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Autore: GeorgiaRose_    20/03/2016    4 recensioni
Martina Stoessel è convinta che per lei la felicità non arriverà mai. Adottata a due mesi, a undici anni è dovuta tornare in orfanotrofio per via di un evento che le ha totalmente cambiato la vita. Non si fida più di nessuno. Non parla più ai ragazzi. Non ha più degli amici. Non ha più una famiglia. È sola. Ma l’incontro, dopo cinque anni, con il suo amico di infanzia Jorge Blanco le cambierà nuovamente la vita. Nonostante l’età, verrà adottata nuovamente, proprio dalla famiglia Blanco. Jorge, da sempre innamorato di lei, le starà vicino e diventerà, in poco tempo, più di un amico. Ciò che non sa, però, è che anche Jorge ha un brutto passato alle spalle. Riusciranno, insieme, ad affrontare e a risolvere i loro problemi?
“E adesso guardami, io non so più chi sono. Scaldami, quando resto da solo. Calmami, se mi sfogo con loro. Salvami.”
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jorge Blanco, Un po' tutti, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’aria è fredda. Nemmeno uno spiraglio di luce in questo buio. Sono sola. Mi giro attorno, cercando qualcuno o qualcosa, non lo so precisamente. Sono confusa. «Argh» Una specie di ringhio alle mie spalle. Mi volto velocemente. Mi si gela il sangue ancor più. Un uomo, nel buio. Dalla sagoma capisco che ha qualcosa tra le mani e riconosco una lama affilata. Corro nel vuoto, cercando una via di fuga, ma l’uomo è sempre più vicino. A causa della vicinanza riconosco il suo volto. Mio padre. O almeno l’uomo che credevo fosse mio padre. Non lo è più, forse non lo è mai stato. Si avvicina ancora. Occhi scavati, labbra aperte, viso pallido. Sembra un mostro, per molti lo è davvero, per me lo è davvero. Sono immobile, a pochi passi da lui. Mi prende per le braccia, attaccate al corpo, mi stringe. Urlo.
 
«Martina! Martina, svegliati!»
Apro gli occhi. Sono sudata. Il respiro affannato. Era solo un incubo. Mi metto seduta, cercando di far tornare il respiro a un ritmo regolare. Alzo di poco lo sguardo. Jorge è seduto accanto a me, sul letto, è stato lui a svegliarmi con tono allarmato. Il suo volto è preoccupato, ha i capelli scombinati, si sarà svegliato da poco. Ci sono anche Cande, Cecilia e Alvaro in stanza. Hanno la stessa espressione.
«Tutto bene?» Mi chiede Cecilia, avvicinandosi.
«Sì, era solo un incubo.» Mi affretto a rispondere, guardando la mano sinistra di Jorge che è sulla mia coscia destra. Non è fastidioso, sembra che voglia proteggermi. È una bella sensazione.
Jorge si volta verso sua madre, e lei annuisce avendo colto non so che cosa nello sguardo del figlio. Cecilia si affretta ad uscire insieme ad Alvaro e Cande, mentre Jorge è ancora vicino a me, nella stessa identica posizione.
«Io… vi ho svegliati?» Chiedo anche se conosco già la risposta.
«Credo che le tue urla abbiano svegliato tutto il vicinato.» Mi risponde lui, iniziando ad accarezzarmi la coscia lentamente, ma senza malizia, lo fa come per tranquillizzarmi.
«Mi dispiace. Non volevo.»
«Non è colpa tua. Però vorrei sapere cosa hai sognato.»
«Non ricordo, Jorge. È stato solo un incubo.»
«Hai urlato come se qualcuno ti stesse uccidendo nel sonno…» non proprio sbagliato. «Non puoi non ricordarlo.»
«È così.» Sono molto taciturna. Mi vergogno. E ho paura. Ma non di Jorge. Di tutto il resto. Di tutti gli altri. Di quell’uomo.
«Vuoi che resti qui fino a quando non ti addormenti?» Mi chiede, premuroso. Deglutisco. Davvero riuscirei a dormire con lui? A stento riesco a mantenere una conversazione di due minuti con un ragazzo. Ma con Jorge è diverso. Lui non è un ragazzo qualunque. È quel bambino che ho conosciuto quando avevo sette anni, molto timido. Che se ne stava per fatti propri, quel bambino con cui giocavo ogni pomeriggio, con cui mi divertivo, che quando ero triste sapeva riportarmi il sorriso anche con solo un abbraccio. È quell’unico ragazzo di cui mi fido, nonostante gli anni passati.
