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Autore: Water_wolf    17/03/2016    3 recensioni
ATTENZIONE: seguito di "Sangue del Nord", "Venti del Nord" e "Dispersi nel Nord".
Evitare la guerra tra Campo Giove e Campo Nord, impedire il risveglio di Gea, fermare l'avanzata di Ymir: normale routine per i semidei Alex, Astrid ed Einar. Eppure, è davvero così? La posta in gioco è sempre più alta. L'unica soluzione è una triplice allenza tra Greci, Nordici e Romani. Ma il compito è tutt'altro che semplice se braccati da quelli che pensavi alleati. E Roma nasconde molti più segreti di quanto si creda...
«Molto bene. In bocca al lupo, Lars. Mi fido di te. Che gli Dèi siano con te» mi augurò, sorridendomi. «Anche io mi fido di te… ma dubito che gli Dèi saranno con noi, visto quel che dobbiamo fare.» || «Perché sai che cosa succede ai personaggi secondari che provano a diventare degli eroi?» Non attese risposta. «Muoiono, Einar Larsen. Ecco, che cosa succede.»
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Annabeth Chase, Gli Dèi, Percy Jackson, Quasi tutti
Note: Cross-over, Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache del Nord'
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Vicini a Roma
(e noi abbiamo esaurito anche i titoli parzialmente decenti)

 

♠Percy♠
 
Il Mar Mediterraneo fu esattamente come Reyna ci aveva descritto. Nonostante le difese della Argo II, mostri selvaggi apparivano ogni due minuti, costringendoci ad affrontarli a più riprese. Non volevo in nessun modo essere costretto ad abbandonare il mio posto: sapevo che tutti, su quella nave, erano in pericolo, e non volevo addormentarmi sapendo che non erano al sicuro, ma, dopo il decimo attacco, fui costretto a crollare.
«Percy, il tuo turno è finito da un pezzo.» Annabeth mi tirò su, aiutandomi a reggermi in piedi. «Sembri Alex.»
«E Alex sembra me» replicai con un sorrisetto, mentre osservavo la polvere di mostro che si era incrostata sulla mia giacca: era il decimo che abbattevo.
«Sì… Infatti siete entrambi degli idioti testardi che hanno bisogno di riposo» sbuffò lei, scuotendo la testa, mentre Einar, Frank ed Hazel ci davano il cambio.
«State attenti» mi raccomandai. «E tenete gli occhi aperti. Spuntano fuori proprio quando meno te l’aspetti.»
«Tranquillo, Jackson. Sono i mostri a dover stare attenti!» mi rispose il figlio di Loki, rigirandosi una freccia tra le dita.
Quando fummo nella mia stanza crollai sul letto e, accanto a me, Annabeth. Eravamo entrambi molto stanchi e davvero abbattuti. Ci sentivamo intrappolati in un limbo di incertezze.
Avrei voluto essere al Campo Mezzosangue per difenderlo. Non sapevo se sarebbe stato ancora lì al nostro ritorno. Ma non potevo nemmeno abbandonare la missione: Gea era un pericolo per tutti.
«Dobbiamo resistere, Percy» sussurrò Annabeth, al mio fianco. Il suo petto si alzava e abbassava ad ogni respiro.
«Lo so, ma non mi piace» sbuffai, esasperato. «Vorrei poter fare di più e riuscire a difendere tutti, dannazione. Grazie mille agli Dèi per averci messo in questa situazione!»
«Calmati. Dobbiamo avere fede nelle nostre capacità. Possiamo farcela. Sconfiggeremo i Giganti e salveremo il Campo. E… siamo in dieci, Testa d’Alghe, non ci sei solo tu a combattere» mi consolò la figlia di Atena, carezzandomi dolcemente la schiena. «Quindi non ti preoccupare, siamo forti abbastanza per reggere tutto questo.»
Le strinsi la mano e le detti un bacio. «Eppure, vorrei essere l’unico. Non preoccuparmi di nessun altro.»
«Non puoi difendere tutti, Percy. Sei uno solo» disse lei, accarezzandomi il dorso della mano, «ma non sei da solo. Ci siamo tutti noi, ad aiutarti. Lasciaci difendere le persone che amiamo.»
