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Autore: RinRin89    30/03/2009    1 recensioni
Questa vuole essere una raccolta di storie brevi su fatti che seguono di molto le avventure del manga( che sarà tranquillamente ignorato per alcune cose). Lo anticipo i nostri eroi sono grandi e sposati, genitori di un bel gruppo di monelli. La seconda storia breve, tratta della stessa giornata della prima vissuta però dagli Uchiha brothers^^ e da Ayame in particolare^^...
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Konoha no Arashi

 

Avventure a Konoha!

 

 

Konoha no Arashi / La tempesta di Konoha

"Piacere il mio nome è Sasuke, Uchiha Sasuke"

Questo è il nome che, mia madre ha scelto, alla mia nascita.

Il motivo?

Quando glielo chiedevano rispondeva:

"Quando è nato era talmente uguale al padre, che non avrei potuto chiamarlo diversamente"

In genere finiva la frase con un abbraccio stritola costole al sottoscritto.

Non fraintendete ora, mia madre è una donna molto tranquilla in genere, ed è anche molto bella ed intelligente, ma quando parla di papà ha dei comportamenti un po’ strani…

Questo lo pensavo, quando ero un marmocchio di sette anni, con un’insofferenza acuta per le cose sdolcinate. Ora ne ho sedici e l’unica variazione, che mi sento di dover aggiungere è che tutte le donne, quando s’innamorano, sono strambe.

Ma su questo torneremo dopo.

Per il momento forse, qualcuno di voi si starà chiedendo come facciano le persone a chiamare il giusto, soprattutto in famiglia. Bèh, il problema lo risolse proprio il mio imbronciato fratello maggiore. Accadde una delle prime volte che rimasi da solo a casa con lui e papà, io non me lo ricordo, ma mia madre dice che al suo ritorno, la casa sotto sopra e mio padre distrutto.

Quando provò a chiedere cos’era successo, mio fratello mi guardò in braccio a papà e se ne uscì con una sola parola: "Arashi".

Aveva due anni e mezzo, io appena uno, fatto sta che da quel giorno io sono Arashi.

Konoha no Arashi, come si divertiva a chiamarmi lo zio Naruto.

A questo punto avrete capito che, a dispetto delle apparenze, il mio carattere è agli antipodi rispetto a quello di mio padre. La stessa cosa non si può dire per mio fratello Takeru che, quando gli gira male, è la sua copia sputata….eccettuato un piccolissssssssssssssssssssssssssssssssssssssssimo particolare…Ma siccome ci tengo alla pellaccia, lascerò che sia lui a rivelarvelo, se mai ne avrà voglia.

Bene, avendo finito con le presentazione, tornerei all’argomento principale.

Quello di cui vi voglio parlare oggi, e vorrei un aiuto soprattutto dalla categoria femminile, è lei.

La ragazza di cui sono innamorato da più di due anni: Ayame Uzumaki.

 

"Nii-san, la mamma ti vuole di sotto! Sono arrivate la zia e Ayame-chan"

Questo è il mio adorato fratellino Akira. Ha sette anni, un dente in meno e un cerotto permanente sulla faccetta paffuta. È la disperazione della mamma, non riesce a tornare a casa senza essersi assicurato un bel livido violaceo, o almeno una sbucciatura sul ginocchio.

Ha i capelli neri di famiglia e due occhi verdi, che vedono e ottengono tutto ciò che vogliono… compresa la mela caramellata con cui mi sta impiastricciando la manica della maglietta.

"A-chan, ora scendo, ma intanto faresti una cosa per me?" gli chiedo innocente.

Lui già sghignazza.

Non è un fratellino fantastico?

"Daresti un abbraccio ad Ayame-chan da parte mia? – la sua faccia è disgustata – Ovviamente senza prima lavarti le mani, mi raccomando!"

"Vado!" mi dice correndo dalla mia vittima preferita.

Sì, bèh, lei mi piace, ma mi piace ancora di più quando, quell’impassibile ragazza, torna ad avere i capelli corvini scompigliati intorno al viso, le gote arrossate e gli occhi azzurri accesi di rabbia. Come quando era una piccola tiranna ribelle ed io il suo acerrimo rivale.

