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Autore: eleCorti    18/03/2016    3 recensioni
“Io... posso saperla?” e all’improvviso la bambina che c’era ancora dentro di lei rinacque.
“Certo...” le sorrise. Per lei era ancora la sua adorata nipotina che – quando era bambina – veniva sempre a casa sua per sentire fantastici racconti sulla sua vita.
“Sono passati ottantacinque anni...” prese una pausa. Quelle dolorose scene erano riapparse nella sua mente come flash.
Ispirata dal film Titanic.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akito Hayama/Heric, Sana Kurata/Rossana Smith, Un po' tutti | Coppie: Sana/Akito
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Saving me




 
Quella storia la incuriosiva sempre più, non pensava che i suoi nonni si fossero conosciuti in una nave da crociera... che bello, pensò, anche lei voleva incontrare l’amore della sua vita in quel modo... invece... invece aveva avuto tante delusioni: per questo era... sola.
“Come vi siete incontrati?” domandò, interrompendo il racconto dell’anziana donna.
“Eri...” sospirò, soffocando una risatina.
“Sei proprio come tuo nonno: vuoi arrivare subito al sodo...” sorrise ripensando a lui... le mancava tanto.
“Scusa è che sono troppo curiosa di sapere!” adorava quando la sua dolce nipotina tornava a essere la bambina gioiosa ed esuberante, le ricordava molto lei da bimba.
“Aahaha, capisco...” si fece sfuggire quella piccola risata. Infondo la capiva, ma che ci poteva fare se amava perdersi nei suoi ricordi?
“Dai ricomincia, non t'interrompo più!” le giurò, alzando il dito mignolo, come faceva da bimba, quando sanciva una promessa.
“Va bene. Dunque...” di nuovo l’anziana Sana si fece trasportare dai dolci ricordi, come una melodia.





 
****




 
Erano trascorsi solo pochi giorni da quando il Titanium era partito da Liverpool e già aveva circumnavigato quasi tutta l’Inghilterra e ora si stava dirigendo ad ovest. Era davvero una nave veloce, ma nessuno sapeva che sotto tutto quella tecnologia c’erano degli uomini che azionavano i vari macchinari.
Era davvero la nave dei sogni... le grandi sale lussuose – della prima classe ovviamente – i grandi ponti, le grandi sale... sì era tutto meraviglioso.
Ma non serviva essere ricchi per godersi quello splendido viaggio: due giovani, infatti, erano andati a prua a vedere le acque che scorrevano sotto di loro.
Entrambi erano incantati nell’osservare le onde che s'increspavano contro la nave, entrambi si erano persi in quelle azzurre acque.
“Ehi Tsu guarda!” il giovane Akito si sporse un poco, indicando un delfino che nuotava nell’acqua. Il suo amico, curioso, lo imitò.
“Eccone un altro!” indicò anche un altro delfino, che nuotava accanto al suo compagno.
Due, tre, quattro i mammiferi marini si moltiplicarono, provocando lo stupore del giovane Hayama, gli piaceva vedere i delfini; voleva essere come loro: libero.
Esultò come un giocatore che segna goal, era felice per loro, anzi no, si sentiva come loro: libero e senza preoccupazioni.
Il capitano osservò quei due ragazzi. Sorrise: gli ricordavano lui, quando era – a suo tempo – giovane e libero.
Salì sulla ringhiera il giovane Akito ed esultò ancora, sì gli piaceva essere libero.
“Non vedo l’ora di arrivare a New York!” esclamò Tsu, immaginando di vedere la statua della libertà.
“Sono il re del mondo!” urlò Akito, facendosi accarezzare dalla brezza primaverile.
Il capitano sorrise: adorava quel ragazzo, gli ricordava molto se stesso.