La fissai un secondo, indeciso su come reagire, poi la abbracciai, rendendomi conto di quanto, per lei, significassero quelle parole. Lei stava cercando di difendere, non solo tutti, ma anche me. Difendere me da me stesso e dalla mia inclinazione a fare stupidaggini per gli altri. Avrei voluto farle capire quanto, per questo, la amassi, ma non sapevo nemmeno come esprimere quel sentimento.
Alla fine ci addormentammo, stretti l’uno all’altra, sperando di non dover fare altri incubi. Non avevo voglia di farne quella notte, poco prima di arrivare a Nuova Roma. Ovviamente non ebbi fortuna, anche se questo non fu un vero e proprio incubo.
Ero in un luogo stranamente scuro, con una sorgente di luce che sembrava provenire dal soffitto da una piccola apertura. Al centro vi era una grossa lastra di marmo con fissate ai lati delle strane corde che ricordavano tanto dei lacci di pelle.
Davanti ad essa, Loki osservava il luogo con svogliato interesse, come se il posto lo interessasse, ma in modo marginale. I suoi occhi continuavano a dardeggiare sulle rocce e, a dispetto di quello che era lui, il suo volto trasmetteva uno strano misto di tristezza e serietà.
«Ti piace la tua vecchia prigione, Loki?» chiese una suadente voce femminile alle mie spalle.
Mentre il dio degli inganni voltava la testa verso la fonte della voce, io feci altrettanto, cercando di capire chi altri ci fosse. Alle mie spalle, davanti l’entrata della grotta, c’era una donna. Dire che fosse bella, forse, era sminuirla: ricordava Afrodite, o Freyja, considerati i capelli; probabilmente era anche lei una dea nordica. I capelli erano rosso acceso, come se avesse delle fiamme che le avvolgevano la testa, ed il viso affilato e magro. Le forme prominenti la rendevano tremendamente attraente, ma qualcosa, nel suo sguardo, sembrava renderla pericolosa. I suoi occhi erano di un colore indefinito che danzava tra il grigio ed il castano chiaro, quasi come se una fiamma intensa stesse danzando nelle sue iridi.
«Mia cara amica. Vieni a deridermi? Dovresti stare attenta a quel dici, visto che sei tu quella che è bruciata tre volte» la sbeffeggiò bonariamente lui, con un leggero, irritante inchino.
«Devo ammettere che non è stato carino interpretare quel ruolo, ma quel che importa è che sono viva.»
«Ed immagino che anche tu abbia i tuoi piani» commentò Loki, sornione.
La donna agitò in aria una mano. «Tsk. Certo che ho dei piani. Chi credi che abbia risvegliato Ymir dal suo sonno? Creature come lui non sono tipe da destarsi da sole» commentò, sedendosi su una roccia levigata in un angolo.
«Sentivo il fresco odore di trame intessute alle spalle che ti porti dietro, tesoro. È palese come il fatto che io abbia ingannato tutta Asgard. Ma la mia domanda è: cosa vuoi da me?» chiese Loki, mal celando un sorrisetto, quasi sapesse già quello che gli stavano per chiedere.
«Quello che ti chiedo sempre. Asgard è mia nemica come è tua nemica. Potremmo unire le nostre forze.»
«Sei prevedibile, sai?» commentò il dio con un sogghigno. «Sospettavo mi volessi riproporre l’alleanza, ed infatti eccoti qui. E dimmi, in quale punto dei tuoi piani mi troverò incatenato di nuovo a questa lastra di marmo?»
«Io non sono Odino» replicò la donna, che non abbandonava il suo sorriso.
«No, hai ragione. Sei peggio, tesoro.» Loki si appoggiò alla lastra, lanciandole uno sguardo infuocato… letteralmente. «Come ben sai, i nostri scopi non coincidono. Tu vuoi prenderti il trono e regnare dall’alto, ma a me non interessa altro che il caos. Voglio radere al suolo la città dorata e distruggere chiunque si trovi sul mio cammino. Tu mi metteresti da parte appena non ti servirò più.»
