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Autore: Trick    13/03/2016    6 recensioni
"È inutile cercare di cambiare la natura delle cose. Ci sono regole che sono nate semplicemente per sopravvivere all'umanità. Tu sei una di quelle regole. Tu, lei e una storia d'amore proibita che vuole sfidare la natura delle cose. Vuoi sapere la verità? È una storia noiosa: si sa già chi morirà alla fine".
RemusxTonks | HBP |
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nimphadora Tonks, Remus Lupin, Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Sono molto dispiaciuta per questo abominevole ritardo - più di tre mesi, argh...! Purtroppo il tempo libero è sempre in discussione. Qualcuno direbbe che l'importante è arrivare. ;)

 

 


Il Teatro era una gigantesca nicchia di pietra scavata al limitare della Fossa, a capo della Zona Nord. A differenza del largo cunicolo, tuttavia, era del tutto sprovvisto di rientranze abitate; non c'erano scale ritorte per raggiungere i piani più alti, né fili del bucato appesi da una parte all'altra della via.

Era un ambiente rotondo largo parecchi metri che poteva ospitare anche diverse centinaia di persone in piedi, sovrastato non più dagli archi del Mercato, ma dalla cruda e ruvida superficie della roccia. “Il lato B di Londra” l'aveva definito molti anni prima. Era incredibile pensare che solo pochi metri sopra alla sua testa centinaia e centinaia di ignari Babbani stessero vivendo le loro abitudinarie esistenze alla luce del sole.

Le torce che circondavano l'intero perimetro del Teatro erano già accese, ma i candelabri incantati per galleggiare a mezz'aria erano ancora spenti. Ce ne erano di tutti i tipi: a tre braccia, a quattro, piccoli monconi di candele ormai terminate o grossi lampadari rotondi... tutto ciò che nel corso degli anni si era potuto rubare dal mondo di sopra per illuminare l'unico luogo davvero tranquillo della Fossa.

Seduto a un lungo tavolo di legno massiccio situato in un incavo della roccia dall'altra parte dell'ingresso, il Rabbino aaaGoldstein era sprofondato in una copia del Daily Mirror. I radi capelli che spuntavano al di sotto della kippah era ormai del tutto ingrigiti.

«Questa settimana ci aspettano i Vangeli?».

Noah Goldstein abbassò il giornale di scatto. Le sue sopracciglia cespugliose schizzarono verso l'alto con evidente sorpresa. Nonostante non fosse ancora particolarmente anziano, la pelle macchiata e rugosa e i movimenti lenti gli conferivano un aspetto sciupato e malato.

«Remus Lupin!» esclamò raggiante, girando attorno al tavolo e attraversando le file centrali delle panche del Teatro per raggiungerlo. «Non posso crederci. Che ti è successo, ragazzo?».

«I Loschi non mi hanno preso».

«Sei sempre stato troppo furbo per farti prendere dal Ministero». Lo strinse in un abbraccio gentile. «Sono anni che lo ripeto, ma ormai la voce si è diffusa ed è diventata vera. E chi è questa graziosa signorina?».

«Lydia» rispose con prontezza la bambina, stringendo al petto la tigre di pezza.

«È un vero piacere conoscerti, signorina Lydia». Goldstein alzò lo sguardo su Remus. «Quali orrende notizie sei venuto a portarci?».

«Perché credi lo siano?».

«Perché non ne hai mai portate di belle» ribatté con affettuosa ironia l'anziano licantropo. «Signorina Lydia, ormai è ora di colazione: non hai fame?».

La bambina sfoggiò un largo sorriso e annuì vigorosamente.

«Galila!» chiamò a gran voce Goldstein in direzione di una logora tenda viola che ondeggiava dietro di loro. «Sei ancora lì, mia cara?».

«E dove altro dovrei essere?» rispose una voce squillante.

Remus non aveva dimenticato né il suo nome né la sua vivacità, ma la giovane che uscì dall'alcova oltre la tenda era ben distante dal volto infantile che ricordava. Esattamente come il suo incontro con il ragazzo che un tempo era stato il piccolo Ric, vedere con quanta rapidità Galila avesse smesso di essere una bambina lo fece sentire nuovamente molto più vecchio di quanto non fosse davvero. A modo suo, era riuscita a diventare perfino graziosa – proprio lei che piagnucolava perché aveva la carnagione scura e troppe sopracciglia nere, i capelli grossi e il naso pronunciato, e si sentiva così diversa dalle altre bambine con la pelle chiara. Galila aveva ancora la carnagione scura, le sopracciglia e i capelli folti e neri, e il suo naso aveva indubbiamente una linea particolare, ma il sorriso caloroso che rivolse a Remus la illuminarono di bellezza.