Scendo le scale lentamente, e raggiunto il corridoio le sue grida mi assicurano la perfetta riuscita del mio piccolo dispetto. Un attimo dopo, eccola davanti a me, bella da mozzare in fiato, con i grandi occhi azzurri pronti a subissarmi d’improperi, alle sue spalle Akira, che assicura a mamma.

"Me l’ha chiesto Nii-san"

"Tu! Quando crescerai?!" Mi urla in faccia, vicina… Troppo vicina Aya-chan.

Non puoi mica protestare se ti rubo un bacio a fior di labbra.

"Buon giorno Aya…" uno schiaffo da capogiro mi tramortisce.

"Provaci un’altra volta e sei morto, Teme!" detto questo scappa via.

Ora…Questo me lo ha detto anche l’ultima volta…E quella prima…A pensarci me lo dice tutte le volte che le rubo un bacio…

Eppure sono ancora vivo e nonostante quello che dice, lei continua farsi prendere da me ogni volta che ci vediamo.

Quindi la mia domanda al gentil sesso è: Come faccio a farle capire che è cotta di me?

 

 

Assolutamente no!

Lei Ayame Uzumaki non era neanche lontanamente innamorata di quel usurantokachi di Sasuke Uchiha!

Figuriamoci! Era solo un maledetto moccioso presuntuoso!

Un ragazzino che non era mai cresciuto!

La ragazza sbattè con rabbia il pugno contro la parete lignea del corridoio vuoto.

Sasuke Uchiha, per lei, era un vigliacco, solo un maledetto stupido vigliacco.

"Che ti è successo, piccola Ayame?"

La voce calda e rilassata del maggiore dei fratelli Uchiha, la fece sussultare.

"Ni…Niente, niente di nuovo almeno"

Borbottò la ragazza cercando di ricomporsi, ma Takeru con risoluta gentilezza l’aveva già fatta voltare e, dopo averla esaminata con un veloce sguardo professionale, ne riconobbe il malanno.

"Arashi…" Decretò con un sospiro.

Ayame guardò gli occhi neri del ragazzo, mordendosi il labbro.

"Aya-chan…" cominciò lui mortificato, ma la ragazza non lo fece finire e nascondendo il volto nel petto del ragazzo, cominciò a piangere e a inveire contro il fratello di quest’ultimo.

"L’ha fatto di nuovo Takeru! Non doveva! Non ne ha il diritto!

Mi sta rendendo la vita un inferno, non ce la faccio più!

Lo fa ogni volta che mi avvicino a lui, e io maledizione non riesco a impedirglielo!

Lo odio! Lo odio da morire!"

Takeru la lasciò sfogare tenendola stretta.

Non erano molte le persone a cui teneva o di cui gli importava veramente, ma ad Ayame era affezionato sin da piccolo. Conosceva tutto di lei, ed era sicuro che la stessa cosa poteva dirla lei di lui. Proprio per questo, sapeva quanto pesasse alla ragazza quello sfogo di rabbia. Aya non era mai stata una persona espansiva, tanto meno disposta a mostrare apertamente i suoi sentimenti, forse neanche a se stessa…In questo era una kunoichi perfetta.

Tutto ciò che aveva, se l’era guadagnato con le unghie e con i denti, era riuscita a fronteggiare i migliori combattenti del paese del fuoco e l’assenza di doni particolari l’aveva compensata con l’impegno e la determinazione.

Era una ragazza forte su molti fronti, ma su uno in particolare era orribilmente facile ferirla, e suo fratello era un esperto in quel campo.

Non che lui non capisse le motivazioni, che avevano portato il fratello a fare quello che aveva fatto, e d’altra parte non era affar suo, ma non sopportava di vedere in che modo quell’idiota del fratello riuscisse a ridurre la sua dolce Ayame.

Fino ad ora aveva lasciato correre, ma a quel punto, Takeru si convinse, era diventato necessario parlare con Arashi e chiarirgli un paio di concetti fondamentali.

Mentre Takeru rimuginava su questi pensieri, Ayame aveva smesso di piangere e cercava di mascherare gli evidenti segni di quello sfogo improvviso. Il medico che era in Takeru si accigliò.

