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Autore: zippo    28/03/2009    3 recensioni
Sono passati diversi mesi dalla morte di Dark Threat, Rebecca sta per diventare un angelo bianco e al suo fianco c’è Gabriel. Ma non sempre le cose sono così semplici come appaiono. In un angolo, in un respiro, in una lacrima…il Male è continuamente presente. E se lui non fosse morto? E se ritornasse? Il potere, dopotutto, è piacevole…e per corrompere l’animo innocente di una ragazza bastano poche finte promesse.
Il sequel di: Angelus Dominus - Il Bene -
Il secondo capitolo della saga: ALONE IN THE DARK. 
Genere: Romantico, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap. 11 - DISTURBIA -

[Ho cercato di andare avanti
come se non avessi mai saputo.

Sono sveglio ma il mio mondo
è mezzo addormentato.

Prego affinché questo cuore non si spezzi
ma senza di te tutto quello che sarò è
incompleto]

Backstreet boys - Incomplete -



***



Nel cuore della notte Rebecca fu svegliata da Atreius. Le stava picchiettando la spalla, all’inizio fece finta di niente sperando che alla fine si stufasse di chiamarla ma lui continuava a darle colpetti. Aprì un occhio e lo ridusse a due fessure.

“Che vuoi?” esclamò in tono irritato.

“Parlare”

“Tu vuoi parlare e io voglio dormire. Vinco io quindi lasciami in pace”

“Perché dovresti vincere tu, scusa?”

“Perché sono la padrona e quindi comando io” puntualizzò.

“E io sono l’ospite”

“Un ospite indesiderato” grugnì, pronta e riaddormentarsi.

Atreius si chinò su di lei e le baciò la fronte. A quel contatto Rebecca scattò a sedere. Lo fissò con due occhi sconvolti e increduli.

“Cos’hai fatto?!” sbraitò.

Atreius sorrise. “Mi è sembrato piuttosto palese”

“Beh, non farlo mai più”

Il ragazzo fece spallucce e rimase a guardarla. Rebecca, che proprio non si fidava di lui, si appoggiò alla testiera del letto e si torturò le mani in grembo.

“Sai a che pensavo?” le chiese Atreius.

“Non voglio saperlo”

“Pensavo che tra poco sarai al mio fianco, spero solo di non aspettare troppo a lungo”

La ragazza ebbe un tuffo al cuore. “Smettila, per favore”  

“Pensavo a quando arriverai a casa nostra, al castello”

“Chi ti dice che verrò?” lo sfidò con odio.

Atreius ghignò. “Hai altra scelta?”

“Non vedo perché non posso più essere padrona di me stessa! Dopotutto è il mio corpo e sono io a comandare il mio corpo. Dannazione, è giusto che sia così! Non mi sembra corretto che qualcun altro disponga del mio corpo, è mio!”   

“Io non parlerei di possessione, Rebecca. Ti stai solo trasformando, diciamo che ti stai preparando per diventare un angelo nero. Sarai capace di essere padrona delle tue azioni quando sarai un’altra persona?”

Perché Atreius doveva demoralizzarla in quel modo?

Perché ogni volta che Rebecca tentava di chiudere gli occhi per sognare qualcuno la obbligava ad aprirli bruscamente riportandola alla realtà?

E la realtà era brutta, invivibile, insopportabile. Molto meglio i sogni.

È più facile illudersi.

“Tu e nostro padre siete degli ingenui se credete che sarò dei vostri. Io non verrò con voi, finchè il mio cuore non sarà completamente ammalato io continuerò a lottare perché continui a battere, perché continui a risplendere” disse Rebecca con un groppo in gola.

“La tua stupida illusione ti condurrà alla delusione più totale”

“Dimmi Atreius, il tuo cuore batte?”

Il ragazzo si accigliò per un istante. “Poco. Batte poco perché non sono così cattivo, di solito soltanto i sovrani del Male hanno il cuore fermo. Gli angeli neri, come lo sarai te”

“Che ingiustizia…” disse la ragazza con dispiacere. “Il mio cuore superficiale è l’unica cosa che batte”

Atreius vide improvvisamente gli occhi di Rebecca inumidirsi e per la prima volta nella sua vita si sentì a disagio, quasi timoroso di trovarsi dinnanzi ad una simile dimostrazione di afflizione. Si ritrovò impreparato in quella situazione, non sapeva che fare. Mai gli era capitato di provare compassione per qualcuno.

Cercò di dire qualcosa ma in realtà aveva la mente completamente annebbiata. “Non devi dire così, il tuo cuore batte e non stai morendo”

Rebecca socchiuse gli occhi e fece un sorriso amaro, triste, pieno di dolore. “E invece sì che sto morendo, giorno dopo giorno mi sto spegnendo. Non vedrò più la luce che riflette il mio sorriso, né non proverò più amore o felicità. Mi sto preparando per diventare una macchina di morte e di Rebecca Burton rimarrà soltanto un patetico ricordo”

“Che ti importa?” disse Atreius che ora si pentiva di essere entrato in quel discorso ed era arrabbiato con sé stesso per la sofferenza di Rebecca. “Quando sarai diventata un angelo nero non avrai più la tua anima! Non passerai il tempo a rimpiangere i tuoi giorni felici!”

Ormai la voce di Rebecca era talmente bassa e tremante che il ragazzo dovette avvicinarsi per ascoltarla. “Non è nel domani che piangerò, è ora, adesso. Vivere questi giorni sapendo che sono gli ultimi. Ci sarebbero state tante cose che avrei voluto fare…” mormorò, con un sorriso che però non raggiunse gli occhi. “Sai, avrei voluto davvero sposare Gabriel e avere dei figli da lui. Pensare alla vita che perdo, alle cose che dovrò rinunciare, alle persone che abbandonerò…”

“Io non ti capisco, stai male per una cosa che deve ancora succedere”

“Prima di andarmene vorrei che tu dicessi a Gabriel che lo amo”

Atreius assunse una faccia schifata e si tirò indietro. “Non puoi farlo tu? A me il tuo ragazzo proprio non piace neanche un po’”

Rebecca sospirò e tirò su col naso. “Quando me ne andrò dal villaggio sarà perché sono diventata un angelo nero e non penso che mi passerà per la testa di dirglielo, sarò troppo impegnata ad odiare il mondo intero. Mi prometti che glielo dirai?”

Il ragazzo non potè non accettare. “Sì, sì, glielo dirò, va bene?” borbottò contrariato.

Atreius sentì un singhiozzo e subito si voltò verso di lei. Vide che stava piangendo.

Fu una visione così addolorante, infelice e tenera che Atreius percepì il battito del proprio cuore aumentare.

Rebecca scosse la testa tenendo gli occhi chiusi, le lacrime continuavano a scenderle sulle guance. “Io non voglio che il mio cuore cessi di battere, non voglio smettere di amare Gabriel e non posso sopportare l’idea che i miei piedi cammineranno su terre oscure e fiumi di sangue. Io voglio la luce…” disse tra i singulti. “Non voglio morire”

Rebecca pianse più forte e i suoi singulti raggiunsero ogni angolo della casa, si accasciò in avanti con le mani sul viso. Atreius era paralizzato, non osava muoversi. Ogni volta che il pianto di Rebecca raggiungeva le sue orecchie era un pugno allo stomaco. Era il rumore raccapricciante di una creatura che non ce la faceva più a vivere e che cercava rifugio nella morte. Peccato che Rebecca non avrebbe trovato pace neanche nella morte.

Atreius era profondamente turbato dalla sua fragilità. Si scoprì voglioso di abbracciarla. Lui, il figlio del Male, stava provando affetto per una ragazza.

“Non morirai, Rebecca. Ti giuro che non appena sarai arrivata al castello mi prenderò io cura di te, vedrai che ti aiuterò, non sarai triste, davvero. Voglio renderti la vita più facile”

Rebecca alzò la testa verso Atreius e per un momento guardò la luna oltre le finestre. Il pallore del suo colore le infuse un’intensa malinconia. Puntò i suoi occhi rossi e gonfi di pianto sul fratellastro. Doveva apparire come una specie di pulcino bagnato e abbandonato perché non aveva mai visto sul volto di Atreius una simile faccia. Si era fatto improvvisamente protettivo, sicuro, dolce e…premuroso?

