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Autore: eliseCS    10/03/2016    2 recensioni
Secondo le regole dell’Accademia dei Guardiani un angelo custode è tenuto a seguire il suo protetto senza mai interferire nella sue azioni, rivelandosi ad esso solo in caso di particolare necessità e rigorosamente in un’unica occasione che non dovrà mai ripetersi.
Ma cosa succede se un angelo decide di sfruttare la sua unica Manifestazione per una circostanza che non rientra esattamente nei parametri che definiscono la particolare necessità?
Cosa succede se il protetto in questione non si accontenta e cerca in tutti i modi di incontrare di nuovo il suo angelo?
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Seguito della one-shot "In silenzio, tre passi indietro come un’ombra – Non ne vale la pena"
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Perché Dylan ha deciso che cosa (o chi) ne vale la pena e Aurora non ne è poi così dispiaciuta.
Perché un angelo custode e il rispettivo protetto possono incontrarsi una volta soltanto, ma forse loro sono l’eccezione che conferma la regola.
Genere: Fantasy, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In silenzio, tre passi indietro come un'ombra'
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2. Il tuo angelo
 
 
 
Dylan si svegliò al suono della voce di qualcuno che lo chiamava.
Si mosse lentamente sotto le coperte, confuso, cominciando ad apprezzare che il suono del suo nome pronunciato da chiunque stesse cercando di svegliarlo era ogni volta accompagnato da una fitta decisamente poco piacevole alla testa.
L’espressione mal di testa martellante non gli era mai sembrata così calzante.
 
Ormai strappato del tutto dal mondo dei sogni il ragazzo aprì finalmente gli occhi sbattendo le palpebre più volte per abituarsi alla luce del sole che entrava dalla finestra che qualcuno aveva già aperto per lui.
Mise a fuoco la figura di una contrariata Flor che lo osservava con un sopracciglio alzato e le mani sui fianchi.
Non capiva perché fosse venuta a svegliarlo: quando era vacanza poteva dormire quanto voleva e durante la settimana invece ci pensava la sveglia a…
 
Dylan rivolse il suo sguardo alla suddetta sveglia appoggiata sul comodino: segnava le 9.37 e l’abbreviazione del giorno della settimana sotto l’orario lo informava che purtroppo per lui il week-end era ben lungi dall’essere arrivato.
Era giovedì, erano le nove e mezza passate e lui era innegabilmente in ritardo per la scuola.
 
Di colpo la presenza di Flor ai piedi del suo letto acquistò il suo significato.
 
“In cucina la tua colazione e un’aspirina ti aspettano” commentò la donna quando fu sicura che Dylan avesse finalmente collegato il cervello in modo da poter capire quello che diceva.
“Se fai in fretta riesci ad arrivare per la terza ora” concluse poi lasciando la stanza.
 
 
Passato lo stordimento iniziale nella mente di Dylan si ricostruì quello che era successo la sera prima.
La risposta alla sua domanda per il college.
Il litigio con suo padre.
Il pub.
E di sicuro dopo veniva la sbronza, anche se non poteva dire di esserne certo perché se lo ricordava quanto per il fatto che quel mal di testa insopportabile, il saporaccio che aveva in bocca e il vago senso di nausea potevano essere ricondotti solo a quello.
Cavoli, non si ricordava nemmeno come era arrivato a casa!
 
Scalciò via le coperte e fece per alzarsi con movimenti lenti per evitare che la nausea degenerasse in altro, notando solo a quel punto, e con non poco imbarazzo, che fino a quel momento era rimasto nella posizione in cui aveva presumibilmente dormito tutta la notte: abbracciato al cuscino.
 
 
Fortunatamente la situazione era meno grave del previsto: dopo la doccia, una bella lavata di denti, la colazione e l’aspirina poteva dire di sentirsi quasi rinato.
Evidentemente al pub non aveva poi esagerato così tanto.
 
Una volta in macchina, la casa che si allontanava alle sue spalle, non potè però fare a meno di pensare di essersi dimenticato di qualcosa…
 
 
 
***
 
 
 
Quando la casa aveva cominciato ad animarsi Aurora dovette suo malgrado lasciare la posizione in cui si trovava.
Sapeva che di solito nessuno entrava in camera di Dylan quando il ragazzo stava dormendo, ma non poteva certo rischiare che l’unica volta che qualcuno fosse entrato avesse visto il ragazzo che dormiva mentre abbracciava… il vuoto.
 