«Non che la cosa ti dispiaccia, visto come stai sfruttando i miei piani» commentò la donna, che sembrava meno accondiscendente di prima.
«Sono solo elastico» replicò Loki, alzando le spalle. «Non mi lascio spaventare dalla tempesta. Il fuoco si spegne, ma le braci restano.»
«Un altro modo per dire che sei il giunco che si piega. Ma prima o poi ti spezzerai anche tu» lo rimbeccò la dea, abbandonando totalmente la maschera. «Faresti bene a rivalutare le tue idee. Ho molti alleati e stai certo che anche io i miei assi nelle maniche.»
«Intendi il tuo patetico tentativo di controllare quei dieci eroi pazzi che vanno a Roma? Lasciali fare. Moriranno o vinceranno. Per me poco importa. Tutto ciò che conta è vedere quanto ci mette Gea a cadere. Se mi toglierà di torno metà dei semidei di Midgard, allora, tanto meglio» sbuffò Loki, incrociando le braccia.
«Sei molto fiducioso nella tua alleata» commentò la dea, calcando sull’ultima parola. Che le bruciasse essere stata rifiutata da una divinità spregevole?
«E chi dice mai che è mia alleata?» ghignò il dio degli inganni, avvicinandosi con misurata calma.
Cercai di indietreggiare, anche se era difficile farlo in un sogno, visto che non avevo un vero corpo da controllare.
Tra le mani di Loki intravidi il luccichio dell’acciaio asgardiano. Il dio si mosse con uno scatto rapido ed estrasse un pugnale da sotto la lunga veste e lo scagliò contro la sua avversaria. Lei sembrò quasi annoiata da quell’inutile attacco e, semplicemente, sparì in una colonna di fuoco. Il pugnale si piantò nella roccia, proprio nel punto dove, un attimo prima, c’era la dea.
Quella era già apparsa alle spalle di Loki e, dalle sue mani, esplose un’altra vampata di fuoco, materializzando una lunga lama che sembrava fatta di fiamme liquide. Con un preciso ed elegante movimento del braccio mosse l’arma verso l’avversario, con il chiaro intento di decapitarlo, ma il dio degli inganni fu rapido a reagire e, in men che non si dica, regredì, diventando un grosso moscone.
Ronzò rapidamente contro il volto della sua avversaria e si ritrasformò in un grosso lupo, cercando di azzannarla. Lei si tirò indietro e, con uno scatto della mano in avanti, evocò una specie di muro di fuoco, che sbalzò Loki all’indietro, facendolo uggiolare.
Un altro scoppio e lei sparì, lasciando Loki steso a terra, che si rialzava con un gemito.
«Be’, non sei arrugginita, nonostante l’esilio a Jotunheim… Spero proprio che tu non muoia subito» commentò, mentre si rimetteva in piedi, massaggiandosi il collo.
In quel momento mi sentii come se un amo mi si fosse agganciato all’ombelico e mi tirasse via. Uno strattone secco e deciso ed io fui catapultato lontano. Ero su un’autostrada, all’alba. Non si vedeva molto, visto che, oltre ad esserci poca luce di per sé, una cappa di nuvole mi impediva di vedermi intorno.
Sentivo come se stessi cavalcando su Blackjack ed intorno a me, un gruppo di violacei larii romani stavano avanzando guidando veloci carri spettrali. Sotto di noi avanzava una mezza decina di SUV che procedeva a velocità sostenuta. Nonostante fossi in alto ed i vetri fossero oscurati, capii subito chi c’era dentro: la prima squadra di Romani che andava a presidiare il Campo Mezzosangue, guidati da Reyna.
Avrei voluto urlare loro di fermarsi, ma, sfortunatamente, in quel momento, ero meno compatto degli spettri che mi circondavano: tutto stava andando lentamente a rotoli ed io ero impotente.
Fu allora che mi svegliai di colpo.
 

«Non dobbiamo solo preoccuparci di Loki, quindi» concluse Annabeth, quando finii il racconto.
«C’è qualcun altro. Una strana dea che sembrava interessata a controllarci» spiegai, mentre tutti si riunivano intorno a noi.
