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Autore: Egomet    30/03/2009    8 recensioni
Lui era solo un ragazzo tranquillo che aspirava ad uscire con la sua bellissima quanto irraggiungibile collega. Lei era solo una ragazza complicata che aveva voglia di divertirsi. Ma insieme a questo, una pancia grande e gonfia, e soprattutto ciò che conteneva, erano il suo problema. Lui cerca di aiutarla, ma non ha fatto i conti con il suo carattere impossibile. Davide prova a capirla, ma Francesca gli nasconde un segreto. -Ascolta, Davide… sicuramente tu mi hai già visto, ma non ti ricordi di me. Sai, io sono incinta- Davide inarcò le sopracciglia scuotendo la testa. “Ma cosa voleva quella da lui?”. -Beh, tanti auguri, mi fa piacere…- stava già per chiudere la conversazione. Lei intuendo ciò che voleva fare si affrettò a vuotare il sacco. -Sono incinta di te-
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quei pomeriggi passarono a velocità esasperante. Le ore e i minuti, persino i secondi parevano protrarsi all’infinito. Quel noiosissimo giorno della quasi metà di aprile, in particolare, Francesca finì di scrivere il risultato dell’equazione, e soddisfatta chiuse il quaderno degli esercizi.
Notò che le serviva il computer per fare una stupida ricerca per una stupida professoressa riguardante uno stupido argomento di storia.
Sbuffò, scocciata. Detestava dover chiedere aiuto a qualcuno.
-Davide!- lo chiamò forte.
Lui comparve sulla soglia della cucina, luogo che lei aveva scelto per farsi i compiti in santa pace, con una maglietta bagnata e i capelli che colavano acqua.
-Che è successo?- domandò preoccupato, frizionandosi la testa con un asciugamano.
-Mi serve un computer. Tu ce l’hai?-
Il ragazzo, insospettito, strinse gli occhi.
-A che ti serve?-
-Ricerca di scuola-
-Alla tua età fai ancora ricerche?-
-La mia prof ha voglia di rompere le pa**e- concluse la bionda, in attesa di una risposta.
Non del tutto convinto, lui entrò nella cucina e si diresse verso un mobile che la ragazzina non aveva mai notato.
In alto a questo, il ragazzo aveva messo una borsa blu scuro, una cartella, e alzandosi sulle punte la afferrò per portarla giù, sul tavolo.
La ripulì dalla polvere e fece scorrere la cerniera.
Una volta aperta, un portatile nero fece la sua comparsa. Davide tirò fuori mouse, alimentatore e lo accese. Francesca si fiondò subito sulla sedia accanto alla sua.
-E questo da dove salta fuori?- chiese, guardandolo ammirata.
-Fatti miei- borbottò lui mentre collegava i fili, alzava lo schermo e lo accendeva.
Si sedette accanto alla ragazza, tenendola d’occhio.
-Girati, che devo mettere la password-
Lei esitò, ma poi cedette al suo sguardo perentorio; sbuffando seccata girò il capo dall’altra parte.
Osservò involontariamente i capelli bagnati di lui che si appiccicavano alla nuca, grondanti di acqua. Così sembravano molto più lunghi. Poi intercettò con lo sguardo una gocciolina solitaria che cadde a picco dentro il colletto della sua maglietta, sulla schiena. Essendo anche quella bagnata, la pelle aderiva precisamente al tessuto.
Osservò con un filo di raccapriccio la sua colonna vertebrale spuntare di tanto in tanto. Le faceva impressione e così si voltò dritta.
-Cosa devi cercare?-
-Mmm?- domandò, dimentica dello scopo per cui aveva chiesto un computer.
-Hai detto che dovevi fare una ricerca- spiegò il ragazzo accigliandosi.
Vedendo che non reagiva si spazientì un po’.
-Dai muoviti che tra mezz’ora devo andare a lavoro-
-E vacci, guarda che lo so usare un computer- ribatté risentita lei.
-Non mi fido a lasciarti col mio-
Entrambi strinsero gli occhi, scrutandosi attenti come fanno due lottatori prima del match, ognuno deciso a trovare i punti deboli dell’avversario. Infine parvero stabilire una tregua.
Francesca gli dettò il testo dell’argomento e insieme decisero quale era la pagina più adatta da salvare; dopo molti dibattiti conclusero che avrebbero provato un altro motore di ricerca.
-è proprio tuo stò computer?- chiese lei curiosa.
-Sì- rispose atono il ragazzo.
-Come fai a pagartelo in rate se lo stipendio che guadagni è una miseria?-
Davide si indispettì.
-Ma cosa ne sai tu? Stai zitta…-
Riprese a cliccare con il mouse.
Ma Francesca non si diede per vinta. Osservò la marca, il tipo di processore, e ricordò quello che aveva spiegato il suo professore a scuola.
-Deve costare veramente tanto però- si azzardò a dire.
A quel punto lui sospirò seccato e smise di guardare lo schermo per concentrarsi sulla bionda alla sua sinistra.
-Se proprio vuoi saperlo, l’ho vinto con una borsa di studio- disse un po’ imbronciato.
-L’hai vinto?-
-Sì. E ora vorrei sapere una cosa però-
Si girò completamente dalla sua parte con tutto il busto, trovandosi vicinissimo a lei.