Facendo attenzione ad ogni movimento si districò lentamente dall’abbraccio in cui era rimasta tutta la notte mettendo poi al suo posto il cuscino.
A quel punto sarebbe anche potuta andare via ma, doveva ammetterlo, era spaventata da chi avrebbe potuto trovare quando fosse tornata alla sua stanza.
Se per un semplice avvertimento avevano mandato Dave, il suo ex maestro, dopo quello che aveva combinato la sera prima si sarebbe ritrovata il Consiglio al completo, nella migliore delle ipotesi.
 
Si era quindi seduta sotto la finestra, le gambe incrociate e la testa appoggiata al muro, e aveva aspettato.
 
Ovviamente la sveglia non era stata impostata e Dylan continuò a dormire ben oltre l’ora che gli avrebbe consentito di arrivare a scuola in orario.
Forse per quella volta saltare le lezioni gli avrebbe fatto bene.
 
Lei sarebbe comunque rimasta lì ad aspettare che si svegliasse: prima di andare da qualsiasi parte doveva sapere
 
Evidentemente Flor non la pensava come lei riguardo il saltare la scuola visto che alla fine, nonostante gli avesse concesso due ore di sonno in più, aveva fatto il suo ingresso nella stanza e aveva svegliato Dylan senza farsi troppi problemi.
 
Era arrivato il momento della verità.
 
Osservò il ragazzo che riprendeva pian piano il contatto con la realtà quasi trattenendo il respiro.
Soffocò una risatina quando lo vide guardare confuso il cuscino che ancora stringeva tra le braccia per poi buttarlo subito dopo in malo modo sul letto.
Lo seguì quando salì in macchina e da lì a scuola.
 
Mai una volta l’aveva cercata, non una volta si era fermato a chiedersi dove fosse finita la ragazza che la sera prima lo aveva accompagnato a casa sano e salvo, evitandogli di diventare un’innovativa decorazione per il pavimento stradale.
Una parte di lei si sentiva quasi delusa, ma in fondo sapeva che era così che dovevano andare le cose: Dylan non si ricordava di lei e di quello che era realmente accaduto la sera prima, e andava benissimo così.
 
 
 
***
 
 
 
La sensazione di essersi dimenticato di qualcosa, qualcosa di importante, non aveva abbandonato Dylan per tutta la giornata.
Era persino più distratto del solito a lezione, il che era tutto dire.
 
Quando l’avevano visto entrare così tardi i suoi amici gli avevano subito chiesto spiegazioni, ma lui aveva velocemente liquidato la faccenda borbottando qualcosa che suonò come “Colpa di una sbronza non programmata” al quale ovviamente seguirono le lamentele dei ragazzi per non essere stati invitati.
 
Una volta tornato a casa Dylan pensò di aver finalmente avuto l’illuminazione: la sua lettera di accettazione del college!
Quando era uscito la sera prima l’aveva lasciata sul tavolino del salotto, e di sicuro suo padre aveva provveduto a farla sparire dalla circolazione visto che ovviamente non era più lì.
Poco male, l’avrebbe trovata, anche a costo di ribaltare lo studio del genitore, o di frugare tra i rifiuti se era per quello, meno male che facevano la raccolta differenziata.
 
Nonostante tutto sentiva che c’era ancora qualcosa che gli sfuggiva, come quando hai una parola sulla punta della lingua che proprio non ne vuole sapere di saltare fuori.
 
 
L’aiuto arrivò, totalmente inaspettato, da Flor.
 
La domestica aveva infatti appena finito di chiedergli come andava il suo mal di testa, che per fortuna sembrava effettivamente essere solo un ricordo di quella mattina, quando gli fece una domanda che non si sarebbe mai aspettato.
 
