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Autore: WillofD_04    11/03/2016    4 recensioni
Questa storia è il seguito di "Lost boys". Per leggerla non è necessario aver letto "Lost boys", ma è consigliato.
A quanto pare, l'avventura di Cami non è affatto finita, anzi, è appena cominciata! Che cosa le è successo? Sarà in grado, questa volta, di risolvere la situazione? Questo per lei sarà un viaggio pieno di avventure e di emozioni, che condividerà con persone molto speciali.
Non posso svelarvi più di così, se siete curiosi di sapere cosa le è capitato, leggete!
DAL TESTO:
Poco ci mancò che non caddi all’indietro dall’incredulità. Infatti dovetti reggermi agli stipiti della porta che era dietro di me per rimanere in piedi. Dieci paia di occhi mi fissavano, tutti con un’espressione diversa. C’era chi era divertito, chi indifferente, chi curioso e chi stupito.
«Oh cazzo...è successo di nuovo!» esclamai, al limite dell’esasperazione.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mugiwara, Nuovo personaggio, Pirati Heart, Trafalgar Law
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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«E come pensi di tornarci? Volando?»
«Mi piacerebbe, Traffy, ma non ho né pensieri felici, né una fata che mi inondi di polverina magica a disposizione, al momento» feci sarcastica
«Perché non provi a buttarti dalla vedetta e vedere come va?» sogghignò
«Ma certo! Dopo di te» gli indicai l’albero maestro e il breve scambio di frecciatine terminò lì.
«Cami perché non ti rilassi un po’? Sei appena arrivata, divertiti!» Rufy la faceva facile. Mi sarebbe tanto piaciuto rilassarmi, ma non potevo farlo finché non trovavo un modo sicuro per tornare a casa.
«Rufy ha ragione, rilassati e pensa a divertirti» Sanji mi sorrise dolcemente, ma ciò non mi calmò molto. Avevo bisogno di risposte e al più presto. Ero capitata lì per una ragione precisa e dovevo scoprire qual era. Per fortuna, una mano me la diede involontariamente Law.
«Cerca di ricordarti le parole esatte che hai usato nell’esprimere l’ultimo desiderio»
Spostai lo sguardo in basso e di lato mordendomi un labbro, cercando di riflettere. Che cosa avevo chiesto alla Stella? Passai due minuti buoni pensandoci. Poi, d’un tratto, capii tutto o quasi. Alzai la testa, negli occhi un velato terrore e la bocca leggermente spalancata.
«Parla, avanti» mi incitò il chirurgo
«Forse dovremmo farla riposare, tutte queste emozioni sono troppe per una ragazza che è appena caduta di testa da una trentina di metri» suggerì il piccolo medico. Io scossi la testa in segno di negazione, non per quanto aveva detto Chopper, ma perché ero sconvolta. Mi portai una mano alla bocca fissando il vuoto.
«Ho chiesto alla Stella che tutte le persone presenti sul balcone tornassero al proprio mondo di appartenenza»
I più svegli mi si strinsero intorno, consapevoli di cosa significasse.
«Deve essersi sbagliata» annaspai. Ora però, tutto aveva senso. La polvere dorata, le parole di quella che si era scoperto essere la Stella, tutto. Da quel momento in poi, persi totalmente la cognizione di dove ero e di cosa stavo facendo. Qualcuno, probabilmente Nami, mi cinse le spalle e mi portò a sedere sulla panchina attorno all’albero maestro. Parlavano tra di loro e mi chiamavano. Chiamavano il mio nome, ma io li sentivo a malapena. Sanji mi portò dell’acqua fresca mentre il dottore suggerì di riportarmi in infermeria. Non avevo né sete, né stavo male. Gli altri erano preoccupati per me e mi dispiaceva farli preoccupare, però anche provandoci non riuscivo a emettere un solo suono dalla bocca, né a muovermi. Rimasi in quella posizione senza dire una parola per ore, finché non arrivò la sera. Avevano provato di tutto, ma niente. Avevano persino improvvisato un teatrino per provare a farmi ridere, ma non stava funzionando. Me ne stavo lì, in stato catatonico come una che ha perso totalmente le speranze. I pirati a un certo punto erano andati a cena. Ora ero sola e sarei potuta crollare. Ma per qualche assurda ragione non lo feci.
«Voglio tornare a casa» mi limitai a dire, piano. Ma a quanto pareva non avevo fatto bene i miei conti.
«Non sarà stando seduta lì che troverai una soluzione al tuo problema» disse una voce alle mie spalle. Non ci fu nemmeno bisogno di girarsi per riconoscerne il proprietario. Comunque rivelò lo stesso la sua identità, superandomi e dirigendosi verso la sala da pranzo dagli altri. O almeno così pensavo, invece si fermò davanti a me e mi fissò.
