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Autore: Writer_son of Hades    04/03/2016    0 recensioni
In un passato lontano, gli uomini stavano distruggendo la terra. Gli dei, vedendo queste atrocità, scesero nel mondo e devastarono l'umanità. Solo un uomo e una donna, per ognuno degli dei esistenti, vennero salvati per diventare figli del dio che li aveva scelti.
Nel loro sangue di mortali, scorreva anche una parte dell'icore dorata degli dei. Generazioni e generazioni di discendenti si precedettero, portando pace e rispettando per gli dei e per la terra dove vivevano.
Mille anni dopo, una ragazza mortale, discendente di nessun dio, si ritrova a dover affrontare il suo destino.
Sarà veramente pronta ad abbracciare il ruolo così importante che le spetta?
(per questa storia ho preso spunto da alcuni aspetti della saga di "Percy Jackson")
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo XIV












Il silenzio invadeva il luogo dove mi trovavo. Le uniche cose che sentivo erano il mio cuore che batteva e il mio respiro controllato.
Una debole luce con una provenienza sconosciuta illuminava un trono davanti a me. Non era un semplice trono però. Quando mi avvicinai capii come mai emanava così tanta luce, anche in un luogo così immerso nel buio: era interamente fatto di ossa.
Una figura scura vestita in una lunga tunica nera era seduta sopra. Non riuscivo a vedere il suo volto, ma ero sicura di aver già visto questa immagine quando le tenebre mi avevano inghiottita.
Solo una persona, o meglio, un dio, poteva essere davanti a me.
Quasi istintivamente mi inginocchiai salutando con rispetto il Signore degli Inferi.
“Manca poco tempo, Skia.”
Stavo sognando. Sentivo la sua voce tremante e ovattata.
“Il tempo è quasi giunto, recuperate gli ultimi e agite in fretta. Rendimi fiero.”
“Mio Signore, sarà fatto quanto chiedete.”
“Ascoltami: recati al mio tempio, nel colle. Ho un dono per te.”
 
 
Venni svegliata da un leggero rumore di passi sulla roccia.
Sbattei le palpebre e lentamente aprii gli occhi, mentre mettevo dritta la testa con una smorfia.
                – Ehi. – mi salutò piano Arcadio, avvicinandosi a me.
Portai una mano al collo dolorante, cercando di massaggiarlo. Non era il massimo dormire seduta per terra con la schiena appoggiata al muro di roccia.
Lui si piegò sulle ginocchia per arrivare più o meno alla mia altezza e mi diede un leggero bacio sulla fronte.      – Ciao. – gli sussurrai di rimando, aggiungendo un sorriso tirato.
                – Non ti va di andare a stenderti e a riposare? – mi chiese accarezzandomi una guancia.
Mi beai di quella bellissima sensazione.
                – Ho dormito qui. – risposi.
                – Intendevo su di un letto vero. – continuò lui. – Sono giorni che sei qui…non si sveglierà perché continui a guardarla.
Io rivolsi uno sguardo altre alle sbarre di tenebre.
                Dopo la fuga dal ballo, arrivati al quartier generale, ho dovuto spiegare per bene cos’era successo, predendomi tutta la responsabilità. Elena non si svegliava e Michael aveva insistito per tenerla dietro alle sbarre per la sicurezza di tutti. Aiden aveva fatto il possibile per salvarla, ma erano giorni che non dava segni di vita.
In un certo senso, mi sentivo di dover starle vicino. Ho deciso di mettermi a guardia della cella e di aspettare il suo risveglio… principalmente per scusarmi.
                – Non è stata colpa tua.
                – Tu non eri lì. – lo fermai, fredda.
Michael ed Elai avevano cercato di difendermi, spiegando che in effetti mi aveva provocata. Gli altri mi avevano perdonata, ma io non riuscivo a capacitarmi dell’orrore che avevo commesso.
                – Come potete accettare quello che ho fatto? – chiesi. – Stavo per ucciderla. Le ho tolto l’anima dal corpo.
                – Ognuno di noi ha commesso dei crimini per salvarsi o per salvare i propri cari. – mi spiegò. – Skia, non sei la prima che ha ucciso e non sarai nemmeno l’ultima.
Serrai le labbra, pensierosa.
                – Come ha reagito il padre? – domandai, cambiando argomento.
                – Siamo messi male. – mormorò con gli occhi bassi. – Le guardie sono raddoppiate. Le truppe sorvegliano ad ogni ora il centro e la periferia è praticamente impenetrabile. Forse molti discendenti sono ancora lì e sarà impossibile raggiungerli. In più, il cibo comincia a scarseggiare.