«Si, va bene.» Annuisco lievemente.
Vedo come un lampo nei suoi occhi, seguito da un sorriso accennato. Fa pressione sul ginocchio destro, e poggia il sinistro dall’altra parte del mio corpo. Mi sovrasta con la sua figura e sono esattamente sotto di lui. Sembra una posizione ambigua. Alza il ginocchio destro e si butta sull’altra parte, così che è alla mia destra.
«Non c’era bisogno di fare quest’acrobazia, potevo benissimo spostarmi.» Gli dico, voltando il volto verso di lui. I nostri nasi quasi si sfiorano. Non sono mai stata così vicino ad un ragazzo.
«Sarebbe stato meno divertente.» Mi sorride, facendo spuntare quelle adorabili fossette. È così bello visto così da vicino.
Mi metto sul fianco sinistro e lui fa lo stesso, avvolgendo il suo braccio attorno alla mia vita.
«Ti va bene se sto così? È comodo.» Mi chiede, premuroso, facendomi scappare una risatina.
«Si, va bene.» Annuisco. «Buonanotte per la seconda volta, Jorge.»
«Buonanotte, Martina.»
E oggi, dopo tanto tempo, mi sento protetta, tra le sue braccia.
 
Quando mi sveglio la mattina dopo, Jorge non è accanto a me. Se ne sarà andato quando mi sono addormentata, come avevamo deciso. Posso dire che, a parte l’incubo, stanotte ho dormito bene. Non mi sentivo così tranquilla, si può dire, da cinque anni. Prendo dalla sedia i vestiti che avevo preparato la sera prima: dei jeans scuri stretti molto semplici, una maglia a lunghe maniche stretta bordeaux con il simbolo della Chanel sopra e delle Vans dello stesso colore. Insomma, tutti acquisti che ho fatto ieri con Cande. Mi reco in bagno, e dopo essermi sistemata, scendo di sotto per la colazione.
Dopo aver salutato tutti, mi siedo al mio posto.
«Scusami…» Prendo la tazza da sotto al naso di Jorge, che sorride, di nuovo. Mi volto accigliata verso Cande, e noto che anche lei ha un sorriso sotto i baffi.  Che avranno da ridere forse non lo capirò mai.
«Sei riuscita a dormire poi, Martina?» Mi chiede Cecilia.
«Sì, grazie. E scusate ancora se vi ho svegliati.»
«Nha, non preoccuparti.» Mi dice Cande, sorridendomi rassicurante.
«Ah, Martina, ho una cosa per te!» Alvaro si alza frettolosamente per poi uscire dalla stanza e rientrare dopo pochi minuti con un pacchetto tra le mani. «Sai che lavoro per un’azienda di elettronica, giusto?» Annuisco. «Bene, ho preso questo per te.» Dopo essersi riseduto, mi porge il pacchetto.
Lo scruto per bene. Non sono più abituata a ricevere regali. Il massimo in questi ultimi anni è stato qualcosa da parte di Patty a Natale come una maglia o un paio di scarpe. Apro il pacchetto. È uno di quegli aggeggi che hanno tutti oggi, ma che io non ho mai avuto. Un tempo utilizzavo quello di mia madre per giocare, ma era molto meno bello di questo. È un cellulare. Un i-phone 6 a quanto detto dalla scatola.
«Cosa? Hai avuto un cellulare migliore del mio? Questo è l’ultimo modello!» Urla quasi Cande. «Papà!» Protesta, guardando in cagnesco suo padre.
«Mi dispiace, tesoro, ma è l’unico che hanno voluto darmi e a Martina serve un cellulare così potremo sempre stare a contatto con lei.» Le spiega, e Cande sembra calmarsi, ma comunque ha ancora quel lieve broncio sulle labbra. «Martina, ho già memorizzato i numeri di tutti noi e ti ho istallato le applicazioni più importanti, poi tu deciderai il resto.»
«Oh, io non so che dire… Grazie.»
«Di niente, tesoro» Mi sorride Alvaro prima di riprendere la sua colazione.
