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Autore: Bad A p p l e    15/03/2016    1 recensioni
Fujimaki sensei ha dichiarato che nella sua idea di base, Akashi e Kuroko dovevano essere fratelli… e se lo fossero davvero?
«Forse abbiamo fatto un piccolo errore di valutazione, sedici anni fa» si trovò a dover ammettere Masaomi Akashi, stringendo le labbra in una smorfia che esprimeva il sommo disgusto che gli causava quel fallimento tanto evidente. Avrebbe dovuto rendersi conto che in Seijuurou dimorava il gene della debolezza dal momento che Shiori, la madre, si era lasciata sconfiggere in modo tanto patetico dalla malattia.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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With Heaven Above You, There’s Hell Over Me.

 

01 – Home.

 

 

«Temo di non aver capito bene».

Kuroko sapeva bene che fingere di non aver compreso la questione sarebbe stato inutile quanto perdere il controllo, eppure non riuscì a fare a meno di mormorare quelle poche parole, forse perché una piccola parte di sé davvero non riusciva a capacitarsi di tutto quello.

All’improvviso le pareti chiare del salotto, la morbida imbottitura del divano su cui l’avevano fatto sedere e l’immobilità diventarono soffocanti e impossibili da sopportare; si alzò in piedi, cominciando a misurare la stanza ad ampi passi, benché ciò sfogasse solo in minima parte tutto ciò che sentiva.

Era la seconda volta nella sua vita in cui sentiva le dita fremere per il desiderio di distruggere qualcosa – la prima, dopo l’ultima partita del campionato, alle medie – ma ormai era un vero professionista dell’autocontrollo, quindi era perfettamente in grado di esternare il proprio disagio solo per mezzo di quell’infinita marcia su e giù per il salotto di casa sua.

«Tetsuya» lo chiamò la madre, quasi supplice, «Per favore, non rendere le cose più difficili di quanto già non siano».

Non si fermò, non ne era fisicamente in grado, ma ebbe un secondo di esitazione nel compiere il seguente passo, per poi tornare alla consueta andatura. «Credo di non essere in grado di immaginare come le cose potrebbero essere rese più difficili di quanto non siano già» mormorò.

La sua voce sembrava atona come sempre, ma Shizue Kuroko riuscì a scorgerne un lieve tremore e allora si alzò e bloccò il figlio, poggiandogli le mani sulle spalle. Provò ad accarezzargli il viso, ma Tetsuya, seppur con infinita delicatezza, le scostò la mano, per poi sfuggire al suo controllo e riprendere a camminare.

Doveva essere un incubo, non c’erano altre spiegazioni, a breve si sarebbe svegliato nel proprio letto e tutta quella faccenda sarebbe finita nel dimenticatoio. Suo padre non poteva in nessun modo essere davvero Masaomi Akashi, era troppo assurdo, lui un padre già lo aveva e non lo avrebbe cambiato per nulla al mondo.

«Tetsuya» questa volta a chiamarlo era stato proprio suo padre, Junichi, «Capisco come ti senti, ma devi mantenere la calma».

E se era lui a dirlo, non aveva il diritto di obbiettare. Junichi probabilmente sapeva la verità da sempre eppure mai gli aveva dato modo di intuire alcunché, era sempre stato un genitore premuroso e anche in una situazione del genere riusciva a mantenere la calma, forse proprio per essere in grado di sostenerlo.

Con un sospiro, Tetsuya decise che se Junichi poteva restare calmo, ce l’avrebbe fatta anche lui, perché essere genitori non era un fatto solo biologico e quello che aveva davanti era a tutti gli effetti suo padre.

Chiuse gli occhi e respirò profondamente per qualche secondo. Quando riaprì le palpebre, il suo sguardo era tornato quieto, svuotato di qualsiasi emozione. Tornò a sedersi.

È mio padre. È mio padre e nulla potrà cancellare ciò, non ho motivo di preoccuparmi, no?”

«Quindi cosa dobbiamo fare?» domandò, tormentando con discrezione l’orlo della propria maglietta; per quanto la voce fosse risuonata piatta, non poteva celare del tutto la preoccupazione.

Shizue si concesse un sospiro, in parte grata al marito per essere riuscito a calmare Tetsuya, «Non possiamo fare nulla, non ne abbiamo i mezzi. Ma tra quattro anni tu sarai maggiorenne e…» lasciò la frase in sospeso, perché concludere con “e sarai libero” sarebbe stato troppo da sopportare pure per lei.

«Quattro anni» ripeté Tetsuya a bassa voce, «Sono lunghi, ma posso farcela» aggiunse, nonostante non ne fosse eccessivamente convinto.

