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Autore: Blue Eich    13/03/2016    2 recensioni
[Chiunque non abbia iniziato la nona stagione stia lontano da questa storia, lo dico per il suo bene.]
È stato Mark, in passato, ad insegnare qualcosa a Lexie. Adesso è arrivato il suo momento di ricambiare.
1. «Ragazzi, io sono qui!» urlò di nuovo, indicandosi ed avvicinandosi con passo frenetico alla sua migliore amica, che aveva un'aria distrutta. «Callie, guardami! Sono io, Mark!»
2. «L'ho salvato…» ripeté, sottovoce. Poi un riso, esasperato e liberatorio, le uscì dalla bocca. «L'ho salvato! Ho salvato una vita!»
3. Questi furono i loro pensieri sinceri e concisi, poi fu un attimo: Lexie ritrasse fulmineamente la mano e Meredith tirò via la foto dal pavimento, rialzandosi.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ellis Grey, Lexie Grey, Mark Sloan, Meredith Grey
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nona stagione
Capitoli:
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Our life is gonna change

2

2. Seconda lezione.

[Primo scaffale, sezione miti e leggende della biblioteca, pagina quindici, paragrafo tre.]

 

 

Sia Derek che Callie, dopo un lasso di tempo indeterminato, si erano placidamente alzati dalle rispettive sedie. Mark se li era visti passare davanti con i volti affranti, ignorandolo completamente. Lexie, a quel punto, aveva intrecciato la mano nella sua per dargli conforto, posando la testa sulla sua spalla. Stettero molto in quella posizione, senza muoversi di un millimetro. Mark aveva bisogno di tempo per metabolizzare e Lexie, ora che poteva finalmente averlo accanto, non aveva fretta.

«Andiamo via, Piccola Grey» sentenziò lui, d'un tratto.

Lei esaudì il suo desiderio e prese a trascinarlo per un polso, senza una meta precisa; bastava allontanarsi da lì. Camminavano con una lentezza che ad occhi umani poteva parre esasperante, dal momento che essi correvano da una parte all'altra come laboriose formiche, perché il tempo non bastava mai e c'erano troppe cose da fare. Loro due, invece, avevano a disposizione l'eternità.

«Domattina andiamo a vedere come stanno Zola e Sofia, ti va?» propose Lexie, d'un tratto, cercando di apparire il più delicata ed accomodante possibile, con l'accenno di un mezzo sorriso.

Mark si limitò ad annuire, ancora con lo sguardo nel vuoto e la sua mano stretta.

 

«Va bene qui.»

La sentenza improvvisa di Mark fece fermare Lexie. Si trovavano poco distanti dalla reception principale di chirurgia. Non era cambiato molto da che ne avevano memoria: c'erano sempre infermiere con plichi di fogli o cartelle strette al petto che andavano di fretta, o medici che parlavano tra loro camminando a grandi falcate e scambiandosi occhiate fugaci. L'aria era fresca, intrisa del solito odore di medicine amare e disinfettanti. Era un odore che loro, che ci erano abituati, respiravano a pieni polmoni senza problemi.

«Mi sei mancata, Piccola Grey.»

Lexie si stupì della tenerezza improvvisa di Mark, che in quel momento aveva bisogno più che mai di tutta la sua vicinanza. Gli allacciò le braccia dietro al collo, mentre lui posizionava lentamente le mani sulla sua morbida e formosa vita.

Mark rimase colpito dal fascino che quegli occhi, piccoli eppur luminosi, emanavano con un semplice sfarfallio di ciglia. Era del tutto stregata, infatti teneva le labbra leggermente dischiuse e sosteneva il suo sguardo. Mark smaniava dal desiderio di baciare quelle labbra, perciò si sporse con uno scatto repentino verso di esse. Lexie soffocò un riso, mostrando così la sua dentatura brillante.

«Mark» cercò di chiamarlo, tra un bacio e l'altro, perché sapeva perfettamente come entro poco si sarebbe evoluta la situazione. «Mark, non qui» mugugnò, mentre lui prendeva a baciarle anche il collo e cominciava a toglierle il camice.

«Un po' di contegno!»

Una voce stridula ed autoritaria, che li fece sobbalzare di scatto ambedue.

Lexie sgranò gli occhi, mentre l'agitazione si faceva strada in lei a macchia d'olio, diventando l'emozione che sentì dominare in tutto il corpo. “Lo sapevo, cavolo, lo sapevo!

A Mark servì qualche istante, per essere sicuro di vederci bene.

Gli occhi piccoli e attenti di Ellis Grey li stavano scrutando severamente. Il cruccio sul suo volto di pietra lasciava intendere quanto fosse indignata, disgustata. «Non accetto che vengano commesse simili oscenità nel mio ospedale! Andate via, su!»

«Vede, dottoressa Grey, posso spie…»

«Via!» gridò di nuovo con voce ancora più stridula, così paonazza in viso da far paura, mentre indicava il corridoio.

