basta per riaccendere l’antica rivalità, se prima non vedevo l’ora di scappare adesso rimarrò fino a che non mi cacceranno. Se lui mi caccerà, ovviamente, non accetterò l’autorità di nessun altro. Lui alza le spalle.
“Come gli pare” dichiara, indifferente. Poi afferra un pacchetto di sigarette e si avvia verso la terrazza comune nel corridoio.
“Io mi faccio una cicca” giustifica la sua azione, per poi sparire attraverso l’ingresso.
Lo seguo, sia perché non ho intenzione di affrontare Ace ora sia perché sento che ho bisogno anch’io di una paglia. Senza dire nulla, mi accosto a lui e guardo il paesaggio dalla terrazza. New York, bella e moderna, piena di opportunità e speranze ma allo stesso modo colma di amarezza e delusioni. Io la vivo così, questa è la mia città e il mio mondo e, in verità, non conosco altro. Non ho termini per fare paragoni, anche se sono abbastanza sicuro che penserei altrettanto davanti a qualunque altra metropoli, perché chi fa la città sono le persone e queste sono diverse ma uguali dappertutto. Il sole è ancora alto nonostante sia pomeriggio inoltrato e i raggi dorati sbucano attraverso i grattacieli della Grande Mela, illuminandoci in volto.
Fumiamo uno accanto all’altro, in silenzio. I miei pensieri si fanno radi.
Mi sento in pace.

Quando rientriamo, vediamo che i due fratelli hanno già preso possesso dell’appartamento, Rufy si sta ingozzando e Ace giochicchia distratto con un accendino, maledetto piromane esagitato. Lui fa per entrare ma lo fermo sulla porta.
“Finiscono come una volta, queste serate?”
Non riesco a non chiederglielo, e non è per curiosità. Più, forse, per un mio malcelato rimpianto, che temo si senta nella mia voce non proprio ferma. Lui non mi guarda mentre risponde.
“A volte” confessa laconico. Sento una stretta al cuore. Era quello che non volevo sentirmi dire ma, effettivamente, scemo io che l’ho chiesto. Sospiro, un po’ teatralmente.
“Quindi, con Ace…”
Sembra proprio che oggi voglia farmi del male, o forse ho maturato un insano istinto al masochismo da aggiungere alla lista dei miei attuali problemi che già conosco. Quello che esce dalle sue labbra potrebbe essere uno sbuffo come una mezza risata divertita.
“Niente del genere. In fondo me l’hai detto tu, no? Come Nash, due parti di cervello, mezza di cuore…”
Mi lascia lì come uno stoccafisso, mentre lo guardo rientrare in casa. Quest’ultima battuta mi ha colpito in pieno con la forza di uno schiaffo. Già, sono un coglione e che mi aspettavo, che mi consolasse? Lui?
E’ colpa mia, e lo so anche senza chiedere a lui la conferma. Sono io che ho mandato tutto all’aria.

Sono io che gli ho detto che i geni non sanno amare.




Sono un codardo. Un pavido coniglio che non ha nemmeno il coraggio di lottare per quello cui tiene.
Per coloro cui tiene.
Alla fine sono scappato come un vigliacco, non credo che avrei retto ancora l’immagine di Ace così maledettamente vicino a lui… Lui non mi ha fermato. Mi ha guardato fuggire da pusillanime quale sono.
Mi sento così sciocco.
Nemmeno mi rendo conto che sto correndo come un disperato, su New York comincia a cadere una pioggia leggera. Bene, un altro motivo per non fermarmi.
Scappo lontano, il più lontano possibile da quel posto e da quei ricordi che mi fanno male, così male che posso sentire il mio cuore lacerarsi.
Voglio rintanarmi nel mio rifugio sicuro, nascondermi sotto le coperte e, nel buio più fitto, piangere fino ad esaurire le lacrime. Vorrei riuscire a spegnere il cervello per almeno una notte, mi sembra stia andando a fuoco. Vorrei un po’ di quella roba di Ace, per sballare e dimenticare. Vorrei morire.
Mi sento così solo.
 


..............................................