“Grazie”

“Rebecca, smettila di piangere” le disse, non smettendo un attimo di guardarla negli occhi.

Con il corpo proteso verso di lui Rebecca emise un rantolo soffocato, una mezza via tra un sorriso e uno sbuffo. “Non ce la faccio”

“Ti prego, smettila” la implorò, incapace di vederla in quello stato.

“Atreius, io voglio restare. Ti supplico, aiutami” singhiozzò e poi si buttò tra le sue braccia.

Pianse tutta la notte, quando alla fine si ritrovò senza più lacrime in corpo si addormentò tra le braccia di Atreius. Il ragazzo l’adagiò sul letto e la ricoprì premurosamente con le coperte. Le accarezzò le guancie e la fronte, le spostò i capelli dal viso e rimase a contemplarla a lungo. Il suo respiro si era regolarizzato ed era così bella che Atreius non si accorse neppure di avvicinarsi al suo viso. Quando le loro labbra si sfiorarono capì che la stava baciando. Fece incontrare la sua  bocca con quella morbida e calda di Rebecca. Si posò su di lei e la baciò dolcemente, con un bacio a stampo.

Non appena si staccò da lei comprese di aver fatto un grosso errore. Per fortuna dormiva e non si era accorta di nulla.

La sua reputazione era salva.



***



Rebecca si svegliò che era mattina. Sbadigliò sonoramente e si stiracchiò allungandosi sul letto. Aprì gli occhi sbattendoli un paio di volte per abituarli alla luce del sole che entrava prepotente dalle finestre. Pigramente spostò la testa per poi aggrottare le sopraciglia. Al suo fianco il letto era vuoto. Atreius se n’era andato. Dove prima il ragazzo aveva riposato il coprimaterasso aveva preso la forma del suo corpo. Le pieghe sulle lenzuola erano la prova che era stato lì con lei, che aveva dormito con lei.

Rebecca si tirò su ma restò ugualmente seduta sul letto. Faceva ciondolare i piedi nudi sfiorando il pavimento e cercava di ricordare quello che era successo durante la notte. Quando tutto le fu chiaro e ricordato, sbuffò.

La sua vita non era certo delle migliori: si trovava a metà strada tra il Bene e il Male, stava per liberare suo padre nonché la più grande minaccia mai esistita sulla faccia della terra, aveva concesso al suo fratellastro troppe confidenze e aveva spedito Gabriel all’ospedale. Si soffermò a riflettere sull’ultimo punto. Non aveva il coraggio di uscire di casa e neppure di andare a vedere come stava. Non era morto, altrimenti Rosalie gliel’avrebbe subito riferito facendole visita. E da lì, la paura di vederlo. Si sentiva un’idiota a non andare a trovarlo ma proprio non ci riusciva. Preferiva restare dov’era: a casa, e fare quello che era più conveniente fare: niente.

Bussarono alla porta.

Del tutto presa alla sprovvista Rebecca sobbalzò e scese in picchiata giù per le scale. La sua corsa fu così veloce che arrivò ad aprire alla porta dopo due secondi che avevano bussato.

Le comparve dinnanzi Denali con il volto stanco. In quello sguardo vi lesse anche un tacito rimprovero. Gli voltò le spalle ed andò a sedersi in una delle sedie disposte attorno alla tavola in cucina, il ragazzo la seguì silenziosamente. Pure lui prese posto fronteggiandola, non parlava ancora.

Rebecca si appoggiò allo schienale e incrociò le braccia al petto.

“Avanti, spara”

“Non posso credere che sia stata tu a ridurlo così” disse a bassa voce.

Era incredulo e sbalordito. Il suo dolore trapelava dai suoi occhi e scosse la testa come spaventato.

“Gabriel ha già raccontato a tutti la sua pietosa sfortuna?” disse lei con aria strafottente.

Si stupì lei stessa del suo cambiamento d’umore. Un attimo prima era preoccupata e pentita, e l’attimo dopo era pronta per attaccare e dire crudeltà. Era più forte di lei, non era in grado di controllare le sue emozioni e queste la soggiogavano come meglio potevano.

Denali parve schifato. “Ma che cosa stai dicendo? Gabriel è finito all’ospedale per colpa tua e tu lo giudichi pietoso?”

La ragazza si accaldò. “Non ho mai sopportato i vittimismi, questo è il punto. Dimmi come sta e poi vattene”

“E lui che ti controlla, vero?”

Rebecca inarcò un sopracciglio. “Molto astuto…” disse con uno sguardo divertito.

“Non mi prendi in giro e se le tue intenzioni sono quelle di farmi scappare a gambe levate ti sbagli di grosso. Sono qui anche per aiutarti ma prima voglio che tu capisca lo sbaglio che hai commesso”

“Tu forse ignori la sottile differenza che separa me stessa da mio padre. È un confine così esile che se fossi in te non sarei così sicuro di attribuire tutto ciò all’entità che ospito”  

“È impossibile che tu l’abbia ferito di tua spontanea volontà”

“Come sempre sottovaluti l’ambizione” sghignazzò.  

“Cosa centra?”

La testa della ragazza parve cadere in avanti e subito i capelli andarono a ricoprirle il volto. Quando alzò la testa e puntò i suoi occhi su Denali il ragazzo barcollò e cadde dalla sedia. Erano diventati neri. Sembrava un demonio.

“Cosa faresti se un persona rappresentasse l’unico ostacolo per raggiungere ciò che di più vuoi al mondo?”

Denali si rialzò da terra e le fu addosso con rabbia. La sua voce tremava ed era stridula ma la sua espressione era ferma e controllata. Non aveva paura di guardarla in quegli occhi spaventosi e diabolici.

“Cosa vuoi di più al mondo?” domandò scrollandola con quanta più forza aveva nelle braccia, nel disperato tentativo di farla ritornare in sé.

“Il potere” gli disse con voce tombale.

“E uccideresti Gabriel per ottenerlo?”

La ragazza ridusse gli occhi a due fessure maligne e fece un sorriso sghembo. “Sì” sussurrò.

Denali le mollò un poderoso schiaffo sulla guancia e la testa di Rebecca venne sbattuta per l’impatto dall’altra parte. La ragazza spalancò gli occhi a dismisura e con mano tremante si portò due dita a toccarsi la guancia infiammata. Ora non appariva più cattiva e provocante, assomigliava piuttosto ad una bambina confusa e spaventata.

Con una lentezza disarmante voltò la testa e fissò con due occhi feriti e angosciati la figura in piedi del ragazzo. Le sue iridi erano ritornate castane e la sua pelle aveva ripreso colore.

Denali smise di respirare e senza accorgersene indietreggiò.

“M-Mi dispiace, io non…non l’ho fatto apposta, non intendevo…ho perso il controllo, lo sai com’è quando succede…” balbettò Rebecca. “Io non pensavo davvero quelle cose, non devi credere che…” la sua voce si affievolì e scoppiò a piangere. “…che io voglia uccidere Gabriel…”

Denali, leggermente scosso, si avvicinò e l’abbracciò strettamente.

Rebecca continuava a piangere disperatamente. “Oh Dio, che ho fatto…e ora che faccio? Perché non c’è nessuno che può aiutarmi? Sono un mostro! Sono una persona orrenda, non merito di vivere!”

Denali la strinse più forte. “Se dici così non puoi essere un mostro, vedo in te ancora tanta luce, Rebecca. Tieni duro, non mollare” le mormorò in tono amorevole.

“Le cose non cambieranno mai! Non capisci che neppure tu puoi aiutarmi? Nessuno può!” esclamò con rabbia. “E io non sono abbastanza forte! Dannazione, ho solo diciott’anni!”

“Tu sei forte e sebbene i tuoi anni hai passato cose che un vecchio non si sarebbe mai sognato di vedere. Ce la faremo, insieme” le disse e con la punta delle dita le asciugò le lacrime che le solcavano le guancie.

“Tu non puoi capire” sospirò con il cuore straziato.

“Cosa?” domandò Denali, perplesso e tenero, continuando ad accarezzarle le guancie bagnate.