“E cosa mi dici di quella ragazza così gentile che ti ha riportato a casa tutto intero?”
Dylan si bloccò con uno dei biscotti che Flor gli aveva preparato per merenda a metà strada tra il piatto e la sua bocca.
“C-come scusa?” domandò a sua volta mettendo giù il biscotto e togliendosi le briciole dalle dita.
Aveva capito male, di sicuro. Non poteva essere che così.
“Ma sì, la moretta che ti ha praticamente portato di peso fino alla tua stanza, Dylan” continuò convinta lei. “Credo sia stata lei a metterti il pigiama perché ieri notte quando sei rientrato non eri di certo in grado di farlo da solo…” insistette facendogli addirittura l’occhiolino.
Il ragazzo sbattè più volte le palpebre completamente paralizzato.
Di cosa stava parlando Flor?
 
La donna era con loro da anni e ormai era diventata parte della famiglia tanto che risiedeva stabilmente in una delle stanze degli ospiti, che ora era sua a tutti gli effetti, da quando Dylan aveva cominciato il primo anno di scuola superiore.
In effetti era già capitato più di quanto il ragazzo ci tenesse ad ammettere che fosse stata proprio Flor ad accoglierlo quando tornava a casa la notte –o la mattina presto- ubriaco e a stento capace di reggersi in piedi, a scortarlo fino alla sua camera assicurandosi che arrivasse al letto senza che precipitasse giù per le scale durante il tragitto.
E fino a quel momento Dylan aveva pensato che anche quella volta non avesse fatto eccezione.
Evidentemente si sbagliava.
 
Flor era sì rimasta in piedi ad aspettarlo, ma quando era rientrato c’era già qualcuno con lui così lei era tornata a dormire senza farsi altri problemi.
 
Smise di ascoltare Flor che si stava chiedendo se ci fosse già una nuova fidanzata in vista nel momento in cui i ricordi della sera prima, tutti i ricordi, gli invasero la mente di colpo.
 
Stava tornando a casa.
Era talmente instabile che aveva regolarmente bisogno di appoggiarsi a qualcosa per recuperare l’equilibrio ed evitare di finire disteso per terra.
Solo che alla fine per terra ci era finito lo stesso perché nell’attraversare la strada non si era accorto di una macchina che era sbucata fuori dal nulla e per poco non era stato investito.
Ed era caduto, sì, perché qualcuno lo aveva tirato via all’ultimo momento e lui proprio non era riuscito a rimanere in piedi, finendo col trascinare quel qualcuno con lui.
E quel qualcuno altri non era che…
 
“Caro ti senti bene?” gli domandò Flor, e Dylan pensò che se la sua faccia rispecchiava anche solo in parte come si sentiva allora la donna non aveva tutti i torti a fargli una domanda del genere.
“Sì, certo… sto benissimo” rispose, ben consapevole di non essere stato neanche lontanamente convincente.
Fortunatamente Flor sembrò capire visto che non aggiunse altro e lasciò che il ragazzo si precipitasse in camera senza dire niente.
 
 
Il ragazzo buttò lo zaino in un angolo e si lasciò cadere sul letto a pancia in giù, il viso completamente immerso nel cuscino tanto che faceva pure fatica a respirare.
 
Si chiamava Aurora…
Era stata Aurora a impedire che finisse sotto quella macchina.
Aveva incontrato di nuovo Aurora e per colpa di tutto quello che aveva bevuto aveva quasi rischiato di dimenticarselo, si poteva essere più stupidi?
Non avrebbe mai più bevuto così tanto, decise, sorridendo poi ricordandosi di aver pensato qualcosa di simile anche la notte precedente.
 
E poi ricordò anche la frase, quella frase: “Sei ubriaco Dylan… e tutto questo è solo un sogno”
Così gli aveva detto, che quello, che lei, era solo un sogno.
E ci avrebbe anche creduto: quando si era svegliato Aurora non c’era più, come non c’era nessun segno che avrebbe potuto suggerire il suo passaggio nella sua stanza.
Ci avrebbe creduto se non fosse stato che però anche Flor l’aveva vista e lui proprio non credeva di aver avuto un’allucinazione collettiva.
 
Ma allora perché dirgli una cosa del genere?
Perché portarlo a credere che tutto quello non fosse mai successo?
 
Cercò di concentrarsi per ricordare esattamente cosa fosse successo dopo rimanendo abbastanza sorpreso dall’immagine che la sua mente gli fornì.
Aveva abbracciato Aurora dicendole che allora non voleva svegliarsi e poi era letteralmente crollato trascinandola nel letto con lui, ma non era quello il punto.
 
