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Autore: Adeia Di Elferas    12/03/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Dopo la visita di Giovanni Novello, per qualche settimana, Forlì visse nell'illusione di un nuovo corso che, però, si ostinava a non cominciare.
 Con l'avvicinarsi delle feste natalizie, era arrivata anche la neve e per un po' il pensiero di tutti fu concentrato sul clima intemperante e sulle temperature inclementi.
 Assediati dal gelo e tormentati dai cosiddetto cavalcanti che si aggiravano per le campagne a riscuotere le tasse, i contadini cominciarono a fare la voce grossa e chiedere di poter vedere il Conte per discutere di affari della massima importanza.
 Girolamo Riario, che si stava ancora riprendendo dalla batosta subita davanti al Consiglio dei Quaranta in novembre, era restio a incontrare i rappresentanti dei contadini e non ne faceva per nulla mistero.
 Matteo Menghi, che non lo lasciava quasi mai, lo convinceva ancora di più a procrastinare e così faceva Ludovico Orsi, mentre l'unica che sembrava favorevole a quell'incontro era la Contessa.
 Iniziato il nuovo anni, il 1488, alla fine Girolamo cedette.
 Aveva acconsentito a incontrare i rappresentanti dei contadini solo per far piacere alla moglie. Dai giorni in cui lui si era battuto – seppur a modo suo – per il Monte di Pietà, Caterina aveva continuato a ignorarlo come sempre e a preferire la spada alla sua compagnia, tuttavia si era notevolmente trattenuta nei suoi commenti aspri e nelle sue occhiate piene di disgusto e disprezzo e tanto era bastato a Girolamo per ritrovare un briciolo di coraggio.
 Perciò, quella sera, ad accordi già presi, si trovò a bussare alla porta della camera di Caterina, il cuore che batteva forte nel petto e le mani sudate che tremavano un po'.
 “Avanti.” disse la donna, che ancora non si era cambiata per la notte.
 Quando vide suo marito, a Caterina prese un mezzo colpo. Che cosa poteva volere da lei?
 Appoggiò il libro di alchimia che stava leggendo e gli andò incontro: “Come mai sei qui?” chiese, cercando di non suonare troppo aggressiva.
 Da novembre, Girolamo aveva ripreso a acquistare fiducia in se stesso e lei non voleva rovinare quell'esile risultato. Le serviva un marito che fosse almeno in grado di presenziare ai Consigli e alle questue, quindi era suo preciso dovere evitargli una ricaduta per motivi futili.
 “Domani incontrerò i rappresentanti dei contadini.” disse in fretta Girolamo, guardandola di sottecchi, già temendo una reazione violenta a quelle parole.
 Caterin annuì, pensando che era ora, ma disse solo: “Bene. Sai già come gestirai l'incontro?”
 Girolamo deglutì, il pomo d'Adamo che saliva e scendeva nella golae gli occhi affossati che cercavano un appiglio qua e là: “Ebbene... Credo che lascerò che espongano i loro problemi, e poi... Non so, in base a quello che diranno...”
 “Sappiamo già quello che diranno – lo contraddisse Caterina – e tu dovrai dar loro ragione. Da troppo tempo le tasse che spetterebbero ai padroni delle terre ricadono sui contadini. Non ha senso. Tu ti impegnerai formalmente a sistemare questo inconveniente e vedrai che si sistemerà tutto.”
 Girolamo ascoltava le parole di sua moglie come fossero state la soluzione a ogni male. Aveva sperato di ricevere un'imbeccata simile da lei e ora era più sereno perchè sapeva cosa avrebbe dovuto dire il giorno seguente ai contadini e perchè non era stato aggredito da Caterina, come invece aveva temuto.
 “Questa è la tua occasione per riprendere a tutti gli effetti il tuo posto in Consiglio – lo incoraggiò Caterina – per dimostrare di nuovo a tutti che qui sei tu a comandare e non loro. Ti basterà dire che hai deciso di far rispettare la legge e nessuno potrà darti contro.”
 Girolamo guardava la moglie con un misto di speranza e incredulità. Sembrava un bambino spaventato. Caterina ne ebbe quasi pietà, ma poi si ricordò di tutto quello che le aveva fatto passare nel corso del lro matrimonio e tutta la pietà se ne andò.
 Tuttavia, più per calcolo che non per vero convincimento, Caterina guardò un momento il marito e riuscì a curvare le labbra in un mezzo sorriso: “Vedrai che ci riuscirai.”
 Girolamo, credendo che quello fosse il timido segnale di una riconciliazione, allungò una mano verso di lei, fino a sfiorarle la guancia.
 Preda di quello che era ormai un riflesso condizionato di difesa, Caterina scostò con rabbia la mano di suo marito: “Che cosa credi di fare?!”
 Girolamo sbarrò gli occhi, confuso: “Io...”
 Caterina capì perfettamente cosa stava passando nella mente di quell'uomo e si stupì sinceramente della sua ingenuità: “Guarda che tra noi non è cambiato niente.”
 Girolamo non riusciva a dire nulla. Non capiva nemmeno se quello che aveva nel petto era dolore, delusione, collera o tristezza...
 Preferì andare alla porta, fingendo di non aver dato peso a quello spiacevole episodio, ma quando mise la mano sulla maniglia, Caterina aggiunse: “E domani all'incontro coi contadini, vedi di non rovinare tutto come tuo solito.”
 E tanto bastò a far capire a Girolamo che la bestia che aveva nel cuore era la furia più nera che mai avesse conosciuto.