«Mastro Lupin, sei tornato!» strillò eccitata, abbandonando dei grossi libri che reggeva su una delle panche e catapultandosi fra le sue braccia.

«Oh!» esclamò lui, preso alla sprovvista da quella manifestazione di entusiasmo.

Lei rise di cuore e si sciolse dall'abbraccio.

«Dicevano che ti avevano preso i Loschi, ma--».

«Galila, mia cara, credo gliel'abbiamo già fatto notare almeno un paio di volte oggi».

La giovane scoppiò ancora a ridere. Quella risata sembrava fuori posto sotto tutti quei metri di terra rossa e pietra umida.

«E chi abbiamo qui? Ciao, creatura».

Lydia sorrise.

«Lei è Lydia» la presentò Remus. «E credo stia morendo di fame».

«Scommetto che hai una fame da lupi, eh?» scherzò Galila, mentre le scostava un ricciolo chiaro dietro un orecchio. «E scommetto che se ci sbrighiamo possiamo ancora sperare di trovare qualche fetta di pancetta e un paio di uova ancora calde, che ne dici?».

La bambina si mordicchiò il labbro inferiore e scrutò Remus con aria interrogativa.

«Io non direi no a una fetta di pancetta» la rassicurò. «Potresti andare con Galila e vedere se ne è rimasta anche per me».

Lydia afferrò di slancio la mano di Galila e ridacchiò mentre iniziava a trascinarla fuori dal Teatro.

«Oppure la potrei mangiare tutta!».

«Ehi, Mastro Lupin!» lo chiamò la ragazza. «Questa volta resti?».

Remus si limitò a rivolgerle un sorriso leggero senza risponderle. Non era certo che della bambina che ricordava fosse rimasto abbastanza per credere alle sue bugie. Non appena furono svanite dalla loro vista, Goldstein fece un lungo sospiro rassegnato.

«Per quanto resterai?».

«A questo punto temo che la domanda giusta sia se potrò restare».

L'anziano rabbino storse le labbra in una smorfia sarcastica.

«Sai, qualcuno crede che tu porti sfortuna».

«Anche io lo credo».

Goldstein rise. Una risata un po' gutturale e rauca, che presto si trasformò in un colpo di tosse. Remus gli appoggiò una mano sulla schiena e lo aiutò a sedere a una delle panche.

«Stare così tanto tempo nella Fossa ha le sue conseguenze» spiegò con tranquillità Goldstein. «E questo posto è pieno di polvere più vecchia di me. Oh, non guardarmi con quella faccia preoccupata, ragazzo».

Remus si sedette nella panca di fronte a lui e voltò il torso in modo da poterlo vedere in viso. Ora che gli era più vicino, riusciva a vedere tutti i segni che il trascorrere del tempo gli avevano inciso sulla carne.

«Ho incontrato tuo nipote a Hogwarts» disse all'improvviso.

Negli occhi di Goldstein si accese un lampo di vivace curiosità, che tuttavia venne accompagnato da una voce carica di antica tristezza.

«Anthony?».

«È un Prefetto di Corvonero. Passa in biblioteca decisamente più tempo di quanto non ci si aspetterebbe da un sedicenne. È un ragazzo in gamba».

Il vecchio sorrise con tristezza.

«Sono contento di sapere che sta bene» mormorò. Agitò una mano davanti al viso e cambiò argomento con una rapidità tale da far rimpiangere Remus di averglielo detto: «Ma dimmi, perché sei qui?».

«Credevo fosse ovvio».

«No. Il tuo ritorno quaggiù conferma solo delle voci che speravo rimanessero tali per almeno altri cinquant'anni... Gerwulf ti chiederà cosa pensi di fare quaggiù. E ho paura che qualunque risposta gli darai sarà quella sbagliata».

Remus rimase in silenzio qualche istante.

«Come credi abbia potuto sopravvivere?».

«Oh, Fenrir ha sempre avuto più assi nella manica di quanti non potresti credere. Non sarei stupito di scoprire che ha imparato a trasformarsi in un gigantesco lupo volante».