“È peggio di quello che pensavamo, Denali. Io sto cambiando ma non è una trasformazione dovuta ad un veleno, ad un lavaggio del cervello o ad un incantesimo che mi fa diventare cattiva, non è contro la mia volontà”

“In che senso?”

“Nel senso che quello che sto diventando non è opera di mio padre né di un trucco. Mortimer sta solo stimolando la mia parte oscura perché venga fuori ma dipende da me. Ho sempre creduto che fosse mio padre la causa di tutto questo ma ora mi sono accorta che sono io a cambiare me stessa. Tutti noi abbiamo dei lati negativi e dei lati positivi, è come se quelli negativi stessero lottando per venir fuori ma non sono esterni da me. Sono parte di me. Io sono anche questo”

Il ragazzo impallidì. “Stai dicendo che…?”

“Sì, che fa parte del mio carattere e che non posso combatterlo. L’unico modo è…”

Denali scattò indietro e fece cenno di no con le mani come un forsennato. “No! No! Non dirlo neanche per scherzo!”

Rebecca abbassò il capo ed emise un’espressione rassegnata, arresa. “Dovrai uccidermi”

“È fuori discussione” ribattè Denali in tono irremovibile.

A quel punto la ragazza balzò in piedi dalla sedia e battè un pugno sulla tavola. “Maledizione, non capisci la gravità della situazione? Io non posso cambiare la mia natura e se dentro di me c’è anche questo lato del mio carattere che mi farà diventare cattiva non vedo perché tu debba fare il prezioso! È tutto inutile!”

Anche Denali alzò la voce. “Non sarò io il tuo carnefice! Non oserò mai porre fine alla tua vita! Dev’esserci un altro modo!” ribattè esasperato.

“Allora non lamentatevi tutti voi quando ucciderò le vostre famiglie”

Una fitta colpì Denali al petto e lo lasciò senza fiato. Vide nella sua testa i volti felici e sorridenti di Ian, Emma e Rosalie. “Tu non lo faresti mai”

“Apri gli occhi Denali, ho appena attaccato Gabriel! Gabriel! La persona che amo più di tutti! Credi che m’importerebbe qualcosa di un bambino che non conosco o di una vecchia mai vista?” disse, e si avvicinò a lui quasi correndo. Gli prese una mano e Denali si accorse che gli aveva messo tra le dita la sua spada.

Rimase inorridito da ciò che capì. Con un altro movimento Rebecca portò la mano del ragazzo che stringeva la spada sul proprio petto.

“Affondala, ora” disse premendosi ancora di più la lama contro la pelle.

Non c’era paura nel suo sguardo, semmai un’intensa stanchezza della vita.

Non hai più voglia di restare aggrappata alla vita, Rebecca?

“No”

“Puoi farlo solo tu! Gabriel non lo farebbe mai e neanche gli altri! Io non posso andare contro la volontà di mio padre ma posso controllare, per quel poco, il mio corpo affinché rimanga fermo così tu mi puoi uccidere!”

Rimasero a fissarsi negli occhi per quella che a Denali parve un’infinità di tempo. Alla fine, con un’imprecazione, gettò la spada a terra e se ne andò senza dire una parola.

La faccia allibita di Rebecca esprimeva tutta la sua delusione.

Perché volevano aspettare che fosse troppo tardi?

Finchè poteva permettere a qualcuno di ucciderla, quel qualcuno doveva farlo!

E lei ne era sicura. Quando il suo lato oscuro avrà preso il pieno controllo nessuno sarebbe riuscito a fermarla.

Nessuno.   



***



Gabriel all’ospedale si era ripreso notevolmente. Dopo una lunga giornata e due notti era riuscito ad aprire gli occhi. Le prima parole che udì furono quelle sbalordite e sorprese del dottore.

“Ma…ma avrebbe dovuto dormire per quattro giorni! Il farmaco doveva agire non per un giorno e mezzo!”

Sentì subito dopo la voce della sorella, calma e stanca, quasi appassita. “Dottore, dovrebbe sapere cos’è mio fratello. Al suo posto non rimarrei così meravigliata, c’era da aspettarselo che il suo corpo non avrebbe seguito pienamente le cure mediche”

Finalmente Gabriel ebbe la forze di aprire gli occhi. Il volto sereno e felice di Rosalie riempì il suo campo visivo. Una parte di lui, seppur remota, rimase delusa da quel viso. Sperava di vedere qualcun altro al suo risveglio. Qualcuno che in quel momento non era con lui. Qualcuno che era stato l’artefice del suo “incidente”.

Cercò ugualmente di sorridere alla sorella. Quando spostò lo sguardo notò che c’era anche Denali. Lo stava guardando ma non lo vedeva realmente, la sua espressione era persa, lontana, meditabonda.

Gabriel non poteva sapere che Denali era appena stato da Rebecca. Non comprendeva appieno quello che era successo né che Rebecca desiderasse disperatamente di morire.

Rosalie gli accarezzò la fronte. “Ti sei svegliato finalmente, ben tornato”

“Rebecca…?” domandò a fatica, non riusciva ancora a costruire una frase di senso compiuto.

Vide la sorella scambiarsi un’occhiata con Denali. Quando tornò a parlare con il fratello il suo sorriso vacillava e non era più tanto sicuro.

“Gabriel, io non credo che sia il momento adatto…”

“Dov’è?”

“È a casa” disse Denali con quegli occhi profondi e penetranti.

Gabriel tentò di parlare ma Denali lo precedette rispondendogli. “No, non è mai venuta a trovarti”

Rosalie gli tirò una gomitata alle costole. “Denali! Per favore! Era proprio il caso?” esclamò indignata. “A volte mi chiedo se sto insieme ad una persona o ad un animale!”

“Spero la prima” ghignò il ragazzo.

Rosalie lo incenerì con gli occhi e fece un sorriso tirato verso Gabriel. “Mi dispiace ma Rebecca non è mai passata, a dir la verità non penso che sia mai uscita di casa in questi due giorni” ammise con un sospiro.

Qualcosa simile ad una lama tagliente stava lacerando il petto di Gabriel. Il cuore presa a battergli all’impazzata e dovette regolarizzare il respiro per sentir meno dolore. Si limitò a spostare la testa di lato e chiuse gli occhi, improvvisamente la luce gli faceva male.

“Io sono andato a trovarla” disse d’un tratto Denali.

Gabriel spalancò gli occhi e rimase a fissare la parete.

Aspettò che proseguisse carico d’attesa.

“Non l’ho vista molto bene Gabriel, devo essere sincero. Soffre molto per quello che ti ha fatto, temo che abbia…” Denali sentì la magia che lo sigillava al silenzio stringere i vincoli. “…avuto uno stato mentale piuttosto confusionario. È esplosa, probabilmente per lo stress”

“Stress” ripetè per nulla convinto Gabriel.

“Sì, dai, quella cosa che hanno tutte le ragazze”

Denali si vide arrivare un altro pugno da parte di Rosalie.

Per un attimo Gabriel sorrise. Poi tossì e si riafflosciò nel letto.  

La voce strillante ed elettrizzata di sua sorella gli spaccò i timpani e lo fece sobbalzare. “Gabriel! Non sai che notizia ho da darti!”

“Ho vinto alla lotteria?” ipotizzò lui con sarcasmo.

Denali si tappò la bocca per non ridere.

“No! Adele, nostra madre, si è fidanzata!”

Uno strano tic colpì gli occhi di Gabriel. “Come, prego?”

“Si è fidanzata! Assurdo, vero?” esclamò concitata.

“Assurdo. E con chi?” domandò.

Poi, un altro inquietante tic colpì il labbro superiore del ragazzo. Si ammutolì. “Non dirmi che…?”

La sorella buttò fuori il nome con un grido eccitato. “È Alan!”

La pelle di Gabriel divenne prima bianca come il latte e poi bordeaux come in procinto di prendere fuoco. Si mise seduto, improvvisamente sano e pieno di energia.  

“Lo sapevo!” disse puntando un dito accusatore contro Rosalie. “Lo sapevo!” ripetè.

“Che centro io? Io l’ho saputo ieri!”