Apro la scatola e prendo il mio nuovo telefono. È molto più leggero di come mi aspettassi. È bianco con la parte dietro –che non so bene come si chiami- dorata. È davvero stupendo da un punto di vista estetico.
«Ehm, come si accende?» Chiedo imbarazzata, facendo ridere la mia famiglia.
«Dai qua!» Cande mi prende il telefono dalle mani e mi indica un pulsante. «Tieni premuto per qualche istante questo.» Mi spiega e dopo poco lo schermo si illumina.
«Davvero non hai mai avuto un cellulare?» Interviene Jorge.
«Quello che esce dall’uovo di Pasqua vale?» Chiedo speranzosa e lui scuote la testa con un lieve sorriso. «Allora no, non l’ho mai avuto.» rispondo.
Il resto della colazione lo passo ascoltando le quasi noiose spiegazioni di Cande sull’uso del cellulare. Mi scarica un’applicazione per fare foto, mi crea un profilo Facebook –social network-, uno Instagram –social network di foto- e anche uno Ask –social network di domande-, cose che sono sicura non userò mai, ma non si può mai sapere. Mette come sfondo una fantasia di nuvole colorate e un PIN, che fa decidere a me, per sbloccare il telefono. Mi salva inoltre i numeri di Lodo, Alba e Facu, mentre Jorge mi salva quelli di Diego e Ruggero.
«Che ne dici di una foto per commemorarlo?» Mi chiede la rossa, eccitata.
«Mh, okay.» Annuisco leggermente.
«Bene! Mettiti in posa!» Detto questo, apre la fotocamera interna del cellulare e alza il braccio, poi scatta la foto.
 

 
Dopo un estenuante pomeriggio sui libri e una cena abbondante, è arrivato finalmente il mio momento preferito della giornata. Esco fuori al giardino e mi siedo sulla stessa sdraio di ieri. Decido di prendere il cellulare, dovrei abituarmi ad usarlo. Lo sblocco e apro Whatsapp per vedere se ho nuovi messaggi, ovviamente no. Apro la lista dei contatti. Il primo è quello di Alba che ha come immagine del profilo una foto sua, di Lodo e Cande, hanno dei frullati tra le mani e sono tutte e tre molto sorridenti. Diego ha una sua foto in bianco e nero, ammetto che è davvero molto bello. Facu ha invece una foto sua e di Alba che si tengono per mano, è molto dolce. Jorge ha una foto con Cande e Ruggero. La curiosità mi colpisce e apro il suo profilo per vedere il suo stato che, come Cande mi ha spiegato, puoi cambiare quando vuoi e scrivere ciò che vuoi. Dovrei metterne uno anche io. Leggo attentamente le poche righe che seguono la parola “Stato”: «Potrei perdere la memoria mille volte, ed io per altre mille volte mi rinnamorerei di te.». Okay, il che significa che ciò che ha detto Cande in mensa ieri è vero: Jorge è innamorato. Di chi? Bella domanda. Ammetto che sono curiosa. Lo sono sempre stata. E almeno questo del mio carattere non è cambiato. Chiudo il profilo di Jorge e vado nelle impostazioni per cambiare il mio stato. Dopo qualche minuto mi viene in mente una frase riferita a mia madre: «Mi manca e non posso farci nulla. Può solo mancarmi e basta.» Sì, questo va bene. Blocco il telefono e lo poggio sulla sdraio. Poi mi metto a guardare il cielo. Nonostante sia inverno, qui a Buenos Aires non fa molto freddo, si sta bene anche solo con una felpa, e il cielo è tempestato di stelle. Mentre sono impegnata ad osservare le costellazioni, sento un rumore alla mia destra. Volto il viso. È Jorge. Ma non parla. Guarda il cielo, e decido di seguirlo.
«Quella è la costellazione dell’unicorno!» Indica un punto a caso nel cielo e mi fa ridere per la sua faccia convinta.
«Non esiste la costellazione dell’unicorno.» Gli spiego, tranquilla.
«Uff, come sei noiosa.» Borbotta abbassando il braccio e in un qualche modo mi ha ferita.
«Sì, lo so.» Sussurro appena.
«Ehi, stavo scherzando. Non prendermi sul serio. Dico un sacco di cose senza pensare.»