Secondo Leo, ormai, eravamo vicini a Roma. Solo un paio d’ore e saremmo atterrati. Per questo mi ero deciso a dire tutto prima di arrivare: così avremmo potuto rispondere a qualsiasi minaccia avremmo trovato alla città eterna. Il problema era che nemmeno Alex o Astrid avevano idea di chi fosse la divinità con cui Loki si era intrattenuto.
«Non ne sono sicuro. Ci sono molte divinità nel nostro Pantheon, e molte sono sconosciute persino a noi. Gli Dèi si sono fatti la guerra tantissime volte, quindi non posso essere certo di chi ce l’abbia con mio padre» commentò il figlio di Odino, accigliato. «Però, ho una mezza idea. Ci devo pensare su.»
«Possiamo escludere Hell. Mezza faccia decomposta sarebbe stata difficile da non notare» dissi, cercando di alleggerire un po’ l’atmosfera. Cosa abbastanza inefficace, visto che nessuno sorrise o ridacchiò.
Lasciai perdere.
«È una dea della magia di sicuro.» Einar sembrava molto pensieroso. «Escludendo Freyja non rimangono molte scelte. Una Vani di sicuro.»
«Ormai siamo a Roma, comunque» disse Annabeth, alzandosi in piedi. «Nuove minacce non fanno che aggiungersi a quelle precedenti, ma siamo andati troppo oltre, ormai. Non possiamo tornare indietro.»
«Eppure… se tornassimo davvero?» Frank esitò, prima di parlare. «Reyna sta guidando davvero un’avanguardia contro il Campo Mezzosangue. E se davvero intende attaccare…»
«… sarà un massacro» concluse Astrid, per lui. «Con tutto il rispetto eccetera eccetera: la legione è forte, ma contro Campo Nord e il Campo Mezzosangue? Sarà un massacro da entrambi i lati.»
«E come facciamo, se non torniamo indietro?» domandò Jason, rivolto ad Annabeth.
«Arriveremo a Roma, sconfiggeremo i giganti gemelli e salveremo Nico, come nei piani. Tornare indietro non è un’opzione che possiamo prendere in considerazione.» La mia ragazza sospirò pesantemente. «Ormai ci siamo. Se torniamo indietro ora, come ci giustifichiamo con i Romani? Odino non si calmerà senza la sua corona e mia madre nemmeno, se non riparerò ai torti che i nostri popoli si sono fatti nei secoli. Dobbiamo continuare.»
Le poggiai una mano sulla spalle. «Non devi fare per forza tutto da sola. Noi altri possiamo darti una mano con Atena.»
Annabeth annuì, sebbene il suo sguardo fosse ancora scuro. «Lo so, scusami. La situazione mi sta mettendo pressione» ammise.
«Be’, credo che ormai, sia troppo tardi per tornare indietro ora» commentò Leo, mentre estraeva dalla tasca una specie di palmare. «Secondo Festus, siamo ormai molto vicini a Roma. Abbandonare l’impresa ora significherebbe perdere ogni cosa.»
«Senza contare che Nico è ancora nelle loro mani, dobbiamo salvarlo» aggiunse Hazel, perentoria.
«Allora è deciso» disse Annabeth, guardandoci uno ad uno. «Andremo a Roma e finiremo questa storia, in un modo o nell’altro.»
«Che gli Dèi ci aiutino» mormorò Alex.
 
∫ Einar ∫
 
Il cielo sopra Roma era stranamente limpido, quasi gli Dèi ci stessero prendendo in giro, come a dire “ehi, Gea potrebbe risvegliarsi e il figlio di Ade morire, ma almeno splende il sole!” Sotto quella città così bella e antica, ci aspettava una tempesta, forse la prima di molte altre tempeste che si sarebbero susseguite dopo di essa.
Il primo passo del nostro scontro sarebbe avvenuto lì. Avevo già preparato le mie armi: due daghe facili da estrarre ed il mio fidatissimo arco. Avevo la sensazione che mi sarebbero servite tutte molto presto e che mi sarei inevitabilmente cacciato in grossi guai.