“Alan teneva qualcosa di nascosto ultimamente, non appena mi vedeva o restava zitto tutto il tempo,o faceva finta di non vedermi! Senza contare che quando vado a trovare Bastian è come se non ci fossi! E nostra madre…ah! È tornata e non si è più vista in giro!”

“Sono contenta per lei, era ora che trovasse qualcuno”

“Concordo” disse Denali.

“Io no” grugnì Gabriel.

Rosalie si voltò verso Denali e gli disse: “Gelosia”

“Non è vero!” sbraitò il ragazzo.

Rosalie si avvicinò e accarezzò con una mano le pieghe delle lenzuola su cui suo fratello giaceva. Sorrise e scrollò la testa.

“Sono felice per lei e lo sono anche per te”

“Per me? La mia vita fa così schifo da venire compianto?”

“No stupido, dicevo solo che sono contenta che ti sia svegliato, che stai bene. Non sono state delle belle ore, vegliamo su di te da un bel po’”

“Grazie”

“Quando pensi che ti dimetteranno?” volle sapere Denali.

Gabriel scrollò le spalle. “Penso domani mattina. Con la mia capacità di rigenerarmi farò presto a mettere apposto ciò che rimane da curare. L’importante è stato scampare all’incantesimo congelatore, ora viene la parte facile”

“Tu pensi che lei…?”

“Per favore Rose, ho sonno. Vi dispiace se dormo un po’?”

Rosalie incassò il colpo e si alzò in piedi. “No, certo che no. Ti veniamo a trovare più tardi”

“Non fa niente, non venite più. Tanto domani mi dimetteranno”

“Ok, allora ciao” lo salutò Denali dalla porta.

Rosalie si chinò su Gabriel e gli diede un bacio sulla guancia. Gli fece un saluto con la mano e poi anche lei se ne andò.

La stanza cadde nel silenzio.



***



Rebecca vagava per casa bianca come un cadavere e con lo sguardo assente. Non ce la faceva più a reggere quella situazione. Era riuscita ad accantonare suo padre nei meandri della coscienza e da un bel po’ non lo sentiva più parlare né appellarsi al suo nome. Grazie a questo intuì come i suoi poteri stavano accrescendo: per riuscire ad avere la meglio su Mortimer bisognava essere una specie di dio. E lei ci stava riuscendo fin troppo facilmente.

Stava diventando un gioco da ragazzi farlo tacere. E pensare che all’inizio, oltre ad assillarla, non faceva che prendere il controllo del suo corpo. Ora era più debole di lei. Ora era lei la creatura più forte, che dominava.  

E non capiva se era un bene o un male. Sapeva solo di essere molto stanca e depressa.

Perché sono ancora viva?

Perché ancora m’inganno?

Perché continuo a sognare?
I sogni sono per gli illusi.

Eppure…

Fa male.

Eppure soffro,
perché sto cambiando…
e non mi piace ciò che sto diventando.

Non mi rimane che perire, perdere.

Forse dovrei.

Ormai sono finiti i sogni, tutti quanti.

L’unica cosa che mi resta è andarmene.



***



L’attesa per il ritorno finì ma non come Gabriel aveva programmato. Lo lasciarono andare, incuranti delle sue proteste, dopo una settimana. Avevano voluto tenerlo sotto osservazione ancora qualche giorno, giusto per evitare effetti collaterali ritardatari. Ma Gabriel si era ripreso del tutto già dal terzo giorno e per questo si arrabbiò. Non capiva l’utilità e l’emergenza di tenerlo inchiodato sette giorno ad un letto. Lui stava bene, almeno.

Non appena uscì dall’ospedale era talmente bello e riposato che non pareva neanche lontano un miglio un ex ricoverato. Lasciò l’edificio e s’incamminò verso casa, le mani in tasca e una maglietta maniche corte che metteva in risalto i muscoli delle braccia. Erano capibili i comportamenti ammirati delle ragazze che lo vedevano passare. Era bello da togliere il respiro.

E in ogni faccia veneratrice di ogni singola ragazza lui vedeva lei. E ce l’aveva a morte per questo perché se fosse stato meno preso, meno innamorato, meno perso si sarebbe comportato con più severità e lucidità. Se l’avesse amata un po’ meno non avrebbe permesso che accadessero certe cose. Ma il suo cuore era completamente cieco e confuso, non sapeva che aspettarsi una volta giunto a casa. Gli sbalzi di umore di Rebecca avevano il potere di metterlo in crisi.

Ma al diavolo, lui l’amava troppo.

Riconobbe la sua casa dal fondo del sentiero. Gli sembrava uguale a come l’aveva lasciata una settimana prima: niente ragnatele, né scope, né ragni. All’apparenza era tutto normale. Eppure quelle mura lasciavano trapelare una tale sofferenza che Gabriel deglutì prima di aprire la porta. Il cuore gli martellava in petto, automaticamente entrò furtivo e pronto ad attaccare. Non dimenticava il male che Rebecca gli aveva fatto. Perché lei era cambiata.

Ma come?

Perché?

Dopotutto…era importante, forse, saperlo? Lui non ci capiva più niente e non poteva fare altro se non crederle.

Era ancora mattina presto perciò andò dritto al piano superiore, sicuro di trovarla a letto. Tutto, i profumi, i rumori, gli odori, l’atmosfera, gli faceva sentire che era davvero tornato a casa. Sentì il solito gradino scricchiolare sotto i suoi piedi salendo le scale e vide sul muro in corridoio la macchia di caffè che Rebecca aveva fatto inciampando nel tappeto. Erano tutte cose famigliari che lo facevano star bene, al sicuro. Sebbene mentre apriva la porta della camera da letto aveva il fiato corto e affannoso non aveva paura, qualcosa gli diceva che tutto sarebbe andato alla perfezione, nel migliore dei modi.

L’aria dentro la stanza sapeva di chiuso e di polvere. I balconi erano chiusi ma la luce entrava comunque dalle fessure del legno piroettando giochi di luce e ombra sul pavimento e sulle pareti, illuminando qualche mobile, qualche angolo, qualche chiazza di muro.

Vide Rebecca stesa sul letto, in posizione fetale, il suo corpo si alzava e si abbassava a ritmo del suo respiro regolare e lento. Gli dava le spalle e l’unica cosa che riusciva a vedere erano i suoi lunghi capelli scuri che ricadevano scomposti e morbidi sulle lenzuola bianche.

Sorrise senza accorgersene.

Come poteva essere arrabbiato? Aveva desiderato così tanto rivederla. Un po’ ce l’aveva con lei, non era mai venuta a trovarlo all’ospedale, ma la consapevolezza che lei ora riposava tranquilla e dolce come una bambina gli sollevava il cuore. Non era cattiva, era quella di sempre, e per Gabriel era la felicitazione più grande che potesse esserci.

Nei giorni che era rimasto all’ospedale aveva avuto modo di riflettere. Lui aveva sbagliato a tradirla ma lei lo perdonava. Lei aveva commesso un enorme errore nell’attaccarlo ma lui la perdonava.

Cosa c’era di più semplice di questo?

Gabriel ebbe una voglia spasmodica di svegliarla. Voleva vedere il sorriso nei suoi occhi nel momento in cui l’avesse rivisto di nuovo a casa, e la sorpresa nel vederlo sano e felice.

Camminò silenziosamente verso di lei. Rebecca non si muoveva, apparte il respiro era completamente immobile. Mise un ginocchio nel letto e si sollevò spingendosi in avanti con le braccia, gattonò fino ad averla a pochi centimetri di distanza.

Mosse una mano per toccarle la schiena mentre uno splendente sorriso non accennava ad abbandonarli il volto. Proprio quando le sue dita fecero per sfiorarle la pelle queste vennero fermate, bloccate, come se avessero incontrato una parete dura e fredda. Appoggiò con smarrimento il palmo aperto della mano contro una parete invisibile e capì. Il suo sorriso pian piano svanì e si spense.

Gabriel rimase inorridito, terrorizzato.

Era una barriera magica quella che racchiudeva Rebecca. Gabriel tastò l’intero scudo seguendone le curve e capì che circondava completamente il corpo della ragazza. Era un bozzolo potente e indistruttibile, e lei ne stava prigioniera all’interno.