La quale non si fece intimorire affatto, ma sostenne il suo sguardo serio.
-Tu dici sempre che io non mi devo impicciare della tua vita. E allora perché tu vai curiosando nella mia?-
-Sai a me quanto me ne frega di te- ribatté acida la ragazza.
-Che ne sai tu che io guadagno una miseria? E poi che ti impicci dei miei soldi, eh?-
Forse l’aveva fatto arrabbiare.
-Ma cosa dici? A me non m’importa proprio nulla dei tuoi problemi, che già sto per cavoli miei, quindi…-
-E perché allora……-
D’improvviso lui tirò fuori dalla tasca una busta bianca, stracciata nella parte superiore e accartocciata.
-…questa, che in teoria dovrebbe essere roba mia, l’hai presa tu, e nascosta?-
-Frughi nelle mie cose?-
-Quando nelle tue cose c’è roba mia sì-
Francesca arrossì sia di rabbia, sia d’imbarazzo perché l’aveva scoperta.
Giorni fa aveva suonato alla porta, una mattina che non era andata a scuola, il postino per consegnare delle lettere. Aveva trovato lei e si era fatto dare una firma.
La ragazza si era trovata fra le mani una scatola impacchettata e avvolta da nastro adesivo robusto, tenuta insieme anche dallo spago.
Non aveva osato aprirlo, cedendo alla curiosità, perché lui certamente se ne sarebbe accorto, ma quella lettera l’aveva così dannatamente incuriosita che non aveva resistito.
Aperta col vapore, richiusa abilmente o almeno così credeva, e aveva curiosato nella sua vita; intendiamoci, non che la ragazza volesse far la spia… era semplicemente curiosa di lui.
Letta la bolletta, non troppo eccessiva a dir la verità, aveva fatto due calcoli per capire a quanto ammontasse il suo stipendio. Ed era una cifra che non gli permetteva certo il lusso di avere tante cose sfiziose.
-Perché l’hai aperta?- domandò lui.
La bionda sbuffò e non rispose, ma quando lui ripeté la domanda più forte si irritò e le saltarono i nervi.
-Che ne so! Credevo che non avessi abbastanza soldi- sparò a caso, per coprire la mancanza di una motivazione valida.
Davide distolse lo sguardo da lei, scuotendo la testa con vigore e disappunto, mangiandosi le risposte fra i denti.
Scelse la pagina che gli sembrava migliore, gliela salvò su un floppy disk e le disse di sbrigarsela da sola.
Lei rimase così, col dischetto in mano, mentre lui riponeva il portatile e se ne andava di là a prepararsi.
Non andava bene così, però. C’era un’atmosfera troppo tesa fra di loro. Sentì il portone sbattere forte quando il ragazzo uscì per scendere al bar, e ancora un po’ arrabbiata per prima, si infilò il giubbino, prese il cellulare e uscì anche lei. Almeno avrebbe potuto parlare con la sua amica di questi piccoli problemi di convivenza.
 
Davide continuava a maledire, nella sua mente, quella serata in discoteca e a darsi dello stupido per essersi preso in carico quella strana ragazzina.
Era tutta matta, quella.
Gli piombava nella vita, in mezzo ai piedi dicendo di essere incinta. Lo faceva commuovere, gli procurava sensi di colpa e lo costringeva implicitamente a darle in qualche modo un aiuto.
Ma non era normale, dopo tutte quelle gentilezze, dopo tutto quello che faceva per lei, esser trattato come un imbecille.
Oltre che si faceva carico delle spese economiche che comportava, del fattore psicologico di diventare di lì a pochi mesi padre di un bambino, doveva sopportare il suo carattere irascibile.
Non riusciva a capirla proprio.
Lo aveva cercato lei, lei si era preoccupata che sapesse del bambino, che ne fosse informato e non aveva esitato ad accettare il suo aiuto. Poi, d’un tratto, diventava fredda, irritabile e menefreghista.
Non gli permetteva di domandare come andasse col bambino, con la scuola; non parlavano mai di quel piccolo segreto custodito nella sua pancia.
Non cercava un contatto con lui, un dialogo che fosse basato sui loro problemi, anche se ce ne sarebbero stati molti da discutere.
Va bene che non erano una coppia, che fra loro intercorrevano quattro anni di differenza, che non erano amici ma solo estranei accumunati da una cosa.
Ma quella cosa a Davide pareva troppo importante per escluderlo da tutto; dopotutto, pensò, se quel bambino era, così diciamo, nato, era anche merito suo. Magari non era stato proprio voluto, non era nei loro piani perché a malapena conoscevano il nome dell’altro, ma in quei giorni aveva più volte pensato a cosa sarebbe successo dopo.
Dopo tutto, dopo quei nove mesi.
Si era trovato una ragazzina in casa, e secondo i suoi calcoli, ad ottobre, sarebbe nato il bimbo.
E dopo?
Francesca sarebbe rimasta a vivere con lui? Purtroppo tutte le domande che la implicavano non potevano avere una risposta.
Sarebbe forse tornata a vivere con i suoi? E poi cosa ne sarebbe stato di lui? Del papà?
Dimenticato, relegato in un angolo?