 
****





 
Quanto odiava partecipare alle cene dell’alta società, si sentiva come un pesce fuor d’acqua. Non capiva ciò di cui parlassero quegli uomini vestiti tutti allo stesso modo: con giacca e cravatta. O meglio capiva l’argomento, ma lo trovava noioso.
Ecco: si stava innervosendo e non andava bene, pensò. Prese il pacchetto delle sue Marlboro, lo aprì ed estrasse una sigaretta. La portò alla bocca, prese l’accendino e la accese, aspirando il fumo, facendolo arrivare ai polmoni per poi buttarlo fuori.
“Lo sai che non mi piace...” sua madre, sottovoce, le fece notare il suo dissenso.
Per tutta risposa la fanciulla buttò in faccia alla madre il fumo, facendole fare una smorfia di dissenso.
“Ha ragione!” il suo fidanzato – odioso come non mai – senza chiederle il permesso le levò la sigaretta dalla bocca e la spense nel posacenere bianco appoggiato sulla tavola imbandita da un lussuoso servizio.
“Signori che cosa volete ordinare?” il cameriere – in piedi di fronte a loro – attirò l’attenzione del ricco imprenditore.
“Prendiamo un filetto per due, al sangue e con un filo di menta sopra” rispose il giovane, senza consultare la sua fidanzata.
Quanto lo odiava quando prendeva le decisioni anche per lei. Come se lei non ne fosse in grado! Era stufa! Era stufa del suo atteggiamento.
“Ti piace il filetto, vero pasticcino?” si rivolse alla fidanzata, come se si fosse ricordato che il suo parere contasse.
Annui, fingendo un sorriso, mentre dentro si sé ardeva come le fiamme dell’inferno. Lo voleva picchiare.
“Hai intenzione anche di imboccarla Naozumi?” una signora, seduta di fronte a loro – con indosso un buffo cappello – si prese gioco di lui, provocandogli una smorfia sul viso.
Ecco di nuovo che ricominciarono a parlare del Titanium, ma stavolta la giovane Sana prestò attenzione al discorso: si stava parlando della grandezza della nave, argomento che le interessava molto, poiché la affascinava.
Però, notando la piega che stesse prendendo il discorso, s’infastidì. No, non poteva starsene zitta, doveva dare una lezione a tutti quei ricchi.
“Ha mai sentito parlare di Freud (il padre della psicoanalisi nda)? Ha una teoria su voi maschi e sulla vostra preoccupazione delle dimensioni!” obbiettò, il suo tono era duro.
Sua madre la guardò con uno sguardo di rimprovero, come per dire che cavolo stai dicendo? Certe volte non capiva sua figlia.
“Ma che ti prende?” si rivolse, difatti, alla giovane figlia.
Basta! Non ce la faceva più decise di andarsene. Si sentiva soffocare, come stretta da una morsa, dalla quale non si potesse facilmente liberare.
“Scusate...” posò il tovagliolo sul tavolo e si alzò, provocando lo stupore generale.
Nessuno la seguì: né sua madre né colui che fosse il suo ragazzo.
“Mi dispiace, ma mia figlia ha la lingua lunga” sua madre prese il suo calice ricolmo di un alcolico e si scusò.
“Però... la sua fidanzata è un tipetto a modo suo... chissà se lei ne è all’altezza?” s’intromise la signora dal buffo capello il cui nome era Mary.
Se non fosse stato un gentiluomo, il giovane dai capelli lilla le avrebbe risposto male. Perché? Semplice: la irritava e parecchio.
“Lo so fare stia tranquilla! Ma pare che dovrò prestare attenzione a ciò che legge!” la sfidò, non le faceva paura quella lì.