Il punto era che dopo mesi quella sensazione di non essere più solo, quella sensazione di avere qualcuno accanto come quando aveva i suoi momenti e si metteva a pensare seduto sul letto era finalmente tornata.
E lo aveva fatto nel momento in cui aveva abbracciato Aurora.
Non si ricordava di essersi mai sentito così bene come quando si era addormentato abbracciato a lei quella notte.
 
Se però poteva affermare con sicurezza che fosse lì con lui quando si era addormentato, altrettanto non poteva fare per tutte le altre volte che aveva avuto l’impressione che la ragazza fosse al suo fianco (perché sì, aveva deciso che quella sensazione era senz’altro opera di Aurora)
O stava impazzendo o c’era una spiegazione più o meno logica che ancora gli sfuggiva, e lui sperava con tutto se stesso che fosse la seconda.
 
“Non sono pazzo”
 
 
 
***
 
 
 
Quando Aurora aprì la porta della sua stanza non provò neanche a fingersi sorpresa nel trovare due persone che la aspettavano all’interno.
Dave la guardava con espressione indecifrabile e scosse la testa quando lei provò silenziosamente a chiedergli se fosse davvero messa così male.
Al suo fianco un funzionario del Consiglio, un ometto non troppo alto e rotondetto, i capelli color paglia, gli occhi marroncini, il naso a patata e le labbra sottili, riconoscibile grazie alla divisa dorata che indossava, aveva invece l’aria piuttosto annoiata.
Tra le mani stringeva un rotolo di pergamena, di quelli che sapeva che il Consiglio usava per le comunicazioni ufficiali, che non esitò a srotolare per leggerglielo non appena fu sicuro di avere la sua totale attenzione.
 
In pratica avevano registrato il fatto che si fosse Manifestata una seconda volta al suo protetto, violando così una delle regole cardine del regolamento.
 
Aurora stava già per protestare dicendo che l’aveva fatto per un valido motivo -ovvero salvargli la vita- quando il funzionario la interruppe spiegando che proprio per quel motivo non sarebbe stata sospesa.
A quanto pareva c’era un comma nella parte che regolava le Manifestazioni ai protetti, che consentiva una seconda Manifestazione nel caso fossero sussistite condizioni ancora più particolari rispetto a quelle che ammettevano la Manifestazione canonica.
La situazione in cui si era ritrovata Aurora era una di quelle.
 
L’angelo custode si ritrovò quindi a prendere atto del fatto che il Consiglio aveva imposto una visita ufficiale solo per la peculiarità delle circostanze.
Se l’era cavata ancora una volta con il solo suggerimento di evitare i Contatti e le solite raccomandazioni per continuare a svolgere bene il suo lavoro come aveva sempre fatto.
 
“Quindi… posso andare?” chiese Aurora ancora non del tutto sicura.
Le sembrava davvero strano che nonostante tutto non le avessero fatto nemmeno un richiamo piccolo piccolo.
E poi non voleva sembrare maleducata ma aveva come la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava con Dylan: una specie di sesto senso da angelo custode.
 
Il funzionario ebbe a mala pena il tempo di annuire dando il via libera e Dave provò inutilmente a trattenerla che la ragazza aveva già lasciato la sua stanza per poi smaterializzarsi direttamente nel corridoio fuori dalla camera di Dylan.
 
Dave scosse la testa per nulla contento: “Dovete dirglielo” disse con tono minaccioso al funzionario.
Quello stirò le labbra in un sorriso irritante: “Lo saprà a tempo debito” fu la sua risposta.
 
 
 
***
 
 
 
Dopo una lunga riflessione Dylan si era deciso: lo avrebbe fatto.
Era un’azione totalmente priva di senso e potenzialmente pericolosa? Certo che sì.
Poteva essere segno che la sua pazzia fulminante stesse peggiorando più velocemente di quanto si aspettasse? Forse.
 
Entrambe le volte che l’aveva incontrata Aurora era praticamente apparsa dal nulla per poi sparire senza lasciare traccia né spiegazioni.
Com’era possibile che sapesse sempre dove trovarsi al momento giusto?
La sera prima aveva detto che stava passando da quelle parti e lui era troppo ubriaco per rendersi conto di quanto poco esauriente e credibile fosse la spiegazione che gli aveva dato la ragazza.
Per non parlare del discorso che gli aveva fatto mesi prima al campo da calcio: come faceva a sapere tutte quelle cose di lui e della sua famiglia?
Lo teneva per caso sotto controllo? E se sì, perché?
Per il momento tutto quello che sapeva era che voleva parlare di nuovo con lei, solo che proprio non sapeva come fare per rivederla.
 