Eppure lui aveva il diritto di dire la sua; non è che non lo volesse, quel bambino; visto che ormai c’era, non si poteva mica buttare. Anzi, anche lui aveva diritto ad avere dei genitori.
E come si sentirà quando gli rimarrà solo la mamma? Non si chiederà mai da chi ha preso quel naso, quel colore dei capelli e quel carattere?
Forse non avrebbe mai avuto una risposta a quelle domande, si disse malinconico mentre spingeva la porta.
Quella non si aprì; provò ancora, e ancora, ma niente, rimaneva ferma dov’era.
Fece mente locale, deviando dai pensieri filosofici che gli erano balzati in mente.
Poi si ricordò: non era giorno di lavoro, né orario di apertura. Ma come aveva fatto a scordarselo?
Forse davvero, aveva troppi pensieri per la testa.
Tornò a casa, ma non trovò la bionda ragazzina.
“Per fortuna” pensò malignamente per poi contraddirsi.
Esausto anche se era solo pomeriggio, si gettò sul letto e chiuse gli occhi.
Rotolò verso sinistra, nella parte dove dormiva lei, e afferrò con una mano il cuscino.
Il suo ventre toccò qualcosa di duro; storse il naso, infastidito, e si sporse per vedere cos’era l’artefice del suo disagio.
Lo zaino della bionda.
“Rompe anche quando non c’è”. Si voltò a pancia in su, e lo prese distrattamente fra le mani.
Poi vide che era aperto.
Esitò, con la mano a mezz’aria. Tanto lei non c’era, si disse, e infilò le lunghe dita dentro la cerniera.
La prima cosa che toccò, tastando, fu una felpa. La estrasse e la lanciò sul letto, di lato.
Tornò dentro lo zaino, spingendosi più in fondo. Trovò un diario scolastico e lo esaminò.
Sdraiato, se lo poggiò sul petto.
Era bianco, griffato dalla marca di qualche catena di abbigliamento, ma annerito dalle cadute e dalle matite che ci avevano scritto sopra. Era enorme e quasi non stava in una mano, perché era imbottito di carte.
Francesca aveva provato a tener insieme la copertina col nastro adesivo, ma non ci era riuscita.
Il dorso si sfaldava, gettando ovunque pezzetti minuscoli di carta. La copertina era consumata agli angoli, e distrutta sul retro, come se ci avesse giocato a calcio.
Davide girò fra le mani il piccolo diario bianco.
Chi sei, Francesca?
Appoggiandosi meglio alla testata del letto, iniziò ad aprire cauto la prima pagina.
Non ci aveva scritto nulla, e così iniziò a cercare altrove.
 
Fu come se si fosse aperta una finestra, un video in tempo reale su quello che era il suo mondo. Sfogliando quelle piccole pagine quadrettate aveva accesso alla sua vita, entrava dentro i suoi pensieri e le sue sensazioni.
Rapito dalla scoperta di quel segreto, come ipnotizzato iniziò a girare le pagine, cercando curioso qualunque cosa la riguardasse.
La prima cosa che gli scivolò in grembo fu una foto 13x15.
Dimentico del diario, la prese e la osservò.
I banchi della classe erano stati spostati per far posto ai ragazzi. Ventidue bocche digrignavano sorridendo i denti, più o meno puliti. Erano undici ragazzi e altrettante ragazze.
Francesca si riconosceva subito per via dei suoi capelli biondi e di quel broncio che imperterrita teneva sul viso. Ma stavolta non era quel broncio rabbioso e testardo che le aveva sempre visto, era una smorfia quasi di rassegnazione, come ‘che ci sto a fare io con questi?’.
Accanto a lei si ergeva un’alta ragazza dai capelli neri, lisci e freschi di trattamento con la piastra forse, che sorrideva tranquilla, con un braccio attorno alla vita della bionda.
Poi riconobbe la ragazza che si era trovato un giorno a casa, seduta dietro su un banco e anche lei avvinghiata ad un’altra.
Voltò dall’altra parte la foto e ne osservò il retro.
Era tutto cosparso di firme; chi con la penna nera, rossa, blu e anche verde aveva lasciato il suo segno indelebile su quella fotografia.
‘Francesca Daniele’ era scritto proprio al centro dell’immagine, circondato da altri. La sua scrittura era non troppo rotonda e non proprio ordinatissima. Spaziosa e larga.
Davide ripose la foto nel diario e cominciò a leggere.
Sembrò quasi di essersi ritrovato cinque anni più giovane, ancora fra i banchi della ragioneria, insieme a tutte quelle voci, quell’allegria, quegli scherzi, parolacce e risate che rendevano così tanto bello l’andare a scuola.
Tante scritte colorate, evidenziatori e pennarelli per scrivere dediche su quel diario e lasciarle per sempre alla ragazzina.
Anche ragazzi vi avevano scritto sopra.
‘Ti amoo… dai scherzo! By Nazario’. ‘Ma questa non muore mai? Tvttttb Francy!!’.
Poi disegni, compiti scritti frettolosamente, e piccole filosofie sull’amore, scopiazzate da chissà quale pagina web.
Poi qualche canzoncina sconcia, una battuta.