 
****






 
Erano su uno dei tanti ponti della terza classe, Tsu stava parlando con Gomi, mentre il giovane Akito si era seduto su una delle tante panchine, mettendosi a disegnare.
Si era ispirato a un padre e a una figlia, perché lui era così: disegnava scene quotidiane, disegnava soggetti sconosciuti che mai più avrebbe rivisto, ma che avrebbero rappresentato un ricordo di quel viaggio.
“Quindi questa nave è inglese...” chiese il giovane dai capelli castani.
“No irlandese!” lo corresse Gomi.
“Davvero? Non lo sapevo!” era stupito, eppure sapeva che fosse stata costruita a Liverpool.
“No i materiali sono irlandesi, la manodopera anche ed è stata provata in Irlanda” gli spiegò molto tranquillamente.
“Ecco, come sempre i cani vengono qua nella terza classe a fare i bisogni!” il giovane Gomi si lamentò, mentre aspirava il fumo dalla sua sigaretta.
“Beh ci fa capire com’è il mondo!” odiava quell’ordine insensato delle classi.
“E chi se lo scorda!” il suo nuovo amico, mentre buttava fuori il fumo, gli diede man forte. Lui la pensava come il biondino.
“Bei disegni...” afferrò lo schizzo di Akito e lo osservò. Gli piaceva molto.
“Riesci a guadagnare?” gli domandò.
Ma il giovane dai capelli dorati non gli prestò attenzione. Un angelo. Un angelo dai capelli rossi attirò la sua attenzione come una calamita. Era stupenda, anzi divina. Ma chi era? Non poté fare a meno di chiedersi.
Il giovane dai capelli corvini, vedendo che il suo amico non gli rispondesse, si voltò, notando anche lui la misteriosa ragazza appoggiata alla ringhiera del ponte soprastante.
“Lascia perdere. Lei non fa per te” gli consigliò, avvicinandosi a lui e posandogli una mano sulla spalla.
Ma il giovane Hayama – ancora una volta – non gli diede ascolto: era troppo impegnato a fissare quella celestiale e soave visione. Chi era?
Si girò: i loro sguardi s’incrociarono. All’interno del giovane pittore si scatenò una tempesta... quegli occhi, così... belli, intensi... profondi come l’oceano, un oceano di cioccolato, in cui avrebbe tanto voluto navigare. Nemmeno Tsu che gli passava la mano davanti agli occhi, lo fece distaccare da quell'incantevole donna.
Se ne andò: un uomo, probabilmente poco più grande di lei, la portò via e sembrava arrabbiato.
Si rattristò il giovane Akito: la voleva rivedere di questo era assai certo.







 
****






 
“Quindi è avvenuto così il vostro primo incontro?” la giovane Eri – ancora una volta – interruppe il racconto della nonna. I suoi occhi luccicavano. Anche lei avrebbe tanto voluto incontrare il suo vero amore in quel modo.
“Sì... anche se non ci siamo parlati, ci siamo parlati solo dopo...” le sorrise calorosamente. Adorava quando faceva in quel modo. Le ricordava lei.
“Va avanti!” la incitò la giovane, sedendosi meglio sul tappeto persiano. Le si erano addormentate le gambe.
“Sì. Allora dov’ero rimasta?” fece mente locale e si perse di nuovo nei magnifici ricordi.