Mi sentivo stranamente tranquillo, eppure tremendamente nervoso. La mia mente era vuota, come se l’unica cosa che la occupasse fossero le condizioni di Nico, intrappolato in quella maledetta giara. Per la milionesima volta, mi rifeci le stesse domande di sempre: quanto sarebbe potuto resistere? Aveva abbastanza energia? Sarei arrivato in tempo?
L’unica cosa che riuscivo a figurarmi in quel momento era lui. Il cuore mi batteva così forte nel petto da sentirmelo scoppiare. Era un potente martello che mi rimbalzava contro la cassa toracica, facendomi sentire perennemente in ansia. Ansia di rivederlo, e rivederlo pressoché morto.
Insomma, era tutto un casino.
«Sembra che tu abbia la testa tra le nuvole, amico» commentò Leo, poco lontano.
Stava preparando l’Argo II all’atterraggio. Com’era solito fare, controllava ogni cosa alla velocità della luce. Le sue mani passavano rapidamente da un comando all’altro, tirando leve e premendo bottoni che non sapevo nemmeno io a cosa servissero, ma supponevo regolassero la potenza dei motori.
«Solo preoccupato per la missione» risposi, velocemente, tornando a guardare il paesaggio. «Siamo vicini al nostro punto di svolta.»
«Già…» convenne lui, caustico, cercando di ignorarmi e portare a termine le sue faccende per i conti suoi.
Ecco, ci mancava solo questo, pensai, mentre ricominciavo a sentire il senso di colpa avvolgermi.
Con tutta la tensione dei giorni passati, mi ero quasi dimenticato di scusarmi con Leo per la mia eccessiva reazione nei suoi confronti. Non avevo sopportato il modo in cui lui e Jason si erano accaniti su Nico, definendolo un possibile traditore solo perché figlio di Ade. Io sapevo cosa aveva passato per poter mantenere il segreto tra i due Campi e non sopportavo che qualcuno sparlasse di lui.
Eppure Leo era mio amico e non riuscivo a dimostrarmi indifferente nei suoi confronti. Certo, non sembrerebbe il tipo cui confidare i propri pensieri più oscuri e tormentati. Leo è scostante e chiacchierone, il tipico amico chiassoso, ma che nessuno considererebbe fidato. Eppure, a dispetto dell’apparenza, lo era. Avevamo molte cose in comune, e, probabilmente, quella più importante, era la nostra mente così simile. Avevamo adottato lo stesso metodo per resistere ai nostri incubi: ridergli in faccia.
Alla fin fine, avevamo litigato di grosso, o meglio, ero stato io ad urlargli addosso, ma questo non doveva essere un buon motivo per tenergli il muso. Dovevo decidermi a parlargli.
Potrebbe essere l’ultima occasione che hai per farlo, mi ricordò la mia mente, mentre, ormai, iniziavamo a sorvolare la costa italiana proprio sopra Anzio.
«Ehi, Valdez» chiamai, graffiando il legno del parapetto.
«Sì?»
Si voltò verso di me, un attimo, con un mezzo sorriso, quasi si aspettasse un’altra sfuriata.
«Volevo parlarti. Sai, quello che è successo un paio di giorni fa…» gli ricordai avvicinandomi e appoggiandomi alla console di comando, attento a non premere qualcosa per sbaglio.
«Stai aspettando delle scuse dell’ultimo minuto?» sbuffò lui, fissandomi con leggera esitazione.
«No. Non né questo né altro.» Sospirai. «Sono io che—che volevo chiederti scusa per aver esagerato.»
Leo rimase per un attimo a bocca aperta. Probabilmente non era abituato che qualcuno gli chiedesse scusa, o forse non se l’aspettava da me.
«Sì, lo so, sembra strano, ma ti sto chiedendo scusa perché in fondo mi dispiace, anche se penso che abbiamo torto entrambi. Tu hai toccato una corda delicata senza accorgetene e io ho avuto reazione spropositata» spiegai, iniziando a camminare avanti e indietro. «Era un po’ che volevo dirtelo, ma non ho mai trovato il momento giusto. Ora potremmo morire da un momento all’altro e non volevo andarmene con questo stupido peso. Quindi sì, ti chiedo scusa.»