La sveglia non è suonata stamattina. O forse sì, certo non l’ho sentita. Mi sento la testa pesante e ho gli occhi appannati. A fatica mi alzo e barcollo verso il bagno, cavolo dovrei essere in ufficio da due ore… Ricado pesantemente sul letto, le gambe hanno ceduto e tremo dalla testa ai piedi. Forse sono malato.
A fatica allungo un braccio e afferrò il cellulare, devo chiamare Nami, saranno preoccupati. Mi prenderò un giorno di pausa.
Leggo che ho un numero spropositato di messaggi sul display, suppongo che la mia squadra abbia tentato in tutti i modi di contattarmi. Compongo il numero, leggerò dopo le promesse di morte che sicuramente mi hanno inviato. Il telefono suona meno di due volte prima che rispondano:
“Sanji-kun!!! Ma dove diavolo sei finito? Ti chiamo da ore!” La voce della mia ‘adorabile’ direttrice mi rintrona il cervello. La lascio sbraitare finché non è lei a interrompersi.
“Perdonami Nami-swan, la sveglia non ha suonato… Mi sento malissimo, credo di avere l’influenza” spiego, intanto lascio vagare lo sguardo per l’appartamento. Mi focalizzo sul tavolo, dove fa mostra di sé la mia riserva personale di sonnifero, mezza vuota. Sfido che non ho sentito la sveglia! Lei sbuffa sonoramente ma raddolcisce i toni.
“Mi dispiace Sanji-kun, scusa se ti ho attaccato così ma eravamo preoccupati… Riposati e guarisci presto!” mi dice gentile. La ringrazio e chiudo la chiamata, non è stata così tragica come temevo. Mi sdraio e poggio la testa sul cuscino, sono intontito e stanco. Apro i messaggi per inerzia, due risate mi faranno solo bene.

Nami-swan: “Sanji-kun, sei in ritardo! Te la faccio passare solo se compari entro due minuti!”
Usopp: “Sanji, che ti piglia? Dove sei?”
Chopper: “Sanji stai bene?”
Nami-swan: “Razza di perditempo, vieni al lavoro!”
Usopp: “Sanji, Nami sta per prendere fuoco… ho paura…”
Chopper: “Sanji, almeno rispondi!”
Nami-swan: “Se non ti degni almeno di rispondere giuro che ti riduco in poltiglia!”
Usopp: “Sanji, se non vuoi rischiare la vita ti consiglio di rispondere…”
Marimo idiota: “Come stai? Chiamami appena puoi”
Chopper: “SANJI!!! Stai male???”
Usopp: “Dimmi che non sei morto”
Nami-swan: “Sanji sei morto!”


Mi blocco di colpo, credo di non aver visto bene. Risalgo i messaggi.

Marimo idiota: “Come stai? Chiamami appena puoi”


Strofino gli occhi con il dorso della mano, in teoria il sonnifero non dovrebbe darmi le allucinazioni…
No, il messaggio è reale, è ancora lì. Il mio cuore perde un battito.

Chiamami appena puoi”

Le immagini della sera prima mi inondano la mente simili ad una mareggiata, lasciandomi come ubriaco. Lui, Rufy, Ace… Lui, soprattutto lui. Mi ha scritto.
Apro la rubrica e la scorro per cercare il numero. Ho tante cose da dire, rimpianti da cancellare, frasi orribili da farmi perdonare. Appena vedo il suo contatto, però, mi blocco. Lo fisso per minuti che sembrano anni, ma non ho il coraggio di chiamare. Non ho coraggio…
Lascio il cellulare sul comodino e raggiungo a fatica il bagno. Devo darmi una rinfrescata, al corpo e alla mente. Lascio i vestiti che indosso, dal giorno prima, sul pavimento ed entro nella doccia. L’acqua scorre sul mio corpo, la sento tra i capelli, sulle spalle, nel viso. Tengo gli occhi chiusi e mi faccio accarezzare, come fossero le mani dolci di un amante. Le sue mani, delicate e gentili, che mi mancano così tanto.
Credo di aver passato in doccia circa un mese, forse dovrei uscire. Mi avvolgo l’asciugamano attorno ai fianchi e ne sfrego un secondo tra i capelli, lasciandoli umidi, poi ritorno in camera.
Mi sento un po’ meglio, non tremo più e riesco a camminare eretto senza bisogno di appoggiarmi al muro. Mi rivesto svogliatamente, un paio di boxer e un pigiama leggero. Decido di tornare a letto per riflettere. Anzi, per dormire.
L’occhio mi cade sul cellulare e sento improvvisamente un moto di ardimento che di solito non mi appartiene. Lo prendo di scatto e apro il suo messaggio.