“Oddio…”

Con un balzo Gabriel scese dal letto e lo aggirò per guardare in faccia Rebecca. Prese spavento per quello che vide: dormiva, era vero, ma i suoi occhi erano sbarrati, vacui, assenti e il colore della sua pelle era spento, pallido.

Da quanto era lì in quelle condizioni?

Gabriel cadde in ginocchio e gemette come se stesse piangendo. Portò le sue mani tremanti a toccare la barriera e cercò, con tutte le sue forze e i suoi poteri, di spezzare l’incantesimo. Una forza spaventosa lo scaraventò via dallo scudo facendolo finire a terra privo di energie. Le sue mani erano percosse da scariche elettriche di un blu intenso e tremò quando cercò di rialzarsi.

È troppo potente, non ho mai visto una tale magia.

Ed era stata lei ad ergerla, riconosceva la sua aurea, la sua magia.

Gabriel scosse la testa, sconvolto, incapace di accettarlo. Cominciò a prendere a pugni la barriera, stava cercando di soffocare il suo dolore ma era impossibile.

“Perché! Perchè l’hai fatto? Perché?” urlò, fuori di sé. “Cosa vuoi da me? Cos’altro vuoi?”

Si accasciò sul pavimento e indietreggiò come un animale impaurito. “Mi dici che diavolo vuoi ancora da me?” ripetè, con voce rotta dalla commozione.

Per un momento Rebecca parve guardarlo, a Gabriel sembrò di vedere i suoi occhi posarsi su di lui ma fu questione di un secondo. La porta della camera si aprì.

“Gabriel” disse Denali correndogli incontro e aiutandolo ad alzarsi.

Rosalie andò invece a vedere Rebecca e Gabriel la vide portarsi una mano sulla bocca.

Con uno strattone si liberò dalla presa di Denali. “Tu sei l’ultimo che l’ha vista” non era una domanda.

Denali si meravigliò. “Mi stai accusando? Io quando l’ho vista non era così, è la prima volta che la vedo in questo stato!”

“Tu sai qualcosa! Smettila di fingere con me!” disse dandogli un violento spintone in pieno petto.

“Ehi!” intervenne Rosalie. “Avete intenzione di fare a botte o di aiutare Rebecca?”

Gabriel ringhiò. “Aiutarla come? È una magia troppo potente e io non sono in grado di annullare la barriera. Senza contare che è stata lei a crearla!”

Sua sorella sbarrò gli occhi. “Rebecca è stata? Ma perché, scusa?”

“Io non lo so!” disse a gran voce il ragazzo. “La prima cosa che mi viene in mente è che abbia deciso di punirsi per quello che mi ha fatto. La conosco benissimo e so quanto deve esserci rimasta male, avrà creduto di meritare una punizione, dannazione!”

“Cosa pensi che voglia fare?” sussurrò Rosalie fissando il corpo della ragazza che non accennava a muoversi.

“Non è difficile da capire! Questa deficiente ha deciso di imprigionarsi dentro una barriera magica per lasciarsi morire di fame e di sete!” urlò Gabriel fuori di sé. “Si lascia morire, ecco cosa sta facendo!”

“Oh Signore, sarà da una settimana che è qui”

“Da una settimana no, magari da qualche giorno” disse Denali seriamente.

Lui era l’unico che comprendeva appieno le ragioni per le quali Rebecca aveva deciso di lasciarsi morire di una morte lenta e tremenda.

“Quanto tempo abbiamo?” chiese la ragazza.

“Che vuoi dire?” era Gabriel.

“Quanto tempo abbiamo prima che muoia di fame?”

“Prima morirà di sete se non ci sbrighiamo a tirarla fuori di lì. E comunque è fondamentale sbrigarsi”  

“È inutile, ragazzi” Gabriel si appoggiò stancamente al muro. “Noi non possiamo fare niente per aiutarla, spetta a lei decidere se salvarsi oppure no”

“Ma Gabriel…!”

“È così Rose, veramente, fidati. Se ci fosse un modo sarei il primo a muovermi per fare qualcosa ma…non c’è niente, davvero. Rebecca è l’unica in grado di spezzare l’incantesimo”

Rosalie divenne bordeaux in viso. “E tu pensi di stare qui a far niente?!”

Denali si avvicinò alla ragazza e la tenne stretta a lui, abbracciandola. Rosalie lo allontanò. “Smettila Denali, non toccarmi! Non possiamo restare qui a far niente!” urlò.

Denali si scambiò un’occhiata con Gabriel e prese Rosalie per i fianchi, conducendola verso la porta. “Vieni Rose, andiamo via. Gabriel penserà a tutto, noi non siamo di grande aiuto” le disse costringendola a camminare dove voleva lui.

“A dir la verità…” intervenne Gabriel cupamente. “…il tuo aiuto, Denali, potrebbe risultarmi utile”

Vide il volto del ragazzo impallidire. Capì di aver fatto centro.

Tu sai qualcosa, vero? avrebbe voluto chiedergli.

Ecco perché sei così tranquillo, tu sai perché lei si è ridotta così.

“Se ti serve il mio aiuto Gabriel, fammi un fischio. Porto a casa tua sorella e poi verrò a trovarti domani, non ti preoccupare”

“Ci conto”

Contro le proteste di Rosalie, Denali, la portò via e chiuse la porta della camera da letto lasciando dentro un Gabriel pieno di collera e una Rebecca in fin di vita.

Chi è quell’idiota che ha detto che la vita è bella?

Se lo trovo in giro lo ammazzo.



***



Gabriel ammirava il viso di Rebecca da tutto il giorno, da quando Denali e Rosalie se n’erano andati. Si era seduto per terra e teneva appoggiato il mento sul materasso costringendo i suoi occhi a non lasciare quelli sbarrati e sofferenti della ragazza, nonostante il sonno lo stesse divorando.

“Ti prego, salvati” le mormorava di tanto in tanto.

Per tutta risposta gli occhi di Rebecca smettevano di fissare un punto impreciso e si posavano su quelli di Gabriel, le sue iridi sembravano trapassarlo fin dentro l’anima. Poi ritornavano a guardare il vuoto, il nulla.

Rebecca era cosciente del fatto che lui fosse lì e una volta soltanto quella notte, quando lui le aveva sussurrato con voce commossa: “Che farò se te vai? Io non riesco a vivere senza di te…”, lei aveva sorriso. Un sorriso piccolo e angosciato. Ma aveva sorriso. Lei capiva quello che stava accadendo ma non sembrava d’accordo a fermare quella tortura. Era decisa fino in fondo a lasciarsi morire.

Il mattino seguente Denali si fece trovare come promesso. Passò con Gabriel tutta la giornata, parlarono e Gabriel ebbe modo con lui di sfogarsi ma mai riuscì ad estrapolare all’amico una qualche informazione. Denali tornò il giorno dopo ancora con tutta la sorpresa di Gabriel. Tentarono, la pregarono di abbassare la barriera, cercarono di farla mangiare o almeno bere. Ma niente da fare, o si prendeva gioco di loro restando a fissargli attonita o crollava nel sonno.

Passarono quattro giorni e la situazione era stazionaria. Rosalie aveva smesso di venire a trovare Rebecca perché aveva capito che se ci fosse stato qualcosa di nuovo l’avrebbe saputo subito. Gabriel le aveva detto che era inutile che venisse da loro e lasciasse i bambini a casa da soli, dato che Denali era sempre lì. Kevin e Delia era stati informati ed erano passati due volte ma anche loro avevano deciso di seguire l’idea di Rosalie. Gabriel restava via via sempre più basito dalla presenza costante e assillante di Denali.

Sospettava che sapesse qualcosa ma quella cosa era così orribile da portarlo ogni giorno a casa sua?

Non osava chiederglielo più.

Eppure…

“Denali, senti, non occorre che vieni qui ogni giorno” gli aveva detto una volta Gabriel mentre si stavano preparando una tisana per allontanare il sonno.

Denali strinse le mani attorno alla tazza. “Ci devo venire, ha bisogno di noi”

“Sì…già…hai ragione” mormorò lentamente guardandolo storto.  

“Ma temo che anche tu abbia bisogno di aiuto, non è vero?”

