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Autore: Adeia Di Elferas    08/03/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Dopo l'esecuzione dei prigionieri, che era stata una punizione anche per il Caporale che non era stato in grado di tenersi stretta Porta Cotogni, quella notte alcuni, credendo di fare cosa gradita alla Contessa, si presero la briga di usare i cadaveri dei condannati in modo a loro detta fantasioso.
 Tre teste e altrettanti tronchi vennero appesi fuori da Porta Cotogni, due corpi furono agganciati alla Porta di San Pietro e un altro era stato attaccato alla Porta di Ravaldino.
 Appena Caterina scoprì quello che era stato fatto nottetempo, ordinò immediatamente che i cadaveri venissero tolti dalle Porte e sepolti o fatti sparire, poco importava. L'importante era non lasciarli alla bella vista dei forlivesi. I suoi cittadini avevano già dovuto assistere alla morte di quei traditori, non era necessario costringerli a vedere i loro corpi in disfacimento.
 Ordinò anche che tutti i Roffi rimasti in vita, anche quelli non coinvolti, venissero seduta stante banditi da Forlì per sempre. Con le altre famiglie coinvolte nella congiura, invece, preferì usare una linea più morbida.
 
 “Era come vedere la Cia Ubaldini risorgere dalla tomba, vi giuro...” disse uno dei clienti nella bottega del Novacula.
 “Ma che ne vuoi sapere tu della Ubaldini...!” lo schernì l'amico che stava con lui: “Quella è vissuta più di cento anni fa!”
 “Tutti abbiamo sentito la storia della moglie di Francesco Ordelaffi e di come si era tenuta la rocca di Cesena usando il pugno di ferro contro i congiurati.” riprese il primo: “E ti dico che lei ha fatto altrettanto!”
 Andrea Bernardi ascoltava in silenzio. Non era in vena di chiacchiere. Uno strano umore lo aveva preso, da quando aveva assistito all'esecuzione in pubblica piazza e ancora non riusciva a ritrovare il suo solito umore gioviale.
 “Per quanto mi riguarda, questa donna è anche peggio...” disse piano un terzo avventore: “Se potesse, ci metterebbe a morte tutti solo per il gusto di farlo.”
 Nemmeno a quella frase il Novacula si ridestò per prendere le difese della Contessa.
 Lasciò che i suoi clienti continuassero a beccarsi l'un l'altro gettando accuse e coprendo di pettegolezzi Caterina, e intanto continuava a pensare agli occhi della sua signora e a come erano rimasti impassibili di fronte a tanta violenza.

 Più l'autunno lasciava rapidamente spazio all'inverno, più Forlì sembrava calmarsi.
 L'inflessibilità dimostrata da Caterina Sforza aveva messo a tacere i più facinorosi e aveva fiaccato i bollenti spiriti dei sedicenti patrioti.
 Lo scomodo pettegolezzo che voleva il conte già morto e sepolto da tempo, però, era ancora vivo e vegeto e si stava dimostrando un problema non da poco.
 Caterina era certa che prima o poi lo sgomento e la paura indotta nei forlivesi dalla brutale esecuzioni dei Roffi e dei loro complici si sarebbero spente e sarebbero andate dimenticate. Per allora era fondamentale mostrare a tutti che il Conte non solo era vivo, ma stava anche bene. Per far ciò avrebbe dovuto rimettere definitivamente in piedi Girolamo e convincerlo a tornare a Forlì assieme a lei.
 Certo, non sarebbe stato facile, ma non si poteva fare altrimenti.
 Era fine ottobre, quando Caterina si decise a fare una proposta al marito. L'uomo cominciava a stare davvero meglio. Anche se era ancora restio a incontrare gente, almeno aveva ripreso a muoversi autonomamente per il palazzo e a giocare coi figli come aveva sempre fatto.
 Timidamente aveva anche fatto qualche domanda in merito ai fatti di Forlì e aveva reagito discretamente bene alla notizia che alcuni contadini si erano messi in testa di strappargli di mano la città.
 “In molti credono che tu sia morto da mesi – gli disse Caterina quel giorno, mentre gli porgeva il calice con la solita pozione per i nervi – e questo, lo capisci anche tu, non è un bene per la nostra famiglia.”
 Caterina aveva usato volutamente le parole 'nostra famiglia', cosa che non faceva spesso. E aveva fatto centro.
 Rincuorato proprio da quelle parole, che lo facevano sentire meno solo, Girolamo prese il calice e disse, con voce roca: “E cosa potrei fare per rimediare a questa cosa?”
 La buona volontà in quel periodo non gli mancava. Se solo fosse riuscita a lasciare da parte anni di infelicità, forse Caterina avrebbe anche potuto cominciare ad andare d'accordo con suo marito.
 “Dovresti mostrarti in pubblico, prima di tutto qui a Imola. E poi dobbiamo riportare la cort a Forlì. Abbiamo già aspettato troppo.” disse lei, usando ancora il plurale.
 Girolamo spalancò gli occhi, terrorizzato alla sola idea di uscire da palazzo, figuriamoci mettersi a girare per Imola o tornare a Forlì!
 Caterina gli prese una mano tra le sue, lottando strenuamente con la neausa che la prendeva nel fare quel gesto e gli disse, a voce bassa e convincente: “Lo dobbiamo fare. Per i nostri figli.”
 Girolamo, allora, deglutì un paio di volte, e poi, soggiogato da quella mezza promessa di complicità della moglie, finalmente acconsentì: “Farò come dici.”
 