«Ti capita mai di vedere gli altri vivere e tu seduto su una panchina che osservi?» Gli chiedo, lasciando perdere ciò che ha detto.
«Mh, sì, a volte mi succede. Sai, tutti hanno quei momenti no dove si sentono tristi senza un motivo e nei miei momenti no, mi piace stare da solo. A guardare. Posso guardare gli altri, posso guardare il cielo o per terra, posso guardare un animale o semplicemente posso guardare nel vuoto, ma posso dirti che mi capita spesso.» Dice. «Perché?» Mi chiede voltandosi verso di me.
«La mia vita sembra un lungo momento no allora.»
«Che vuoi dire?» Chiede, accigliato.
«Che non so che farmene della mia vita. A volte mi chiedo perché io sia nata.» Resta zitto, si aspetta che continui, ma dalla sua espressione capisco che sta cercando di capire il perché delle mie parole. «Sì, perché io nella mia vita, se vogliamo chiamarla così, ho soltanto sofferto. E allora mi chiedo, con tutto questo dolore, vale la pena di vivere?»  Continuo a guardare il cielo e solo sulla domanda decido di voltarmi verso di lui.
«”Perché essere triste per un solo motivo quando ce ne sono altri cento per essere felice?” Ricordi questa frase?»
«Sì, la ricordo. Ma non la penso più così.»
«Quando ci siamo conosciuti.» Inizia a raccontare, ignorando la mia affermazione. «Ero nel mio giardino a piangere perché avevo litigato con mia sorella. Tu eri nel tuo giardino, mi hai visto e sei venuta da me. E mi hai chiesto se ero triste. Io ti ho risposto di sì e allora tu mi hai detto quella frase. E allora io oggi ti chiedo: perché essere triste per un solo motivo quando ce ne sono altri cento per essere felice?» Il suo tono è calmo. Mi tranquillizza. È come se la sua voce fosse come un calmante. Potrebbe farmi dei complimenti o insultarmi, non importerebbe.
«Avevo solo sette anni, Jorge. E dicevo quella frase solo perché mia madre me la ripeteva in continuazione. E, comunque, a quei tempi avevo dei motivi per essere felice, ora non ne sono più così tanti.» Si alza di scatto e porta le gambe al lato della sdraio, in modo da voltarsi con tutto il corpo verso di me.
«Oh, sì che ne hai. Puoi essere felice perché mia madre ieri sera ha fatto il tuo piatto preferito. Puoi essere felice perché hai un telefono nuovo. Puoi essere felice perché hai un armadio completamente nuovo. Puoi essere felice perché hai dei nuovi amici. Puoi essere felice perché ti hanno adottata. Puoi essere felice perché hai una nuova famiglia. Puoi essere felice perché hai me, e mi hai sempre avuto.»
Deglutisco. Non so che rispondere. Mi ha letteralmente tolto le parole di bocca. E poi, quella frase. “Hai me, e mi hai sempre avuto” cosa vuol dire?
«Sai,» vedendo il mio stare zitta, Jorge riprende a parlare. «credo di essermi innamorato di te proprio il giorno in cui mi dicesti quella frase. Forse un tempo non capivo che era amore. Ma adesso sì.»
Innamorato” “Innamorato di te” “amore” Il mio cervello sta cercando di collegare il tutto. Sono confusa e non capisco. Non capisco ciò che mi sta dicendo. Non capisco lui. Come siamo arrivati a parlare di questo? Non stavamo parlando degli unicorni?
«C-cosa?» È l’unica cosa che mi esce di bocca.
«Sì, credo di amarti da allora. E dopo tanto tempo ti amo ancora. Ma tu sei occupata a vedere gli altri vivere, giusto?» Mi chiede con un sorriso amaro, guardando in basso e scuotendo di poco la testa. Non ci sto capendo niente. Sbaglio o mi ha appena detto di amarmi? Ma allo stesso tempo mi sta dicendo che dovrei farmi una vita… O lo ha detto per scherzare? Ma poi come fa ad amarmi se mi conosce appena?
«J-Jorge, io…» Balbetto ancora. Non so che dire.
«No, lascia perdere. Scusa. Dimentica ciò che ti ho detto. Buonanotte, Martina.» Cosa? Si alza e si avvia verso casa.