Ma ciò che colpì Davide fu una pagina scritta in stampatello maiuscolo fitto fitto, ripiena di parole che davano all’occhio per quanto erano perfettamente della stessa grandezza.
Incominciò a leggere.
‘…aiuto, fra due ore ho l’interrogazione e non ho studiato. Potrei studiare adesso, ma proprio non ce la faccio. È che ho la testa piena di lui, lui, lui, lui… uff. è proprio bello, anzi, bellissimissimo, col superlativo assolutissimo.
Il fatto è che è così strano dopo quella sera lì, in discoteca con quel tipo. Ma sono grande adesso, e lui lo sa. Almeno sarà per una giusta causa che non ho studiato!!!’.
Continuava ancora ma lui si fermò lì. Lesse ancora altre dediche, altre parole, altre firme.
Allora non era sempre così… difficile, con gli altri.
Chiuse il diario e stette un po’ a pensare.
Forse era lui che stava sbagliando atteggiamento? Forse aveva scelto il modo sbagliato di iniziare?
Continuava, per ogni direzione che scegliesse, a sbattere la testa contro un muro che sembrava invalicabile dalla sua parte.
Magari doveva solo aggirarlo, il muro. E magari cercare di farla parlare un po’ di sé.
Rimise a posto il diario, ma mentre lo faceva la sua mano sfiorò il bordo accartocciato di qualcosa. Nuovamente catturato dalla curiosità, tirò fuori quello che aveva urtato.
Le sue dita estrassero un’altra fotografia, molto diversa dalla prima.
Raffigurava tanti bambinetti, tutti dritti in fila disposti su più piani.
Indossavano tutti quanti un grembiule grigio chiaro, sia i maschi che le femmine, e affianco alla fila c’erano due signore, probabilmente le maestre, che sorridevano.
Davide pensò che fosse una foto risalente alla scuola materna, ma poi girò la carta e lesse sul retro.
‘Orfanotrofio, 1995’.
Questa parola gli diede molto da pensare; orfanotrofio?
Tornò a guardare i bambini, e inevitabilmente riconobbe fra di loro la ragazzina. Ma quella era un’associazione che non avrebbe mai voluto fare. Si drizzò a sedere, guardando ora la bambina, ora la foto che stava prima nel diario.
La bambina era tutta seria e composta, indossava il suo grembiule e guardava fisso l’obiettivo della macchina fotografica. La Francesca sedicenne aveva una smorfia e si faceva tirare dalle compagne.
Il ragazzo non volle assolutamente credere che quelle due bambine, fossero le stesse. Eppure gli occhi azzurri come il cielo, i capelli biondi, erano gli stessi. La terribile verità lo schiacciò con la forza di un macigno.
D’un colpo capì perché non voleva fargli conoscere la sua famiglia. Perché i suoi non avessero saputo niente del bambino. Perché l’altro giorno, quando sulla porta di casa le aveva domandato se volesse bene a sua madre, si era leggermente incupita.
Non è che non volesse dire del bambino ai suoi genitori.
È che non c’era nessuno a cui dirlo.
Anche lui si sentì come un mostro che pentito desidera rigurgitare tutto ciò che si è mangiato.
Posò con cura le due foto sul fondo dello zaino, e lo chiuse, ancora scosso e perso nei pensieri; tutte quelle malignità che aveva pensato sul suo conto gli ritornarono su come vomito, e pentendosi di quello che le aveva detto era deciso a rimediare.
Non poteva credere che le avesse detto tutte quelle cose, e che quando avrebbe potuto benissimo rinfacciargli tutto mostrandogli quella orribile verità, di quanto la vita fosse stata ingiusta con lei, fosse stata invece zitta.
Si sentì umiliato dalle sue stesse azioni.
Ma era deciso a rimediare. O almeno, ci avrebbe provato.
 
Il campanello suonò, e dietro la porta si rivelò la ragazza bionda, che senza guardarlo in faccia oltrepassò la soglia e andò a posare il giubbino bianco sul divano.
Lui la guardò attento mentre andava di là, forse in cerca delle sue cose.
Chiuse la porta, preparandosi a dar battaglia. Perché sapeva che qualunque cosa avesse intenzione di dire, non sarebbe stato affatto semplice.
Si grattò la testa, incerto su cosa dire, e come primo passo la raggiunse in camera da letto.
Francesca, come aveva immaginato, stava rovistando nel suo zaino alla ricerca di cose sue e non gli prestò granché attenzione. Davide si sdraiò sul letto a pancia in su, arrivando fino a lei.
La ragazza, stupita da questo, girò la testa verso di lui interrogativa, ma poi subito la riportò al suo zaino.
Lui non aveva idea di come iniziare. Si sentiva nervoso, molto nervoso, come quando i primi tempi doveva parlare con Silvia e invece i suoi occhi cadevano inevitabilmente più in basso.
Imbarazzato e con la paura di essere umiliato, ecco come si sentiva.
-Dove sei stata?- domandò piano, guardandola da sotto in su.
Che sciocca domanda, si ammonì mentalmente, ma ormai era fatta.
La bionda non lo guardò neanche per un attimo, ma estrasse il suo diario dallo zaino, e prese a guardarlo.
-In giro- rispose fredda.
Bum. Aveva sbattuto per la prima volta in quella serata contro il suo muro.
