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Autore: Laurie    14/03/2016    0 recensioni
La raccolta di ficlet definitiva su Nana. Personaggi, coppie e problemi esistenziali potrebbero variare notevolmente di capitolo in capitolo.
A letter from the depth
Un amore mai consumato può fare ancora male {Nobu/Nana K.}
Storie pubblicate:
Your heart-shaped box {Reira/Ren}
Words are meaningless (and forgettable) {Naoki e Reira}
Effimero {Ren/Shin}
All you ever wanted, all you ever needed {Shin/Reira}
Let me steal this moment {Reira/Takumi}
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Slash, FemSlash | Personaggi: Naoki Fujieda, Nobuo Terashima, Reira Serizawa, Ren Honjo, Shinichi Okazaki
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Words are meaningless (and forgettable)

 
Il suo primo pensiero, quando trovò un Naoki singhiozzante sulla porta d’ingresso, fu di delusione. Voleva Takumi. Voleva il suo viso imperturbabile per calmarsi. Voleva le sue braccia gentili per piangere. Invece stava tentando di frenare le emozioni incontrollabili del suo batterista, mentre lo trascinava dentro casa sua.
Click click. Oddio non erano per caso…
“Sono un idiota,” disse Naoki, quando lei chiuse con un calcio la porta. “Ho fatto un altro casino. Penso che…”
“Tranquillo. Sono solo dei cronisti che girano qui attorno da ieri.”
Reira chiuse la porta, tirò il catenaccio giusto per sentirsi più sicura e guidò un imbarazzato Naoki verso il divano.
“Ho fatto il prima possibile,” stava dicendo intanto lui. “Ma non pensavo che fossero già arrivati i fotografi. Se hanno… Cosa dirà ora Takumi?”
Reira si sentì per un attimo mancare, ma strinse i denti. Al diavolo Takumi. Era ancora a Tokyo, sicuro come la morte che in quel momento stava mettendo a posto qualche guaio alla casa discografica. Per distrarsi cercò un fazzoletto per Naoki.
“Naoki, grazie di essere arrivato. Ho passato tutta la notte da sola.”
“Figurati. Gli altri stanno arrivando qui, con il prossimo volo.” Il batterista presa il fazzoletto e si asciugò le lacrime con un sorriso mesto. “Penso di essere un po’ scosso.”
Reira annuì con un piccolo sorriso. Troppo tardi si accorse che anche Naoki doveva essere stanco.
“Vuoi qualcosa da bere? Vieni…”
“No, lascia stare, ci penso io. Posso?”
L’accompagnò con gentilezza sul divano e lei si lasciò cadere, docile, ancora frastornata dal pensiero che fuori dalla porta c’erano i paparazzi e quel pomeriggio c’era la cerimonia funebre, e non sapeva come vestirsi e come era lo stato del suo viso ma di certo non voleva, non voleva assolutamente che qualcuno la fotografasse e parlasse di lei e del suo dolore. Perché non poteva piangere?
Intanto Naoki stava trafficando in cucina, non smettendo un attimo di parlare, e quando scovò la vecchia macchina per la moka che sua madre conservava dai tempi dell’America (papà era un appassionato del caffè all’italiana), il suo entusiasmo accrebbe con espressione di ammirazione verso quell’oggetto straniero, che aveva visto solo nei film.
“Ci devo aggiungere l’acqua, devo ricordarmi che ci devo aggiungere acqua,” lo sentiva dire Reira, che dal divano non avrebbe più voluto alzarsi.
Una manciata di minuti dopo Naoki era di ritorno con due tazze fumanti. Ne porse una alla ragazza, mentre si sedeva accanto a lei.
“Incredibile! Una vera moka. Hai visto?” chiese, a dispetto della situazione, entusiasta come un bambino.
“La mamma ci teneva,” rispose Reira, attenta a non scottarsi le dita sulla ceramica bollente.
“Dio, mi dispiace. Mi dispiace tanto. Era una signora così gentile.”
Davvero? Reira non ricordava bene la madre. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che si erano viste, e quando lei passava a casa a salutare non si parlavano molto. Da qualche parte nel suo passato sua madre aveva condotto una vita che incrociava di sfuggita la sua.
Fino a quella telefonata. Reira era corsa in ospedale, troppo tardi. Senza neppure il tempo di dire qualcosa a sua madre, di sentire le sue ultime parole. Cosa aveva pensato di lei mentre dal suo letto fissava una porta che non si apriva? Sperava che negli ultimi attimi fosse rimasta incosciente.
Aveva ascoltato il medico che le dava le condoglianze, poi era arrivato il compagno di suo madre. Non lo aveva riconosciuto. Forse era un altro rispetto all’ultima volta. Forse. Chissà come passava il tempo sua madre mentre la figlia scalava le classifiche dell’Oricon a Tokyo? Lo ascoltò con il trucco sfatto del servizio fotografico, con la stanchezza del viaggio in aereo addosso, mentre lui diceva che per il funerale era tutto a posto, aveva già dato le disposizioni, cercato un sacerdote per la cerimonia, preso accordi per la cremazione. C’era la questione della casa, ancora aperta. Lo diceva per correttezza, aggiunse ma i suoi occhi la squadravano con freddezza, con un leggero disgusto molto provinciale per una ragazza giovane e bella che aveva successo nel mondo dello spettacolo. Reira lo aveva guardato, senza capire esattamente cosa volesse da lei quell’ometto vestito da salaryman squattrinato, tutta presa da altri pensieri che non l’eredità o la cerimonia funebre o le carte che avrebbe dovuto firmare per il decesso. Si stava chiedendo dov’erano le sue lacrime. Mari-chan era intervenuta, a quel punto, dicendo che ne avrebbe parlato con l’avvocato di Reira-san. Gomen, ma Reira-san era stanca. Gomen.
A casa sua (a casa di sua madre) Reira aveva scacciato via Mari-chan, gridandole dietro qualcosa di cui non ricordava di preciso le parole esatte. Di sicuro aveva detto di chiamare Takumi.
Naoki era ora qui, con una tazza di caffè fumante in mano e gli occhi velati di lacrime.
“Mi dispiace… io… non… sai, non so che dire.”
Face un sorriso timido, chiaramente imbarazzato da quella mancanza di spirito.
Fu di fronte all’espressione perplessa di Naoki che Reira scoppiò a piangere, singhiozzi forti da bambina orfana. Naoki le diede dei colpetti incoraggianti sulla spalla, cercando delle parole che non riusciva a trovare, e si unì a lei in un pianto silenzioso, abbracciandola perché quel dolore era troppo forte per lei. Non sapeva cosa altro fare.
Quando si staccarono, il caffè nelle tazze era tiepido al punto giusto.
  
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