 Caterina scelse personalmente gli abiti di Girolamo e il cavallo che avrebbe montato.
 Dopo mesi passati senza cavalcare e senza nemmeno mettere il naso fuori dal palazzo, per il Conte fu un vero dramma uscire in strada.
 Immediatamente molti imolesi notarono la novità e si misero a chiamare amici e vicini affinché anche loro assistessero al 'miracolo'. Tutti loro riconoscevano senza ombra di dubbio il profilo dritto e i capelli inanellati di Girolamo Riario, tuttavia nessuno di loro avrebbe mai creduto di rivederlo in vita e apparentemente in buona salute.
 Caterina lo sguì a distanza, per non rubargli in alcun modo la scena e fu abbastanza lieta di vedere come il marito, per quanto teso e preoccupato, riuscì a fare il giro completo delle vie principali della città senza mai bloccarsi o cercare di tornare indietro.
 
 “Non vorrai passare per i boschi...?” chiese Girolamo, atterrito.
 L'avevano messo a cavallo quasi di peso e avevano dovuto preparare al suo posto i suoi bagagli.
 Aveva acconsentito a farsi vedere in giro per Imola, ma quando si era trattato di prepararsi per il ritorno in Forlì, aveva ricominciato a ribellarsi, anche se in modo molto debole e poco convinto.
 Il corteo dei Conti vantava alcune guardie, qualche soldato, i muli con i loro averi più preziosi e i figli, che viaggiavano in un carretto assieme alle balie e ai medici del Conte.
 “No, questa volta passiamo per Faenza. E ci faremo anche notare.” disse Caterina, che aveva nella mente un piano ben preciso.
 I Manfredi, più di tutti, avevano alimentato i pettegolezzi sulla morte prematura di Girolamo, quindi gli abitanti di Faenza dovevano vedere coi loro occhi il redivivo Conte. In quel modo, non solo avrebbero tutti saputo che Girolamo era vivo, ma avrebbero anche dubitato una volta di più dell'onesta dei loro signori.

 Galeotto Manfredi guardava la moglie, Francesca Bentivoglio, come si guarderebbe una fragilissima statua di cristallo.
 Quella giovane donna di diciannove anni era riuscita a metterlo in ridicolo e a farlo sfigurare davanti alla città intera scappandosene nella casa dei genitori pochi mesi addietro e solo in agosto Galeotto era riuscito a riportarla a sé.
 Forse la colpa dei loro rapporti tesi e contraddittori era anche un po' sua. Però anche sua moglie avrebbe dovuto capire che il loro era stato solo un matrimonio di convenienza. Era stato Lorenzo Medici a intercedere affinché le loro famiglie si unissero... Francesca non poteva certo aspettarsi un matrimonio d'amore!
 Galeotto poteva riservare il suo amore solo per la sua adorata Cassandra Pavoni, l'unica donna che mai avrebbe amato... Era crudele da parte di Francesca esigere che lui dicesse addio per sempre a colei che era stata da sempre la luce dei suoi occhi.
 Però le apparenze per un signore sono tutto e così aveva dovuto fare del suo meglio per riportare la moglie sotto al tetto coniugale e per farcela rimanere.
 “I Conti Riario sono in città, mio signore – disse uno dei suoi servi personali, avvicinandolo – sono stati visti al Santuario...”
 Galeotto smise di guardare la moglie, che stava ricamando con lentezza, e fissò il servo: “Cosa?!”

