«Sei
un essere speciale, e io avrò cura di te»
Franco
Battiato, Avrò cura di te
31 agosto 2017
“Et
voilà, la bouillabaisse !” Fleur
comparve nella sala da
pranzo con una grossa pentola, contenente la tradizionale zuppa di
pesce
provenzale. Tutti i commensali applaudirono, e Victoire si
unì agli elogi,
anche se con poco entusiasmo. Le piaceva la bouillabaisse, ma trovava
seccante che
ogni volta che i nonni Delacour venivano a trovarli, affrontando il
viaggio da Marsiglia,
sua madre dovesse preparare quel piatto che loro erano abituati a
mangiare,
come se il cibo inglese non fosse degno di accostarsi ai palati
raffinati di
Apolline e Arnaud.
“Chérie,
je l’adore, elle est pareil à celle que
l’on mange chez nous !”
sentenziò Mme Delacour.
In
realtà, non era solo la bouillabaisse a irritare Victoire.
Da
quando, tre giorni prima, i Delacour erano arrivati Villa Conchiglia,
lei e
Dominique non avevano avuto un momento di pace. Apolline commentava
tutto ciò
che facevano, il loro modo di vestire e la loro pronuncia del francese,
rendendole estremamente impazienti di tornare a Hogwarts. Fleur, da
parte sua,
era sotto pressione: esigeva che ogni dettaglio fosse curato e
perfetto, ed era
sul punto di far perdere la calma al paziente Bill. Louis era stato
coinvolto
nelle pulizie generali antecedenti la visita dei nonni, e durante la
loro
permanenza aveva trascorso ore a sbucciare patate, esperienza che lo
aveva
indotto ad affermare che non avrebbe più mangiato tuberi in
vita sua.
Oltre
a tutta la tensione che si era diffusa tra i Weasley,
Victoire aveva un motivo in più per desiderare che il 1
settembre arrivasse
presto. C’era una domanda, una questione che, ne era certa,
Arnaud avrebbe
tirato fuori alla prima occasione, e fino a quel momento aveva fatto di
tutto
per svicolare. Tuttavia, quello era l’ultimo pranzo, e
c’era da scommettere che
il nonno avrebbe insistito, mettendola alle strette. Per questo motivo
Victoire
era tesa come una corda di violino, al punto che, quando dalla finestra
vide un
gufo che si avvicinava alla casa, si alzò per aprire la
persiana e inciampò,
trascinandosi dietro alcuni piatti, con grande ilarità di
Apolline, e
conseguente disappunto di Fleur.
Il
gufo le consegnò una busta che recava scritto “Victoire Weasley, Villa Conchiglia, Tinworth,
Cornovaglia” e riconobbe immediatamente la
calligrafia. Fu una fortuna,
perché le fece capire che non era il caso di aprire la
lettera durante il
pranzo, ma di aspettare. Allo stesso tempo, il desiderio di aprirla la
rese
ancora più impaziente di alzarsi da tavola, anche se sapeva
che era fuori discussione.
“Dominique,
questo sarà il tuo quinto anno a Hogwarts. Sei
pronta per i G.U.F.O.?” chiese Apolline alla secondogenita di
Bill e Fleur, la
quale trasalì.
“Si,
ecco, dovrò studiare molto…”
“Trovo
vraiment
inutile quest’idea degli esami al quinto anno. È
molto melio il méthode
che si
usa a Beauxbatons.” Sentenziò Mme Delacour.
“Ci
sono anche aspetti positivi, per esempio dopo i
G.U.F.O…”
“Hai
ragione, maman, è
veramente absurde.”
Chiosò Fleur, con uno sguardo eloquente a Dominique. La
ragazza tacque, con uno sguardo cupo.
“Anche
per te sarà tempo di
esami, non è vero, Victoire?” intervenne Arnaud.
“Proprio
così. Sosterrò i
M.A.G.O. in Aritmanzia, Babbanologia, Trasfigurazione, Difesa contro le
Arti
Oscure e Storia della Magia.”