"Così finirai per congestionarti gli occhi ancora di più… Se me lo permetti, cercherò di aiutarti in modo più efficace" le propose allontanandole le mani dal viso. Ayame cercò di tirare fuori un timido sorriso.

"Grazie, Takeru"

"Di niente Aya, adesso vai a sederti sotto il vecchio albero del cortile interno, lì starai meglio e non ti disturberà nessuno. Intanto io recupero un impacco fresco per i tuoi occhi arrossati."

La ragazza fece cenno di sì e dopo averlo ringraziato di nuovo, s’incamminò verso la meta indicatale. Takeru la guardò allontanarsi, poi si diresse nella direzione opposta. Aveva appena svoltato l’angolo, quando un piede calciato contro la parete del corridoio lo bloccò. Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere a chi appartenesse quel piede.

"Arashi"

"Takeru"

"Che vuoi?"

"Ho visto la vostra commovente scenetta di poco fa."

"Geloso?" Takeru in genere non era il tipo da attaccare briga,ma il fratello riusciva a tirare fuori il lato peggiore del suo carattere.

Il piede di Arashi sbatté nuovamente contro la parete.

"Sì maledizione! Lo sai che lei mi piace, perché non la smetti una buona volta di fare la parte del nobile protettore e non sei onesto con te stesso e con me!"

"E cioè?"

"Lei ti piace, ammettilo fratello!"

"Se lo dici tu…-gli rispose come se la cosa non gli interessasse minimamente. -…Tuttavia non sono io che la faccio star male ogni volta che l’incontro."

"Questi non sono affari tuoi!" si difese Arashi punto sul vivo.

"Sarà...lei però non mi sembra del tuo stesso parere"

"Stalle lontano Takeru"

"Potrei, ma le devo portare l’impacco, per rimediare al pianto che tu le hai provocato"

Arashi si morse il labbro per la rabbia, era vero maledizione, ma non lo avrebbe mai ammesso davanti a lui!

Takeru rimase a guardarlo, che fratello scemo che aveva…

"Invece di rimanere qui a roderti il fegato, perché non ti rendi utile?" Gli disse Arashi lo guardò senza capire e Takeru scosse la testa.

"L’impacco è nel kit medico, basta che ci aggiungi un po’ d’acqua, lo sai fare, no?"

"Certo!" esclamò Arashi preso alla sprovvista, e capito il suggerimento si allontanò di corsa.

Takeru lo guardò correre via, poi tornare indietro.

"Ehm… grazie" gli disse impacciato prima di scomparire di nuovo. Takeru ghignò divertito

-il solito Baka.…-

Ayame intanto, se ne stava seduta all’ombra, tenendo gli occhi chiusi. I sentimenti che le avevano procurato quel pianto fuori programma si stavano acquietando velocemente. Takeru sapeva tranquillizzarla come nessun altro. A volte la ragazza si chiedeva se Sasuke e Takeru non fossero i poli opposti del suo umore. La loro presenza la portava a provare l’intero ventaglio di sentimenti dalla rabbia all’a… A qualcosa che non voleva provare.

In ogni caso la sua dipendenza dai due era eccessiva e pericolosa. L’Hokage l’aveva avvertita, se voleva continuare ad essere ciò che era, doveva prendere provvedimenti a riguardo.

Ayame aprì gli occhi, infastidita da quei pensieri, tuttavia neanche quei problemi potevano mettersi tra lei e la pace profonda del giardino. Quel piccolo angolo di pace si trovava nel cortile interno dell’antica casa Uchiha, lì i rumori della casa erano inesistenti e solo il ritmico scambio di battute tra l’acqua della bella fontana e quella del laghetto, immerso nel profondo silenzio della vecchia ombra di un ciliegio, segnava il placido scorrere del tempo in quel luogo fuori dal mondo.

Ayame si mise ad osservare il pigro flusso dell’acqua senza pensieri, sapeva che quando la madre avesse avuto bisogno di lei, l’avrebbe cercata lì. Era entrata in quella casa da piccolissima e quel posto aveva sempre avuto un particolare ascendente su di lei.

Era lì che da piccola aveva passato i lunghi pomeriggi estivi insieme a Takeru prima e con Sasuke e Minato poi.