 
****






 
Erano diciassette anni... diciassette anni che partecipava a quelle cene, così... uguali e noiose. Nessuno... nessuno la calcolava, nessuno capiva il suo dissenso, il suo dolore, la sua disapprovazione. Si sentiva sola... soffocare... come se fosse in un precipizio e stesse per cadere, ma nessuno voleva salvarla. Ma c’era davvero qualcuno che volesse salvarla? Non poté fare a meno di chiedersi.
Si alzò con una scusa, disse che doveva andare alla toilette. Corse, corse, veloce, nonostante i tacchi. Dove andava? Non lo sapeva. Purché fosse lontano da quel mondo che non le apparteneva.
Non si curò delle persone che le passavano davanti che la guardavano preoccupati, domandandosi che cosa affiggesse quella giovane ragazza. Anzi ne urtò parecchie: l’unica cosa che le interessasse era fuggire, fuggire il più lontano possibile.
Attraversò il desolato ponte, cercava un luogo in cui non ci fosse nessuno, voleva stare sola.
Un ragazzo... era Akito disteso su una panchina che si fumava una sigaretta, la notò. Si alzò, riconoscendola, osservandola mentre spariva dall’altro lato del ponte. Che cosa le era successo? Non poté fare a meno di chiedersi.
Si fermò, la giovane Kurata, le lacrime solcavano il suo viso, donandole un aspetto disperato, ma lei lo era davvero. Un’idea... un’idea attraversò la sua mente: farla finita, buttarsi da quel famoso precipizio.
Si avvicinò alla ringhiera della nave, lentamente, come se fosse consapevole che fosse giunta la sua ora. Ci mise il piede sopra, arrampicandosi, per poi saltare dall’altra parte, la parte in cui sotto vi erano le acque gelide dell’Atlantico.
Ecco... le fissò, il respiro affannato, come se avesse paura, si distese in avanti, pronta per buttarsi in quel tanto temuto precipizio.
“Ferma!” trasalì, sentendo quella secca esclamazione. Si voltò notando un ragazzo biondo e dagli occhi color miele.
“Stai indietro! Non muoverti!” cercò di minacciarlo, ma – evidentemente – il suo tono doveva essere poco convinto, poiché il giovane, invece, avanzò verso di lei.
“Dammi la mano...” avanzò ancora, tendendole la mano. Voleva aiutarla.
“Ti aiuto a tornare a bordo” il suo tono era – stranamente – dolce.
“No! Non ti muovere! O mi butto!” replicò la giovane. Ma il suo tono era ancora poco convinto.
Avanzò, mentre si toglieva dalla bocca la sigaretta per gettarla in mare. Una scusa? Sì. Si era, infatti, avvinato alla giovane dai capelli rossi.
“Non lo farai!” ribatté sicuro di sé. Sapeva quando una persona facesse sul serio oppure no.
“Che vuoi dire? Scusa?” riprese la sua spavalderia di sempre.
“Tu non mi conosci!” tuttavia, l’insicurezza s’impossessò di lei, come se fosse il demonio in persona.
“Se così fosse, l’avrebbe già fatto!” ribatté, mentre sul suo volto si dipinse un ghigno di vittoria. Sapeva di avere ragione.
“Vattene!” quel ragazzo le dava sui nervi.
“Non posso!” fu la sua secca risposta. Perché?
“Perché... se ti butti, dovrò tuffarmi per salvarti” spiegò, mentre si slacciava gli scarponi.
La sorprese quella rivelazione. Perché? Si domandò. Eppure non la conosceva neanche.
“Per favore! Morirebbe!” ribatté. Era convinta che fosse una bugia.
“Non m’importa!” replicò lui, mentre si toglieva la camicia.
“Non dire sciocchezze!” si fece sfuggire una smorfia, come faceva da bambina quando faceva i capricci.
“Oh sì sono serio!” se la rise il giovane. Adorava farla arrabbiare.
“E poi dovresti preoccuparti dell’acqua gelida!” continuò il suo discorso. Voleva provare a convincerla a non commettere una tale sciocchezza.
“Quanto?” voleva saperla.
“Sotto lo zero!” se la rise. Aveva vinto, lo sentiva.
“Fidati ti me...” proseguì. Voleva convincerla.
“Io ci sono caduto una volta. E non è bello, sembra di essere dentro il freezer!” la fissò negli occhi. Poté leggere la sua paura. Sì l’aveva convinta ormai.
“Dai su, prendi la mia mano. Non vorrai mica commettere una tale sciocchezza?” si avvicinò alla giovane e le tese la mano.
La afferrò, lasciandosi convincere da quello strano ragazzo. Si voltò, lentamente, incrociando – ancora una volta – quello sguardo color miele. Stavolta si perse anche lei... le piaceva molto quello sguardo, lo trovava così intenso... era come incantata. Lui le sorrise, stavolta grato per averlo ascoltato.
“Mi chiamo Akito Hayama...” si presentò. Ancora lei non era dall'altro lato della prua.
“Sana... Sana Kurata” anche lei gli sorrise. Fu ammaliata dal suo sorriso smagliante.
“è un nome strano...” constatò. Ma la ragazza non si arrabbiò, anzi rise di gusto.
“Forza!” la incitò a scavalcare la ringhiera.
Quel vestito... così lungo, fu la sua rovina. C’inciampò, cadendo per davvero. Urlò, conscia ormai che fosse finita. Fu presa. Lui... era lui che la doveva salvare?





 
****




 
“E ti salvò?” sua nipote interruppe. Si era emozionata, come quando leggi un libro e vuoi sapere come va a finire.
“Ora... cara Eri ci arrivo” tuttavia l’anziana signora non si arrabbiò. Come poteva?
“Dunque...” ancora una volta si perse nei suoi ricordi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: allora eccomi qui con un altro capito XD l’ho interrotto sul più bello perché volevo lasciare la suspense XD anche se tutte voi sapete come va a finire.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito – vi citerò alla fine della storia – e chi ha messo la storia tra le seguite – citerò anche voi alla fine della storia.
 
 
 
 
   
 
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