E lì era arrivata l’idea geniale.
 
Beh, forse non proprio così geniale visto che se qualcosa fosse andato storto aveva buone probabilità di finire all’ospedale, ma quella era davvero l’unica cosa che gli era venuta in mente.
Sapeva che stava probabilmente tirando un po’ troppo la corda, ma se era vero che Aurora lo seguiva allora non ci sarebbero dovuti essere problemi.
 
Non era mai stato il tipo da credere a fenomeni sovrannaturali e simili, ma più ci pensava e più la sua testa gli diceva che la convinzione che Aurora non fosse una ragazza completamente normale era giusta.
 
Ormai era in strada già da diversi minuti, ma non correva il rischio di essere disturbato da nessuno.
Alla cena mancava ancora abbastanza e la zona in cui abitava non era mai stata particolarmente affollata.
Era già tanto incontrare una persona o due lungo il marciapiede nelle ore di punta.
 
L’ennesima macchina che stava per passare all’altezza dell’attraversamento pedonale vicino al quale si trovava, lo stesso della notte prima, era perfetta: il guidatore era impegnato a parlare al telefono che teneva in una mano mentre con l’altra teneva il volante anche se a tratti la staccava per gesticolare animatamente.
Non sembrava prestare granchè attenzione alla strada.
 
Dylan fece un respiro profondo.
 
Non sono pazzo, si ripetè a mezza voce un’ultima volta prima di fare un passo verso la strada nel momento in cui la macchina sopraggiungeva.
 
 
 
***
 
 
 
Aurora fece letteralmente irruzione nella stanza di Dylan e imprecò come un angelo non avrebbe dovuto fare quando constatò che il suo occupante non era lì.
Però era vicino, lo sentiva.
Come continuava a sentire anche quella fastidiosa sensazione che come un campanello d’allarme la stava avvisando che c’era decisamente qualcosa che non andava e che lei avrebbe dovuto darsi una mossa.
 
Si concentrò nuovamente sul suo protetto in modo da potersi materializzare con più precisione e nel giro di un istante si ritrovò in strada, sullo stesso marciapiede dove aveva salvato Dylan la sera prima.
 
Ebbe pochi secondi per registrare quello che stava succedendo.
Una macchina, il cui guidatore sembrava completamente dimentico del volante che avrebbe dovuto stingere tra le mani al posto del cellulare, si stava velocemente avvicinando e Dylan davanti a lei sembrava sulla buona strada per avere un incontro ravvicinato con il suo cofano argenteo tirato a lucido.
Solo che stavolta il ragazzo non era ubriaco… lo stava facendo apposta!
 
Con un’espressione scandalizzata ben definita da ogni lineamento del suo viso la ragazza si affrettò ad afferrare con entrambe le mani la maglia di Dylan prendendolo alle spalle e tirandolo con forza indietro evitandogli –di nuovo- di finire sotto una macchina.
Sentiva il battito del cuore nelle orecchie: agli angeli custodi poteva venire un infarto?
 
Il tutto senza curarsi di mantenere l’invisibilità durante il Contatto per la seconda volta in meno di ventiquattro ore.
Ma questa volta non le importava nemmeno, quel brutto incosciente le avrebbe sentite: cosa cavolo gli era passato per la testa?!
 
 
 
 
 
I due ragazzi si ritrovarono a guardarsi l’uno di fronte all’altra, entrambi con il fiatone: Dylan per l’adrenalina ancora in circolo per aver rischiato di farsi investire, Aurora incavolata nera per il fatto che il suo protetto avesse deliberatamente cercato di portare a termine quello che aveva cominciato quella notte da ubriaco.
E per fare cosa poi?
 