Riprovò ancora a farla parlare un po’.
-Cosa ti va di mangiare stasera?-
La ragazza scrollò le spalle.
-Quello che vuoi-
Riprese a sfogliare il diario, noncurante del ragazzo sdraiato accanto a lei.
D’un tratto un foglietto scivolò via dalle pagine quadrettate, posandosi fra le pieghe del lenzuolo.
Davide lo afferrò immediatamente, portandoselo davanti agli occhi. Vi era disegnato uno stemma ovale a strisce bianche e nere.
Alzò un sopracciglio.
-Non mi dire che tifi Juve- commentò stavolta con tono sarcastico.
-Si perché, hai qualche problema?- ribatté dura lei, per poi riprendersi dalle sue mani, stizzita, il foglietto e infilarlo daccapo nel diario.
-Certo che ce l’ho, ma dai, non ti facevo juventina a te-
Ma non ottenne risposta, andando un’altra volta a sbattere contro il muro.
C’era bisogno di un’azione diretta, con lei; di una testata più forte, visto che le precedenti, più leggere e contenute, non avevano scalfito di un millimetro la sua resistenza.
Allungò un braccio verso di lei, in un gesto apparentemente casuale, e strinse fra le dita la foto di classe, sfilandola via.
Francesca scattò su e alzò la voce.
-Che fai? Dammela!-
E immediatamente si sporse verso di lui con l’intenzione di afferrare la fotografia.
Lui la tenne lontana, impedendole di prenderla, e domandò tranquillo
-Questa è la ragazza che è venuta l’altro giorno?-
Col pollice indicò il volto di Elena.
-Non sono fatti tuoi, e ridammela, non mi fare incavolare!-
Provò varie volte a riprendersela con la forza, ma visto che non sembrava avere chance di vittoria, si mise in ginocchio, imbronciata seria, con gli occhi ridotti a fessure e la mano tesa.
-Dammela immediatamente- sibilò.
Il ragazzo se la portò davanti agli occhi, noncurante della sua rabbia, e la osservò di nuovo.
-E questa con un sorriso storto sei te- commentò calmo.
-Ti ho detto di ridarmela- disse fra i denti lei, con le labbra contratte dalla rabbia.
Senza scomporsi, lui gliela restituì e si appoggiò al cuscino con le mano dietro la nuca, guardando il soffitto.
-Tanto l’avevo già vista- disse.
-Cosa?- chiese lei, temendo di non aver capito bene.
-L’avevo già vista quella foto- ripeté con lo stesso tono di prima.
-Hai frugato anche tu nelle mie cose?-
La bionda alzò la voce e siccome non ottenne alcuna risposta, lo interpretò come un sì.
Gli tirò un pugno sul ventre.
-Brutto idiota! Chi ti ha dato il permesso di impicciarti?-
Stava per tirargliene un altro, ma d’un tratto la mano ferma e decisa del ragazzo le bloccò il polso.
Stretta nella sua morsa non poteva muoversi, e cercò di divincolarsi senza successo.
Davide si drizzò a sedere, guardandola bene dritta negli occhi, e prese lo zaino.
Ora o mai più.
Cercò la fotografia ignorando le domande e le proteste di lei, e gliela sbatté in faccia.
Di colpo la lasciò andare.
Francesca sbuffò e si portò le ciocche bionde dietro le orecchie prima di guardare la foto. Quando poi la riconobbe, divenne silenziosa e impallidì. Spostava veloce lo sguardo ora da lui ora alla foto, come terrorizzata.
Non era nei suoi piani. Non era quello che voleva. Aveva faticato tanto per custodire quel segreto, e ora le era sbattuto in faccia.
Visto che non diceva nulla, Davide si avvicinò di più a lei.
-Perché non me l’hai detto?-
La bionda deglutì, incapace di fissarlo negli occhi, e invece si concentrò sulla foto. La bimba bionda di ben tredici anni fa la guardava triste.
-Da quanto tempo lo sai?- chiese, cambiando totalmente tono di voce. Se prima era arrabbiata e furiosa, ora tutta la sua grinta era svanita per lasciare il posto alla paura, all’imbarazzo e alla vergogna.
-Da oggi. Perché non me l’hai detto?- ripeté imperterrito lui, ma con calma.
La ragazza afferrò la fotografia e saltò in piedi; respirando forte fece qualche passo verso la porta e poi stracciò in quattro pezzi la foto.
-No! Ma che fai?-
Anche Davide saltò in piedi, preso in contropiede dal suo gesto, e la raggiunse nel salotto. Le prese una mano e la costrinse a voltarsi.
-Lasciami!-
-E tu parlami! Parlami, dimmi qualcosa!-
Francesca si sedette, cadendo a peso morto sul divano e rannicchiò le gambe contro il petto. Rifletteva rapida.
Aveva scoperto il suo segreto, lui era la prima persona che ne veniva a conoscenza, e ora le cose si complicavano. Non aveva mai detto a nessuno la sua storia vera, aveva sempre tenuto in piedi quella messinscena, all’insaputa di Damiano e di tutti gli altri. Nemmeno Paola sapeva che la sua migliore amica non aveva mai potuto chiamare ‘mamma’ qualcuno.
