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Autore: stefwho    02/03/2016    0 recensioni
Ecco Stephanie, una comune diciottenne di origine italiana che vive in un piccola villetta a schiera londinese.
Stephanie ha tutto: due genitori, un lavoro da commessa, un fratello minore, diversi parenti che le vogliono bene, tanti amici che la pensano, una casa nel centro della città, ma anche un carattere abbastanza strano. Eh sì, perchè, nonostante non le manchi nulla, lei non è una ragazza particolarmente felice, una ragazza che trova difetti nella sua vita e sta attenta a quei tanti particolari che pesano molto sul suo umore.
Questo fino a quando una brutta notizia e una dolorosa scelta le sconvolgono la vita, rendendola felice e anche "famosa".
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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20 gennaio 2020. Louis' pov Mi guardo intorno e non posso credere di trovarmi nuovamente in una stanza d'ospedale, trattenendo la stessa mano, ammirando lo stesso viso, parlando allo stesso cuore. Alla fine, io me la sono cavata piuttosto bene: due punti alla guancia sinistra e uno sotto le labbra; lo stesso non si potrebbe dire, però, di Stephanie. Sono giorni che la vengo a trovare ogni mattina, alle 8 in punto, portando con me due cornetti e due caffè-latte, nel caso si svegliasse e volesse mangiare in mia compagnia. Allo scoccare delle 11.00 sull'orologio di legno chiaro appeso al muro laterale, mangio e bevo tutto io, perché lei non si sveglia mai. Le do il buongiorno, lascio la colazione sul comodino, e aggiungo, alle solite preghiere che faccio appena sveglio, una personalizzata, rendendo Dio noto di cosa vorrei dallo scorrere della giornata. Esco fuori solo appena vedo una povera madre e un povero padre paurosi di perdere la loro bambina ventenne una seconda volta. Spesso, arrivano prima di me, quindi trovo loro già dentro oppure alla macchinetta del caffè, e aspetto; più raramente sono io a precedere la loro auto rossa noleggiata. Fino ad ora, hanno sempre temporeggiato, lasciandomi fuori per vari quarti d'ora prima di entrare, ma oggi è successa una cosa strana: appena mi hanno visto arrivare davanti alla grande finestra, con i miei due cornetti alla crema e i miei due caffè, la donna e l'uomo, accompagnati da loro figlio minore, la madre di lei e il padre di lui, sono usciti dalla stanza, guardandomi negli occhi per la prima volta e dicendomi "Entra". Ho guardato tutti, uno per uno, con gran stupore e gioia. "Grazie" -ho detto, mentre aprivo la porta, con lo sguardo dritto sulla maniglia. Così, mi sono subito accomodato sul letto, lasciando il giubbotto sulla sedia e la busta sul comodino. Le ho dato un bacio sulla fronte, le ho sussurrato "Buongiorno principessa" e ho incominciato a studiare, per l'ennesima volta, il quadro dove il cardiogramma risulta sempre uguale. Mi sono girato qualche minuto dopo e la madre di Stephanie piangeva, con la testa tra le mani, mentre il fratello col padre guardavano la scena qui dentro, consolandola, e la nonna fissava un punto di fronte, come arrabbiata. Mi sono sentito un po' uno schifo, perché, senza volerlo, ho tormentato la vita non solo di Stephanie, ma di un'intera famiglia. Sono state Nala ed Elizabeth a contattare loro appena sono state chiamate a casa da Matt. Le due amiche vengono ogni pomeriggio, dalle 15.00 alle 20.00, in modo che io esca un po' all'aria aperta o vada a riposare nell'albergo dove ho prenotato alcune camere per me e la mia famiglia, corsa in America anch'essa qualche ora che comprassi un cellulare nuovo per informare mia madre che stavo bene, che mi trovavo a Washington e che le avrei raccontato tutto faccia a faccia. Ho impiegato un'intera notte a spiegare questa disavventura, tra le mie sorelle che piangevano di gioia, mia nonna che chiedeva di ripetere perché si perdeva nella storia e mio padre che mi dava pacche sulle spalle. dicendo di essere orgoglioso dell'uomo forte che sono diventato. Tuttavia, sono contento che abbiano capito e accettato la mia permanenza qui, invece di tornare subito in Inghilterra. Loro non sono venuti proprio in ospedale, anche se io dico spesso che vorrei venissero almeno una volta, per presentar loro la persona che mi ha fatto perdere la testa, e che la testa anche lei ha perso per me. Perchè non vogliono venire? Beh, dicono di voler aspettare ancora un po', non si