«Con la botta che hai preso ti farebbe bene mangiare e bere qualcosa»
D’accordo. Se me lo diceva lui non avevo altra scelta. Alla fine, non so come, quella canaglia di un chirurgo mi convinse e mi alzai con cautela, prevedendo già qualche sbalzo di pressione. Sfortunatamente però, l’unica cosa che subì uno sbalzò fu la nave. Mi sbilanciai all’indietro e mi preparai a ricadere sulla panchina, ma una mano prontamente mi afferrò il polso, impedendomi di cadere.
«Grazie» dissi stupita, all’unica persona lì presente. Law annuì rapidamente e ci avviammo dagli altri. Ma quando Traffy aprì la porta, la scena che ci si presentò davanti fu memorabile.
«Smettila di berti tutto il sakè, stupido marimo!»
«Come hai detto sopracciglione!? Pensa a Rufy, che intanto si sta spazzolando tutta la carne!»
«Smettila, idiota! Queste cose sono per tutti. Cerca di lasciare qualcosa, se non a noi almeno a Cami» la rossa infuriata diede un pugno al suo capitano. Nel frattempo Sanji, con una cinquantina di piatti retti da tutto il suo corpo, stava cercando di allontanare Zoro dalle bottiglie di sakè; mentre gli altri stavano trasferendo viveri e vettovaglie fuori dalla sala da pranzo. Tuttavia quando si accorsero della nostra presenza smisero di fare le grandi manovre e si rallegrarono.
«Oh mia dolce dea! Temevamo che non arrivassi, così Rufy ha suggerito di portare direttamente la cena da te» fece il cuoco, lasciandomi sbalordita
«Non puoi rimanere senza cena!» esclamò cappello di paglia, facendomi scappare una risata
«Beh, visto che sei arrivata, proporrei di rimettere tutto a posto e iniziare a mangiare» cantò lo scheletro. Cinque minuti dopo eravamo seduti al grande tavolo della sala da pranzo, chiacchierando, mangiando e ridendo come se niente fosse. Avevo ritrovato un po’ della mia allegria e ora stavo ascoltando Usop, seduto vicino a me, che raccontava una delle sue grandi avventure nel mio mondo mentre tenevo d’occhio il mio piatto, consapevole che il braccio di qualcuno si sarebbe potuto allungare e avrebbe potuto svuotare in un attimo il suo contenuto. E paradossalmente mi ricordai perché avevo sempre desiderato essere lì con loro. Tuttavia la mia ritrovata serenità non durò molto.
«È un peccato che non sia riuscita a salutare Marco» commentai tra un boccone e l’altro
«Già, ma se n’è andato due settimane fa. Non poteva sapere che saresti venuta» disse Rufy, intento a sgraffignare qualcosa dalla scodella del povero Chopper. Per poco non sputai tutto quello che stavo masticando. Quell’affermazione mi lasciò secca.
«Cosa!? Due settimane fa!? Ma non è possibile! No, certo che non è possibile. Tu sei Monkey D. Rufy, di sicuro hai una concezione del tempo del tutto assurda»
«Quanto tempo pensi che sia passato prima che tu finissi qui?» mi chiese Zoro, guardandomi con un’espressione indecifrabile, che interpretai come “guarda tu questa cretina che pretende pure di avere ragione”.
«Non più di cinque minuti!» mi stavo agitando
«Probabilmente lo scorrere del tempo tra i due mondi è relativo» intervenne Law, calmo come al solito. E anche se la sua frase lasciava parecchio all’immaginazione, con quelle parole riuscì a calmarmi. In fondo riflettendoci aveva ragione. L’autore ci aveva messo due anni per descrivere una vicenda di nemmeno un giorno e un mese per raccontare due anni. Quindi poteva avere senso logico che nel mio mondo fossero passati cinque minuti e lì una settimana. Ma questa non era una bella notizia, perché non avevo risolto un bel niente. Anzi, brancolavo ancora di più nel buio. Ciò significava che nel mio mondo potevano essere passati due minuti, come un giorno, come tre anni. Se così fosse stato i miei genitori dovevano essere preoccupatissimi e io in un solo pomeriggio mi ero persa anni di vita. Già. I miei genitori, i miei amici...chissà che cosa stavano facendo in quel momento. Mi mancavano e io dovevo mancare a loro, che fossero passati cinque minuti o un mese. Ma non importava, perché non li avrei mai più rivisti. Ero condannata a rimanere lì, per sempre. Non c’era via d’uscita. Mi alzai all’improvviso facendo strisciare rumorosamente la sedia per terra e richiamando l’attenzione su di me. La mia allegria era durata ben poco.