Lexie si affrettò a prendere Mark per un braccio e a trascinarlo via, con passo svelto e nervoso. «Scusa… Ho dimenticato di dirtelo» disse, imbarazzata, voltandosi per un attimo verso di lui, senza che smettessero di camminare. «Non siamo le uniche anime, in questo ospedale…»

 

«Cavolo, la mia matrigna mi ha quasi vista fare sesso!» esclamò la ragazza, intanto che allentavano il passo. «Se prima non le stavo simpatica, adesso mi odierà, sicuro.»

Mark si prese del tempo per scuotere il capo dalla rassegnazione. Tra le matricole si mormorava che il fantasma di Ellis Grey infestasse l'ospedale, dato che le sue ceneri erano state versate in uno dei lavandini di una sala operatoria di chirurgia, ma non aveva mai preso troppo sul serio quella lugubre e ridicola diceria… Che adesso tanto ridicola più non era. Scacciò quei pensieri che parevano assurdi, fermandosi.

«Andiamo qui, allora» disse, mettendo la mano sul pomello di una delle stanze del medico di guardia.

«Oh, attento!» lo avvertì Lexie, parandosi con un agile scatto dinnanzi all'uscio. «Questa è la preferita della Bailey… Potresti vedere cose spiacevoli e pentirtene.» Scosse il capo, cercando di rimuovere un traumatizzante e vomitevole ricordo di poche settimane prima che non riusciva a scacciarsi dalla mente.

«La Bailey ha una vita sessuale?» domandò lui, sorpreso, per poi incupirsi di botto. Anche la Bailey era tra le persone ch'erano venute a vederlo per l'ultima volta.

«Pare di sì, adesso ha un nuovo soprannome, sai…»

Lexie si perse in una delle sue solite parlantine a cui era difficile stare dietro, ma in fondo il suono dolce e così familiare della sua voce lo calmava.

«Avresti dovuto vedere la sua faccia quando Alex gliel'ha detto! Era a dir poco furiosa, è accaduto poco prima che tu…» La voce, da allegra, si fece più bassa e cauta. «…Morissi.»

Che stupida, stupida, dovevo stare zitta…” si disse, anche se ormai era troppo tardi. Si era lasciata trascinare, parlando senza riflettere.

Lui non reagì in alcun modo e fu proprio questo ad allarmarla.

«Mark!» chiamò di nuovo, con un tono più esuberante e rotto da un sincero senso di colpa. «Adesso stiamo un po' da soli» disse, di fretta. «Poi questa sera ti farò conoscere mia madre e altre persone, vedrai, non dormire è fortissimo e puoi assistere a tutti gli interventi che vuoi anche da vicino!» concluse, con gli occhi speranzosi di averlo un minimo consolato.

Mark si limitò a un cenno d'assenso, a capo chino.

«Sai, possiamo attraversare le cose, è incredibile!» proseguì lei, con entusiasmo, guidandolo davanti a quella fatidica porta che si trovava poco accanto al tabellone degli interventi. «Al mio tre… Uno, due…» Lexie si diede senza alcuna paura una spinta in avanti capace di far muovere anche Mark, che aveva chiuso d'istinto gli occhi preparandosi ad una botta. «Tre… Oh santo cielo!»

«Andatevene, qui è occupato

Il minuto corpo di Reed Adamson – che si era rivolta loro in modo piuttosto infastidito e sgarbato – era sotto quello di George O'Malley, che copriva il suo per intero.

«Ancora, George?!» squittì Lexie, furiosa, mentre il suo ex coinquilino coi capelli rasati – a disagio, data la sua espressione colpevole – tentava di allontanare il viso famelico di baci di Reed. «Sei incredibile!» esclamò, marcando bene ogni sillaba e gesticolando nervosamente con le mani.

«Ehm, salve, Dottor Sloan!» si limitò a rispondere il ragazzo, innalzando una mano per fare un impeccabile saluto scout. «Benvenuto a bordo, mi dispiace che sia qui!»

«Cerchiamo un'altra stanza» bofonchiò Lexie con rabbia, per poi trascinare il polso di un Mark così confuso da non aver metabolizzato bene il tutto fuori. Attraversarono di nuovo la porta legnosa, in modo veloce e meccanico, che gli fece girare leggermente la testa.

«Una volta me la sono portata a letto, quella» si limitò a commentare e Lexie si arrestò di scatto nel ben mezzo del corridoio, come sempre affollato di persone al lavoro, per rivolgergli un'occhiataccia fulminante.

«Me lo ricordo» sibilò, profondamente indignata. «Era una vipera, quella! Quando è arrivata qui si è presa l'armadietto di George come se non significasse niente per noi, e lui ci va a letto!» disse, esasperata, continuando a gesticolare dal nervoso. «Capisco che non siamo in molte anime belle, qui, ma avrebbe potuto evitare, diamine

Mark scosse il capo con una smorfia di disapprovazione. «Cosa mai ci troverete tutte in quel pidocchio di O'Malley…» borbottò, all'evidenza scocciato.

«Ma non poteva andare con quello sfigato di Charles, o con Danny? No, proprio con George! Stupida arpia!»