«Cosa si dice stia facendo?».

«Remus... sai come funzionano i pettegolezzi, quaggiù».

«Cosa dicono, Noah?».

Goldstein sospirò.

«Dicono stia rimettendo in piedi il suo branco. A quanto pare non sei stato l'unico abbastanza sveglio da scappare ai Loschi in questi anni».

Remus si passò una mano sul viso. Sembrava molto peggio di quanto non avesse temuto. Il branco di Greyback aveva insanguinato la Gran Bretagna per quasi vent'anni senza che nessuno riuscisse a fermarli. Dopo la morte – o qualunque cosa fosse – di Greyback, sembrava essersi dissolto nel nulla e le aggressioni dei Lupi Mannari erano tornate a essere tragedie del tutto sporadiche e fuori da ogni complessa gerarchia.

«Sono felice che tu sia passato a trovarmi» disse Goldstein. «Ma sai perfettamente cosa devi fare».

Remus sollevò un sopracciglio con aria perplessa.

«Va' da Gerwulf e parla con i Figli».

«L'ultima volta la guerra era inevitabile e non hanno mosso un dito. Cosa ti fa pensare che oggi vorranno ascoltarmi?».

«Non vollero ascoltare il ragazzino che parlava di libertà senza conoscere la prigionia. Forse oggi ascolteranno l'uomo che teme la prigionia perché conosce la libertà».

Remus abbassò il capo e si guardò con aria pensierosa le mani. Il susseguirsi dei lavori manuali che aveva svolto saltuariamente negli ultimi dieci anni aveva lasciato segni indefiniti sui suoi palmi, calli più o meno profondi, più o meno visibili. A differenza delle cicatrici che gli deturpavano la pelle, avere le mani rovinate non gli aveva mia procurato fastidio – così come non gli aveva mai procurato fastidio lavorare nei moli o nelle cave di sale, fin quando questi erano durati.

In quei posti la gente conosceva sempre canzoni allegre sulla libertà – peccato non ricordarne molte.


°°°


L'indirizzo fornitole da Robards era quello di una casetta di due piani dall'aspetto ordinario che sia affacciava sulla strada principale di Hogsmeade, non troppi metri più avanti ai Tre Manici di Scopa. Le tende del piano di sopra erano tutte tirate.

Tonks alzò una mano per bussare, quando il batacchio d'ottone a forma di cinghiale cominciò a strillare e la fece sobbalzare per lo spavento inatteso.

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTOLARSI!».

«...arrotolarmi?» domandò Tonks con un sopracciglio inarcato. «Cosa dovrebbe significare?».

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTOLARSI!».

Tonks fece un passo indietro – rischiando di inciampare nel borsone che conteneva i suoi vestiti – e aprì le braccia, mostrando il mantello d'ordinanza degli Auror e il distintivo appeso alla cinghia dei pantaloni.

«Sono l'Aur--».

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTOLARSI!».

«Ho detto che sono l'Auror To--».

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTOLARSI!».

Tonks tirò un calcio alla porta e imprecò a gran voce.

«SONO UN'AUROR!».

«Non si direbbe proprio, a giudicare da questo trambusto» s'intromise una voce allegra alle sue spalle.

Philibert Proudfoot era un mago di mezz'età che vantava ancora una capigliatura rossiccia che avrebbe potuto far invidia perfino ai Weasley. Nonostante la corporatura bassa e ben piantata, era un duellante rapido – e particolarmente abile negli incantesimi di Occultamento. Si divertiva spesso a dire che l'arrivo di Tonks gli aveva quasi portato via il lavoro e che, fra una missione e l'altra, doveva arrotondare pulendo i bagni Babbani comunicanti con il Ministero. Sapeva raccontare le storie talmente bene che qualcuno gli aveva perfino creduto.

«Oh, beh, sei tu» continuò lui con vivace ironia. «Ora capisco il trambusto».

«Stavo solo procedendo all'arresto di questo demonio per resistenza a pubblico ufficiale» ribatté Tonks all'indirizzo del batacchio. «E cosa dovrebbe voler dire che devo arrotolarmi?».

Proudfoot scosse la testa e si avvicinò alla porta.

«Ah, lascia stare. Crediamo intenda dire arruolarsi, ma deve esserci qualcosa che non funziona nell'Incantesimo Controllante».

«Come si entra, quindi?».