sentono pronti e neanche piuttosto motivati a incontrare, più che altro, la famiglia Harrods; avrebbero così tanto da di dirsi che pensano di non tener nulla di cui parlare. Non so esattamente se quella cerchia mi odia; di sicuro non sono sembrati molto felici quando hanno saputo che la prediletta era finita in coma per la stessa persona per cui ci finì tempo fa, una persona che ha sempre dato leggermente fastidio lì dentro. Sinceramente, però, credo che non si aspettassero che lei sarebbe mai arrivata a me, tutto qui, questo sembra loro irreale e falso. Sono circa le 13.00 e il suo braccio è più freddo del solito. Mi fa strano stare da così tanto tempo qui, nessuno è voluto entrare stamattina, da quando sono arrivato. L'aria è ambigua. Tra qualche minuto, dovrebbero entrare le infermiere, le quali controlleranno lo stato del corpo e cercheranno di sciacquarle il viso e gli arti, come ogni giorno alla stessa ora. E infatti, ecco che sento i rumori dei loro tacchetti farsi spazio nel corridoio deserto. La guardo un'ultima volta per oggi, chiudo gli occhi e avvicino le mie labbra alle sue, per la seconda volta nella sua vita, pensando a quanto bello sarebbe se si svegliasse presto. Con il cappotto già in mano, mi dirigo verso la porta a testa bassa, quando, arrivato sulla soglia, sento un forte respiro. Mi giro di scatto: i miei occhi non possono credere al magro petto che si affanna, alzandosi e poi riabbassandosi velocemente, come se si stesse svegliando da un brutto incubo. "Stephanie" -dico, alzando il volume della voce, in modo che infermieri, dottori e parenti si affrettino a venire e vedino cosa stia succedendo. Le passo una mano sulla fronte, guardandole bene le palpebre, aspettando che si spalanchino. "Apri gli occhi, Stephanie, sei sveglia, lo sei" -grido, ma lei continua solo ad agitarsi sotto ormai le dita infermieristiche, che mi ordinano di allontanarmi un attimo. Maneggiano fili, fissano lo schermo, prendono strani macchinari che solo nei film ho visto prima d'ora. "Libera" -urla il medico di guardia- "Libera" -ripete- "Alza la dose. Libera!" E così via, per ben 18 minuti. L'uomo toglie i guanti e si asciuga la fronte con il polso, affermando "Ce l'abbiamo fatta". Non ho mai sottovalutato l'equipe, però stavamo tutti davvero avendo paura che se ne stesse andando. "Bip...bip...bip" -dice lo schermo, le cui onde si alzano sempre più, abbandonando l'andatura piatta dell'ultima settimana circa. Il personale ospedaliero esce, sorridendo a me e alla famiglia, in segno di vittoria. La mamma di Stephanie ringrazia, piangendo, con le mani sul petto. Tutti rimangono alla parete, quasi impauriti, o solamente increduli. Io no, mi avvicino alla brandina e sussurro il suo nome. Una goccia lacrimale cade su una palpebra, come una reazione che le fa aprire entrambe, immediatamente quanto piano. Sono castani, sono ancora di quel castano medio che illumina il bianco intorno. E sono ancora accesi, sorridenti. Apre la bocca, quando vede che sorrido come un'uomo che ha appena ritrovato la ragione per vivere; apre la bocca, e mima un suono, tipo un "Louis". "Sì, sì, sono io, Louis, sono io" -le rispondo, stringedole la mano destra e baciandole le nocche. "Dov'è Matt? É ancora qui?" -chiede, agitata. "Shh, tranquilla, a quest'ora sarà già stato giudicato da Dio e starà disfacendo i bagagli nella sua stanza infernale. É morto, si è ucciso, dopo che aveva sparato te." Rialzo la testa e vedo che sembra confusa, quindi le chiedo come sta. "Mi sento un po stordita e stanca, ma riesco a parlare, e a vedere, e a sentire, e a odorare, e a toccarti. Sono viva." "Perchè? Avevi dubbi sul fatto che saresti sopravvissuta anche questa volta?" "Io non lo so, ma tu sì. Hai la faccia di uno che ha pensato di perdermi." Le lascio la mano, mi siedo. "Hai ragione, ma solo perchè sono debole, sono poco in confronto a te" Fa cenno di 'no' con la testa mentre mi guarda, sorridendo a 32 denti. Non ha occhi che per me. Qualcosa mi urta in una delle tasche posteriori, così lo sfilo e lo maneggio, fissandolo. "Cosa guardi in basso?" "Nulla, pensavo solo." "A cosa?" "A quanto siamo entrambi fortunati nella sfortuna." "Forse è destino, che lo siamo insieme." "O forse è che io sono il tuo sbaglio più grande, e tu il mio miracolo più sbagliato." -dico, zittendola. Ora ha chiuso gli occhi; non so a cosa stia pensando, ma sono sicuro che mi sta amando e che mi vuole