Lui sbuffò, prendendo il viso di Lexie tra le mani. Quel gesto improvviso riuscì a tranquillizzarla, facendola rimanere con la bocca semiaperta e gli occhi stregati dai suoi. «Lexie, calmati. Cercheremo un'altra camera.» Si avvicinò al suo orecchio, per sussurrarle con una nota di dolcezza mista a malizia: «E sarai di nuovo mia

Un sorriso istintivo le nacque sulle labbra e cercò la sua mano per intrecciarla alla propria. Non vedeva l'ora di liberarsi di tutto, di sfogare l'amore che provava per lui ed aveva represso per quasi un anno. Era felice soltanto di sentire accanto la sua presenza e poter girarsi e vederlo al proprio fianco era la cosa più stupenda che potesse esserci.

 

-

 

Erano intenti a cercare un altro posto dove poter stare da soli, quando un allarme intermittente e fin troppo familiare giunse alle loro orecchie.

«Il paziente della 122 sta andando in arresto!» esclamò Lexie, fermandosi di botto. «Sbrighiamoci!» intimò, tornando indietro per raggiungere la camera.

«Noi non possiamo fare niente» le ricordò Mark, confuso da tanta tempestività, lasciandosi trascinare dalla sua presa ch'era tutto fuorché debole.

«Sì invece!» sbraitò Lexie, irrompendo nella stanza e cercando velocemente il monitor MD con lo sguardo, dove i parametri vitali diminuivano di secondo in secondo. Lo stavano perdendo. Mollò senza esitare la mano di Mark e fece una corsa verso il pulsante accanto al letto, che al suo tocco fulmineo s'illuminò. «Codice blu, dannazione, codice blu!» ringhiò, cominciando una nervosa camminata avanti e indietro. Quell'allarme ininterrotto e frettoloso la stava facendo impazzire, era uno strazio per le sue orecchie che infatti finì per tapparsi pur di non sentirlo. “Calmati, Lexie, calmati, calmati…

Poco dopo un gruppo di infermiere, già pronte con il carrello della rianimazione, varcò la soglia.

Lexie, che continuava a camminare tenendosi la testa tra le mani, andò a rifugiarsi nel petto muscoloso di Mark, il posto più sicuro che conoscesse. Lui stette a guardare, mentre le infermiere armeggiavano con il defibrillatore. Bastò una carica a duecento per far ripartire il cuore di quello sconosciuto signore sulla sessantina, con il volto segnato dalle rughe ed i capelli d'un candido bianco.

La ragazza prese a fare respiri profondi per calmarsi: adesso quel brutto rumore non c'era più, sostituito da un rilassante e costante bip.

«Lexie, è tutto okay, l'hai salvato» le disse Mark, calcando ben bene sulle ultime due parole, per darle modo di assimilarle. Lei annuì piano, ancora tra le sue braccia, fragile come un ramoscello.

«L'ho salvato…» ripeté, sottovoce. Poi un riso, esasperato e liberatorio, le uscì dalla bocca. «L'ho salvato! Ho salvato una vita!» esclamò, spalancando gli occhi per guardarsi le mani. Mani leggermente tremanti, pallide, dal tocco di velluto. Mani che avevano fatto l'impossibile.

«Lexie» la chiamò Mark, catturando il suo sguardo dov'era dipinta la pura gioia. «Mi vuoi spiegare come diavolo hai fatto?»

Lei prese un respiro profondo. «Primo scaffale, sezione miti e leggende della biblioteca, pagina quindici, paragrafo tre» citò, con più lentezza del solito. «“I fantasmi possono assorbire energia dalla corrente elettrica e, con molto esercizio, usarla per toccare le persone, lanciare, afferrare e premere gli oggetti.”»

«Devi assolutamente insegnarmelo!» commentò Mark, con un entusiasmo che la sorprese.

Annuì un'ennesima volta, limitandosi ad abbozzare un sorriso. C'erano soltanto due modi, in quelle condizioni, per sentirsi ancora medici. Il primo era chiamare il codice blu non appena assistevano ad un'emergenza, perché anche mezzo minuto poteva fare la differenza. Il secondo era spiegare alle nuove anime dov'erano finite e come funzionavano le cose, usando un linguaggio professionale e calmo, con la stessa naturalezza con cui avrebbero elencato le complicanze di un intervento o letto una cartella clinica. Era come la faccia opposta di una medaglia: da una parte i medici vivi che informavano i parenti vivi e dall'altra i medici morti che informavano i morti stessi. Triste a dirsi, ma vero, il Seattle Grace Mercy West Hospital pullulava di deceduti che potevano adempire a questo compito che poi così scontato non era.

 


 

Angolo Autrice
Salve! Avevo promesso che avrei aggiornato oggi ed eccomi qua. Ho molti dubbi su questo capitolo, perché sia il fatto di Ellis che di Reed-George mi stona un pochino. Comunque spero apprezziate il concetto di poter continuare a salvare vite anche dopo la morte o perlomeno rendersi utili :)
Sono sorpresa di aver avuto tanto "successo", grazie a tutti per aver letto e per le recensioni!
Alla prossima e ultima lezione :D
-H.H.-
 
   
 
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