 “Cominciavo a chiedermi quando sarebbe arrivato...” soffiò Caterina, che era stufa di fingere di pregare davanti alle reliquie di un beato di cui non le importava nulla.
 Girolamo si voltò di scatto, a quelle parole, e quando vide incedere Galeotto Manfredi con accanto la giovane moglie, si sentì mancare. Perchè Caterina aveva voluto sfidare così il signore di Faenza? Perchè si erano recati al Santuario senza chiedere il permesso ai Manfredi? Che cosa ne sarebbe stato di loro?
 Galeotto si avvicinava sempre di più e parimenti sulle sue labbra si formava un largo sorriso e le le sua braccia si allargavano come se volesse abbracciare i Conti Riario.
 “Scusate se mi presento vestito così miseramente e senza grandi ambasciate...” disse Manfredi, dando una sonora pacca sulla spalla a Girolamo, che barcollò sul posto, e facendo il baciamano a Caterina: “Ma non sapevo che sareste passati di qui...” aggiunse, guardando la Contessa con insistenza.
 “Nemmeno noi pensavamo di fare questa deviazione.” spiegò Caterina, con fare casuale: “Ma mio marito sentiva il bisogno di fermarsi a pregare in questo Santuario, per ringraziare Dio di averlo guarito dalla sua malattia.”
 “Vi vedo bene, in effetti.” sussurrò Manfredi, squadrando criticamente Girolamo.
 Questo deglutì e annuì in imbarazzo, cercando soccorso nello sguardo della moglie.
 Caterina allora prese la parola: “Ora ci togliemo d'incomodo. Se vorrete farci pagare pedaggio, mandate pure il conto alla corte di Forlì, visto che è là che stiamo andando.”
 Galeotto si accigliò, cercando di capire se in quelle parole ci fossero dei sottintesi che gli sfuggivano, poi disse: “Come preferite, Contessa.”
 Dopodiché Galeotto scambiò due parole con Girolamo, parlando del tempo e complimentandosi ancora con lui per la sua splendida forma. Benché fosse palese l'esagerazione in quei complimenti, Girolamo non colse l'ironia e accettò di buon grado le parole di quell'uomo.
 Caterina, intanto, era stata avvicinata da Francesca Bentivoglio, che le disse a voce bassissima: “Credevo che aveste ucciso vostro marito. Anche Galeotto ne era certo.”
 Caterina si finse scandalizzata: “Come potevate credere a una simile menzogna...!”
 Francesca alzò una spalla: “Non sareste l'unica a volere morto il proprio marito.”
 Caterina guardò a lungo la giovane che le stava accanto e per un momento le ricordò sua sorella Chiara e tanto bastò a farle venire i brividi.

 Il 2 novembre 1487 finalmente, dopo mesi di lontananza, Girolamo Riario tornò in Forlì.
 Non appena venne riconosciuto, la voce che il Conte Riario era vivo ed era in città si spanse a macchia d'olio nell'arco di nemmeno mezz'ora e in breve tutta la città era riversa in strada per vederlo rientrare in città.
 I Conti sfilarono lentamente e con grande eleganza per le strade principali di Forlì, prima di raggiungere il loro palazzo. Indossavano i loro vestiti migliori e quei pochi averi preziosi che ancora possedevano erano ben visibili in groppa ai muli che li seguivano.
 I loro figli, soprattutto i più grandicelli, occhieggiavano dal carretto su cui viaggiavano e incantavano, tanto erano belli. In fondo, entrambi i genitori erano di rara bellezza, dunque i loro figli non potevano che eguagliarli almeno nell'aspetto.
 Serio e accigliato, Girolamo non dispensò salutì né si curò di accertarsi di come la gente lo stesse accogliendo.
 Nemmeno Caterina, dissimilmente da come avrebbe fatto in altri tempi, si profuse in eccessivi slanci di benevolenza o affetto nei confronti dei forlivesi.
 Per quanto fosse decisa a mantenere il favore popolare, la Contessa doveva ancora riprendersi dalla delusione che aveva provato nel vedere insorgere una congiura dopo l'altra e, soprattutto, nel sapere quei cittadini tanto propensi a inventare su di lei le peggiori storie di infedeltà e di violenza.
 
 'La strega l'ha riportato in città, facendo senza volerlo il nostro gioco. L'ha rimesso in piedi e l'ha riportato alla vita come mai nessuno sarebbe riuscito. In questi mesi invernali faremo del nostro meglio per farlo cadere in errore e in breve la gente dimenticherà il pugno di ferro di lei e penserà solo alle tasse imposte da lui. Entro primavera, avremo la nostra vendetta. Sempre fedele, M. M.'

 'Conto sulle vostre parole. Ricordate quello che ci siamo detti negli ultimi mesi. Colpite lui, senza pietà alcuna, ma per il momento non toccate lei. Se Dio vorrà, la vendetta cadrà quasi nel decimo anniversario del crimine che tanto ci addolorò. Apprezzo la vostra fedeltà. Tenetemi informato, L.'

   
 
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