Mi resi conto che era troppo tempo che non stavo con loro e che non gli aiutavo. Dovevo riprendere in mano la situazione, cominciando dal sogno che avevo fatto. Dovevo capire di che colle stesse parlando Ade.
                 – Manda Michael, Maia ed Orion a prendere provviste, questa notte. – cominciai, alzandomi in piedi dopo tanto tempo. Sentivo le gambe indolenzite, ma pronte a rimettersi i moto. – Poi dì ad Emphys, Achlys e a Perse di cominciare ad allenare i nuovi arrivati, sia con i poteri che con la spada. 
Lanciai un ultimo sguardo alla ragazza con gli occhi chiusi, prima di dirigermi verso la sala comune, seguita a ruota da Arcadio.
                – Elai baderà alla ragazza e lascio a Samuel il comando mentre sarò via. – continuai.
                – Dove devi andare? – mi chiese prima di entrare nella sala comune.
                – Andrò fuori con Aiden, devo trovare un posto. – spiegai velocemente. – Dopo di che cercheremo gli altri. Se è vero quello che ho sentito, non abbiamo molto tempo. – conclusi.
Prima che entrassi nella stanza, Arcadio mi prese per un braccio e mi spinse addosso al muro di roccia. Me lo ritrovai a pochi centimetri dal viso.
                – Non mi ha assegnato nessun compito, Generale. – sussurrò con un sorriso. – Mi ritiene forse un cattivo soldato.
Mi leccai le labbra cercando di restare seria: – Vedi di essere qui, quando tornerò. Poi vediamo come potrai soddisfare al meglio il tuo Generale.
Okay. Ma questo da dove usciva? Mi chiesi mentre gli baciavo con intensità quelle sue meravigliose labbra, per poi lasciarlo nel buio del corridoio.
 
 
 
                – Un tempio di Ade su di un colle? – mi chiese Aiden. – Ne conosco uno abbandonato.
                – Meglio sbrigarci allora, sta per diventare buio. – constatai.
Lui mi fissò pensieroso, ma poi acconsentì.  
Salimmo le scale di pietra e trovai Sofos che riposava facendo le fusa vicino all’uscita della miniera. Gli accarezzai lentamente la piume nere e lui si svegliò alzandosi sulle zampe.
                “ Salve, padrona.” mi salutò gracchiando leggermente.
                – Sofos, ti ho detto di non chiamarmi così. – lo corressi passando una mano sulle sue piume così morbide. – Ti dispiace dare un passaggio a me e ad Aiden?
                “ Al discendente di Apollo?” domandò scuotendo la testa. “Anche no.”
                – Cos’ha detto? – mi chiese Aiden.
                – Che accetta. – risposi velocemente io fissando male l’ippogrifo. Poi salimmo in groppa e io gli sussurrai all’orecchio: – Cerca di essere più gentile.
Mi sembrò di sentirlo ridacchiare mentre prendeva la rincorsa e di prendere il volo.
Uscimmo dalla grotta che era sera, poco prima del tramonto. Aiden ci condusse verso nord, e arrivammo ai piedi del colle che ormai era il cielo si stava colorando di arancione e rosso. Scesi dalla groppa di Sofos accarezzandogli il muso per ringraziarlo.
                – Aspetta qui. – lo fermai prima che ci seguisse. Lui abbassò la testa per acconsentire.
Fissai la sua cima visto che non era molto alto. Era completamente ricoperto di salici piangenti e non riuscivo a scorgere un  tempio da quella posizione.
                – Dobbiamo andare verso la cima. – disse Aiden. Io lo seguii in silenzio, mentre mi spiegava la storia del colle. – Nei tempi passati veniva chiamato Viminale, per la numerosa presenza di salici, ed è il colle più piccolo dei sette che ci sono a Nuova Roma.
                – Chiaro che abbiamo messo un tempio di Ade qui. – commentai.
                – Io non sottovaluterei tanto il tuo dio. – rispose Aiden. – Ade controlla la morte e di conseguenza anche la vita. È molto più che poter curare le persone e cantare divinamente. – scherzò indicandosi.
Ridacchiai.
                – Io credo che lo abbiamo messo qui più per paura del suo potere. – concluse infine.
Alzai un angolo della bocca pensando che mi piaceva parlare con lui. Pensai che infondo l’Oracolo mi aveva fatto un favore a farmi conoscere dei ragazzi così speciali.