Alla fine Dylan distese il suo viso in un sorriso a trentadue denti e fece per dire qualcosa, ma Aurora lo precedette.
“Si può sapere cosa cavolo hai in quella testa? Aria? Polvere? Segatura? A cosa stavi pensando, eh?” lo aggredì picchiettandogli con il dito indice contro il petto per ogni parola.
Aveva rischiato di morire e se ne stava lì a sorridere come un ebete: che avesse problemi e non se ne fosse mai accorta?
“Hai finito?” le chiese Dylan che non aveva perso il suo sorriso, anzi. Più la guardava e più quello sembrava aumentare, avendo però come effetto quello di farla arrabbiare ancora di più.
“No che non ho finito, brutto idiota! Non hai risposto alla domanda: si può sapere cosa pensavi di fare?” rispose lei senza modificare la sua espressione arrabbiata di una virgola.
 
A quel punto Dylan non era più così sicuro della sua risposta.
Insomma, Aurora era sbucata dal nulla senza nessun preavviso proprio come si era aspettato, ma dirle che stava per finire volontariamente sotto una macchina per vedere se lei lo stesse effettivamente seguendo e lo avesse salvato di nuovo forse era un po’ troppo… o no?
 
“Ehm… a quanto pare con questa sono due le volte che ti devo ringraziare per avermi evitato di finire in ospedale” disse alla fine.
 
Quella risposta la disorientò: due volte?
Questo voleva dire che dopotutto Dylan si ricordava di quello che era successo…
 
Il ragazzo sembrò capire quello che Aurora stava pensando.
“Ah, già” disse infatti assottigliando gli occhi. “Io ero ubriaco ed era tutto un sogno… non è vero… angelo?”
Aurora sgranò gli occhi, non sapeva se era più colpita dal fatto che le aveva appena rinfacciato quello che lei aveva provato a fargli credere o per il nomignolo assolutamente… appropriato.
“Potrei però far finta di niente se tu mi facessi il favore di dirmi come mai mi segui…” aggiunse Dylan alla fine visto che la ragazza sembrava aver perso momentaneamente la capacità di parlare, ancora presa a fissarlo con espressione vagamente sconvolta.
 
“Visto che sono stata io a salvarti la vita dovrei essere io quella che chiede i favori, qui. Non trovi?” rispose Aurora ricomponendosi e guardandolo freddamente.
 
Dylan si sentì strano: la sensazione di sicurezza che lo aveva pervaso quando la ragazza era comparsa lo aveva abbandonato nell’istante in cui Aurora aveva cominciato a guardarlo storto.
Possibile che la delusione e la freddezza che sentiva fossero quelle che la ragazza stava provando in quel momento nei suoi confronti?
 
L’angelo sorrise soddisfatta: sapeva bene cosa stesse provando Dylan in quel momento e non poteva fare a meno di pensare che se lo fosse meritato.
Fece per aggiungere qualcosa ma quella volta fu lei ad essere interrotta.
 
 
Flor era appena uscita di casa chiamando il nome di Dylan e guardandosi intorno alla ricerca del ragazzo, individuandolo in pochi secondi visto che alla fine dei conti era dall’altra parte della strada.
Aurora tornò invisibile in tempo zero mentre il ragazzo si girava al suono del suo nome: ci mancava solo che qualcun altro che non fosse il suo protetto la vedesse.
 
“Tua padre ha chiamato e ha detto che sta sera non ci sarà per cena, quindi se vuoi possiamo ordinare le pizze” comunicò Flor che era scesa in strada giusto per non urlare i loro affari a tutto il vicinato.
Alla risposta affermativa seppur poco entusiasta di Dylan la donna ritornò in casa.
Il ragazzo scrollò le spalle amareggiato ben consapevole che se suo padre rimaneva fuori a cena quella sera era solo perché nono voleva discutere di nuovo con lui.
E meno male che tra i due doveva essere lui l’adulto.
 
Si chiese anche come mai Flor non avesse invitato Aurora a fermarsi a cena con loro, visto che molto spesso lo faceva con chiunque si stesse intrattenendo con lui quando veniva a chiedere cose di quel genere.
Quando si girò per riportare la sua attenzione alla ragazza la risposta arrivò immediata: Aurora non era più lì con lui.
 
Era incredibile, si era girato cinque secondi per rispondere a Flor “Va bene, io prendo il solito” e la ragazza era sparita senza lasciare traccia.
Non l’aveva nemmeno sentita.
Se n’era andata lasciandolo senza uno straccio di spiegazione.
Di nuovo.
 