“Che
strane materie! Né Pozioni,
né Erbologia! E dire che la nostra famiglia vanta una grande
tradizione di
pozionisti.” Era vero, nei secoli i Delacour si erano
contraddistinti per la
loro capacità nel campo delle Pozioni, tanto che una prozia
di Fleur, Elladora
Delacour, aveva scritto un trattato sulle pozioni a base di fiori, Miscele e giardini, che aveva riscosso
un grande successo ed era ancora utilizzato in alcuni corsi di pozioni.
Tuttavia, Victoire non aveva ereditato dai Delacour
quell’interesse, lei si
sentiva più simile agli Weasley, soprattutto a nonno Arthur.
“Sono
materie che non mi
appassionano. Ho intenzione di dedicarmi agli studi sociali, in
particolare ai
rapporti tra Maghi e Babbani.” Apolline sussultò,
ma non disse nulla.
“Immagino
che al Ministére de
la Magie potresti farti onore nel campo della sociologia magica, date
le tue
origini straniere.”
“Ministére
de la Magie?”
“Ma
certo, cara. Non hai sempre
detto che avresti voluto trasferirti en
France, dopo il diploma?”
Eccola,
la domanda che Victoire
voleva evitare. Da quando era piccola, e andava in vacanza in Francia
con i
genitori, il paese d’origine di sua madre aveva esercitato su
di lei un grande
fascino. La pace dell’Alsazia, la bellezza della Costa
Azzurra e l’incanto di
Parigi erano per lei il luogo ideale di tutti i suoi sogni e
fantasticherie. Per
questo, negli anni, aveva ribadito più volte il suo
desiderio di trasferirsi a
Marsiglia, presso i nonni materni, una volta terminati gli studi.
Adesso,
tuttavia, erano entrate in gioco nuove componenti, e Victoire non era
più così
sicura di voler lasciare l’Inghilterra.
“Può
darsi, non ho ancora
deciso. In questo momento penso che la priorità sia la
scuola, dopo gli esami
deciderò con calma.”
“Je comprends, anche se mi sembra
impossibile che si possa preferire
questo clima umido al sole della Provenza.” Disse Arnaud.
“Il
clima della Cornovaglia non
è così umido, papa.
Non ricordi
quanto freddo faceva in Scozia, al Torneo Tremaghi?”
intervenne Fleur.
Dal
momento che gli adulti
avevano indirizzato il discorso sul clima, argomento su cui non
avrebbero avuto
bisogno di interpellare Victoire, la giovane decise di defilarsi, per
poter
leggere in pace il messaggio che aveva ricevuto. Scelse la propria
camera come
nascondiglio, perché era l’unico luogo in cui
Dominique e Louis non l’avrebbero
scoperta. Chiuse la porta con un incantesimo, si sedette alla scrivania
e aprì
la busta. Dentro trovò un biglietto che sembrava scritto con
una grafia
frettolosa, seppur facilmente riconoscibile.
Cara
Victoire,
mi
dispiace disturbarti oggi, che è l’ultimo
giorno che puoi trascorrere con i tuoi genitori, ma ho bisogno di
parlarti di
una questione che è per me di vitale importanza.
Ti
aspetto da Haagen Dazs, in Leicester Square.
Spero che riuscirai a venire.
Teddy
Non
appena ebbe terminato di
leggere la lettera, Victoire fu colta da frenesia. Doveva trovare un
modo per
raggiungere Teddy il più presto possibile. Da quando, alcuni
mesi prima,
avevano cominciato a uscire insieme segretamente, Teddy si era sempre
dimostrato disponibile ad ascoltare tutto ciò che lei aveva
da dire, facendola
sentire apprezzata in modo completamente nuovo, ma non le aveva mai
manifestato
il proprio bisogno di stare con lei. Poteva sembrare stupido, ma
più di tutto a
Victoire importava potersi prendere cura di lui, e il fatto che lui non
glielo
permettesse la rattristava. Ora, quella lettera denotava chiaramente il
bisogno
di Ted Lupin di vedere lei, Victoire, e avrebbe fatto di tutto per
correre da
lui.
