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Autore: Francine    22/03/2016    4 recensioni
Ha deciso. Oggi si chiamerà Athanasios. Colui che non muore. Gli è sembrato un nome appropriato, anche se il soggetto che ha scelto non è l’uomo più puro al mondo. Anzi.
Suo fratello avrà qualcosa da ridire, su quella e su molte altre delle sue scelte, ma pazienza. I fratelli maggiori brontolano per contratto. E quel corpo deve piacere a lui, deve calzargli come un
exomis di buona fattura che non costringa i movimenti, ma li esalti.
E deve piacere a lei; quel tanto che basta per farsi ascoltare, si capisce. E decidere che, forse, il gioco vale la candela.
Genere: Commedia, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Hades, Poseidon Julian Solo, Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Quando piovono le stelle'
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2.
 
 

Negli occhi della Terra rifulgeva il trionfo.
Si è avvicinata al suo capezzale con passo mellifluo, agitando un ventaglio di piume rosso papavero. Si è seduta – è crollata a sedere – ignorando lo SBOFF di protesta del materasso e il cigolio preoccupato delle molle, e ha esclamato un odioso «Lo sapevo!», sospirandolo assieme al respiro compiaciuto di chi gode dell’ennesima sconfitta altrui.
«La mia bambina sta piangendoE a chi dobbiamo questa cortesia?», negli occhi la stessa luce che anima le aquile prima che piombino sui teneri agnellini al pascolo. «Spero sarai soddisfatto...»
L’ha ignorata. Come se lei non fosse lì, come se la sua pelle non puzzasse di grano e papaveri, come se le sue terga grasse e flaccide non stessero incurvando un lato del letto. L’ha ignorata, nella speranza che se ne andasse, che la smettesse di rigirare il coltello nella piaga, che lo lasciasse solo.
Invece, no.
«Eppure, era un compito facile, no? Tu sei un dio. Un maschio. La tua arma è la spada. Eppure, ti sei fatto battere, ti sei fatto ferire da una ragazzina che puzza ancora di latte! Sai come li chiamo, io, quelli come te?»
Silenzio.
«Mezze. Cartucce! »
Pausa.
«Ah! Io gliel’ho detto tante di quelle volte alla mia bambina di lasciarti perdere. Ci sono carrettate di partiti migliori di te. Il Citaredo, ad esempio. Bello, gagliardo, con quei suoi folti riccioli neri. Sarebbe anche una buona accoppiata, la figlia della Terra ed il Sole. Guarda, mi andrebbe bene anche quello scapestrato del Pensiero. O quel pidocchio ravvivato dello Straniero. Peccato che quella ragazzina sia così testarda. Non so proprio da chi abbia preso…»
Silenzio.
«Ma stavolta!», e la divina Terra si è alzata dal letto con uno scatto quasi prodigioso – per una donna della sua stazza, s’intende – e ha chiuso il suo ventaglio con un secco clac. «Stavolta riuscirò a far vedere alla mia bambina che razza di nullità ha sposato! Stavolta, non potrà proprio darmi torto, cara la mia Mezza Calzetta…»
Si è puntellato su un gomito, i begli occhi azzurri che dardeggiavano furore ed impeto.
«Non oserai…», ha sibilato. «Tu non oserai…»
«Cosa, mio amatissimo genero?»

Ma non ha potuto risponderle per le rime, ché le porte delle sue stanze si sono spalancate e sua moglie gli è corsa incontro, le braccia tornite a stringergli il collo, le lacrime ad allagarle gli occhi belli. Non gli ha chiesto chi fosse stato a ridurlo così, a ferire il suo corpo che mai aveva conosciuto cicatrice alcuna – se si escludono i colpi della clava di quel tracotante di Eracle.
Chi altri poteva essere se non la Fanciulla, la sua eterna avversaria?
«Maledetta», ha mormorato, accarezzandogli i capelli scarmigliati. «Come ha osato?!», ha tuonato poi, gli occhi pervasi da una furia omicida.
Lui ha taciuto. Non ha potuto dirle: «La prossima volta sconterà tutto. Anche quest’ulteriore affronto», perché entrambi sapevano che non ci sarebbe stata una prossima volta. Che la questione sarebbe finita lì. Per sempre. Perché il patto con la Fanciulla era quello di proseguire nella loro scaramuccia sino a quando il suo corpo – il corpo dello Sconosciuto – non avesse riportato delle ferite. Perché non puoi uccidere la morte. Non puoi metterla a tacere. Sarebbe come uccidere anche la vita, assieme a lei. Ma puoi darti un limite, un non plus ultra – sempre a voler citare quell’arrogante di Eracle – per far sì che il gioco resti tale. E duri poco. Da un punto di vista divino, s’intende.