«Ehi, amico, ma non eri ottimista?» Leo mi dette una pacca sulla spalla e ridacchiò. «Per un attimo ho pensato che Alex avesse preso il tuo posto, di solito è lui quello serio.»
«Chi va con lo zoppo impara a zoppicare» risposi con un sorrisetto.
«Allora zoppica meno, Larsen, è inutile piangere sopra il latte versato, non trovi? Credo che potremmo ancora guardarci le spalle senza timori» commentò il figlio di Efesto.
«Già, lo penso anche io. Litigare per certe cose è stupido quando si cerca di salvare il mondo» spiegai, alzando le spalle.
«Allora litigheremo quando avremo salvato il mondo. In ogni caso, credo che anche io mi debba scusare. Hai ragione. Non conosco Nico bene come te e non dovevo permettermi di giudicare, quindi accetta le mie scuse.»
Mi porse la mano, mi guardò negli occhi e attese. Gliela strinsi e gli sorrisi complice.
«Credo di poter accettare le tue scuse.» Guardai all’orizzonte, verso Roma. «È ora di andare a mostrare ai giganti che rimanendo uniti possiamo sconfiggere pure loro.»
 
≈Lars≈
 
Camminavo avanti e indietro, senza un’idea precisa di cosa fare.
Nei giorni precedenti, il Campo Nord si era totalmente trasferito al Campo Mezzosangue. Avevamo montato almeno un centinaio di tende sulla spiaggia ed intorno al pugno di Zeus, in attesa di vedere i Romani avvicinarsi.
Johannes era sicuro che sarebbero arrivati, ed io non dubitavo che avesse ragione. Vedendo come si muovevano i Romani, sembrava proprio che non avrebbero tardato a venire. Sicuramente in forze, o forse con una piccola forza di avanscoperta, ma prima o poi si sarebbero fatti vivi.
Ed io dovevo pure evitare che ci ammazzassimo a vicenda, il che era tutt’altro che facile. Ero riuscito a convincere i semidei norreni a non marciare verso Nuova Roma appena messo piedi sul suolo americano, in modo da non provocare ulteriori ostilità, ma Johannes era un problema permanente e pienamente supportato da Clarisse, con la quale faceva a gara a quanto dolorosa sarebbe stata la morte dei romani.
Oltre a Chirone e me, c’erano poche voci contrarie. Rachel, inoltre, sembrava aver perso buona parte dei suoi poteri, come se qualcosa avesse iniziato ad interferire con i suoi poteri di oracolo.
Tutto questo rendeva i semidei greci nervosi ed i miei compagni norreni sempre più inclini allo scontro.
Avevo parlato con Nora ed Helen su come rendere le cose meno pericolose, anche perché i figli di Ares ed i figli di Tyr e Thor si erano provocati già più volte e si rischiava che la cosa degenerasse. Ci mancava solo che ci ammazzassimo da soli prima che arrivassero o Romani.
La tensione faceva brutti scherzi.
Ormai il campo era montato e avevamo pattuglie lungo tutto il confine del Campo Nord e tutto il controllo della spiaggia, quindi non era rimasto altro che aspettare.
Ed odiavo aspettare. Soprattutto considerato quello che stavo aspettando.
«Nervoso?» chiese una voce accanto a me.
Will Solace si avvicinò a me, tenendo l’arco a tracollo. Il capo della Casa di Apollo era stato uno dei primi a volersi mettere in moto per difendere il Campo, ma anche uno dei meno violenti. Voleva solo difendersi e si era subito opposto alla proposta di Johannes di lanciare un attacco immediato.
«Solo un po’. Qui siamo tutti nervosi e devo tentare di evitare che la tensione diventi una bomba» risposi, appoggiandomi ad una delle rocce del pugno di Zeus.
«Ti capisco. Clarisse non fa che aizzare tutti. Se non la conoscessi direi che è pazza, ma… credo sia spaventata. In un certo senso, è la prima volta che ci troviamo veramente minacciati. Per di più da altri semidei» spiegò Will, sedendosi sul terreno e togliendosi l’arco dalle spalle. «Se solo potessimo parlare con loro.»