Gabriel abbassò lo sguardo e per un momento parve tornato bambino. “Io ce la faccio se anche lei ce la fa. Tu…” non trovava le parole adatte per esprimere la sua agonia. “Tu non puoi neanche lontanamente immaginare come mi sento, sono impotente e paralizzato dalla paura che possa andarsene via da me. Se Rebecca dovesse morire…” inspirò. “…sarebbe una perdita impareggiabile per Chenzo”

“Parli di Chenzo Gabriel, ma tu cosa faresti?”

“Io ho fatto una promessa tempo fa alla mia ragazza, nonché futura moglie, e cioè che se mai se ne fosse andata io l’avrei seguita prima possibile”

“È tutto così triste” disse Denali con sguardo truce. Lo faceva star male il tormento dell’amico.

Ringraziava il fatto che Gabriel fosse forte perché lui, al suo posto, non sapeva che avrebbe fatto. Probabilmente avrebbe perso il controllo.

“È tutto così inutile” lo corresse Gabriel.

“Che posso fare per te?” gli domandò l’amico con premura.

“Aiutami a non impazzire Denali, ti chiedo solo questo”

“Ho una cosa da confidarti, Gabriel. Vengo qui tutti i giorni perché ho promesso a Rebecca di prendermi cura di lei”

“Lo immaginavo che voi due complottavate qualcosa alle mie spalle”



***



Passarono sette giorni: una settimana. L’umore di Gabriel era spaventoso, arrivò a sbattere la porta in faccia ad Alan, il poverino era passato per vedere come stava Rebecca e lui non l’aveva lasciato entrare. Doveva ancora digerire il fatto che stesse con sua madre. Un’altra volta aveva scacciato con rabbia Bastian, il capo-villaggio aveva avuto il coraggio e la stoltezza di osare un consiglio sulla ragazza: trasferire Rebecca all’ospedale dove poteva essere seguita con più professionalità. Gabriel, più che gridare che non si poteva fare nulla per lei, non sapeva più come dirlo. Si era reso antipatico anche a sua sorella e si era dimostrato scontroso con i suoi amici che avevano avuto la sventura di passare a trovarlo.

Solo Denali riusciva a starci vicino ma a lui poco importavano i comportamenti dell’amico, lui pensava a Rebecca. Era quasi sempre lì, durante il giorno tentava con Gabriel di convincere Rebecca a mangiare e si fermava anche di sera per studiare dalla loro biblioteca in salotto pesanti e grossi tomi, nella disperata ricerca di trovare un qualche antidoto al veleno. Forse, se avesse trovato qualcosa e gliel’avesse detto lei avrebbe smesso di punirsi e avrebbe abbassato la barriera con una nuova speranza.

Una sera, mentre Denali leggeva nel divano, Gabriel, dal nervoso, si alzò con furia e scaraventò la tazza di thè fumante che stava bevendo contro la parete. La tazza andò in mille pezzi e il ragazzo cadde a terra coprendosi il volto. Denali lo sentì piangere, nessuno sapeva più che fare.

Anche a distanza di una settimana non erano riusciti ad ottenere dei risultati.

Non appena Gabriel smise di tremare andò a raccogliere i pezzi caduti sul pavimento e poi sparì in bagno. Non uscì dal bagno per un bel po’.

Con stanchezza Denali approfittò dell’assenza silenziosa di Gabriel per andare a trovare al piano superiore Rebecca. Quando la vide stentò a riconoscerla.

Era da così tanto che non mangiava, non beveva e non si muoveva, che ormai era sempre fiacca, stanca. Non faceva altro che dormire.

Il suo viso era incavato, giallognolo e con due orbite nere, infossate e cupe. Non c’era felicità né vitalità nella sua espressione, i suoi occhi erano così tristi e spenti…

Denali ingoiò a fatica un groppo in gola. Era la visione orribile, abominevole, di un corpo che si stava spegnendo, consumando, marcendo. Lentamente Denali si sedette sul bordo del letto, era molto vicino a lei, la poteva guardare in faccia.

Sospirò.

“Come vedi sono qui per proteggerti” le disse premuroso. Lei aprì gli occhi e sbattè le palpebre, nessun tipo di reazione baluginò nel suo sguardo. “Sono l’unico che posso capire la tua decisione e per quanto agghiacciante sia quello che ti stai facendo ti trovo di un coraggio ammirevole. Scommetto che questa era l’unica soluzione che avevi per lasciarti morire senza che tuo padre ti fermasse. Tu stessa mi hai confessato tempo fa quanto il tuo potere sia cresciuto e che riuscivi a controllare Mortimer con più facilità. Sono sempre dell’idea che stai sbagliando ma è perché io non sono d’accordo al fatto di stroncare una vita come la tua. Non riuscivi a trovare nessuno che mettesse fine alle tue agonie e così hai fatto tutto da sola, sei stata capace di ribellarti alle imposizioni di tuo padre. Mi si spezza il cuore a pensare che morirai, ormai eri una della famiglia, i miei figli ti adorano, io ti adoro, sei un’amica eccellente e fidata per la mia compagna e il mio migliore amico è perso per te. Ed è per questo che ti imploro in ginocchio di salvarti. Fallo per lui se non vuoi farlo per te stessa o per noi. Per Gabriel, che ha promesso di seguirti nella morte se tu te ne fossi andata” disse gravemente.

L’espressione negli occhi di Rebecca si addolcì. Aprì la bocca e a Denali parve che volesse parlare, dire qualcosa, ma poi la richiuse e si accoccolò con un gemito di dolore a fondo tra le coperte.

“Ti supplico, non posso perdere anche il mio migliore amico. Rosalie non può perdere suo fratello. Pensaci bene, è questo che vuoi?”

Rebecca si mise in posizione supina e si passò una mano tremante sulla fronte. Denali notò la magrezza quasi scheletrica del suo polso e del suo braccio. Sperava di non dover vedere il resto del corpo altrimenti ne sarebbe rimasto sconvolto. Chissà quanti chili aveva perso in quelle due settimane senza cibo.

La ragazza sorrise, un sorriso amaro, straziante. Per la prima volta dopo giorni di silenzio parlò.

“Dov’è?”

Dire che Denali ne rimase contento è troppo poco. Vedere che aveva reagito, seppur di poco, era per lui un passo avanti, una vittoria. Magari entro breve avrebbe ceduto.

Il ragazzo cercò di contenere la propria eccitazione. “È in bagno da un bel po’, ha rotto una tazza scaraventandola contro il muro e poi si è chiuso in bagno”

“Tipico di lui”

Denali sorrise.

“Io…”

“So cosa vuoi dire, a te sembra giusto quello che stai facendo e difficilmente cambierai idea, però…cerca di non pensare per un attimo a te stessa, pensa anche alle persone che ti vogliono bene e che sono costrette a vedere queste scene macabre”

Per un attimo Rebecca sembrò sorpresa. “Io lo sto facendo per voi”

“No” scosse la testa. “Se veramente lo facessi per noi allora staresti in piedi e cammineresti”  

“È difficile…” mormorò.

“Non ci trovo niente di così difficile, hai il potere di abbassare questa dannata parete invisibile e non capisco cosa aspetti a farlo! Ti aiuterò con tuo padre, te l’ho promesso. Gabriel ti è vicino, che vuoi di più?”

“Tu lo sapevi che lui mi ha tradita?” gli disse, con una tale sofferenza nella voce che Denali si paralizzò sul posto. Credette di non aver capito bene. Il cuore prese a pompare più sangue.

“Gabriel?” domandò confuso.

“Già”

“Come…?”

“L’ho visto con un’altra, è uno dei motivi per cui ora sono qui. È uno dei motivi per cui ho perso il controllo e l’ho attaccato. La verità è che non riesco a fidarmi più di nessuno e il mio cuore è stato così tante volte calpestato che non ha più voglia di reagire. Mi sono arresa, e forse nella morte troverò quel conforto che cerco, quell’amore fedele che mi manca”

“Io non lo sapevo” ammise con tristezza. “Ma davvero ancora non ti capisco”

Rebecca chiuse gli occhi e poco prima addormentarsi fu percorsa da un brivido di freddo che la fece tremare sotto le coperte.

Stava per morire?

La morte era sempre più vicina?

“Ho tanto freddo…” sussurrò.