E ora il suo brillante castello era crollato, crollato miseramente come fosse di carta, spazzato dal soffio del vento. Ora lui conosceva il suo segreto.
E questo la metteva in agitazione, a disagio.
Non aveva mai rivelato a nessuno la verità, perché non voleva che la trattassero con compassione. Desiderava essere messa al pari degli altri, e non considerata come una poveretta bisognosa di aiuto.
Magari era proprio da qui che nasceva il suo carattere scontroso e difficile, dal desiderio di non essere da meno degli altri, e di fare tutto da sola.
Non aveva mai potuto contare su di nessuno, e le scocciava domandare aiuto alle persone. Non era altro che una ragazzina testarda, che teneva la sua vita sulle proprie spalle, e a cui ora si aggiungeva quella del piccolo essere che dormicchiava placido nella sua pancia.
-Cosa devo dirti?-chiese retorica, guardando altrove.
Stufo di vedere il suo sguardo fuggire, il ragazzo si sedette accanto a lei, bloccandole una spalla con un braccio.
-Tua madre è morta. E anche tuo padre- disse.
Ci stava provando, in tutti i modi doveva riuscire a distruggere quel suo muro.
-Lasciami in pace- mormorò poco convinta dalle sue parole.
-Non ce l‘hai una mamma, e nemmeno il papà-
-Smettila, stai zitto!- si sbatté forte le mani sulle orecchie, ben decisa a non ascoltare nient’altro.
Si era nascosta lei stessa a quella verità per tanto tempo. Quasi quasi si stava convincendo anche lei di averceli ancora, entrambi i genitori. E ora, con quelle sue parole pronunciate con voce calma, ma dure per il significato, stava crollando tutto. Tutto il suo mondo, tutto il suo segreto, la sua sicurezza.
Si stava sgretolando piano piano su se stessa, schiacciata dalla bugia che si era inventata per sopravvivere.
Scosse pianissimo la testa, cercando di sfuggire dal ragazzo.
Lui fece forza con la mano e la tenne ferma per non farla andare via; di forza le tolse le mani dalle orecchie.
-Perché dici bugie?-
Quella domanda la fece tremare; era una sensazione nuova per lei, era raro che si trovasse così scoperta, così indifesa, senza riserve. Era solo lei adesso, non lei e quel suo dannato muro di superiorità e menefreghismo.
Davide, capendo che forse l’aveva messa a disagio, lasciò la presa ma non si allontanò. Invece poggiò un gomito sulla schiena del divano, avvicinandosi di più alla ragazza.
-Sei scappata dall’orfanotrofio?- domandò.
La bionda scosse la testa, lo sguardo rivolto al basso.
-Allora da dove?-
-Devo essere per forza scappata?-
La sua voce era traballante, ma non si stava incrinando come quella di chi sta per piangere. Non voleva piangere, era solo scossa.
Lui stette in una fiduciosa attesa, certo di aver sbloccato qualcosa in lei, di aver toccato qualcosa dentro che la ragazzina bionda non poteva più ignorare.
-Mi hanno adottato. Anzi, mi ha- decretò.
-Perché sei scappata se ce l’avevi una casa?-
-Perché……- lei stava per rispondere sì, ma quelle parole le rimbombarono nella testa come un eco.
Una casa… lei non aveva mai avuto una casa. Almeno, si era convinta di questo.
 
Un signore alto, di bell’aspetto, stava discutendo con una signora in un ufficio. Una bambina bionda, dai capelli sciolti e lunghi, e gli occhi azzurri, stava non vista dietro la porta, osservando i due adulti.
Ricordava il volto di quell’uomo. Era lo stesso signore che l’aveva fatta giocare nei giorni precedenti, e che l’aveva portata a fare un giro fuori. E ora, come capì molti anni dopo, era venuto per portarsela via, a casa sua.
D’altronde ci era cascata, che poteva saperne? Aveva solo tre anni.
La porta si aprì, e il signore alto ne uscì con un sorriso sfavillante sulle labbra; l’aveva alzata e presa in braccio, facendola ridere. D’altronde, che poteva saperne lui?
Era solo un uomo di ventisette anni che voleva tanto bene a quella piccola bimba.
 
-Ma poi, a te cosa importa?- domandò più convinta, più forte, temprata da quel flashback.
Davide la guardò intenso, triste, e per la prima volta in quella serata difficile i loro occhi si incontrarono, gli uni tristi e pensosi, gli altri deboli ma che volevano mostrarsi forti.
-Sto provando a capirti, testa bionda- disse con tono triste, senza abbandonare il suo sguardo.
Francesca lo ricambiò, ma non disse nulla.
-è difficile se non mi aiuti- concluse.
La guardò da sotto in su. La bionda incrociò inevitabilmente le iridi verde scuro di lui, cariche di fiducia e non di scherno, di comprensione e non di rimprovero.
Per la prima volta si rese conto che lui non era qualcuno che voleva qualcosa da lei, che voleva usarla oppure distruggerla. Desiderava solo aiutarla, per quanto gli era possibile, e cosa più importante e nuova per lei, senza che la forzasse troppo o la costringesse.
Cedette sotto il peso del suo sguardo. La sua mente, senza averlo premeditato, elaborò la risposta al perché avesse ceduto.