qui ancora un po'. "Grazie" -dico a bassa voce. "Di cosa?" "Di amarmi." -rispondo, facendo scendere un'altra lacrima. "Ti hanno rapito per colpa mia, ti hanno picchiato per colpa mia, sei finito qui per colpa mia..." La interrompo. "Sono salvo per colpa tua, sono diverso per colpa tua, migliore." "Tu sei sempre stato migliore di chiunque altro." -dice, riaprendo gli occhi. "Forse, allora, non conoscevi te stessa abbastanza." "Credo che la mia unica colpa è quella di pensare sempre prima agli altri, e poi a me. Ma questa non è una colpa, perchè mi ha portato a te." Le riprendo la mano, la ribacio, e mi alzo, una volta compreso che dovrei uscire, a giudicare dagli infermieri posti sulla porta. Stephanie's pov Non voglio che va via, vorrei restasse qui per sempre. "Sai, io ho sentito ogni singolo tocco, ogni singolo bacio." "Davvero?" Si ferma. "Sì, e non facevo altro che pensare a quanto sarebbe stato bello svegliarsi per scoprire se sono così belli anche sulla pelle." É di profilo, vedo che ridacchia, come fanno gli umani imbarazzati. Si gira, e anche io rido, rendendomi conto di quanto meraviglioso Madre Natura l'abbia fatto tanti anni fa. Corre verso di me, lasciando cadere a terra la giacca. Mi stampa sulle labbra uno di quei baci che solo chi ti stringe le guance tra le mani riesce a dare, uno di quelli che potrebbero durare per ore intere. Passiamo lunghi minuti a osservarci, l'un l'altro, appena ci stacchiamo, ancora con i visi a distanza di pochi centimetri. "Signor Tomlinson, sono costretto a chiederle di uscire per poco." "Sì, subito, ma prima devo fare una cosa. Ora o mai più" -risponde. Si piega e afferra dalla tasca interna un piccolo cofanetto rosso; lo guarda e sorride, portandosi le mani alla faccia. Tira un bel respiro forte e si inginocchia su una gamba vicino al letto. Io raddrizzo la schiena, incuriosita, col cuore che mi batte più forte della prima volta che lo vidi al parco. "Ho pensato molto a questo cofanetto in questi giorni in ospedale, e sono giunto alla conclusione che non ho nulla da perdere se non te e la mia famiglia" - balbetta- "Non so cosa tu di preciso mi abbia fatto, forse nel tuo midollo c'è qualcosa di speciale, ma di certo non ho mai creduto che avrei fatto una simile proposta a una ragazza per cui mai ho cantato serenate, o che sono andato a prendere sotto casa, o per cui ho chiesto il permesso al padre per uscirci insieme. Però, posso dire di essere stato felice quanto sofferente per te, di non aver dormito la notte pensandoti, di averti offerto la mia giacca di pelle nera sotto la pioggia. E a questo ho sorriso, chiedendomi cosa stavo facendo." -ride, per poi riprendere un altro respiro. "Quindi, Stephanie Harrods, vuoi sposarmi?" Spalanco la bocca, prima di spostare lo sguardo sulla scatolina che si apre e da cui sporge un delicato anello con due diamanti trasparenti che si completano. Siamo noi, io e lui. Lo appoggia sul letto e, con una mano, prende il mio anulare destro, tremando, più di me; con l'altra, tira fuori il gioiello e lo infila piano. Ora, a essere guardata, è una ragazza che si chiede cosa ha fatto di talmente importante per permettersi tutto questo. Beh, io so cosa ho fatto, ho salvato una vita, ma non credevo che quel gesto mi avrebbe fatta sposare con l'amore più impossibile della mia. "Spero ti piaccia, l'ho scelto da solo perché volevo sentire qual era l'anello giusto" -mi dice, mentre alzo la mano all'altezza della vista per guardare il dito in tutte le sue angolazioni. "É stupendo, è perfetto, tutto questo è perfetto; anche se il luogo non è dei migliori, diventa anch'esso perfetto." Forse, sta notando la mia ansia, non parla, e neanche io lo faccio, ma solo perchè mi ha lasciata muta. Passano all'incirca 10-11 secondi prima che Louis si alzi di scatto dal materasso e inizi a muoversi, a simulare romantici balli da sala, a fingersi una farfalla, forse. Davvero una pessima esibizione. "Ma non credere che questa proposta mi impedisca di venire a cantare sotto il tuo balcone le tue canzoni preferite, ti intonerò 'Your Song' e ti suonerò 'Halleluja' al piano; ti porterò il cornetto alla crema e amarena se tu dovessi ammalarti, come ho fatto finora, ogni mattina; mi fermerò a cena quandunque i tuoi genitori volessero, nelle serate più fredde e ventose; chiederò a tuo fratello di fotografarti mentre dormi, cosicché potrò sentirmi vicino a te anche la notte; ti verrò