«Beh, facendo ciò che vuole lui. Auror Philibert Proudfoot, Divisione Hogsmead» proclamò a voce alta, prima di esibirsi in una ridicola piroetta davanti all'ingresso.

«Bentornato, Auror Proudfoot» rispose con voce gentile il batacchio, mentre la serratura scattava e la porta si apriva verso l'interno. «È un piacere rivederla».

«Grazie, Frankie».

Tonks non fece in tempo nemmeno a muovere un passo prima che la porta si richiudesse nuovamente. Sospirò rassegnata – dopo quattro anni di lavoro al Ministero della Magia era abituata anche a cose più assurde – e si fermò di fronte al cinghiale di ottone.

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTO--!».

«Sì, un momento! Auror Tonks, Divisione Hogsmeade».

Piroettò con attenzione cercando di non cadere, e riuscì perfino a mostrare un lieve inchino sarcastico alla porta. Ma quella non si mosse.

«Ehi?».

«IDENTIFICARSI! GIUSTIFICARSI! ARROTOLARSI!».

«Mi prendi in giro!?» si lamentò lei. «Ehi, Phil! Non mi fa entrare!».

«Devi dirle il tuo nome, Tonks!» la raggiunse dall'interno la voce del mago più anziano.

«Le ho detto il mio-- oh, diavolo». Inspirò infastidita. «Auror Ninfadora Tonks, Divisione Hogsmeade».

Fu un sollievo quando il cinghiale la invitò ad entrare.

«Benvenuta, Auror Tonks. È un piacere conoscerla».

«Sì, grazie... ehm, Frankie?».

Proudfoot rise di nuovo. Tonks seguì l'eco della sua risata fino al salotto. Era una stanza non troppo grande, ma dalle pareti ricoperte con una carta da parati calda e il pavimento di legno. Un camino spento troneggiava dinanzi a un divanetto e a un paio di poltroncine dall'aspetto sciupato. Tonks lasciò cadere il borsone sull'uscio.

«Perché la porta si chiama Frankie?».

«Perché è una porta».

Tonks inclinò perplessa il capo.

«Come Frankie Jones, il Portiere del Puddlemore United nel Campionato del '73. Sei troppo giovane per ricordarlo».

«...hai chiamato la porta come un portiere di Quidditch?».

Proudfoot annuì con espressione orgogliosa.

«Charles voleva chiamarla Jim in onore di non so quale cantante Babbano, ma ho vinto la partita a carte, perciò...».

Fu Tonks a ridere.

«Scommetto che vuoi disfare i bagagli. Tibby!» gli disse lui, indicando con un cenno del capo la porta.

Crack!

Era una delle elfe domestiche più giovani che Tonks avesse mai visto. Non che fosse abituata agli elfi domestici, certo. I suoi genitori non ne avevano mai posseduto uno, ma aveva avuto modo di incontrarne un paio di quelli che lavoravano a Hogwarts durante il periodo scolastico, quando di tanto in tanto sgattaiolava nelle cucine del cuore della notte. E Kreacher, naturalmente... ma Tonks era convinta che Kracher fosse una creature già di per sé fin troppo particolare per essere confrontata con i suoi simili.

Tibby aveva due orecchie gigantesche e due occhi di un intenso viola altrettanto giganti. Indossava una piccola tunica di lana grossa verde scura, con il simbolo del Ministero cucito con un filo dorato sul petto.

«Tibby, lei è l'Auror Tonks. Puoi accompagnarla alla sua stanza?».

Gli occhioni dell'elfa lampeggiarono entusiasti.

«Auror Tonks, signorina! Tibby è così felice di vederla! Tibby sa tutto di lei, Auror Tonks!».

Presa alla sprovvista, Tonks lanciò un'occhiata in tralice a Proudfoot, che scrollò le spalle.

«Chiede di te da questa mattina. Credo sia una tua fan» la prese in giro.

«Tibby è felice di conoscere la signorina Auror Tonks. Tibby le chiede di seguirla, signorina Auror, così le fa vedere la stanza nuova...».

Con un sorriso quieto, Tonks raccolse la sua borsa e la seguì lungo le scale. Non fosse stato per un lungo lampadario a candele che penzolava sull'ingresso, la volta delle scale sarebbe stata completamente immersa nell'oscurità. A differenza del salotto, che sembrava più accogliente, il resto della casa aveva un aspetto più lugubre.