                – Siamo arrivati. – annunciò scostando l’ultimo ramo di un salice.
Davanti a noi si apriva una voragine nella collina.
                – Scendiamo. – annunciai, andando in testa. Aiden cominciò a emanare luce per poterci indicare la via.
Trovai delle scale di pietra e appena cominciammo a scendere sentii dei sussurri, come qualcuno che continuava a chiamarmi. Mi voltai più volte da tutte le parti, ma non vedevo nessuno.
Man mano che scendevamo sempre più in profondità, le voci aumentavano di intensità, tanto da diventare quasi assordanti. Sentivo i morti che mi parlavano, che reclamavano di essere ricordati e riconosciuti. Morti senza nome e senza riposo. Lamenti di donne, uomini e pianti di bambini.
Poi tutto cessò.
Improvvisamente il tunnel in cui eravamo entrati si aprì in uno spazio enorme che non riuscii a definire.
                Reclama ciò che è tuo di diritto.
Sentii la presenza di Ade in quel posto. Guardai Aiden che respirava a fatica e la sua luce si stava indebolendo. Dovevo sbrigarmi o sarei stata costretta a trascinarlo via da lì privo di sensi.
Ade era il dio dei morti, ma anche delle viscere terrestri, ricordai.
                Reclama ciò che è tuo di diritto.
Alzai un braccio di fronte a me e chiusi gli occhi. Percepii qualcosa con la punta delle dita, qualcosa che era sepolto. Ondeggiai lentamente le dita sentendo le viscere della terra che si contorcevano al mio comando. Cercai la causa di quel formicolio e quando lo sentii più vicino, strinsi la mano a pugno afferrando qualcosa di metallico e di freddo.
Aprii gli occhi: riuscivo a vedere nel buio la lama nera che stringevo nella mano. L’elsa in argento puro, scintillava con alla fine incastonato un teschio.
Sorrisi di gioia. Feci un inchino e corsi fuori con Aiden che arrancava.
                Fuori all’aria aperta era notte fonda. Eppure era solo il tramonto quando eravamo scesi. Il discendete di Apollo creò un alone di luce attorno a sé, ritornando a respirare normalmente.
Io non riuscivo a smettere di guardare la mia spada.
                – Smettila di fissarla così, mi fai quasi paura. – mormorò Aiden appoggiandosi alle ginocchia.
Io ridacchiai, presa dall’euforia: – Scusami. Sono…è…bellissima.
Poi sentii dei rumori. Provenivano dal fondo della collina. Erano grida di uomini. Anche Aiden se ne accorse, perché smise di risplendere e mi prese per mano per trascinarmi verso una sporgenza.
Nascosti dai rami dei salici, scrutammo i piedi del colle. Delle torce sulla lontananza si stavano avvicinando molto velocemente. L’Armata, pensai.
                – Stanno cercando noi? – chiesi.
Aiden indicò un punto poco più in là dell’Armata: – Stanno cercando loro.
Ci misi un po’ ad identificare quelle figure sotto la debole luce della luna. Vidi due ragazzi che stavano sorreggendo un terzo mezzo svenuto. Un quarto stava brandendo una spada che rifletteva la luce della luna.
                – Io vado da quello svenuto. Tu porta quello con la spada via con Sofos. – decisi alzandomi. Corremmo sul versante opposto della collina mentre Sofos continuava a gracchiare allarmato.
                – Devi riportarli al quartier generale senza che li tocchino, capito? – affermai mentre cercavo di calmarlo.
Strinsi l’elsa della mia spada e corsi seguita da Aiden verso il gruppo di ragazzi. Arrivammo troppo tardi. L’esercito dell’Armata li aveva accerchiati. Ci nascondemmo all’ombra dei rami di alcuni salici più bassi e cercai di ascoltare il dialogo.
                – …di scappare? – disse un soldato.
                – Vi prego, ascoltateci. – cominciò uno dei ragazzi che sorreggeva quello svenuto. – State combattendo dalla parte sbagliata. Dovete aiutarci.
                – Ferma la tua lingua, misero discendente di Estia! – lo minacciò il soldato avvicinandosi di un passo verso i ragazzi. Quello con la spada, in testa al gruppo, avanzò a sua volta arrivando quasi a far toccare le due lame. I suoi capelli avevano una stranissima colorazione sull’argento-oro sotto la luce della luna.
                – Ora tornerete con noi in prigione, dove meritate di stare! – ordinò il soldato per poi fare cenno agli altri di prenderli.