Il tiepido Sole primaverile la rivendicava al sonno e ben presto Ayame chiuse gli occhi perdendosi tra ricordi e sogni di giorni passati.

Ricordava la prima volta che Sasuke e Minato erano stati lasciati a giocare con loro senza il controllo dei genitori, avevano tre anni, Takeru cinque e lei appena quattro, il gioco tuttavia era presto degenerato in pianto e lei e Takeru si erano presi una bella strigliata dalle rispettive mamme. Ayame sorrise mentre un altro ricordo le tornava alla mente, era estate, e loro quattro si stavano divertendo a schizzarsi con la fresca acqua del laghetto, ma era bastato che la zia Sakura si allontanasse un attimo perché finissero <> tutti e quattro nel laghetto. Per farli uscire e portali a fare un bel bagno caldo, suo padre e lo zio Sasuke li avevano dovuti tirare su di peso.

In quella rapida catena di ricordi, i giorni, i giochi e gli anni passati insieme, si susseguivano nella mente della giovane, portandola a notare ciò, che sapeva da sempre, ma che da tempo non voleva ricordare.. Il volto di Sasuke cresceva nei suoi ricordi, com’era cresciuta la sua presenza nella sua vita. Voleva bene al fratellino e anche a Takeru, ma con Sasuke c’era qualcosa di più. All’accademia il bambino l’aveva eletta suo rivale, mentre Minato aveva scelto Takeru da eguagliare. All’inizio questo le aveva dato fastidio, se lo trovava sempre appresso, e in più nonostante fosse più piccolo di lei, riusciva sempre a raggiungerla, nell’altezza, nell’abilità fisica e nella velocità d’apprendimento. Lei era sempre stata orgogliosa e la rivalità come la competizione erano dunque nate spontaneamente in lei nei confronti di Sasuke. Così poco alla volta il desiderio del bambino di stare al suo passo era diventato una sfida, qualcosa tra loro due soltanto. Non voleva essere superata da lui, per questo lei si era impegnata al massimo, per rimanere il suo traguardo e anche per non deluderlo. Erano rivali, ma anche amici, quante volte si erano spalleggiati a vicenda e quante se n’erano dette subito dopo anche per stupidaggini da niente. Col tempo Sasuke era cresciuto e nonostante la rivalità , come l’aveva definita una volta Takeru, Ayame aveva scoperto di non essere tanto vicina a nessun altro. Migliorarsi, divertirsi, stuzzicarsi, litigare e fare pace l’attimo dopo, diventare sempre più forti, cresce insieme, questo era stato per lei Sasuke.

O almeno lo era stato, fino al giorno in cui lui l’aveva abbandonata.

Aprì gli occhi irritata e la sua faccia gli si presentò davanti.

"Ehm…Aspetta, non ti arrabbiare…"

"Sono già arrabbiata" gli fece notare Ayame, un attimo prima di tirargli un pugno, che il ragazzo bloccò senza problemi, ma con una faccia talmente ferita, che stupì la ragazza.

"Se fossi stato Takeru non avresti reagito così"

"Takeru non cerca di approfittare di me appena abbasso la guardia!"

"Se tu la smettessi di evitarmi, non ne avrei bisogno!"

"Se tu…" cominciò ad urlagli in faccia la ragazza, ma si zittì.

"Se io…? Avanti, continua Ayame. Se io cosa?"

"Se tu non fossi diventato un vigliacco, non sarebbe finita così!"

La faccia di Sasuke divenne una maschera.

"Ho capito" disse gelido, più a se stesso che alla ragazza, tirandosi su.

Ayame rabbrividì, non l’aveva mai visto così.

"Comunque, ero venuto solo a portarti questo" le disse lanciandole una pezza umida in grembo.

"Nii-chan, Aya-chan! Stiamo per andare, venite?"

La voce spensierata di Akira fece voltare i due.

"Io passo per oggi, piccoletto! Ho un paio di cose da fare" gli rispose Sasuke scompigliandogli i capelli ribelli. La voce era allegra, ma Ayame la sentiva dura e tagliente. Cercò di scorgere il viso del giovane, ma lui se ne accorse e sparì senza rumore.