Le dava sicurezza.
Sospirò, e scosse un poco la testa.
-No, non… tanto che ti importa?- balbettò, ormai persa la sicurezza abituale.
Lui, paziente, allargò il palmo di una mano.
-Allora fai finta che non sono io. Fa finta che sono quel dottore che ti piace tanto- sorrise.
In altri tempi, forse in altra situazione, Francesca si sarebbe inalberata a quel sorriso;stavolta riuscì a contagiarla, e anche i suoi lati della bocca si alzarono.
Sciolse le gambe dalla presa rigida e scivolò a terra, senza tremare o essere arrabbiata.
Il suo prezioso zaino giaceva a terra, lo raccolse e da dentro estrasse una fotografia, un’altra ancora e tornò a sedersi accanto a lui.
Davide la prese in mano, senza dire nulla e fare commenti; l’immagine raffigurava un uomo dai capelli castani e occhi molto azzurri tenere in braccio una bambina di circa sette anni, dai capelli biondi, come se fosse un trofeo da mostrare. Un qualcosa di cui andare orgogliosi.
-Questo è tuo padre- disse.
-No. Lui è solo Damiano- spiegò lei, riprendendosi la foto –e in teoria dovrebbe esserlo-
L’altro non ribatté nulla, preoccupato della reazione che poteva avere, e di essersi spinto troppo oltre, tanto da non poter più tornare indietro ormai.
-Io non ce l’ho un papà- decretò alla fine, alzando la testa, orgogliosa della sua affermazione.
-Allora sei scappata da casa sua?-
-Non sono scappata, me ne sono solo andata- precisò la bionda.
-E lui lo sa del bambino?-
-Sì che lo sa, sono andata a diglielo-
Il ragazzo avrebbe voluto rispondere immediatamente qualcosa, ma temeva che questo l’avrebbe fatta nuovamente perdere le staffe, e non lo voleva di certo.
Cercò in mente un modo di formulare il pensiero che suonasse più delicato, meno brusco.
-Non pensi che sia preoccupato per te?-
Francesca incrociò le gambe e si appoggiò il mento sulla mano, pensosa.
Alzò le spalle, insaccando la testa e guardandolo.
-Boh. Che mi importa? Non sono fatti suoi-
Certo che quella ragazzina era proprio strana, pensò lui. Voleva tutto e allo stesso tempo niente. Davide era sicuro che anche quell’uomo che sorrideva nella foto, come lui in queste settimane, avesse dovuto inevitabilmente scontrarsi col suo carattere impossibile e da come ne parlava lei, non era riuscito a capirla.
-Ma tu dici sempre così? Cioè, non conosci altre parole? Non sono fatti tuoi, non ti impicciare…- sbottò un po’ scocciato.
-Beh io non mi spreco a parlarne con te- fece per alzarsi.
Il ragazzo la guardò sicuro mentre si allontanava e le disse
-Però prima ti sei sprecata a parlare-
Francesca si voltò e avanzò lentamente, stringendo gli occhi (e non era un buon segno) verso di lui, fino ad arrivare allo schienale del divano.
Sorridendo mormorò piano, strafottente
-Cosa ca**o te ne fo**e? Ti piace di più così?-
Non voleva essere provocante, ma inevitabilmente lo risultò, con quel tono basso e il sopracciglio alzato.
-Ma quanto sei stro**a- le sibilò in faccia, arrabbiato, scuotendo la testa.
-Io? Lo str***o qui sei tu!- ribatté infervorata, le mani sui fianchi.
Lui si alzò con un rapido scatto, per fronteggiarla meglio.
-Ma la smetti? La smetti di comportarti così? Guarda che io cerco di aiutarti!-
A quella affermazione la ragazza bionda non rispose se non con un’occhiata storta; in realtà non era stupida, affatto, e sapeva che era lui ad avere ragione. Ma era troppo orgogliosa per domandargli scusa.
 
Più tardi, in seguito a quella turbolenta conversazione, entrambi stavano ai capi opposti del tavolo a rimuginare sulle novità emerse. D’un tratto lei alzò lo sguardo e domandò
-Mi fai mettere su msn?-
-Come?- fece lui, più che sorpreso per la richiesta.
-Su msn. Mi. Fai. Mettere?- scandì bene come se dovesse spiegarlo a qualcuno duro d’orecchi.
-No-
-Dai-
-No-
-Perfavore-
-Chiedi scusa per prima-
Francesca sbuffò, abbandonandosi contro lo schienale e incrociando le braccia al petto.
Non disse null’altro, ben decisa a non dargliela vinta.
Finito di mangiare i due ragazzi si separarono. In seguito alla discussione di prima, Davide aveva fatto notevoli passi avanti per quanto riguardava conoscere la ragazzina. In quasi un mese di convivenza, questa era stata la massima apertura che avevano raggiunto. Il che era tutto dire, perché non era stata certo la ragazza ad iniziare la conversazione, ma il tutto era nato dalla sua indiscreta curiosità.
Comunque in un modo o nell’altro, almeno si parlavano di nuovo.
Stava seduto sul letto a leggere un libro, con la schiena appoggiata alla testata, quando sentì il materasso inclinarsi sulla destra.