 “Parlate, dunque.” concesse Girolamo, nervoso.
 Aveva davanti a sé una quantità notevole di 'portavoce'. Pensava che sarebbero stati due o tre, massimo quattro o cinque e invece quasi non ci stavano tutti nella sala. Tutta quella folla lo agitava e quel vociare di fondo lo faceva uscire di senno.
 “Ecco, mio signore – prese a dire il più anziano tra loro, dopo essersi genuflesso con servile educazione – come di certo voi già sapete siamo qui per chiedere che i cavalcanti non passino più per i campi a chiedere a noi le tasse...”
 “E a chi dovrebbero chiederle?” domandò Girolamo, abbastanza retoricamente, giusto per far vedere che si interessava davvero alla questione e all'opinione di quegli agricoltori.
 “Ecco, noi le terre le abbiamo vendute tutte che è un bel pezzo. Lo abbiamo fatto per pagare le glabelle sul macinato, sul fieno, sui cereali, sul foraggio, sulla legna...”
 “Sì, sì, ho capito, andate avanti...!” lo esortò Girolamo, tenendosi la testa con una mano, insofferente a quell'elenco che gli riportava alla mente i giorni burrascosi in cui aveva dovuto accettare di reintrodurre tutti quei balzelli.
 “Nell'ordinanza che voi stesso avete firmato, mio signore, si dice che spetta ai proprietari delle terre pagare i cavalcanti, non a chi le lavora. Noi non possediamo più quei campi, dunque chiediamo che siano quelli che li han comprati a pagare e non noi.” concluse il contadino anziano, inginocchiandosi una seconda volta e facendo molta fatica a rialzarsi.
 “Capisco le vostre ragioni. Mi consiglierò coi miei consiglieri e poi delibererò una decisione. Se siete nel giusto, non dovrete temere nulla...” balbettò Girolamo, facendo segno ai rappresentanti dei contadini di andare.
 