"Nii-san…" mormorò Akira, guardando il punto in cui era sparito il fratello.

"Akira andiamo" lo spronò Ayame, Akira la guardò malissimo, le fece una linguaccia e corse via.

 

 

 

Le donne e il piccolo Akira erano usciti e ora Sasuke si trovava da solo, chiuso nella camera buia, sdraiato sul letto.

Un altro guaio.

Un’altra litigata.

Un nuovo paletto tra loro.

Un vigliacco.

Era questo che ora lei pensava di lui, questa volta era stata chiara come il Sole.

-Maledetta stupida! Non hai capito niente! –

Avrebbe voluto… che cosa importava…

Lei non lo voleva ascoltare, era passato un anno da quando, dopo aver accettato l’incarico di maestro all’accademia dei chunin, le aveva confessato di amarla.

Non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore, si era detto in seguito, si era aspettato di tutto in risposta da lei, tranne lo sguardo di puro disprezzo che gli aveva rivolto. Non una parola, non una spiegazione, e quando, dopo una settimana di silenzio, aveva provato a parlarle, la risposta fu lapidaria.

"Sono un anbu…" gli aveva detto e dopo essersi infilata la maschere aveva aggiunto "…e tu no"

E da allora la situazione era solo peggiorata….

Non era un anbu, né lo voleva diventare.

Non avrebbe rinnegato la sua scelta, e se lei non lo accettava per quello che era, bèh…

A tirarlo fuori da quel groviglio di pensieri, furono due secchi colpi alla porta.

Sasuke rimase un attimo interdetto, aveva pensato che fossero usciti tutti. Poi si diede dell’idiota… Si era dimenticato del fratello.

"Vattene" borbottò, guardando il soffitto, ma Takeru entrò, senza filarselo minimamente.

Arashi saltò a sedere sul letto infastidito.

"Ehi! Ti ho detto, vattene!"

"Ho sentito" gli rispose l’altro guardandosi intorno.

"E allora perché sei entrato?! Che senso ha bussare, se poi te ne freghi di quello che dico!"

Takeru lo guardò come se fosse un po’ tardo, poi senza badargli, si diresse alla finestra aprendo le tende scure.

"Oi! Chi ti ha dato il permesso di aprirle!" protestò Arashi tirandogli il cuscino.

"Ti sei depresso abbastanza – gli fece notare Takeru, sbattendogli in faccia il cuscino – Ora dobbiamo parlare"

-Parlare, sì come no! – pensò arrabbiato Arashi

"Per oggi ho chiuso le comunicazioni" gli rispose voltandosi dall’altra parte del letto.

Takeru se lo guardò esasperato…Quel fratello assurdo lo sorprendeva sempre, a volte sembrava molto più grande dei suoi sedici anni, altre si comportava come un bambino di cinque. Sospirò, stuzzicarlo sarebbe stato facilissimo in quel momento. Tuttavia una parola di troppo lo avrebbe fatto infuriare, e se già non voleva ascoltarlo, farlo arrabbiare era da stupidi. Era andato da lui per farlo ragionare, non per dargli un motivo in più, per chiudersi nel suo stupido orgoglio ferito.

Il silenzio si protraeva. Arashi aspettava la sgridata di Takeru, mentre quest’ultimo non sapeva che pesci pigliare… Il silenzio ostinato del fratello (o così pareva a Takeru), lo aveva preso in contro piede. I secondi continuavano a passare, finché Takeru sentendosi sempre più stupido non si alzò.

"Dove vai?"

La domanda del fratello lo fermò.

"C’è un salotto, che aspetta di essere sistemato, tavoli e sedie da tirare fuori e pulire, e una griglia da far funzionare."

"Mi sembrava, che volessi parlarmi" brontolò Arashi.

Takeru ci pensò un po’ su, poi decise di dirgli chiaro e tondo ciò che pensava.

"Volevo solo farti notare, che Ayame non ce l’ha con te perché non sei diventato un anbu…"

"Ah no…?"

"No! Quello che non ti perdona è che invece di spiegarle la tua scelta, l’hai messa davanti al fatto compiuto il giorno della selezione non presentandoti…Lo sai no, che ti ha aspettato fino alla fine."