«Venga, Auror Tonks, venga! Tibby ha sistemato la sua stanza pensando a lei!».

«A me?».

«Oh, sì, sì! Tibby sa chi è lei, signorina Auror, Tibby pensa che lei è molto forte».

«Avanti, ora puoi dirmelo: chi ti ha ordinato di farmi questo scherzo?».

Tibby scosse il capo mentre si alzava in punta di piedi per aprire la porta dell'ultima camera a sinistra.

«Tibby non capisce di cosa l'Auror Tonks parla».

La stanza sembrava sbucare da un mondo parallelo. Non c'era niente del resto della casa: le pareti erano state ricoperte con dei pezzi di carta da pareti attaccata un po' a caso. C'erano pezzi verdi, rossi e gialli, fucsia e azzurri, in completo caos, che davano l'idea di trovarsi all'interno di un costume da pagliaccio – o nel suo stomaco. Per un lungo istante Tonks non fu in grado parlare. Quell'assurdità di colore riusciva ad accecare perfino lei.

«Tibby pensa che i colori le piacciono, Auror Tonks, perché ha visto al Ministero, e l'Auror Tonks ha sempre capelli colorati molto belli, signora!».

«Oh» capì all'improvviso Tonks. «Beh, bel colpo, Tibby. È davvero... mitico».

L'elfa si aprì in un sorriso radioso. Attese che Tonks avesse appoggiato la borsa sul letto – ricoperto da un copriletto di un accecante arancione – prima di strillare entusiasta:

«La signorina Auror Tonks ha bisogno di altro, signorina Auror? Tibby pensa che--».

«No, no, no. Tibby, grazie. È una stanza fantastica, ma ora vorrei sistemare i miei vestiti nell'armadio».

«Ci pensa Tibby, signorina Auror Tonks!».

«Non ce n'è bisogno, davvero».

Gli occhioni acquosi dell'elfa si riempirono di delusione. Sentendosi in colpa, Tonks sospirò e aggiunse:

«Potrei avere una tazza di caffè?» domandò infine.

«Sì! Sì, signorina Auror Tonks, la signorina Auror Tonks avrà il caffè più miticofantastico della Gran Bretagna!». Tibby prese a saltellare su se stessa in preda a una cavalcante euforia. «Tibby prepara il caffè e--».

«E la signorina Auror Tonks scenderà a prenderlo in cucina» terminò per lei Tonks con un sorriso divertito. «Non disturbarti per portarmelo fino a qua, Tibby. Scendo io».

Dopo tre inchini e quattro “signorina Auror Tonks”, Tonks rimase finalmente da sola. Iniziò a disfare il borsone con movimenti pigri della bacchetta, domandandosi se sarebbe mai riuscita ad abituarsi a quell'accozzamento inquietante di colori. Quando anche l'ultima t-shirt delle Sorelle Stravagarie si incastrò nel cassetto già ricolmo, Tonks si lasciò cadere sul letto a fissare il soffitto azzurro chiaro.

Quel colore era talmente slavato da farle tornare in mente gli occhi inquisitori dell'Auror Dawlish. Non era esattamente una posizione confortevole. Sapere che sarebbe arrivato a breve a Hogmeade la irritava profondamente. Non che fossero mai stati in disaccordo, certo. Quando si era diffusa la notizia che lei e Kingsley avevano trascorso l'ultimo anno lavorando in segreto per Silente e per l'Ordine della Fenice, aveva sopportato qualche situazione di contrasto con un paio dei suoi colleghi più anziani, mentre Dawlish non aveva praticamente aperto bocca. Le aveva solo detto: “Lei è molto giovane, Tonks”. E questo, nonostante il tono apatico e il sorriso cortese, l'aveva infastidita più di tutto il resto.

“Almeno sono qui” si fece forza. “Lontana da Robards e dalle sue domande sui miei poteri e vicina a Hogwarts”. Realizzò d'istinto che se Silente avesse ricevuto delle novità dalla Fossa, lei avrebbe potuto essere fra le prime a saperlo. Non era certa se esserne confortata sul serio.

Un improvviso ticchettio alla finestra le fece sollevare la testa dal materasso. Al di là del vetro un piccolo alloco dal piumaggio gonfio la fissava con espressione paziente. Era uno dei degli allocchi del Ministero.