 “Sassi, che è un esperto di queste cose mi ha detto che converrebbe fare quello che vogliono i contadini...” disse debolmente Girolamo, che qualche giorno prima si era preso il disturbo di interrogare in merito a quella faccendo un certo Sassi, uomo di Forlì dalla conoscenza politico e antropologica seconda a pochi.
 Questi gli aveva detto che se i contadini si fossero trovati senza pane da mettere sotto i denti, poco sarebbe valso avere dalla propria parte i ricchi. 'Uccidono tanto i forconi – gli aveva detto – quanto le spade, non dimenticatelo!'
 “Sassi è solo uno che racconta storie...!” si infervorò Ludovico Orsi, che aveva saputo dell'incontro tra il Conte e quell'uomo e il giorno appresso aveva subito cercato di mettere in ridicolo Sassi davanti ad alcuni concittadini facoltosi.
 “Ma sull'ordinanza che c'è scritto?” chiese Menghi, quasi annoiato.
 “Che le tasse vanno pagate da chi possiede la terra.” ammise Ludovico Orsi, a malincuore.
 “E dunque che i contadini vengano accontentati.” decretò Girolamo, con semplicità.
 Forse, si disse, sarebbe stato facile, più del previsto. Se l'ordinanza parlava chiaro, allora non c'era altro da aggiungere. Dura lex, sed lex.
 “Non avete pensato con sufficiente attenzione, mio signore...” disse Ludovico Orsi, giungendo le punte delle dita: “La classe nobiliare, di cui mi faccio portavoce in queste parole, non prenderebbe con favore una simile novità.”
 Matteo Menghi se ne stava in silenzio, ma dalla sua espressione si poteva capire che era dalla parte di Orsi.
 “Il vostro potere dipende dalla classe nobiliare, non certo dalla classe contadina. Pensateci: i contadini nemmeno vivono nei confini cittadini. E poi sono abituati a pagare e tacere. Hanno sollevato la testa perchè nevica e non hanno nulla da fare nei campi, ma appena dovranno tornare a zappare la terra, non avranno tempo di pensare se le tasse che pagano sono giuste o ingiuste e pagheranno come hanno sempre fatto.” disse Ludovico Orsi, tranquillo: “Se invece vi accanirete sui nobili di Forlì, state certi che questi non ci metteranno molto a ribellarsi e i nobili hanno abbastanza denaro da potersi comprare qualcuno che faccia la guerra al loro posto, non dimenticatelo.”
 “Questa mi sembra una minaccia...” squittì Girolamo, mentre vedeva davanti agli occhi il suo più grande incubo prendere forma.
 “Non una minaccia, mio signore – lo corresse Orsi – ma l'avvertimento di un amico. Chiunque vi abbia consigliato di assecondare i contadini, vi vuole solo danneggiare.”
 Girolamo cominciò a sentirsi vacillare. Quelli erano i suoi più fidati consiglieri. Di certo parlavano e pensavano per il suo bene... E allora perchè stavano dicendo il contrario di quello che gli aveva detto sua moglie Caterina?
 Ah, certo. Perchè sua moglie Caterina lo odiava.
 “Quindi date retta a chi vi stima e vi apprezza. Non cambiate nulla e lasciate che i contadini dimentichino da soli questa loro avventata rappresaglia.” terminò Ludovico Orsi, certo di aver fatto centro.
 Girolamo risentì, cocente e graffiante, il colpo con cui sua moglie gli aveva scostato la mano la sera prima. Rivide i suoi occhi che fiammeggiavano e risentì la sua voce mentre gli si scagliava contro.
 Eppure si ricordava anche di come, malgrado tutto, lei lo avesse curato. Ricordò tutte le pozioni, tutti i decotti, tutta la pazienza e le attenzioni che gli aveva riservato, benché non lo ritenesse degno del suo amore...
 “Potete dire tutto quello che volete, Orsi. La decisione è presa. Da oggi in poi spetta ai proprietari pagare, non ai contadini.” concluse Girolamo e, prima di lasciarsi prendere da uno dei suoi accessi di panico, riusciì a raggiungere l'uscita e scappare nelle sue stanze.

 Matteo Menghi e Ludovico Orsi erano rimasti muti, di fronte a un simile sprezzante comportamento del Conte.
 “Qui mi sa che dobbiamo muoverci, amico mio, prima che questo galletto alzi troppo la cresta.” disse piano Menghi, che ancora non credeva possibile di aver udito quelle parole uscire dalle labbra di Girolamo Riario.
 “Quell'imbecille ha capito che gli conviene seguire gli ordini di quella cagna di sua moglie...” scosse il capo Orsi: “Dobbiamo passare ai fatti prima che sia troppo tardi...”
 “Come ci regoleremo?” chiese Menghi, con un sospiro.
 “Prima di tutto ci occuperemo di lui e poi voglio fare a pezzi anche lei. Anzi, prima voglio che quella maledetta donna veda morire i suoi figli uno dopo l'altro, che forse sono gli unici essere umani di cui si interessa davvero, e poi la voglio fare a pezzi di persona, con le mie stesse mani...!” ringhiò Ludovico Orsi, stringendo le mani come se potesse già in quel mentre dilaniare le carni della Contessa.
 “Pazzo, il nostro amico non vuole che tocchiamo lei. Per me le sue parole sono legge. Se non rispetterai gli ordini, sappi che non sarò più dalla tua parte. Dura lex, sed lex.” disse subito Menghi, alzando le mani.
 Ludovico Orsi cercò di calmarsi e concluse: “E sia. Cercheremo di convincere il nostro amico a lasciarci carta bianca anche con lei, se sei più tranquillo così. Per il momento cerchiamo di organizzare il colpo. Sono stufo di aspettare e di fingermi suo amico.”

   
 
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