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Autore: lisitella    09/03/2016    9 recensioni
Ho parlato con Alex, ha detto che non vuole un patrigno, ha detto che vuole solo sua madre
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il sacrificio

 

 


 
La voce di Alex si alzò di tono: “Ho detto no, no. Se tu lo fai scappo di casa!”


Uscì dalla stanza sbattendo la porta.


Rimasi ferma sulla sedia, le mani in grembo, la testa china. Ripensavo al burrascoso colloquio. Perché avevo parlato? Eppure non avrei potuto tacere. Il ticchettio della sveglietta, là sul tavolo, mi riscosse.


Guardai l’ora. Dissi: “E’ tardi, devo andare da lui, mi aspetta”. Il volto di Rino, con quello sguardo fermo, con il sorriso appena accennato, mi apparve. Mi persi in quel breve ricordo. Da quanto tempo ci conoscevamo? Da anni? Da secoli? Soltanto da pochi mesi, eppure io mi sentivo legata a Rino come se fossimo vissuti insieme per lunghi anni. Così forte, tranquillo. Le sue parole scendevano in me come un balsamo, mi sentivo sicura vicino a lui, protetta, difesa. Dimenticavo tutto, mi pareva di rivivere una giovinezza ormai trascorsa.


Mi alzai con uno sforzo, andai a prepararmi. Il volto riflesso nello specchio era pallido, teso. Alex, non potevo dimenticarlo, né dimenticare le sue parole, la voce alterata, gli occhi fiammeggianti. Ma non potevo nemmeno dimenticare i sedici anni trascorsi insieme, i primi passi, le prime parole. Quanto era tenero, morbido quando lo stringevo a me. Lo sentivo tutto mio, un piccolo essere che chiedeva aiuto, conforto.


Rino, seduto al tavolo del bar, attendeva da vari minuti. La tazzina del caffè era ancora intatta, i suoi occhi scrutavano la strada al di là del vetro. Passava parecchia gente, ragazze ridenti, giovani frettolosi, donne affacendate, ma lui ancora non mi vedeva. Ero sempre puntuale.
Tamburellò con le dita sul piano del tavolino, unico segno del suo stato d’animo. Il viso si rischiarò, apparvi all’angolo, camminavo in fretta. Lo guardai, sorrise, era bello, caro, dolce, l’uomo per me.


Mi vide subito il volto pallido, lo sguardo sfuggiva al suo.


“Ho tardato, scusami”.


“Sei qui, ora”, disse prendendomi una mano e stringendola con gesto affettuoso. Lui capii le parole non espresse. “Sei qui, con me, che importa se hai tardato? Siamo insieme”.


Sembrai occupata a togliermi i guanti.
“Che cosa vuoi?”.


“Un caffè grazie”. Tacqui, lo sguardo lontano.


“Loretta, che cosa hai? Non mi guardi, il tuo volto è triste”. Si chinò verso di me cercando di leggere nello sguardo che lo sfuggiva.


“Ho parlato con Alex”, dissi piano.


“Hai parlato di noi?”, chiese lui, ma già l’aveva intuito.


“Si, non potevo più tacere. Ho detto quanto sei caro, che da quando ti ho conosciuto mi sento serena, tranquilla, felice, che mi vuoi sposare, che ci vogliamo sposare”. Tacqui, lasciai che Rino tenesse le mani fra le sue, senza parlare. Lui aspettava.


“Alex si è ribellato, ha detto che non vuole un patrigno, che io devo togliermi certe idee. Io devo essere soltanto sua madre, non la moglie di un tale chisachisia. Così ha detto e se non fosse stato per il tono irato con cui  ha pronunciato queste parole, avrei anche riso. Ma il suo sguardo era torbido”.


Tentai di scusarlo. “E’ sempre stato geloso di me, fin da bambino, siamo vissuti l’una per l’altro, capisci?”, dissi guardandolo in viso come a fargli intendere meglio quello che volevo dire. “Ha detto che non vuole che mi risposi. Se lo facessi”, e quì la mia voce tremò, “fuggirebbe di casa. Sarebbe capace di farlo, lo so”.


Al di là della strada l’andirivieni della gente seguitava, si udiva il clacson di una macchina, il fischiettare di un vigile. Il cielo era sereno, l’aria limpida. “Si potrebbe essere felici”, disse Rino, “e invece basta un ragazzo egoista a frantumarci la gioia”. Sospirò, parlò piano.
“E’ giovane, non devi spaventarti per le sue minacce, è cresciuto senza padre, ti ha avuto sempre attorno, ma capirà, vedrai, e poi anche lui si farà la sua vita. Non potrà star sempre con te”.


“No”, scossi il capo, “lo conosco troppo bene: soffre, soffre in modo indicibile, anche se è violento, testardo, apparentemente cattivo, e so che la metterebbe in pratica quella minaccia: se ne andrebbe. Se ne vanno via con tanta facilità, i giovani d’oggi… e io vivrei nel rimorso, nel terrore”.


“Loretta, ma che vuoi dire, ora?” Mi obbligò a guardarlo. Cercò di leggere nei miei occhi. Scossi il capo esausta.


“Dobbiamo lasciarci, Rino”.


“Lasciarci? Per uno stupido ragazzo capriccioso che un giorno non lontano se ne andrà via verso il suo destino? Ma come puoi credere a lui? Come puoi dimenticare le ore passate insieme, i momenti sereni?”


“E’ mio foglio, non voglio farlo soffrire”.


“E a me non pensi? Ma io ti amo Loretta”.


”Anch’io”, dissi sommessa, “anch’io”.


“E allora che importa il capriccio di Alex! Gli passerà. Anche tu hai diritto a un po’ di felicità. Mi hai detto che non hai goduto molto, nella tua breve vita matrimoniale. Ti sei sempre dedicata ad Alex. Ora puoi pensare a te. Ci amiamo, Loretta, pensa a questo. Null’altro conta”.
Mi alzai. “No, ho letto il dolore nei suoi occhi, non posso farlo soffrire. Sono venuta a dirti addio, Rino. E’ sciocco, è triste salutarti per sempre in un bar, lo so. Ma non posso rivederti più. Ho già scelto, anche prima di venire da te”.


Rino mi si mise al fianco. “Ti accompagno, dobbiamo ancora parlare, non puoi lasciarmi…”.


“Addio Rino, grazie di avermi amata. Ti ricorderò per sempre”.


Rapida uscii dal locale. Lui rimase fermo a guardare laggiù dove ero scomparsa e capì che il suo amore era stato vinto da un affetto più profondo, anche se diverso. Ma lui avrebbe atteso perché io, lo sapeva, ne era convinto, ero la sua donna. Avrebbe atteso e sperato.

 
 
   
 
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