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Autore: Adeia Di Elferas    20/03/2016    1 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Così come Lucrezia Landriani aveva accolto la figlia in visita a Milano tuffandosi tra le sue braccia, così ora Caterina si era lanciata verso la madre arrivata in visita a Forlì senza nemmeno darle il tempo di dire alcunché.
 “Sono così felice di vedervi entrambe...!” disse Caterina, continuando a tenere stretta la madre, come se temesse di vederla scappare da un momento all'altro e allungando una mano verso la sorella, che gliela strinse con un sorriso.
 “Sarete stanche... Com'è stato il viaggio?” domandò la ragazza, decidendosi, finalmente, a liberare Lucrezia dalla sua stretta.
 “Lungo, ma abbastanza agevole.” disse Bianca, facendo incerta un passo verso la sorellastra.
 Caterina intuì il motivo della sua titubanza, perciò decise di fare la parte della sorella maggiore e prese l'iniziativa, stritolando anche lei in un abbraccio caloroso.
 “Siamo felici anche noi di poterti rivedere.” sorrise Lucrezia: “La tua città è molto bella e abbiamo avuto modo di passare per Imola, stamattina, e anche quella ci è piaciuta molto, vero Bianca?”
 La ragazzina annuì con entusiasmo e, mentre Lucrezia congedava gli uomini di scorta, disse con Caterina: “Non vedo l'ora di conoscere tutto di questa città...!”
 Lucrezia, dopo aver dato un'ultima mancia agli uomini pagati da suo marito, affinché portassero nel palazzo i bagagli legati ai muli, tornò a concentrarsi su Caterina e le disse, trepidante: “Posso incontrare i miei nipoti?”
 Caterina la prese per un braccio e, impaziente quando la madre, condusse lei e Bianca dentro al palazzo dei Riario, cominciando a elencare tutto quello che avrebbero fatto insieme nei giorni a venire.
 
 La balia aveva messo in fila i bambini più grandi e aveva dato a una delle sue colleghe il piccolo Sforzino affinché lo tenesse in braccio e ben visibile.
 Quando Caterina arrivò nella stanza dei giochi assieme alla madre e alla sorella, l'aria di attesa era palpabile.
 Lucrezia guardò quei sei bambini schierati davanti ai suoi occhi e per un momento non riuscì a trattenere la commozione. Mentre gli occhi le si velavano di lacrime per la gioia di poter finalmente vedere i figli di sua figlia, Caterina cominciò a passarli in rassegna.
 “Questo è il mio più piccolo – disse, partendo da Sforzino – ha poco più di otto mesi ed è bello in forze.”
 Lucrezia strinse piano la piccola manina del bambino che la fissò dapprima un po' corrucciato e poi aprendo la piccola bocca sdentata.
 “Lui è Galeazzo Maria...” proseguì Caterina, indicando un piccolino di poco più di due anni.
 Lucrezia si abbassò un po' per guardarlo negli occhi e riconobbe per un momento proprio la stessa espressione che aveva avuto Galeazzo Maria Sforza nei suoi momenti migliori. Si trovò molto d'accordo con la scelta del nome.
 “Livio...” annunciò Caterina, indicandolo.
 Il bambino di circa tre anni e mezzo allargò le braccine grasse e strinse come poteva Lucrezia, che ricambiò la manifestazione di affetto con grande riconoscenza. Le piaceva quel bambino così espansivo e cordiale.
 “Bianca – fece Caterina, avvicinandosi alla sua unica figlia femmina – che si chiama proprio come la mia cara sorella...”
 Lucrezia si soffermò più a lungo su questa unica bambina che non sui cinque maschi. Le ricordava molto Caterina da piccola, anche se a un primo sguardo pareva un pochino più pacata. Tanto pacata da fare una mezza riverenza quando venne fatto il suo nome. Ma non abbastanza pacata da evitare di chiedere alla appena conosciuta zia Bianca: “Davvero vi chiamate come me?”
 Tutti risero e Bianca Landriani ammise: “Esatto, cara nipotina mia. Abbiamo lo stesso nome.”
 “Cesare, il mio secondogenito.” continuò Caterina, mentre un bellissimo bambino di sette anni si arrabattava a fare il baciamano alla nonna.
 “E infine Ottaviano, il mio primogenito.” concluse Caterina, mentre una impercettibile ruga di preoccupazione si faceva spazio tra le sue sopracciglia.
 Il figlio parve quasi accorgersene e salutò sia la nonna sia la zia con un certo impaccio, come se si vergognasse di qualcosa.
 “Tra un mesetto compirà nove anni.” aggiunse Caterina, tanto per dire qualcosa.
 “Già nove anni...” sussurrò pensierosa Lucrezia, guardandolo intensamente.
 Di tutti i nipoti, lui era quello che meno assomigliava a Caterina. Era anch'egli di una bellezza rara e i suoi modi, per quanto più schivi, erano aggraziati e sufficientemente educati per un bambino della sua età.
 Aveva i capelli ricci, di un castano che virava appena verso il rosso, e il volto era lungo e asciutto, dalla linea decisa, malgrado la tenera età. Le labbra sembravano disegnate e gli occhi erano acuti e profondi, per quanto di una tonalità molto diversa da quella che invece aveva benedetto le iridi di tutti i suoi fratelli.
 “Avremo tempo di conoscerci bene.” promise a tutti Lucrezia e, dopodiché, pregò Caterina affinché mostrasse a lei e a Bianca le loro stanze, così da potersi cambiare e rinfrescare.
 “Voglio presentarmi al meglio a tuo marito.” spiegò Lucrezia.
 “Va bene, anche se vi ha già viste quando siete arrivate. Era alla finestra.” disse Caterina, mentre uscivano dalla stanza dei giochi, lasciandosi alle spalle le voci eccitate e confuse dei piccoli.
 Lucrezia aggrottò la fronte, cercando di ricordare, poi commentò: “Strano allora che non ci abbia accolte di persona, presentandosi per primo...”
 “Avrai modo di conoscere altri aspetti di lui, anche più sgradevoli, temo.” si lasciò sfuggire Caterina, serrando poi le labbra come se si fosse pentita di una simile affermazione.
 