" Ma io ho deciso di non presentarmi solo la sera prima, dopo aver parlato col maestro Iruka"

"Questo non toglie che fino al giorno prima, le avevi ripetuto che saresti diventato un anbu più forte di lei"

"Che le dovevo dire, Takeru? Scusa tanto Aya-chan, ma non mi va di essere un sicario scelto dell’Hokage e un assassino senza volto in vece sua!"

"Pensi che non ti avrebbe capito?"

"A quanto pare no! A quanto pare ormai non sono più alla sua altezza! Tu, nostro padre… voi sì.

Io sono solo un ragazzino, che a detta sua, cerca di approfittarsi di lei quando è distratta.

Beh, sai che ti dico Takeru, se si distrae così facilmente non è poi un granché come anbu!

E se non riesce ad ammettere con se stessa che è innamorata di me, allora la vera vigliacca è lei, non io!" sbottò Arashi.

"Penso che tu esageri. D’altronde questi non sono affari miei, né posso risponderti io al suo posto. – gli disse dirigendosi verso la porta, poi prima di uscire aggiunse – Comunque, mentre elabori, vieni giù e dammi una mano. Anche perché papà non si trova, e mamma non ha voluto dirmi dov’è andato a finire"

Arashi guardò il fratello allibito… Ma che conclusione era?

Scoppiò a ridere divertito, era stata una conversazione breve e assurda, ma ora stava meglio. Così ritrovato il suo buon umore, scese al piano di sotto ad aiutare il fratello.

 

 

 

Intanto…da qualche parte nella foresta di Konoha, qualcuno starnutì.

"Ehi, non ti sarai mica preso il raffreddore?"

"Sta’ zitto, Usurantokachi"

Naruto guardò l’amico, era sempre più nero e irritato. Aveva smesso di prenderlo in giro da un bel po’…da quando, per l’esattezza, un kunai volante gli aveva quasi fatto lo scalpo.

Se quella missione fosse durata ancora a lungo, avrebbe dovuto cominciare a temere per la propria vita!

Stava per proporgli di tornare a casa, quando ai piedi dell’albero su cui si erano fermati, notò un rotolo abbandonato,

- I ragazzi sono passati senza vederlo! – pensò.

"Lo prendo e glielo faccio trovare"

"Cosa?" gli chiese snervato Sasuke, ma l’altro si era già lasciato cadere. Sasuke guardò in basso e…

"Baka fermo!" gli urlò, ma l’uomo aveva già toccato il rotolo, che esplose in una cortina di fumo e polvere, poi il rumore secco e ripetuto degli shuriker contro il tronco dell’albero.

"Baka" sentenziò Sasuke, vedendo l’amico inchiodato all’albero con un’espressione assurda.

"Ehm… Sas’ke, una mano?"

L’uomo era tentato di mollarlo lì, ma sentì il rumore dei ragazzini che si avvicinavano, non aveva voglia di dare spiegazioni, così con un veloce taglio di spada liberò Naruto.

"Lo abbiamo preso!" esclamò Reika uscendo dall’ultimo cespuglio.

"A quanto pare no. Però gli abbiamo fatto passare la voglia di pedinarci" le fece notare Ryotaro esaminando ciò che restava dei vestiti del loro <>.

"Non pensavo che sarebbe caduto in una trappola così semplice" borbottò Chiho, raccogliendo gli shuriker.

"Allora… se siete soddisfatti possiamo concludere la missione?" chiese Kakashi esasperato.

"Oh, il rotolo lo abbiamo trovato mezz’ora fa" gli fece notare Chiho, tirandolo fuori dallo zaino.

"Non te lo abbiamo detto, perché volevamo prendere il nostro inseguitore e dimostrarti che c’era" gli disse Reika angelica.

- Che pesti! – pensò Kakashi, ma in fondo gli avevano offerto qualcosa di veramente divertente.

"Bene allora, visto che siete così bravi, e avete ancora energie da vendere, che ne dite di un piccolo allenamento fuori programma?"

"Noooooooooooooooooooooooooo" fu l’unanime risposta, che fece ghignare Kakashi, l’avevano fatto camminare per mezz’ora di troppo!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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