«Ci abbiamo provato» risposi, alzando le spalle. «Ma ormai sono sul piede di guerra. Gea ha preparato questo scontro così bene da costringerci a combattere.»
«Pensavo che voi Norreni adoraste combattere» mi fece notare Will, con un mezzo sorriso. «Sangue, addominali al vento e rock ‘n’ roll, no?»
Non riuscii a sorridere alla sua battuta. «Solo quando vogliamo noi» replicai.
Ci avviamo lungo il confine dell’accampamento, dando un’occhiata alla situazione e all’aria che tirava. I semidei norreni, ovviamente, non erano noti per la loro tranquillità. Sotto un certo punto di vista, noi eravamo iperattivi come i semidei greci, ma avevamo anche un tocco di violenza in più che ci metteva sempre a rischio. Eravamo facilmente irritabili, insomma.
Questo ci rendeva anche più pericolosi. Quindi né io né Will ci sorprendevamo se vedevamo due figli di Tyr che si pestavano o liti che scoppiavano qua e là come funghi. Più la battaglia si avvicinava, più bisognava scaricare la tensione. E questi erano i modi più usati da noi.
Ad un certo punto, però, notai un leggero movimento tra i cespugli della pineta alla nostra sinistra.
«Hai sentito?» chiesi, poggiando una mano sulla spalla di Will per fermarlo.
Afferrai lo scudo con la mano sinistra e avanzai lentamente.
«Cosa?» domandò il figlio di Apollo, incoccando una freccia.
Mi addentrai nella pineta, guardingo. Poteva essere benissimo una ninfa solitaria o un satiro che girovagava nella foresta. Sarebbe stato normale, ma qualcosa mi diceva che non era così. Will, alle mie spalle, avanzava cauto, man mano che ci allontanavamo dai sicuri confini del campo.
Ci fu uno schianto e, un attimo dopo, una lancia si diresse verso di me.
Una fortuna che il mio scudo fosse in posizione difensiva, altrimenti sarei stato trafitto. Invece, il giavellotto fu deviato dai supporti metallici che tenevano insieme le assi di legno e cadde di lato, mentre un gruppetto di ombre emergeva dagli alberi, tutte armate.
Cinque semidei romani erano emersi dai cespugli pronti a combattere. Ognuno di loro indossava non la maglietta del Campo Giove, ma un uniforme mimetica che sembrava presa dalle forze speciali. Erano tutti armati di spada e scudo e celavano i volti sotto gli elmi, tranne il loro capo. Reyna aveva il volto scoperto ed era l’unica ad impugnare una lancia.
«Ritirata!» ordinò, prima che chiunque potesse dire o fare qualcosa. «Ci hanno scoperti, avvertite gli altri!»
A quanto pare non era l’ordine che i nostri avversari si aspettavano. Persino uno stupido si sarebbe reso conto che, in una superiorità numerica di cinque contro due, sarebbe stato facile sconfiggerci, ma i semidei romani erano troppo abituati a seguire gli ordini per disubbidire. In men che non si dica, i quattro legionari stavano già indietreggiando, tenendoci sotto tiro.
«Torna al Campo e dai l’allarme, Will» dissi al mio compagno, approfittando della loro ritirata.
«Vado in un lampo!» assicurò lui, scattando all’indietro, diretto all’accampamento dei norreni.
«Andate, ora!» ordinò la figlia di Bellona, lanciandosi contro di me, con la lancia pronta a trafiggermi.
Con uno scatto istintivo, inclinai lo scudo, in modo che l’arma ribalzasse di lato e potessi sbilanciarla, ma lei mantenne l’equilibrio ed indietreggiò, rivolgendosi ai suoi legionari che esitavano ad ubbidirle.
«Andate!» intimò. «Presto arriveranno i loro rinforzi e potremo combattere come si deve.»
Quello sembrò far capire meglio il concetto ai quattro semidei, che iniziarono a correre verso l’entroterra, mentre lasciavano il loro pretore a fronteggiarmi.