«Ecco perché quando vi abbiamo detto che siamo stati via un mese ci avete guardato storto e ci avete detto che siamo mancati solo per dieci ore!» l’ultima cosa che sentii fu la voce trillante del capitano della Sunny.
Con le mani ancora appoggiate sul tavolo, parlai «Scusate, ma adesso sono proprio stanca. C’è un posto dove posso dormire?»
«Certo! Per il momento puoi dormire in infermeria se non è un problema. Poi più tardi passo a controllarti la testa»
«No grazie Chopper, non ce n’è bisogno. Sto bene, davvero»
«Sicura?»
«Sì»
Il peso del mio corpo gravava sulle mie braccia e avevo la sensazione che se avessi lasciato il tavolo, tutto quel peso sarebbe stato troppo da sopportare e mi avrebbe schiacciato. Ma lo feci lo stesso, lo lasciai e mi avviai verso la porta, consapevole che sarei potuta crollare da un momento all’altro.
«Buonanotte allora» la voce delicata della piccola renna mi mise tanta tenerezza, facendomi aggrottare le sopracciglia e mordere il labbro. Con la mano sulla maniglia, mi girai e li guardai uno ad uno. Avevano tutti un sorriso gentile sulla faccia, ma li tradiva la loro espressione preoccupata.
«Buonanotte» mi sforzai di sorridere. Non aspettai la risposta dei pirati e me ne andai a passo svelto in infermeria. Una volta arrivata chiusi la porta appoggiandomici contro e scivolando lentamente verso il pavimento. Mi tolsi la cintura e la buttai in qualche angolo indefinito della stanza. Era buio. Non mi premurai nemmeno di accendere la luce, anche perché vattelappesca dov’era l’interruttore. Iniziai a respirare sempre più profondamente, ma ad ogni respiro che facevo mi mancava sempre più l’aria. Cercare di calmarmi non sarebbe servito a niente, quando avevo questi momenti dovevo solo arrendermi alle brutte sensazioni. E lo feci, mi arresi. Lasciai che il buio penetrasse anche la mia anima. Non doveva andare così. Era tutto sbagliato. Io sarei dovuta rimanere nel mio mondo, con la mia monotona vita e la mia famiglia imperfetta ma piena d’amore. E di certo non era così che mi ero immaginata il giorno in cui sarei capitata lì. Lo avevo sperato e immaginato tante volte. Sarei arrivata – su due piedi e non di testa – un po’ imbarazzata ma felice. Felice come non mai che il mio sogno di essere con la mia ciurma preferita sulla mia nave preferita si fosse realizzato veramente. E insieme a tutti loro avremmo vissuto avventure incredibili.
Accesi finalmente la luce. Magicamente trovai una presa che si adattasse al mio caricabatterie e misi in carica il telefono. Guardai ancora una volta lo schermo. Non c’era campo, com’era prevedibile. Mi misi ad osservare tutte le foto della galleria. Tra vari selfie imbarazzanti e modelli senza maglia c’erano anche quelle con i miei cari. Ora erano tutto ciò che mi rimaneva di loro. Non li avrei mai più rivisti. E fu con questo pensiero che incominciai a piangere a dirotto. Non so per quanto tempo piansi, in fondo il tempo era relativo come avevo potuto apprendere proprio quella sera. Cercai solo di non farmi sentire da nessuno – anche se senza cintura potevano sentirmi solo in cinque – per non farli preoccupare ancora di più ma soprattutto perché non avrebbero potuto capire e io non avrei saputo spiegare il perché non fossi contenta di stare dove avevo sempre desiderato stare. Dopo singhiozzi su singhiozzi, mi calmai. In fondo non avevo sempre vissuto in quel modo? Intrappolata in una realtà che mi era sempre andata stretta e da cui non potevo scappare. Per tutta la vita mi ero sentita come se non appartenessi a quel mondo, a quell'esistenza. Se ora la Stella mi aveva mandata lì doveva esserci un motivo. E anche se non ci fosse stato, mi sarei adattata. Mi sarei adeguata di nuovo a vivere in un mondo che non era il mio, lontano da dov’era la mia mente o il mio cuore. O se non a vivere, perlomeno a sopravvivere. Non avevo altra scelta. Dovevo tenermi aggrappata a quelle poche certezze che mi rimanevano e cercare di costruirmene di nuove, a cui mi sarei abituata con il tempo. Dovevo resistere. Non c’era altro che potessi fare, se non aspettare.


Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Scusate se ho pubblicato il terzo capitolo solo ora, ma questi giorni sono stata indaffaratissima! (Solita scusa, lo so, ma stavolta è vero!)
Imploro il vostro perdono e come al solito spero che il capitolo vi piaccia. Se vi va lasciate qualche recensione!
A presto! :)
   
 
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