Fu allora che uscii allo scoperto, ricevendo un’occhiata sorpresa da parte di Aiden.
                – L’unico posto in cui meritano di stare è al mio fianco. – gridai attirando tutta l’attenzione su di me. Camminai lentamente verso il gruppo preparandomi a combattere. – Insieme agli altri soldati della Nuova Armata dell’Olimpo.
Sinceramente, mi aspettavo di tutto. Ma non che i soldati si mettessero a ridermi in faccia. Nessuno mi ride in faccia.
Sprigionai un’ondata di tenebre che zittirono improvvisamente tutta la folla.
                – Allontanatevi e non vi ucciderò. – li minacciai.
Nessuno si mosse, ma notai una certa incertezza nei loro sguardi.
Feci un cenno con la testa verso Aiden guardando il ragazzo con la spada in mano. Lui annuì abbassando la lama e cercò di uscire dal cerchio di soldati. Ma due si misero in mezzo.
                – Eh va bene. – mormorai infine. – Però io vi avevo avvertiti. – conclusi prima di annebbiare la vista di tutti i soldati. Tra le grida, corsi verso i due ragazzi che sorreggevano quella svenuta, perché sì era una ragazza.
                 – Prendetemi le mani. Vi porto via. – dissi porgendole verso di loro.
I due non si esitarono e si aggrapparono a me. Stavo per tuffarmi dentro ad un’ombra, quando il fianco cominciò a bruciarmi. Troppo. Gridai forte e estrassi la spada stringendo i denti. Mi voltai e incontrai la cicatrice dell’uomo con l’impermeabile. Ringhiai.
                – Non mi perdo nei tuoi giochetti da discendente di Ade. – mormorò l’uomo con un ghigno.
                – Andate dal biondo. – ordinai ai ragazzi senza smettere di fissare l’uomo.
Li vidi passare vicino a me.
                – Cerco di catturare quattro fuggitivi e mi ritrovo il Generale in persona. – mi canzonò lui girandomi intorno. – Che strano, dall’ultimo nostro incontro ti vedo molto più sicura di quello che stai facendo.
Non aprii bocca, mi limitai a fissarlo male.
                – E dimmi, Arcadio è qui perché è morto oppure?... – continuò prendendosi gioco di me.
                – È vivo e non vede l’ora di prenderti a calci nel culo. – risposi finalmente io. – Ma per il momento lo faccio io al posto suo.
Detto questo mi fiondai su di lui e rotolammo a terra.
 
 
Stavo correndo. Da tanto, tantissimo.
E cominciavo a sentire che stavo per svenire.
                – Muoviti! Ci stanno per raggiungere!
Il mio “giochetto” della cecità era durato poco perché mentre prendevo a pugni l’uomo con la cicatrice, due soldati mi bloccarono le braccia dietro alla schiena e mi misero in ginocchio. L’uomo si alzò pulendosi il sangue della faccia con la manica. Non smisi di stringere i denti in un ringhio mentre lo fissavo.
                – Il nostro Generale si tiene allenato. – mormorò con un ghigno. – E ora verrai con noi.
Stavo per cercare di liberarmi quando una freccia trapassò da parte a parte l’odioso uomo davanti a me. I suoi occhi rimasero incollati ai suoi, completamente spalancati. Si portò la mano al petto mentre cadeva a peso morto ai miei piedi.
Altre due frecce vennero scoccate da un punto impreciso davanti a me colpendo i due uomini che mi tenevano fermi.
                – Corri! – gridò una figura che impugnava un arco davanti a me.
Io non ci pensai due volte e mi liberai dalla stretta ormai debole dei due uomini. Mi alzai e una fitta mi colpì il fianco dove la lama mi aveva ferita. Strinsi i denti e mi diressi verso quella figura che mi prese per mano mentre correva via. Dietro di noi il resto dei soldati ci stava raggiungendo.
                – Muoviti! Ci stanno per raggiungere! – mi incitò quella che mi sembrava la voce di un ragazza.
Ansimai e mi aggrappai di più a lei: – Chi sei?
                – Non è importante. – mormorò lei. – Dove si trova l’entrata del quartier generale? – mi chiese.
                – Dimmi chi sei? – ripetei dolorante.
La sentii sbuffare sotto al cappuccio che le copriva il viso: – Sono stata scelta dall’Oracolo. – mi rispose sbrigativa. – Ora dimmi dov’è il quartier generale se non vuoi morire dissanguata.
Annuii e la condussi verso l’entrata della miniera mentre gli uomini continuavano a cercarci. Mi affidai completamente alla mia memoria per non inciampare o far cadere anche lei.