“Non così male, pensavo peggio. Tu?”


Rapidamente lo invio, non devo crogiolarmi in ripensamenti. Evito accuratamente il suo invito a chiamare, non resisterei mezzo secondo alla sua voce. Ovviamente, appena inviato mi vengono in mente ottomila e cinquecento frasi diverse e migliori con cui avrei potuto rispondere, ma decido di non pensarci. Chiudo il cellulare e gli occhi.
Manco a dirlo, non riesco a dormire. Il sonno sembra passato del tutto, così come l’intorpidimento dovuto al sonnifero di ieri sera. Ora come ora c’è solo l’eccitazione, mista a paura, dell’attesa. Aspetto che risponda, temo che risponda, voglio che risponda. Il cuore fa un tonfo quando sento la suoneria di un messaggio. Scatto a sedere su letto e afferro il cellulare, spero solo che non sia un messaggio promozionale o credo che il cuore non reggerà il momento. Apro whatsapp con le dita tremanti.

Marimo idiota: “Meno male, ieri mi sembravi scosso”


Però, che occhio. Sono solo scappato dall’appartamento, correndo come se mi stessero inseguendo e rischiando di rotolare per le scale. Già, assolutamente normale…

“Solo un po’. Finita bene la serata?”


Come dicevo, probabilmente c’è davvero un istinto al masochismo che dovrei farmi curare. Io non voglio davvero sapere com’è finita la serata, no? Soprattutto se comprende lui ed Ace nello stesso letto.

Marimo idiota: “Insomma. Ci mancavi”


Prego? IO mancavo? A chi esattamente, Ace?

“Credo di non capire…”


Che cretinata ho scritto? Meno male che non volevo lasciarmi guidare dall’istinto. Non voglio rovinare tutto, non di nuovo.

Marimo idiota: “Ci mancavi, scemo. A me e Rufy, ovviamente”


Eggià, figurarsi se al drogato piromane non aveva fatto piacere la mia penosa uscita di scena. Al solo pensiero di come doveva essere soddisfatto e appagato al vedermi fuggire come un vile mi fremono le mani. D’altra parte, mi sento semplicemente al settimo cielo per quella semplice affermazione, “ci mancavi”. Potrei benissimo interpretarla come un “mi manchi”, e forse non è riferita solo a ieri sera.
O forse io mi sto facendo i film mentali come mio solito.

Marimo idiota: “Sicuro di non star male?”


Heilà, che perspicacia è questa? Sì, mi sono sparato mezza boccetta di tranquillanti e ne sento l’effetto, ma lui non dovrebbe saperlo, no?

“Sì, perché?”


Marimo idiota: “Non hai fatto cazzate ieri sera, vero?”


Ohi, va forte con le deduzioni stamattina. Mi guardo intorno in cerca di una cimice, sono tentato di andare a controllare la telecamera del computer. Visto che sto parlando con uno degli hacker più capaci e pericolosi che conosca, il timore è legittimo.

“No… Cioè, non così gravi. Ma come diavolo fai a saperlo?”


Glielo scrivo, non voglio mentire e, soprattutto, gradirei veramente sapere come mai quest’interrogatorio.

Marimo idiota: “Non sei al lavoro… A meno che tu non sia libero di messaggiare in orario d’ufficio”


Eh, bella, ha ragione. Altro che cimice, si tratta solo di buon senso. Rido come un ebete per le mie stesse scemenze.

Marimo idiota: “Non voglio controllarti, sono solo preoccupato”


Il mio cuore fa una capriola. Ora so che, stamattina, non potrei essere più felice di così.









Angolo dell'autore:

Ed ecco il secondo capitolo!  Come vi pare? Finalmente si capisce qualcosa di più su quello che è successo tra i due protagonisti... senza contare l'ingresso del "terzo incomodo" (per Sanji) un innamoratissimo Ace!
Bene, e i miei disadattati continuano a farsi del male da soli.

Spero di leggere un vostro parere su questa storia, perché mi sta molto a cuore.
Alla prossima

killer_joe
   
 
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