La
loro relazione era ancora
ignota a tutti i loro conoscenti, perché entrambi potevano
immaginare le
reazioni che la notizia avrebbe suscitato nelle loro famiglie, e non
avevano
fretta di verificare. Per questo motivo erano soliti incontrarsi in
locali per
adolescenti Babbani, dove nessuno li conosceva. Haagen Dazs era il
preferito di
Teddy, che aveva scoperto una passione per il gelato, mentre Victoire
prediligeva i Frappuccini di Starbucks.
Victoire
cercò alcuni vestiti
Babbani nell’armadio, e pescò una gonna blu e una
camicetta bianca, che coprì
con il suo cappottino grigio. Legò i capelli biondi in una
treccia e scese in salotto.
Quando Fleur la vide comparire vestita in quel modo, assunse
un’espressione
così arrabbiata che Victoire avrebbe giurato di aver visto
del fumo uscirle
dalle orecchie.
“Victoire,
qu’est-ce que tu fais ?”
“Je dois
sortir, c’est très
important. Au
revoir, les grandparents!”
Fleur
fece per alzarsi, ma
prima che la raggiungesse, sua figlia si era già
Smaterializzata.
Victoire
apparve in Leicester
Square, e si guardò intorno per controllare che nessuno
avesse notato la sua
comparsa. Era già abbastanza nei guai senza ricevere un
richiamo dal Ministero
a causa dello Statuto internazionale di Segretezza. I suoi,
specialmente sua
madre, si sarebbero infuriati quando fosse tornata, ma in quel momento
non era
la sua priorità. Individuò facilmente Haagen
Dasz, e vi si diresse a passo di
carica.
Appena
entrò, avvertì una
sensazione di disagio mista a interesse. La difficoltà era
data dalla sua
scarsa conoscenza diretta dei Babbani, sebbene avesse letto molti libri
su di
loro, l’interessamento era legato dal fascino che la
comunità non magica
esercitava su di lei. In particolare, i suoi coetanei Babbani erano per
Victoire oggetto di grande interesse, e si divertiva a studiarne i
comportamenti e le stranezze. Il loro rapporto con la tecnologia, per
esempio, la
stupiva, e avrebbe voluto saperne di più.
Si
guardò intorno. Nel mondo
magico, era semplice riconoscere Teddy dalla sua caratteristica
principale, la
chioma dal colore cangiante e sempre in disordine. Tra i Babbani, il
ragazzo si
adattava a trovare mille modi diversi di nascondere i capelli sotto
berretti e cappelli
di varie fogge, perché gli era impossibile controllarne i
cambiamenti: in
genere variavano con il suo umore o con la persona con cui si trovava.
Victoire,
tuttavia, aveva
trovato un altro espediente per individuare il ragazzo, anche in mezzo
a una
vasta folla. Infatti, Teddy non aveva il minimo gusto estetico, e in
ogni
occasione finiva per attirare l’attenzione con le sue mise
improponibili. Per
lei, che oltre ad essere un’appassionata di moda magica,
conosceva bene le
tendenze Babbane, era semplice riconoscerlo, anche se non esattamente
gradevole. Così, quando vide un ragazzo con un cappello
viola a pois gialli e
una sciarpa a quadretti blu elettrico e rossi, si avvicinò
al suo tavolo. Lui
la riconobbe quasi immediatamente.
“Victoire!”
dal suo tono si
deduceva grande agitazione, così la ragazza pensò
che non fosse il caso di
fargli notare l’improbabilità del suo abbinamento.
Teddy si alzò e le andò
incontro, e lei si strinse a lui.