Denali sbiancò e guardò con paura le forze affluire dal corpo della ragazza. Era magrissima, debole, malata. Quanto avrebbe resistito?

Il panico, freddo e micidiale, lo fece alzare di scatto. Il suo volto era deformato dal terrore.

“Oh mio Dio…” disse con un fil di voce. “Oh no…”

Con un unico lento movimento Rebecca abbassò definitivamente le palpebre, non prima di emettere un sospiro straziato.

Denali corse giù per le scale a chiamare Gabriel. Lo trovò in bagno seduto sulla tavoletta del water, le mani congiunte sulle ginocchia e il corpo proteso in avanti. Il volto nascosto dai ciuffi biondi. Al rumore della porta che si apriva alzò la testa con un’espressione interrogativa.

I suoi occhi si dilatarono alla vista dell’amico.

Denali aveva il fiato corto. “Dobbiamo fare in fretta!”

Gabriel lo raggiunse con poche falcate e lo prese per le spalle. “Che succede?”

“Ho paura che Rebecca…oh, io…non le manca molto! Dobbiamo…noi dobbiamo…”  

Con un ringhio soffocato Gabriel lo spinse da un lato per farsi strada e uscì dal bagno.

“Torna a casa, Denali. Da qui in avanti ci penso io” gli urlò mentre era a metà del corridoio.

Denali si portò una mano sul cuore mentre cercava di regolarizzare il respiro. Si fece il segno della croce.



***



Gabriel entrò in camera da letto come una furia. Se in quei giorni si era sempre dimostrato avvilito e sofferente ora i suoi occhi ardevano di rabbia.

Sbattè dietro di sé la porta con un tonfo sordo.

“Eh no, carina…” disse in modo minaccioso mentre si avvicinava al letto su cui giaceva Rebecca.

Diede un pugno alla barriera e la sua mano rimbalzò.

“Cosa pensi di fare?!” urlò.

Un po’ alla volta la ragazza aprì gli occhi.

“Ciao, amore” disse lui in tono ironico, la sua faccia era deformata dalla rabbia.

Rebecca mise a fuoco la figura possente di Gabriel e quando capì che era arrabbiato arrossì di vergogna. I suoi occhi solcati dalle profonde occhiaie cominciarono a lacrimare. Non ebbe la forza di rispondergli, sapeva che se solo lo avesse ascoltato avrebbe ceduto. Gli faceva così pena…ebbe un tuffo al cuore e quasi smise di respirare.

“Sto perdendo veramente la pazienza. Perché tu prova compassione non basta farmi vedere annientato e triste, devo anche farmi vedere infuriato! Ti decidi a salvarti, o no?” Gabriel si sedette e appoggiò le mani sul materasso. I loro occhi si incatenarono. “Sono quasi due settimane che non tocchi né cibo né acqua, il tuo corpo non si muove da quindici giorni e se non fai qualcosa rimarrai paralizzata. Morirai e la tua morte non servirà a salvare nessuno. Ma quello che non riesco a capire è: perché lo stai facendo? Illuminami, illustrami il tuo grande piano divino!”

Lei non poteva parlargliene. Non aveva la forza di inventare una scusa plausibile. Era stanca di mentire.

Si morse il labbro ed espirò, voltando la testa.

“Io credo che il nostro amore abbia un potere immenso Rebecca, posso giurare che sarà lui a salvarti. Anche se tu vorrai morire, se hai già mollato e non riesci a trovare la luce…ti troverà e quando ti avrà presa non ti lascerà andare e ti strapperà da queste tenebre che ti sei creata. Io sono qui che aspetto, aspetto te dall’altra parte della strada” disse il ragazzo con la voce piena di sentimento. “Perché, Rebecca, non attraversi la strada?”  

Lei lo guardava, incapace di rimanere impassibile, di nascondere i suoi veri sentimenti.

Perché era così tenero?

Gabriel sorrise. “Sono così innamorato di te…e mi dispiace di averti tradita. Se puoi, se vuoi, io vorrei che tu mi aiutassi a pulire la mia anima. E io ti proteggerò, mi prenderò cura di te senza chiederti niente. Ti difenderò dalle tue paure e dagli spiriti che ti assillano. Ti voglio sposare, abbiamo l’immortalità che ci aspetta, perché non cammini per prendertela?”

“Gabriel…” lo chiamò con un sussurro.

“Sono qui”

“Perché non te ne vai e mi lasci morire in pace?”

Proprio ora che riesco ad annientarmi, avrebbe voluto aggiungere.  

“Smettila di piangere amore, fuori c’è il sole. Non lo vuoi vedere?”

Rebecca adagiò la testa sul cuscino e pianse sommessamente. Gabriel accarezzava la barriera pigramente.

“Sei un miracolo Rebecca, sei un dono del Signore. Lui ti ha mandata per redimerci tutti, se muori finirà tutto nel caos il mondo. Mi credi, vero?”

Lei annui.

“Mi perdoni?” le chiese con la voce rotta dalla commozione, dal desiderio, dalla rabbia.

Lo scudo magico ebbe un fremito e una luce azzurra piroettò sulla sua superficie, come una piccola scarica elettrica.

Rebecca chiuse gli occhi e sorrise. Il suo cuore martellava nel petto ed era gonfio di sentimento, di amore.

“Sì, sì che ti perdono”

La barriera cadde e subito Gabriel non se ne rese conto. Se ne rese conto quando, con mani tremanti, toccò per la prima volta dopo due settimane le spalle nude di Rebecca. Le sue dita non incontrarono nessun ostacolo e andarono lentamente ad appoggiarsi contro la sua pelle. A quel contatto Gabriel gemette. Si alzò da terra e sedette accanto a lei, nel letto. Lei rimase stesa su un fianco, in attesa. Per un attimo le parve di essere ritornata la solita Rebecca.

Le mani di Gabriel premettero contro le sue spalle e poi l’abbracciò con trasporto, mozzandole il respiro.

“Perché? Perché l’hai fatto?” le disse nell’orecchio. “Non farlo mai più, mi hai capito? Credi che mi diverta saperti in fin di vita?”

Lei strofinò la guancia contro il petto di lui, stringendosi a sua volta con forza. “Mi dispiace, non lo farò mai più”

Se dovessi diventare un angelo nero…

…sarai tu il nuovo paladino del Bene.

E sarà tuo compito uccidere me.  

Ma la morte è cosa dolce se sarai tu a porvi fine.

Con calma Gabriel, attento a non farle del male, si stese sopra di lei.

“Lo so che dovrei farti mangiare ma pensi di riuscire a resistere per un po’?”

“Certo” disse Rebecca, sorridendo.

“Mi sei mancata così tanto che…” non riuscì a continuare.

Le baciò gli occhi, la fronte, le poche lentiggini che aveva nel naso, le labbra.

Lei gemette. Gabriel si staccò e la guardò con ansia.

“Ti faccio male? Dio, sei diventata così magra…”

Rebecca gli sorrise e scosse la testa, stringendo i denti per non urlare. La verità era che le ossa sembravano stessero per spezzarsi e ogni parte del suo corpo incendiarsi. Ma poco le importava, le labbra di Gabriel erano troppo calde sul suo viso. Lui continuava a baciarla, a tenerla stretta, non aveva nessuna fretta. Sembrava volesse aspettare, aspettare qualcosa…la sua bocca non lasciava di un secondo il suo collo, il suo viso, la parte alta del petto vicino al cuore. Lei mugulò di piacere.

Morirò, pensò Rebecca.

Come se le avesse letto nel pensiero Gabriel la guardò e disse: “Se continui così muoio, però”

Tu morirai?”

Lui le sorrise.

Con grazia, poco a poco, pian piano, Gabriel le tolse i vestiti, attento a non farle male. Il contatto con il suo corpo nudo gli provocò un fremito di piacere. Sperò che nessuno venisse ad interromperli. Gli avrebbe ammazzati di botte.

“Sono felice che sia finita” le disse il ragazzo con amore.

Questi giorni di guerra finiranno.

La voce appena udibile era quella di suo padre. Ritornò a tacere, se ne andò com’era arrivato.

E io con loro, pensò Rebecca.