 A cena, il primo incontro ufficiale tra Lucrezia e Bianca Landriani con Girolamo Riario, fu abbastanza spento.
 Le due donne si dimostrarono in apparenza abbastanza benevole nei confronti del Conte, anche se Lucrezia, di quando in quando, aveva commesso l'impudenza di lasciar intendere quanto sapesse sulla infelice vita coniugale della figlia.
 In realtà Girolamo si era arrovellato per tutto il tempo trascorso tra l'arrivo delle ospiti e il pasto su quello che sarebbe stato detto e insinuato e tra le molte cose a cui aveva cercato di prepararsi c'era anche quella, per cui se la cavò meglio del previsto.
 A Lucrezia, quell'uomo risultò molto sfuggente e agitato, come se davvero temesse il giudizio di lei, una donna che non aveva mai visto e di cui, di certo, non si era mai interessato, nemmeno per un moto di curiosità.
 Notò anche che quell'uomo assomigliava davvero molto a Ottaviano, il suo primo nipote. Avevano lo stesso profilo e a volte la stessa espressione sospettosa.
 Per tutta la cena non le sfuggì – come non sfuggì nemmeno a Bianca – il gelo che c'era tra marito e moglie. Se l'era aspettato, in realtà, però vedere dal vivo il modo in cui si guardavano e il tono che usavano nel rivolgersi la parola quelle poche volte in cui non potevano evitarlo, le aveva messo addosso una tristezza infinita.
 Soprattutto pensò a come doveva essere per quei sei bambini nascere e crescere in una casa in cui vigeva da sempre quel clima di ostilità e gelo tra i genitori. E chissà quante volte li avevano visti litigare... Forse Caterina avrebbe potuto sforzarsi un po' di più nel tenere in piedi quel matrimonio...
 Mentre la sua mente era attraversata da queste valutazioni, si ricordò di come quell'uomo fosse la vera fonte di tutti i problemi.
 Ricordò quello che aveva provato nell'apprendere da Galeazzo Maria quello che era successo a sua figlia Caterina, e ricordò senza fatica le sofferenze che sua figlia aveva patito dopo quello sciagurato giorno in cui lei e Girolamo Riario erano stati uniti in matrimonio.
 Non avrebbe mai potuto dimenticare il modo in cui sua figlia era cambiata da un giorno all'altro, né avrebbe mai potuto perdonare quell'uomo per il dolore che aveva osato infliggere a una bambina di nove anni appena.
 Ecco, quando ricordò tutte queste cose, improvvisamente si trovò a condividere le emozioni di Caterina e anche lei cominciò a guardare a quell'uomo dal naso dritto e dai boccoli finemente inanellati con disprezzo e ostilità.