Lei ha stretto le labbra ed il suo viso paffuto è diventato rosso. Di ira e frustrazione e qualcos’altro su cui lui non ha voluto indagare.
«Madre!», ha urlato. Come una bambina isterica cui sia sfuggito il cerchio dalle manine grassocce. «C’è nulla che possiamo fare?!», ha chiesto. Fissandolo dritto negli occhi. Sottintendendo un noi che lo tagliava fuori dalla questione. Un noi al femminile. La potente chiamata a raccolta della Sorellanza. La coalizione che ogni maschio teme di affrontare, umano o divino che sia.
Ed è stato allora che lo sguardo della Terra s’è fatto sfavillante, come la distesa di rossi papaveri sui prati di Vibo quando lei e sua Figlia tornano in superficie e lasciano il suo palazzo. Si è avvicinata alla sua bambina, il polos dorato sulla parrucca bionda, ed ha sorriso, le labbra gonfie e spellate coperte da uno spesso strato di bistro rosso scuro. Come il succo di una melagrana.
«Bambina mia…», le ha detto la Terra cingendole le spalle ed allontanandola con ferma dolcezza dal suo sposo. «E cosa vuoi fare ancora?»
«Madre!»
La Terra ha scosso il capo, un movimento lento di capelli finti svolazzanti attorno al viso enfio.
«No, bambina mia. Non possiamo fare nulla. L’orgoglio del tuo sposo è già abbastanza provato di suo. La Fanciulla ha avuto la mano pesante, stavolta. Non vorrai ferirlo anche tu, non è vero, piccina mia?», e mentre gli occhi della sua regina si allargavano per il pianto e la frustrazione e la stizza, la Terra abbracciava la sua bambina e se la stringeva al seno, confortandola. E regalando a lui un’occhiataccia severa.

«Ma, Madre…», piagnucolava la Figlia.
«Tesoro, sapevamo entrambe come sarebbe andata a finire, questa storia. Dopo tutto, la Fanciulla è la figlia prediletta del Padre…», e tu sei una mezza cartuccia, dardeggiava il suo sguardo trionfante. «Dai, adesso asciugati gli occhi. Non vorrai rovinarteli, vero? Tuo marito ha bisogno di riposare e s’è fatta Primavera.»
«Io resto con lui!»
«Nossignore! In superficie c’è bisogno di noi», hanno sussurrato le sue labbra, illuminandole la spessa linea azzurro lapislazzuli che le sottolineava lo sguardo bovino. «Non vorrai che i mortali smettano di credere in noi, vero? Qualcuno dovrà pur portare un po’ di potere in questa casa, no?», e l’ha trascinata via, con sé, lasciandolo da solo, a leccarsi le ferite come un cane bastonato. E a meditare vendetta.
 

 


Saint Seiya, ® Masami Kurumada, Toei Animation, 1986. Grafica ® Francine.




Note:
Cosa c'è di più terribile di una suocera in casa? Se le suocere sono tutte come la divina Demetra, poveri noi!
Demetra, la Terra, è una divinità che giunge in Grecia dall'Asia, assieme al suo compagno, Poseidone. Sua figlia è la celeberrima Kore, divenuta poi Persefone. Nel mio headcanon è la Figlia.
Alcuni mitografi sostengono che Kore/Persefone fosse la figlia di Demetra e Zeus, altri che Zeus si sia avvicendato a Poseidone (padre di Despoina) in età moderna. Fatto sta che dopo che Ade le rapì la figlia, Demetra cadde in una profonda depressione e le messi ne risentirono. Zeus, allora, mandò Hermes (il Pensiero) a riprendere la ragazza dall'Oltretomba; ma siccome la fanciulla aveva mangiato del cibo dell'Ade, fu costretta a restare con la madre per sei mesi e col marito Ade i restanti sei.
Alcuni mitografi più recenti, raccontano che Demetra non lasciò mai la figlia, e che durante i mesi in cui Persefone risiedeva nell'Ade, la madre andasse con lei. Con somma gioia di Ade, aggiungo io.

Le spighe di grano ed i papaveri sono gli attributi della dea Demetra. Ho avuto l'ardire di darle le sembianze e la stazza dell'attrice Luciana Turina (era la suocera di Aldo nell'episodio Milano Beach all'interno del film Il Cosmo sul Comò). Spero che nessuna delle due se la prenda.

Il polos è un copricapo di forma cilindrica proveniente dall'Asia Minore. Sormontava la testa delle divinità legate al culto della fertilità (le Grandi Madri come Rea, Cibele, Era, Demetra, ecc ecc) e i Greci lo introdussero nell'arte figurativa per indicare una divinità, oppure una sacerdotessa legata al culto.

L'espressione mezza calzetta è un modo di dire spiccatamente partenopeo. È nato in un momento storico in cui le calze erano di pura seta e costavano un occhio della testa. Per ovviare al problema, l'ingegnosità partenopea creò delle calze per metà di seta e per il resto di cotone (saldamente nascosto sotto le gonne). Essere una mezza calzetta significa essere una persona di scarso valore, qualcuno che a prima vista sembra essere importante e prezioso, ma che poi si rivela falso.
Origine simile ha l'espressione essere una mezza cartuccia: le cartucce riempite a metà servivano per esercitarsi nel tiro, risparmiando polvere da sparo.
Poiché il culto di Demetra e Persefone era molto radicato nella Magna Grecia (e perché le loro vicende si svolgono tra la Sicilia e la Calabria), ho pensato fosse carino dare a questa dea un'inflessione il più possibile meridionale.

   
 
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