a prendere la domenica pomeriggio per portarti nei più vasti centri commerciali, solo per vederti entrare in ansia davanti a due capi che ti piacciono, per poi comprarteli entrambi; scapperemo ai fotografi, faremo scherzi sulle porte delle case dei nostri amici, andremo alle feste più comuni in città." Si è fermato: sorride e riparte. "No, niente di tutto questo sarà tagliato dalla tua vita, potrai dire di non aver perso nulla della tua giovinezza. Non ti farò mai sentire legata, o costretta. Sarai sempre mia, ma libera di essere te stessa." Ora è serio, la furia dei progetti è svanita per dare spazio a un'aria più dolce e mansueta. "E tu vorrai sempre essere mio? Mi prometterai che non mi tradirai mai? Che non desidererai nessun'altra? Che mi terrai sempre con te?" "Probabilmente, è tutto ciò che voglio, ora e per sempre." Tiro un respiro, chiudendo per un attimo gli occhi. "E allora sì, Louis William Tomlinson, ti voglio sposare" Mi si butta addosso abbracciandomi, e in un battibaleno diventiamo un lago, un ammasso di lacrime di gioia. Da dietro, una folla batte le mani. Ci giriamo e, insieme, vediamo che sono in pochi quelli che mancano all'appello delle nostre due vite: ci sono i dottori del reparto, tutte le infermiere, ci sono i miei genitori, c'è mio fratello Francisco, ci sono i miei due nonni, i miei quattro zii, i miei due cugini, c'è Lucas, ci sono Nala e Elizabeth. E poi, le mie pupille si fermano su Louis, che guarda l'altra parte: di essa fa parte sua sorella Charlotte, Felicitè, Phoebe, Daisy, Ernest, Doris, sua madre Johannah col marito, sua nonna, suo madre Mark. Mi commuovo a vedere questa gente, queste persone, piccole o meno, che ho sempre visto solamente attraverso uno schermo. Tutti questi pezzi importanti fanno nascere, sul nostro mento, un sorriso pieno di felicità e completezza, mai visto dal vivo su di lui. Chiniamo la testa, per trasmettere un "grazie", "grazie di esistere", "grazie di starci accanto", "grazie di essere la nostra famiglia", "grazie di mostrarvi così uniti in questo momento". Louis, ora, ignora il pubblico applaudente dietro la finestra, che ci guarda, un po' commossi, un po' fieri. "Prendilo come un 'voglio arrivare a sposarti, ma voglio viverti pian piano, come si fa quando si è adolescenti'. Non voglio che hai paura." "Ma io non ne ho." "E invece ne hai, perché chiunque sarebbe spaventato di sposarsi così giovane con un uomo più grande di lei che l'ha vista 3 volte e che, probabilmente, conosce meno della metà della sua quotidianità." "Io penso che tu ne conosca più di metà, se mi hai portato davvero tutte le mattine il cornetto alla crema e se hai capito che non serve chiedere a mio padre la mia mano perchè anche mia madre accetterebbe di farmi vedere da te, nonostante abbiano paura della tua fama." "Io non ho fretta, e anche tu non ne hai, entrambi vogliamo conoscerci fino in fondo, ma sempre lasciando qualcosa sconosciuto per sorprenderci. Io voglio questo dal mio futuro, in cui ho visto te fin da prima di sapere le forme del tuo viso." "Se questo, è vero, allora, sorprendimi." "Lo farò, appena metterai piede fuori da questa caverna" -risponde, ridacchiando al ricordo che siamo qui solo per colpa di una vera caverna. Intanto, entrano le due infermiere e, prima che si lamentino ancora, si avvia verso la porta. Prende le sue cose e cammina a passo tutt'altro che elevato, come se avesse scordato qualcosa. Le sue mani arrivano sulla maniglia, e... "Ah, Stephanie, quasi scordavo..." "Cosa?" -chiedo, con nuovi tubicini attaccati alle braccia e la testa sul cuscino, rivolta verso di lui. "Che I'm not Jesus, but I love you more than He does. Che Io non sono Gesù, ma ti amo più di quanto Lui faccia." Abbassa la maniglia ed esce, chiudendo la porta alle sue spalle. Louis' pov "Ti amo, ti amo anch'io, più di quanto tu possa immaginare, più di quanto qualunque essere vivente possa proteggere il posto dove si sente a casa." -penso, guardandola, da dietro la finestra, riaddormentarsi col sorriso, con le guance bagnate, commossa per se stessa, commossi per noi stessi. Da solo, con le mani in tasca e il giubbotto sule spalle, mi rendo conto che il nostro amore potrebbe renderci persino immortali. Ed è questo che non permetterà ad alcuno di dire che noi vivemmo, felici, e contenti. Ma che noi viviamo e vivremo, felici e contenti.
   
 
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