 “Ti piace la camera?” chiese Caterina, stando sulla porta.
 Lucrezia le fece segno di avvicinarsi pure e così la figlia fece un paio di passi, senza però accomodarsi da nessuna parte.
 “Sì, mi piace molto, è davvero grande e comoda.” sorrise Lucrezia, mentre finiva di riporre i pochi gioielli che aveva indossato durante la cena.
 “Il viaggio è stato difficile? Avete avuto difficoltà?” chiese in fretta Caterina.
 La madre si accigliò un momento, visto che la figlia le aveva già chiesto cose simili appena si erano riviste. Capì che lo faceva solo per rompere il ghiaccio, perciò l'assecondò, rassicurandola dicendo che erano state fortunate a trovare sempre alloggi confortevoli e ospiti gentili e premurosi.
 “E non ho dovuto pagare un gran pedaggio a Faenza, solo qualche danaro...” aggiunse Lucrezia: “Ho seguito il consiglio che mi avevi dato per lettera. Mi sono presentata come Lucrezia Landriani, moglie di Gian Piero Landriani, madre di Bianca Landriani, e non ho fatto alcuna menzione a te o a tuo zio. Così le guardie mi hanno solo fatto pagare il pedaggio di base, immagino.”
 “Bene.” annuì lentamente Caterina, poi si schiarì la voce e trovò il modo di porre quelle due domande che non vedeva l'ora di fare: “E mia madre Bona, si sa qualcosa in più su di lei? Mia sorella Chiara?”
 Lucrezia fece un profondo sospiro: “Di Bona, purtroppo, non so nulla di più di quello che sapevo quando sei venuta a Milano. Inoltre Gian Piero non va più a corte da molto tempo, quindi...”
 “Come mai?” chiese subito Caterina, accigliandosi.
 “Credo che tuo zio non lo ritenga più indispensabile, tutto qui.” minimizzò Lucrezia, con un'alzatina di spalle.
 “Ma ha minacciato di farvi del male...?” chiese Caterina, a voce bassa, già pensando che sarebbe stato meglio invitare a Forlì anche Gian Piero e suo figlio.
 “Vedi il male ovunque, ormai.” disse Lucrezia: “Solo, Gian Piero era un uomo di tuo padre, non certo di tuo zio. Meglio così, comunque. La vita di corte non gli piaceva più.”
 Caterina finse di accontentarsi di quella spiegazione e ridomandò: “E Chiara? Non ho ancora ricevuto da lei nessuna notizia...”
 “Forse dovresti scriverle tu. Credo che non ti abbia ancora contattata solo perché teme che tu non voglia avere sue lettere.” le spiegò Lucrezia: “Comunque per ora va tutto bene, a quanto dice lei. Le piace il suo nuovo marito e pare che vadano molto d'accordo. Solo...”
 “Solo?” la incalzò Caterina, che odiava quelle reticenze.
 “Ecco, mi sembrano un po' troppo... Grandiosi nelle loro aspettative future, non so come spiegartelo.” concluse Lucrezia, affrettandosi a muovere le braccia come segno della sua volontà di cambiare argomento: “Prima che ci mettiamo a parlare d'altro: volevo farti i complimenti per i tuoi bambini, sono tutti davvero bellissimi!”
 Caterina sorrise, un po' contrariata dalla brusca virata del discorso, ma assecondò la madre, pensando che in fondo avrebbero avuto tempo per parlare di Chiara.
 Quando si fu fatta una certa ora, Caterina sospirò e disse: “Va bene, ora ti lascio riposare. Da domani ti farò vedere la città e ti farò conoscere un po' di gente. Qualcuno ti sembrerà un po' freddo, ma in fondo non ce l'hanno né con te né con me. Odiano solo mio marito.”
 Lucrezia fece una smorfia, pensando che non doveva essere facile per i forlivesi avere un signore come Girolamo Riario.
 “Non piace a nessuno – sottolineò Caterina – e non vedo come potrebbe essere altrimenti.”
 La madre avrebbe voluto dirsi concorde con la figlia, ma si era imposta di non gettare altra legna nel fuoco, quindi si limitò ad assumere un'espressione neutra e a tenersi le proprie impressioni per sé.
 “Un giorno o l'altro lo ammazzeranno come un cane, malgrado l'impegno che ci sto mettendo nel tenerlo al sicuro...” si lasciò sfuggire Caterina, scuotendo il capo.
 Lucrezia salutò la figlia, ma restò molto inquieta nel sentire queste sue parole: “C'è qualche rischio concreto?”
 “Sì, e non te ne ho fatto mistero, nella lettera con cui ti ho invitata qui.” rispose Caterina, appena più rigida.
 Lucrezia abbassò un momento gli occhi, pentita per quella domanda stupida e abbracciò a lungo la figlia, augurandole la buona notte.