Si alzò dal letto e fece entrare il piccolo volatile, che le tese la zampetta alla quale era stata annodata una sottile pergamena giallognola.

Tonks la dispiegò con un sorriso.



Ho esagerato. Sei una bimba grande e maggiorenne, seppur stronza e imprudente, e non avevo il diritto di rimproverarti. Fermo restando che sono convinto che sarò io a prendere a calci nel sedere Remus, sono tuo amico.

E sono solo preoccupato.

Scusami.


P.s.

Conosci la mia opinione su John: colpisci forte in mezzo alla gambe.


P.p.s.

So che si chiama Terence e so dove abita. Se pensi che il suo nome sia gay, dovresti vedere la sua collezione di album di Joni Mitchell.


Il tuo straordinariamente affascinante e sinceramente preoccupato,

Kingsley



Tonks ridacchiò.

Un soffio di aria fredda si insinuò attraverso la finestra aperta e la fece rabbrividire. Rimase a contemplare la strada principale di Hogsmeade del tutto deserta, gli spazi lasciati vuoti dalle insegne dei negozi che avevano chiuso e le finestre sbarrate. Il sorriso lasciatole dalla lettera di Kingley svanì in fretta. Con l'avanzare dei Mangiamorte e con il Ministero sempre più instabile, Remus non era nemmeno lontanamente il primo dei suoi problemi – magari lo fosse stato.

Ripensò di colpo a una sera di diversi mesi prima a Grimmauld Place. Remus era di turno all'Ufficio Misteri e lei si era attardata dopo cena ed era rimasta a parlare con Sirius fino a notte fonda. Era nell'Ordine da poco più di qualche settimana e il suo cugino preferito non aveva ancora avuto modo di recuperare il tempo trascorso ad Azkaban. L'aveva già bombardata di domande la sera in cui Alastor l'aveva portata al Quartier Generale dell'Ordine, ma quella sera fu speciale.

Erano solo loro due, come i sabati sera di tredici anni prima in cui Sirius si rifugiava a casa dei suoi genitori per lasciare un po' fuori dalla porta gli orrori di Voldemort e dei Mangiamorte. “Per avere ancora una mia famiglia” – diceva spesso a sua madre.

Tonks aveva appena finito di raccontargli del suo ultimo esame da Auror. Quando aveva alzato lo sguardo, gli occhi grigi di Sirius brillavano orgogliosi.

“Non sei cambiata poi così tanto da quando eri una bambina”.

“Tu dici?”.

Sirius aveva sorriso nostalgico mentre riempiva nuovamente i loro bicchieri di vino elfico.

“Hai solo tolto le treccine. Ci sono cose che non sono fatte per cambiare... guarda Remus: all'inizio non riuscivo a vedere quasi niente del ragazzo che ricordavo, ma ora mi accorgo che i piccoli gesti sono sempre lì e sono quelli che contano davvero. Siamo più stanchi, più vecchi... ma lui mi mette ancora poco zuccherò nel tè e mi rimprovera perché ne metto troppo nel suo”.

Avevano riso entrambi – e Tonks gli aveva fatto notare che rideva allo stesso modo. I piccoli gesti non cambiano mai.

Si avvicinò al borsone ed estrasse il fascicolo che aveva rubato dall'archivio dell'Unità di Cattura. Non aveva ancora avuto il coraggio di aprirlo.

“Lui e Sirius erano identici” l'aveva avvertita Kingsley. “Qualcosa di loro è morto con i Potter e no c'è niente che tu possa fare per cambiarlo”.

Stronzate. Erano solo stronzate.

I piccoli gesti sono sempre lì».

Si sedette sul bordo del letto e iniziò a sfogliare cauta il fascicolo.

Sono quelli che contano davvero”.





°°°

 

 

 


Ho qualche nota anche questa volta, yeah.

    1. Il rabbino Goldstein è il nonno del Corvonero Goldstein. Mi pare che sia stata proprio la Rowling ha dire che Goldstein è ebreo, o forse ricordo male io... beh, poco male, non importa. Non so se qualcuno ricorda Calima, ma Galila è la sua versione dopo l'upload.

    2. Stessa cosa per il quadro che animava la stanza che Tonks occupa a Hogsmeade. Non ricordo nemmeno più il suo nome. Tarvis? Tarquino? Un attimo che vado a controllare.. ah, Tarbis. C'ero quasi. Ho deciso di elfizzarlo.



   
 
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