Non credo che la mia testa riesca a stare al passo con quel ragazzo. Era dolce, antipatico, scettico, e presuntuoso allo stesso tempo. Ma se quello che ha detto fosse vero, io che farei? Non credo di amarlo, no. Certo che no. Ma ammetto che qualcosa per lui c’è. È l’unico di cui riesco a fidarmi e da cui mi faccio avvicinare. Ma non potrei mai stare con lui, o con chiunque altro. Ho dei limiti, delle paure che non voglio affrontare. Non potrei essere più confusa.
 
Mi sveglio di soprassalto per la seconda volta durante la notte. La mia camera è buia, il che significa che ancora una volta sono riuscita a non urlare anche se, in realtà, non è una cosa che riesco a controllare. Prendo il telefono, per farmi ritornare il sonno, apro Facebook, ma la home è noiosa: non ho molti amici e adesso stanno tutti dormendo. Quindi apro Whatsapp. Aprendo la chat con Jorge, noto che è online. Strano, sono le tre di notte.
«Non dormi?» Gli scrivo.
La risposta arriva poco dopo. «Potrei farti la stessa domanda.»
«Incubi.» Scrivo semplicemente.
«Credo di non riuscire a dormire per i sensi di colpa. Mi dispiace per stasera.» Non so dire se è sincero o meno.
«Non fa niente, Jorge.»
«Però ciò che ti ho detto è vero.»  Poco dopo mi arriva un altro messaggio. «Dannazione, non avrei voluto che lo sapessi così.» «So che non provi lo stesso, e so che odi i ragazzi per un motivo a me sconosciuto, ma voglio dimostrarti che non avresti timori con me.» Cosa? «Dio, ci conosciamo da tanto, ma da così poco.» Arriva un altro messaggio. «Sono patetico.» «E mi sto rendendo ridicolo.» «Scusa, di nuovo» Dopo l’ultimo messaggio la scritta “Online” si trasforma in un “Ultimo accesso alle 2:58” Blocco il telefono per poi posarlo sul comodino. Esco di fretta dalla stanza e faccio pochi passi verso la porta di Jorge. Sorrido trionfante notando che non è chiusa a chiave. Entro. Jorge è di spalle, ma si volta di scatto sentendo il rumore della porta.
«Che ci fai qui?» Mi chiede, ha gli occhi un po’ lucidi, ma se li asciuga subito. Ha pianto?
«Ecco, io…» E adesso? In realtà non so nemmeno io perché l’ho fatto. Ho agito di istinto e basta. «Non riuscivo a dormire… per, sì, per gli incubi. E, dato che ieri, con te, sono riuscita a dormire, pensavo che…»  Sì, la scusa funziona, ma sono negata nel dire bugie.
Si sposta e alza le coperte.
«Vieni qui.» Mi fa un cenno con la testa e indica con la mano il poco spazio avanti a lui.
Mi stendo e lui avvolge entrambi nella coperta, sono completamente avvolta dal suo corpo.
«Grazie.»
«Di niente.»
E mi addormento con la sua voce che mi sussurra: «Vorrei addormentarmi ogni notte con te accanto.»

 


*Angolo autrice*
Ehi Ehi Ehi! Come vaaa? E il quarto capitolo eccolo qua! (sono negata con le rime). Che ne pensaaate? So che adesso vi starete facendo film mentali su Tini e Jorge. Jorge le ha detto di amarla e quindi "sicuramente tra poco si metteranno insieme" ma no eheheh. Davvero credete che sia tutto così facile? E poi, diciamocelo, davvero credete che Jorge si sia innamorato di lei in due giorni? Quindi no, toglietevi quest'idea dalla testa. Ci manca ancora molto perché si mettano insieme (sempre se si metteranno insieme eheheheh). In questo capitolo scopriamo nuovi tratti dei due fratelli Blanco. Scopriamo, in ordine, quanto Cande sia capricciosa. Cande, in realtà, è un personaggio che mi diverte ma questo già lo sapete lol E poi, grazie alle scene Jortini, abbiamo una grandee caratterizzazione di Jorge, ma, sinceramente, non saprei descriverlo perfettamente. Possiamo dire, però, con certezza che è dolce e permaloso e molte volte agisce senza pensare. Sì, tanto permaloso ahahah. Okay, io ho detto fin troppo, quindi al prossimo capitolo chicas e chicos. Byeee.

 

  
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