“Cosa
succede?” sussurrò,
praticamente al petto del ragazzo, perché era molto
più alto di lei. Lui
sciolse l’abbraccio e le fece segno di sedersi.
“Ieri
sera sono stato dai
Potter, e sono venuto a conoscenza di un segreto.”
Esordì Teddy.
Victoire
sospirò. Era abituata
ai segreti che saltavano fuori all’improvviso, come tutti i
suoi cugini.
D’altronde, la sua famiglia era troppo numerosa, ed era stata
coinvolta in
troppe avventure, perché lei e gli altri giovani Weasley
potessero scoprire
tutti i segreti contemporaneamente. C’era stata la storia di
zio Harry, quella
del torneo Tremaghi, si era scoperto che zio Percy aveva abbandonato la
famiglia per poi tornare solo alcuni anni dopo, che zia Hermione era
Nata
Babbana e Bill era stato morso da un Lupo Mannaro, e tutto
ciò non era nulla in
confronto a quando zio George aveva raccontato la storia del suo
gemello, Fred.
Per Victoire era normale che certe notizie potessero saltare fuori a
distanza
di anni, e sapeva che Teddy, che aveva perduto i genitori e il nonno
quando era
in culla, negli ultimi diciannove anni aveva ricevuto
un’ingente quantità
d’informazioni. Il fatto che quella notizia, in particolare,
fosse così
sconvolgente per lui, indicava che doveva essere una cosa della massima
gravità.
“Cosa
ti hanno detto?”
Teddy
esitò. Temeva che, una
volta scoperto il suo segreto, Victoire avrebbe avuto paura di lui. Non
l’avrebbe sopportato. Tuttavia, questo timore gli fece capire
quanta importanza
lei avesse per lui. Se teneva a lei, doveva rivelarle quel terribile
segreto.
Era necessario, sentiva che aveva bisogno di fidarsi della giovane
Weasley.
“Mi
hanno rivelato che, quando
era molto piccolo, mio padre fu morso da un Lupo Mannaro. Mio padre era
un Lupo
Mannaro.”
Victoire
tacque, per un istante
che per Teddy fu eterno. I suoi occhi si spalancarono a poco a poco,
illuminandolo con il loro azzurro, in un’espressione di
grande stupore, poi lei
si spinse in avanti e prese la sua mano fra le proprie.
“Quanta
paura avevi di
raccontarmi questa cosa?”
Aveva
capito tutto. Ogni
dubbio, ogni esitazione, ogni paura, lei li aveva colti. Ma
c’era una cosa
ancora più incredibile. Sembrava che le importasse
più di come lui stesse
vivendo quella notizia, che della notizia in sé.
“Beh,
parecchia. Non sapevo
come avresti potuto reagire. Io non so ancora come
accettarla.” Sussurrò il
ragazzo, giocherellando con i bottoni della sua camicia Babbana.
“Come
la vorresti accettare? Si
tratta di tuo padre, prima di tutto. Aveva un problema, ma non
determina chi
lui fosse veramente, lo dimostra il fatto che sia comunque riuscito a
fare cose
meravigliose.” Lo sguardo di Victoire si posò
fisso su di lui, e Teddy sentì un
brivido corrergli lungo la schiena. In quel momento raggiunse una
consapevolezza.
“Io la amo.”
“Teddy,
non giudicare tuo
padre. Non era qualcosa che dipendesse da lui, e sicuramente
avrà sofferto
molto. Vuoi che ti elenchi i motivi per cui puoi, e devi, essere
orgoglioso di
uno dei martiri della guerra, le cui gesta si studiano sui libri di
Storia
della Magia?”
“Lo
so, lo so. È solo che non
riesco ad associare l’immagine che ho sempre avuto di lui,
l’eroe della guerra,
con quella che ho adesso, un Lupo Mannaro, un reietto. È
come se fossero due
persone diverse.”
“Sono
la stessa persona. Se ci pensi,
è ancora più grandioso, ancora più
eroico, che sia riuscito a fare ciò che ha
fatto, essendo un Lupo Mannaro.”