 Nei giorni che seguirono, Caterina si permise di vivere come vivevano la stragrande maggioranza delle nobildonne della sua epoca.
 Non si curò molto degli affari dello Stato, delegandoli in parte a Ricci e in parte a Girolamo che, forse per far bella impressione sulla quasi suocera, aveva preso a frequentare con assiduità le stanze del potere.
 Non si dedicò nemmeno più alla spada assieme a Tommaso Feo e si recò alla rocca solo un paio di volte, quando proprio non se ne poteva fare a meno.
 Per il resto delle sue giornate, chiacchierò, passeggiò, lesse, cavalcò, rise, riposò e giocò assieme alla madre, alla sorella e ai suoi figli.
 In questo quadretto familiare così tranquillo e, in fondo, così normale, Girolamo capiva di non poter entrare e questa consapevolezza gli portava una sofferenza profonda e implacabile.
 Passò la Pasqua, e Lucrezia e Bianca presenziarono alle funzioni al fianco di Caterina, godendosi Forlì in tutto lo splendore che sapeva emanare nei giorni di festa.
 Caterina fingeva di non vedere il malcontento che pure era sempre lì sotto al suo naso e si fidava del bargello cittadino, Antonio da Montecchio, per quel che riguardava la repressione di eventuali disordini e congiure.
 Egli era un uomo disprezzabile sotto molti aspetti, vanitoso e arrogante, ma almeno sapeva fare il suo mestiere.
 Ogni sera ormai era consuetudine che la Contessa, assieme alla madre e alla sorella, mettessero a letto i bambini, sfruttando anche quell'ultimo momento della giornata per scambiarsi chiacchiere e confidenze.
 Girolamo, che amava aiutare le balie a mettere a dormire i figli, aveva accettato la novità con un certo fastidio, ma aveva ceduto per amore della pace che si stava ristabilendo in casa sua.
 Dall'arrivo di Lucrezia e Bianca, Caterina era visibilmente più tranquilla e distesa e Girolamo voleva illudersi fino alla fine, sperando che quel buon umore prima o poi l'avrebbe portata a riaccostarsi anche a lui con animo più conciliante.
 Così, quando iniziava la cerimonia della messa a letto dei piccoli, Girolamo si andava a ritirare nella stanza delle Ninfe e attendeva che la casa si fosse acquietata prima di ritirarsi nelle proprie stanze.

 Domenica 13 aprile, all'alba, una settimana esatta dopo la Pasqua, due loschi figuri si aggiravano vicino all'ingresso del palazzo dei Conti Riario.
 Si aspettavano da un momento all'altro il cambio delle guardie e sapevano per certo che ci sarebbe stato un momento favorevole in cui avrebbero potuto scivolare dentro al palazzo.
 Una volta oltre l'ingresso, sarebbero sgattaiolati fino alle stanze del Conte e lo avrebbero strappato alla vita mentre ancora dormiva.
 Avevano optato per quella strategia al fine di non dover sperare nella collaborazione di Gasparino che, a dirla tutta, non ispirava fiducia a nessuno, se non a suo zio Giacomo Ronchi.
 Quando giunse il fatidico momento, i due si misero in posizione, pronti allo scatto.
 Le guardie che smontavano il turno stavano salutando quelle che stavano per cominciare.
 I muscoli dei congiurati si tesero e i loro respiri si fecero più corti, mentre le armi nelle loro mani, nascoste nel mantello, sembravano pesare un po' di più.
 Proprio quando stavano per muoversi, però, una voce a loro nota li gelò là dove stavano. Il bargello cittadino era appena uscito da palazzo e si era messo a disquisire con le guardie appena subentrate.
 Per quanto quell'uomo fosse un fanfarone quando si trattava di gioco d'azzardo e donne, era anche un abile soldato e i due congiurati non se la sentirono di rischiare uno scontro con lui.
 Senza dirsi nulla, riposero i pugnali nelle fodere e, con sguardo innocente, presero a camminare in direzioni opposte, rimandando silenziosamente il colpo al giorno seguente.

   
 
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