«Coraggiosa a combattere da sola» commentai, estraendo la spada.
«Non ho certo paura di te» replicò lei, con un elegante affondo  della sua lancia.
Parai di nuovo, ma, invece di attaccare, indietreggiai. «Evitiamo di ammazzarci.»
«Direi che non siamo sulla strada giusta, allora.»
Lei rimase in guardia, ma non attaccò di nuovo.
«Suppongo che parlare ora sia inutile» osservai, tenendo lo scudo alzato, anche perché Reyna sapeva intimidire molto bene, visto il suo modo di tenermi sotto controllo.
«Siamo in guerra. Non ho il potere di fermare ciò che avete iniziato» sibilò, provando a colpirmi con la lancia, alla spalla sinistra.
Feci scattare la spada, per usare lo scudo in modo da avvicinarmi. «Anche se Gea ci sta manipolando?»
«Non servirei mai Gea. E non c’è altra scelta. Non ci avete lasciato altra scelta.»
Eravamo a pochi centimetri di distanza ed i nostri corpi quasi si sfioravano, mentre a separarci c’erano solo il mio scudo e la sua lancia.
«C’è sempre un’altra scelta» replicai, in un soffio, tanto eravamo vicini. «Non c’è nulla che possiamo fare per calmare il vostro augure?»
A sorpresa, lei scoppiò in una breve risata di scherno. Mi allontanò con una spinta.
«Credi che a Octavian interessi la pace? A lui interessa solo il vostro Campo. Lui vuole prendere il mio posto e se dovesse accadere, porterebbe Nuova Roma alla rovina. Io non posso permetterlo. Sto solo agendo di conseguenza.»
«Sembra di parlare con Alex. È testardo quanto te» sbuffai, partendo all’attacco.
Lei parò con il manico della lancia e tentò di colpirmi con la punta, usando l’ampio arco che l’arma poteva provocare. Mi abbassai giusto in tempo per tentare un affondo, ma lei si scansò.
«A giudicare da come ne parli, è un complimento» commentò, indietreggiando.
Rimasi in posizione. «Potremmo dire di sì.»
Ci bloccammo entrambi, quando, alle mie spalle, iniziarono a sentirsi i rumori di passi sempre più vicini, accompagnati dal forte clangore delle armi che sbattevano contro le armature – il segno che Will aveva raggiunto il nostro accampamento e che stavano arrivando rinforzi.»
«A te la scelta: o te ne vai, o ti arrendi» la avvertii, sapendo che, una volta arrivati, difficilmente la figlia di Bellona sarebbe riuscita a salvarsi.
Lei indietreggiò di un passo. «Sappiamo già dove vi trovate. Vi abbiamo osservati per qualche minuto e conosciamo le vostre forze.»
«Allora sai già che non potete vincere» dissi, avanzando di un passo a mia volta. Sembravamo due ballerini intenti a danzare un ballo estremamente lento.
«Forse.» Un sorrise fugace illuminò il suo volto. «Ma noi Romani siamo famosi per la nostra capacità di vincere battaglie in inferiorità numerica. Non avere troppa fiducia nei tuoi compagni» mi avvertì il pretore romano, prima di mettersi a correre lontano da me.
Quando i miei compagni, accompagnati da Will arrivarono, lei era già sparita.
Pensai che fosse meglio così. Almeno per ora, era salva. Ma ormai era certo: i Romani sarebbero arrivati molto presto.
E non avremmo avuto scampo.

 
koala's corner.
Salve gente! Siamo tornati dopo un po' di tempo causa i Water che se ne va in giro all'estero e AxXx che perde ispirazione e adesso beve coca-cola e non aiuta :P
Ad ogni modo, questo dovrebbe essere l'ultimo de capitoli di passaggio perché finalmente siamo a Roma.
E Roma si fa casino u.u
Leo e Einar si riappacificano ed è un bene, considerato quello che viene dopo e le poche possibilità di interazione tra i personaggi.
Speriamo che il capitolo vi sia piaciuto, un abbraccio e alla prossima!

Soon on VdN: POV Reyna in cui vediamo la legione all'attacco. (Per Narnia!)
  
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