“Forse
hai ragione. Poco fa, ho
pensato una cosa.”
“Cosa?”
“Se solo lui fosse ancora vivo, io non avrei scoperto questa
cosa a diciannove anni.
Probabilmente l’avrei sempre saputo. Invece non conosco
nulla, se non quello
che mi hanno raccontato, e ora mi sembra di non sapere nulla, e in
realtà io
vorrei solo poterlo conoscere, e…” Teddy non
riuscì a continuare, sentiva che
stava per scoppiare a piangere, e non voleva che lei lo vedesse.
Victoire
intuì la situazione, e
gli si avvicinò per stringerlo forte a sé,
nell’esatto momento in cui lui la
circondò con le proprie braccia e la baciò con
un’urgenza che tradiva tutto il
suo bisogno di certezze. Lei comprese quella necessità, e
l’assecondò
rispondendo delicatamente al bacio del ragazzo.
Ω
Era
una tranquilla sera di fine
estate, e le vie di Diagon Alley erano deserte, dopo giorni di
affollamento,
dovuto agli acquisti antecedenti il ritorno a scuola per tutti gli
studenti di
Hogwarts. Ron aveva chiuso il negozio, salutato George, e ora stava
rientrando
in casa, dove Hermione e i ragazzi lo aspettavano, per una cena molto
speciale.
Erano
giorni che Hermione, con
la precisione che la contraddistingueva da quando suo marito la
conosceva,
pianificava quella serata. Aveva preparato salsicce con purè
di patate, pie con
crema di pollo e funghi, Jacked potato e, per dessert, una Red velvet
cake. In
una parola, tutti i piatti preferiti da Rose, per celebrare degnamente
l’ultima
sera che la loro figlia maggiore avrebbe trascorso a casa.
L’indomani,
avrebbero dovuto accompagnarla a King’s Cross e guardarla
partire verso una
nuova avventura, senza di loro.
Quando
Ron aprì la porta, fu
accolto dal profumo di salsicce grigliate. Hermione gli venne incontro
con un
libro tra le mani, un’immagine consueta. Ron era abituato a
vedere la moglie
con un volume in mano, che si trattasse di tomi di diritto magico,
libri di
Storia della Magia o fiabe per bambini. Questa volta, il libro era un
ricettario che Hermione aveva ricevuto in dono da Molly, e che per
questo
conservava come un cimelio.
“Buonasera,
Hermione. Che
ottimo profumo!”
“Grazie,
Ron, sono arrivata
prima dal lavoro per preparare tutto. Spero che Rosie
apprezzerà.”
“Sono
certo di sì, e…” Ron non
poté terminare la propria frase incoraggiante,
perché fu interrotto dall’arrivo
di Hugo, che gli saltò al collo e iniziò a
frugargli nelle tasche, in cerca di
qualche nuovo scherzo messo a punto per i Tiri vispi Weasley. Il padre
lo
depose a terra, poi seguì la moglie in cucina, dove lei gli
fece assaggiare la gravy sauce che
aveva preparato per
accompagnare le salsicce.
“Ottima,
Hermione. Sembrerebbe perfino
meglio di quella di mia madre.” Si complimentò
lui, facendola arrossire.
“Non
dire sciocchezze,
piuttosto, hai preso il regalo?”
“Certo,
eccolo.” Rispose lui,
mostrando un pacchettino rosa incartato con cura.
Poco
dopo, Rose Weasley fece il
suo ingresso nella sala da pranzo, con un bel vestito blu notte che
creava uno
splendido contrasto con il rosso dei capelli, sciolti sulle spalle. Era
stata
un’idea di Hermione quella di festeggiare
quell’occasione, per esorcizzare la
tristezza della separazione dalla figlia.