***



Era notte fonda, avevano appena finito di fare l’amore quando Rebecca si svegliò. Guardò con aria assonnata e sfinita il volto preoccupato di Gabriel che la stava fissando.

“È meglio che tu vada a mangiare qualcosa, per favore” le mormorò.

Rebecca roteò gli occhi e si rannicchiò nell’incavo del suo braccio. “Domani”  

Gabriel sospirò. “No, adesso, per favore” ripetè.

Lei rise. “Sto benissimo, mangerò qualcosa domani mattina ti ho detto. Non preoccuparti”

Gabriel si divincolò finchè Rebecca non si staccò da lui e si girò, dandole la schiena. Si era arrabbiato.

“Ok, vado! Sei contento?” esclamò la ragazza alzandosi e vestendosi.

Lui non le rispose e lei se ne andò. Aveva addosso una maglietta con maniche a tre quarti, grigia, che le arrivava fin sopra le ginocchia. Era enorme, non era sua. Data la sua lunghezza di un vestito, sotto, portava un paio di culotte grigio perla. Prima che uscisse Gabriel la sbirciò. Era bellissima. E viva. I capelli le erano cresciuti parecchio da quando era arrivata a Chenzo, prima le arrivavano alle spalle ed erano tutti scalati, con la frangetta spostata da un lato. Ora erano lunghi, lucenti, tutti uguali senza scalature e il ciuffo più lungo era sempre spostato da un lato. Quando si muoveva e i suoi capelli incontravano la resistenza dell’aria fluttuavano come onde. Senza contare che anche il suo corpo era maturato. Gabriel l’aveva incontrata che era poco più di una ragazzina mentre adesso era una giovane donna con un fisico perfetto.

Gabriel stava per richiamarla perché tornasse indietro ma poi lasciò perdere e lei andò a mangiare.      

Mentre era in cucina Rebecca fece per addentare un pezzo di pane quando un pensiero, una voce, s’insinuò prepotente nella sua testa. Sbarrò gli occhi e fece cadere sul tavolo il pane. Suo fratello la stava chiamando. La stava pregando di raggiungerlo.

Da quando era in grado di entrare nella sua mente?

Mollò all’istante quello che stava facendo e si precipitò fuori. Si fermò sul primo gradino e piroettò i suoi pensieri verso Gabriel. Stava dormendo. Bene. Nonostante la sua debolezza le sue gambe cominciarono a correre, trovarono la forza per muoversi, veloci e silenziose nella notte. Ben presto Rebecca raggiunse il bosco, la solita radura che il fratellastro usava per parlare con lei senza essere visto.

Arrivò e lo chiamò con voce affannosa.

Atreius comparve dal buio. Non l’aveva riconosciuto con il mantello nero lungo e il cappuccio alzato sul viso.

“Cosa c’è?” chiese con una certa urgenza.

“Non ti chiedi come ho fatto a chiamarti con la mente quando questo potere spetta agli angeli?”

Rebecca indietreggiò, non capì perché. Paura?

“Anche, certo” prese un bel respiro. “Come hai fatto?”

Atreius sorrise e si calò il cappuccio. Il suo volto era radioso, bellissimo. “I miei consiglieri sono molto preoccupati. Temono che i tempi per riportare nostro padre al suo originario splendore si stiano allungando quindi mi hanno concesso dei poteri per comandare”

“Sei diventato re?” esclamò con un’espressione attonita.

“No, però la mia posizione è molto simile. Il regno deve avere un comandante che lo diriga e finchè aspettiamo Mortimer io sono l’unico erede maschio. Peccato per i poteri”

“Perché?”

“Sono temporanei, fino al momento in cui lui non tornerà” inspirò. “È questo che provi?”

“Non capisco”

“I poteri. Sentirgli dentro che scorrono nelle tue vene, sentirti potente, invincibile. È questo che si prova? Io ne ho solo una parte ma un essere come te, un vero angelo, che ha poteri infiniti, come si sente? Come ti senti, sorellina, ad essere la più forte?” la guardò. “Io mi sento un dio con poco”

“Mi sento come se potessi sempre fare di più” ammise.

“Ecco perché il tuo nome sarà leggenda” le disse il ragazzo con gli occhi che brillavano.

“Basta. Dimmi perché mi hai chiamata, Atreius”

“Oh, giusto” disse Atreius. “Sono venuto per dirti una cosa importante. Ora che ho preso parte un po’ dei vostri poteri angelici mi è arrivata chiara la tua situazione. Tu non puoi vederti né capire a che punto sei ma chi sta fuori da te e dal tuo corpo contaminato lo vede eccome”

Rebecca non capiva un accidenti. “Parla potabile”

“Tu lo sai vero che il veleno ti sta…diciamo: “annerendo” il corpo”

“Ovvio”

“E questo si vede”

La ragazza assunse un’espressione sorpresa e orripilata al tempo stesso. “Si vede quanto il veleno ha contagiato il mio corpo e dove?”

“Sì”

Con il cuore che batteva come una mitragliatrice in petto, gli chiese, con agitazione: “E…a che punto è?” voleva e non voleva sentire la risposta.

Le sarebbe piaciuta come risposta?

“Il tuo corpo è per metà contagiato. Non ha ancora toccato il cervello e non è arrivato ancora al cuore, per tua fortuna”

“Ma se tu puoi vederlo allora anche Gabriel mi può vedere!” esclamò con terrore.

“Lui no”

“Perch…?”

“Troppo cieco” tagliò corto lui.

Rebecca richiuse la bocca, più sollevata e tranquilla.

“Quindi è a metà”

Atreius annuì con la testa. “Sembra proprio di sì”

“Perché me l’hai detto? Tu vuoi farmi dannare!”

“Te l’ho detto affinché tu ti regoli con i tempi. Fa un conto di quanto ti resta”

Rebecca inspirò profondamente cercando di trattenere le lacrime. “Proprio ora che iniziavo a sperare”

“Fede?!” ripetè Atreius con un moto di schifo nella voce. “Devi smetterla di avere fede. Non ti porterà da nessuna parte” fece per andarsene. Lei lo fermò.

“Che vuoi?” disse con lentezza Atreius.

“No, no, niente” si affrettò a dire, era arrossita. “Niente, niente”

Atreius le sorrise. “Se mi vuoi, pensami”

La ragazza alzò la testa e gli occhi verso di lui e ricambiò il sorriso. “Ciao, Nim”

“Ciao, regina delle tenebre”



***



Tornata!!! (o arrivata???..O__o boh..)
Mi scuso per il ritardo, di solito non ci metto molto ma sto giro, ragazzi, veramente non sapevo
che santi chiamare né che inventare in questo capitolo!!!
Come sempre (soliti convenevoli) spero che vi sia piaciuto e fatemi sapere!!!
(---> come sempre!!!)

Il prossimo capitolo si intitolerà: "AL PASSO CON LA FOLLIA"
e devo dire che le cose tra questi due poveri innamorati non finiscono mai!!!
penso che se fossi stata lei mi sarei già da tempo buttata giù dal balcone!!!

Questa notte ho sognato adirittura come sarà il seguito, la terza storia di Angelus Dominus. Oh, penso di
essere soddisfatta!!!
Dei bei colpi di scena!!!
La fine è sempre però un dilemma: Rebecca (cattiva) muore o si salva?????
Boh.......non lo so neanche io....




I THANKS:

"ANTHY": sì, in effetti magari queste situazioni le passiamo tutti!!! spero che ti sia piaciuto anche questo capitolo, forse meno bello però...grazie per la recensione, a presto...

"VALESPX78": no!!! e tu che non trovi convincente Gabriel...mmh...l'ho reso più convincente ora???? :-)

"CHICCA90": solo una cosa: "ci sei andata vicina, cazzarola!!!!" ehehe..bacioni, a presto.

"ANGELOFLOVE": sì infatti l'ha conciato male però lui si è già rimesso in sesto!!! guarda, per la storia dei capitolo, sono arrivata con questo a 11 capitoli e in teoria di questo secondo Angelus Dominus ce ne sono in tutto 22 (metà!!!!). poi sì, farò anche il terzo e ultimo della serie ma non so ancora come farlo finire, sia che rebecca muoia che si salva...non so..mah...cercherò un'illuminazione divina..





 



 

 
  
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