Un fruscio di lenzuola e il piccolo respiro lo informarono, senza che dovesse alzare gli occhi dalla pagina, che la ragazzina si era seduta sul letto.
Francesca lasciò che la frangia bionda le calasse davanti agli occhi, nascondendola alla vista di lui.
Appoggiò il mento sul ginocchio, incurvando la schiena, e lo fissò per una buona manciata di tempo.
Era indecisa se cedere alla sua volontà o continuare a mantenere l’atteggiamento distaccato.
Dopotutto, ragionò fra sé, non poteva ignorare questa sua intromissione nella vita; non ora che lui era l’unico ad avere scoperto il suo segreto. Ma come aveva fatto ad essere così sciocca?
Aveva lasciata incustodita sia quella foto, sia lo zaino. Che poi continuava a chiedersi perché l’avesse conservata, quella dell’orfanotrofio e quella di Damiano. Avrebbe dovuto distruggerle entrambe, però l’aveva sempre rimandato quel momento, chissà perché.
Indecisa prese a mordersi il labbro, che recava i segni dei suoi incisivi, per quante volte ripeteva quel gesto come fosse un tranquillante alla sua ansia.
Lo guardava di tanto in tanto, da sotto il suo ciuffo, come fa un predatore che adocchia la sua cena e non attende altro che un movimento sbagliato.
-Scusa-
D’improvviso quel bisillabo le salì alle labbra e non poté reprimerlo. Come se avesse pronunciato chissà quale bestemmia, non lo guardò, imbarazzata, e tenne ostinatamente gli occhi fissi su una piega del lenzuolo che in quel momento sembrava più interessante di ogni altra cosa.
Davide alzò gli occhi, soddisfatto del risultato ottenuto; scelse un segnalibro e segnò la pagina alla quale era arrivato, poi chiuse il libro e lo porse alla ragazza.
Lei alzò gli occhi celesti e incontrò perplessa il suo sorriso.
-Tieni un attimo-
Dopo che lo ebbe afferrato, lui si alzò e uscì dalla camera.
Francesca non poté evitare di leggere il titolo, e ne fu sbalordita.
Era lo stesso libro sulla gravidanza che aveva portato la madre del ragazzo molti giorni prima; siccome non era certo scema, si domandò se lui lo stesse leggendo sul serio, prima. Era una cosa di cui dubitava grandemente, ma non disse nulla.
Il libro era aperto all’indice degli argomenti, e la ragazza non poté evitare di buttarci l’occhio. Lesse il primo titolo, il secondo e poi arrivò al terzo. Lì si fermò e immediatamente afferrò i lembi della pagine portandoli vicino agli occhi.
Sentì i passi del ragazzo tornare verso la camera e lo chiuse di scatto, riposandolo sul letto e facendo finta di nulla.
Davide tornò con il portatile sottobraccio, si sedette e lo accese.
-Vieni qua-
Lei si avvicinò, osservandolo mentre digitava sui tasti veloce e cliccava col mouse.
-Tieni, fai tu- glielo porse e spense la luce. Francesca se lo mise sulle gambe, mentre lui si infilava sotto le coperte e chiudeva gli occhi.
La ragazza stette per mezz’ora su Internet, finché non fu certa dal suo respiro che si fosse addormentato; dopodiché afferrò il libro e lo sfogliò febbrilmente fino al capitolo che le interessava, e trionfante lo lesse per un po’ alla luce del monitor.
Ad ogni riga il suo sorriso si ingrandiva, certa di aver finalmente trovato una svolta in quella che considerava una situazione senza speranza.
Anche se aveva sonno, ebbe il tempo di digitare le ultime parole su msn.
“Forse ci siamo, finalmente ho trovato quello che cercavo”.





Grazie a chi continua a leggere e recensire la mia storia.

olimpia93: grazie per la recensione, son felice che ti incuriosisca.

Devilgirl89: grazie dei complimenti. Beh direi che una situazione del genere deve per forza trovare uno sbocco, in qualsiasi modo. Poi che questo sia positivo o negativo è n'altra cosa. E hai ragione, forse Damiano è il personaggio più 'buono' che abbia mai creato.

wanda nessie: oh...caspita. La storia ed io ti ringraziamo molto. Povera Francesca, pensi davvero sia tanto cattiva?

00glo00: idem come sopra, Povera Francesca. Non è tanto semplice essere nei suoi panni, direi. Non so se quei due andranno d'amore e d'accordo...o meglio, lo so ma penso che tu preferisca continuare a leggere per vedere che succede, no?

Aletta92: grazie per la recensione e per i complimenti.

MissQueen: O...Dio. Sai che farò? Credo che stamperò la tua recensione, me l'appenderò sopra al letto, in camera mia, e ogni volta che la mia autostima avrà bisogno di essere risollevata (e questo accade spesso) la leggerò.
Tu esageri, esageri, eccome se esageri. Mi sopravvaluti. Efp è tanto grande e son sicuro che ci sono un sacco di storie molto più belle della mia. D'altra parte un commento del genere non può che farmi piacere. Ergo, grazie.
E n'altra volta, povera Francesca. Come vedi, per farla aprire, Davide ha dovuto prima sfondare il suo muro di strafottenza.




  
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