Andare avanti era tutto ciò che poteva fare, piangere sul latte versato avrebbe solo fatto durare di più quei quattro anni.

 

[…]

 

Tetsuya, con l’immediato senno di poi, si disse che l’essere stato mandato a prendere da una limousine era stata una premura quasi beffarda, come se il lusso ostentato dagli Akashi potesse in qualche modo gettare fango sulla sua vera famiglia. Si disse che, pur avendo sempre detestato la maleducazione, un paio di cosette le avrebbe volentieri dette al suo “nuovo padre”.

Venne scortato all’interno dell’immensa villa dall’autista che sembrava temere che lui gli scappasse da sotto il naso da un momento all’altro – “Non sai quanto mi piacerebbe” –, per poi venire accolto da due fotocopie adulte di Akashi-kun. Gli occhi del più alto erano glaciali almeno quanto i suoi e, se possibile, riflettevano lo stesso accenno di ostilità alla situazione attuale; gli occhi dell’altro, invece, erano furbi e animati da una strana vivacità.

Se dovessi scommettere” si disse Kuroko, valutando con attenzione entrambi, “a rendermi la vita impossibile sarà lui, nonostante l’altro sembrerebbe preferire accogliere in casa sua un cumulo di spazzatura al posto mio”.

«Be’, benvenuto, Tetsuya».

«Kuroko».

«Cosa?»

Tetsuya si schiarì appena la voce. «Kuroko. Chiedo scusa, ma mi sento a disagio nell’essere chiamato per nome da persone che non conosco, quindi vi pregherei di utilizzare il cognome» disse, accennando un inchinò che, nonostante non fosse intenzione di Tetsuya renderlo tale, non poté non sembrare beffardo nel contesto.

«Da adesso è Akashi il tuo cognome, ragazzo» rispose, secco, il più alto, storcendo appena il naso. Probabilmente avrebbe preferito dare il suo cognome sempre al famoso cumulo di spazzatura di cui sopra.

«Temo che il mio nome resterà Kuroko Tetsuya» mormorò, per poi spostare lo sguardo sull’uomo dall’aria più scaltra, «Dopo sedici anni passati ad essere chiamato “Kuroko”, potrei inavvertitamente non prestare attenzione a chiunque mi chiami in modo diverso. L’abitudine».

L’uomo scoppiò a ridere, dando una pacca sulla spalla all’altro, «Che ti dicevo? È forte», poi si rivolse nuovamente a Tetsuya, «Io sono tuo zio, Masamune. Lui è tuo padre, Masaomi».

Kuroko dovette mordersi a sangue il labbro inferiore per fermarsi dal dire che suo padre era e sarebbe sempre stato Junichi.

Masamune lo valutò con lo sguardo per diversi secondi, per poi arrivare alla conclusione che per quel giorno il loro incontro poteva concludersi così. Fece un cenno all’uomo che aveva scortato Tetsuya in casa. «Umeshi ti mostrerà la tua stanza», lo congedò.

Solo allora Tetsuya si azzardò a guardarsi bene attorno, i colori predominanti erano un bianco glaciale, contrapposto ad i caldi toni del legno del mobilio, degli infissi e delle scale. Tutto aveva un’aria troppo occidentale, vittoriana, per i suoi gusti; decise che la cosa non gli importava granché, dal momento che era una situazione temporanea. Masaomi sembrava quasi più infastidito di lui dalla situazione, quindi forse sarebbe bastato contrariarlo il più possibile per essere finalmente rispedito a casa sua.

Già, ma il fratello sembra fin troppo entusiasta di me” si disse. Come pronosticato, sarebbe stato Masamune a procurargli più grane.

Si permise un sospiro e seguì Umeshi per le ampie scale della villa, al termine delle quali percorsero un lungo corridoio fino ad arrivare, finalmente, a quella che sarebbe stata la sua stanza.

Per il minor tempo possibile, spero”.

Quella giornata era solo all’inizio e già si sentiva esausto, desiderava solo chiudersi in camera nel buio più totale e fingere di essere ancora a casa propria.

Congedò l’uomo e si chiuse la porta alle spalle, si trascinò fino al letto dal materasso fin troppo alto e ci si buttò sopra senza troppo complimenti.

Non passò neanche un minuto, prima che qualcuno bussasse alla porta. Si mise seduto e mormorò tra i denti un “avanti” per nulla convinto.

Tutto in lui, dallo sguardo alla postura, si ammorbidì nel vedere Seijuurou entrare velocemente nella stanza.

Finalmente una faccia amica.

 

 

 

 

   
 
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