Però… però quella sensazione non era andata via con lei, era come se alla fine fosse ancora lì accanto a lui…
Si guardò intorno girando su se stesso.
Se qualcuno fosse passato in quel momento o si fosse affacciato a una delle finestre delle altre case che davano sulla via avrebbe di sicuro pensato che fosse impazzito.
Ma non era colpa sua, era Aurora che lo faceva diventare matto.
 
“Io non sono pazzo” disse a mezza voce.
Non era pazzo, e sapeva che Aurora in qualche modo era ancora lì e poteva sentirlo.
“Non sono pazzo!” ripetè alzando la voce. “E noi non avevamo ancora finito di parlare e… e io non sono pazzo ma rischio di diventarlo se questa storia va avanti così…” aggiunse, riabbassando i toni verso la fine.
Perfetto… era in mezzo al marciapiede a parlare con una ragazza invisibile.
Sentì qualcosa di umido scivolargli lungo la guancia: adesso cominciava anche a piangere… era patetico, se lo diceva da solo.
 
 
Non seppe se era per il fatto che aveva gli occhi leggermente appannati o se fosse stato a causa di un gioco di luce: l’aria davanti a lui sembrò vibrare e dopo qualche secondo Aurora era di nuovo ben visibile in piedi di fronte a lui sorridendo insicura.
Dylan la guardò con tanto d’occhi: tutte le volte che aveva pensato a come era sparita nel nulla non avrebbe mai detto che lo avesse fatto per davvero.
Era semplicemente impossibile!
 
“Come… come hai fatto?” le domandò balbettando.
Il sorriso sul volto della ragazza si fece furbo… e in un attimo Aurora non c’era di nuovo più, sparita letteralmente davanti ai suoi occhi.
Un altro istante, l’aria tremò di nuovo, ed eccola di nuovo lì, esattamente dov’era prima.
“Dov’è il trucco? Come fai?” chiese ancora Dylan guardandosi intorno come se si aspettasse di vedere qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse spiegare quello a cui aveva appena assistito.
Sfortunatamente per lui sembrava non esserci assolutamente nulla di diverso dal solito.
“Sei un fantasma?” disse infine dando voce alla prima idea che gli era passata per la testa.
Aurora ridacchiò scuotendo la testa: “No, non sono un fantasma. Però penso che tu possa capire da solo cosa sono, in realtà mi hai già chiamato con il nome giusto un paio di volte…” rispose lei pazientemente nonostante la sua voce fosse stata percorsa da un tremito.
 
Non sapeva bene neanche lei cosa stava facendo: rivelare la sua vera natura al proprio protetto?
Non le avrebbero affidato mai più nessuno per il resto della sua esistenza.
Eppure, nonostante fosse fin troppo consapevole di quello che stava rischiando, proprio non sarebbe riuscita a fermarsi dall’andare fino in fondo.
Lo sguardo smarrito di Dylan quando si era girato dopo aver risposto a Flor e non l’aveva più vista l’aveva colpita profondamente e non si era mai sentita così in colpa.
Riapparirgli esattamente davanti agli occhi era l’unica cosa che era riuscita a fare.
L’unica cosa che aveva voluto fare.
 
Nel frattempo Dylan cercava di dare una risposta alla frase sibillina che aveva detto Aurora.
La ragazza aveva detto che praticamente lui sapeva già cos’era, che l’aveva già chiamata con il nome giusto…
La risposta arrivò alle labbra prendendo voce prima che potesse rendersene conto.
 
“Angelo… Sei… Sei un angelo?” le domandò continuando a guardarla con gli occhi sgranati.
 
Aurora annuì piano arrossendo leggermente: “È così, ma non è del tutto corretto” rispose.
L’espressione di Dylan era sempre più confusa.
 
“Sono un angelo, sì… ma sono il tuo angelo” precisò lei.
 
“Sono il tuo angelo custode
 
 
 
 
 
 
 
“Oh…”













Niente, mi stavo quasi dimenticando che oggi fosse giovedì, ma mi sembrava brutto iniziare già con i ritardi, quindi ecco il capitolo.
Spero che qualche anima pia mi faccia sapere cosa ne pensa, ci terrei davvero.
Non credo di aver altro da aggiungere, alla prossima settimana.
E.

 
   
 
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