La
serata trascorse
felicemente, tra le ottime portate cucinate da Hermione, le battute e
gli
scherzi di Ron e le prese in giro tra Rose e Hugo. Gli Weasley
consegnarono
alla figlia il pacchetto, contenente un piccolo ciondolo apribile, al
cui
interno si trovava una fotografia magica, che ritraeva Hermione e Ron
al loro
primo anno a Hogwarts, quando avevano la stessa età di Rose.
La ragazzina parve
apprezzare il pensiero, anche se lo accolse a modo proprio.
“Mamma,
ma avevi dei dentoni
enormi! E papà, che buffo taglio di capelli!”
Hermione alzò gli occhi al cielo
e rabbrividì, pensando ai dentoni che l’avevano
accompagnata fino al quarto
anno. Adesso, grazie a Madama Chips, sfoggiava una dentatura perfetta.
“Se
fossi al tuo posto non
riderei così tanto, Rose, perlomeno papà aveva
molte lentiggini in meno,
rispetto a te!” esclamò Hugo, facendo leva sul
rapporto complicato tra la
sorella e quella sua caratteristica fisica, chiaramente ereditata dalla
famiglia paterna.
“Se
non altro, io non ho i tuoi
denti da castoro, fratellino.”
“Basta
ragazzi, smettetela. Vi
suggerisco di andare a letto, domani sarà una giornata
campale, soprattutto per
te Rosie.” I due acconsentirono, e presero la direzione delle
loro camere,
mentre Hermione rassettava la cucina. Ron si alzò per
aiutarla e, mentre
trasportava la pila dei piatti sporchi nel lavello con la bacchetta, si
accorse
che la moglie si era asciugata una lacrima.
“Andrà
tutto bene.” Sentenziò
il mago.
Hermione
alzò gli occhi pieni
di lacrime verso il marito, e si sorprese che lui avesse capito
così in fretta
il suo malessere. Infatti, per quanto avesse scelto Ron e lo amasse,
non poteva
negare che lui fosse spesso insensibile alle manifestazioni di
tristezza
altrui, e non perché si disinteressasse degli altri,
semplicemente non le
coglieva. Questa volta, tuttavia, Ron aveva intuito con
facilità i sentimenti
della moglie, probabilmente perché, dopo tutti quegli anni
insieme, la
conosceva come il palmo della sua mano.
“Lo
so, è brava, intelligente,
non avrà problemi. Però mi
mancherà.”
“Certo
che ti mancherà,
Hermione. È normale, sei sua madre. È difficile,
però non spetta a noi
trattenerla. È cresciuta, e noi non possiamo, non dobbiamo
fare nulla per
impedirle di prendere la sua strada.” Le disse, avvicinandosi
a lei per
abbracciarla. Hermione si lasciò stringere dal marito, e non
trattenne più le
lacrime che aveva frenato durante tutta la giornata.
“Mi
ricordo com’ero io alla sua
età, vorrei impedirle di ripetere tutti i miei errori. Ti
ricordi che
incoscienti eravamo?”
“Non
si può, e non sarebbe
nemmeno giusto. Ha undici anni, ha il diritto di commettere degli
errori. Altrimenti
non crescerà mai.”
Hermione
non rispose, ma continuò
a piangere silenziosamente, asciugandosi di tanto in tanto gli occhi
nelle
maniche dell’abito da strega.
“Eddai,
Hermione, probabilmente
sarà l’unica studentessa di Hogwarts in grado di
battere il tuo record di
Eccezionale, non possiamo certo tenerla a casa!”
Hermione
ridacchiò, tra le lacrime,
e si avvicinò al marito per baciarlo su una guancia.
“Allora
c’è solo da sperare che
incontri un compagno di Casa impacciato e divertente che le sappia
tirare su il
morale.”
Eccomi con il secondo capitolo, che inquadra le due protagoniste femminili di questa storia e il loro background famigliare. Victoire è divisa tra due identità, mentre Rose è alle prese con l'inizio del suo primo anno a Hogwarts. Spero abbiate apprezzato!
Lucia