Scesi le scale praticamente in braccio suo e quando arrivammo infondo, entrando nella stanza principale, vidi un gruppo di ragazzi che parlavano fra loro. Riconobbi Arcadio che, appena mi vide, corse verso di me con lo sguardo preoccupato.
Mi prese dalle braccia della ragazza e mi sistemò per terra dove c’erano varie coperte. Sentii il calore del pavimento che mi faceva sentire un po’ meglio. Per tutto il tempo continuai a tenere la spada di Ade stretta nella mano.
                – Aiden! – urlò Arcadio mentre mi alzava la maglietta nera mostrando la ferita piena di sangue che mi bagnava tutto il ventre.
                Il biondo arrivò poco dopo insieme a mio fratello. Michael si inginocchiò dietro alla mia testa e mi prese una mano chiudendo gli occhi.
                – Cosa stai facendo? – gli chiesi.
                – Me l’ha insegnato Aiden. – rispose stringendomi di più le mani. Sentii il dolore che mi abbandonava lentamente mentre Aiden mi stava medicando la ferita profonda. Dopo dieci minuti mi sentivo un po’ meglio. Il discendete di Apollo mi fasciò il ventre quando finì di curarmi e mi fece sedere contro il muro di pietra dietro di me. Michael si appoggiò al mio fianco, pieno di sudore e molto più pallido del solito.
Arcadio mi prese il viso fra le mani e mi diede un leggero bacio sulla fronte.
                – Perché lei è qui?! – gridò qualcuno dietro al discendente di Pan.
Cercai con lo sguardo e Achlys era tenuta ferma da Samuel. Seguii il suo sguardo e vidi che fissava in modo assassino la ragazza che mi aveva salvata. Si era tolta il cappuccio e i suoi capelli lunghi castani tagliati in una frangetta mi coprivano in parte i suoi occhi.
                – Mi ha salvata. – intervenni io cercando di alzarmi in piedi con calma. Sentivo delle fitte di dolore, ma non ci feci caso. – Vi conoscete? – domandai avvicinandomi al gruppo di ragazzi che si era formato.
                – Tutti la conoscono. – rispose Elai incrociando le braccia al petto. – Tutti conoscono i discendenti di Artemide.
                – Delle teste di cazzo che pretendono di avere regole proprie. – commentò acidamente Maia.
                – Credono di poter agire come vogliono e autonomamente. – continuò Arcadio. – I peggiori discendenti per essere in un esercito.
                – Vivono da nomadi e sono disonesti. – si aggiunse Aiden. – Dovremmo essere una specie di cugini alla lontana visto che gli dei da cui discendiamo sono gemelli.
Per tutto il tempo che venne insultata, la ragazza rimase in silenzio e strinse i pugni.
                – Sono stata chiamata dall’Oracolo a seguire l’esercito della nuova Armata. – ringhiò fissando i presenti. – È vero che noi discendenti di Artemide preferiamo vivere da soli e da nomadi. Ma la dea mi ha detto di unirmi a voi. Ebbene sono qui per compiere il mio destino.
                – Non voglio una doppiogiochista nell’esercito. – la minacciò Maia.
                – Io sono il Generale. – mi intromisi alzando leggermente la voce, ma rimanendo composta. – Se l’Oracolo l’ha scelta, lei deve far parte del nostro esercito. In più, come vi ho già detto, mi ha salvato la vita. – le rivolsi un sorriso. – A me basta per fidarmi di lei.
                Alcuni ragazzi sbuffarono, altri alzarono gli occhi al cielo.
Io però credevo in lei.
                – Come ti chiami? – le domandai avvicinandomi a lei.
                – Dalya. – mi rispose con un mezzo sorriso. – In onore della città dove Artemide è nata: Delo.
                – Benvenuta nell’esercito della nuova Armata dell’Olimpo. – dissi, dandole ufficialmente il benvenuto nella compagnia. – Per gli altri… vedrai che impareranno ad amarti. Sono riusciti ad accettare una discendente di Ade come Generale per cui..
                – Grazie. – mi rispose annuendo.
Io le misi un braccio attorno ad una spalla e provai ad abbracciarla per ringraziarla a mia volta.
Ad un certo punto, Erik entrò di corsa nella stanza: – È sveglia! – esclamò, per poi cercare i miei occhi. – La discendete di Zeus si è svegliata.








Dalya (Artemide): Da Delo, città dove Artemide e Apollo sono nati.
   
 
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