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Autore: Duddola92    30/03/2009    0 recensioni
Ehi gente!Spero che userete un pò del vostro tempo per leggere la mia storia e farmi sapere cosa ne pensate. Questa è la storia di un viaggio senza meta,di un rebus senza fine...di una vita qualunque che...
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giallo. Giallo come sole, luce si direbbe ma in quel momento l’unica associazione che riuscivo a fare era giallo uguale inquinamento. L’inquinamento che devastava Torino e in particolare quel fiume, il Po che per un analfabeta poteva essere benissimo il fiume giallo. Dov’erano le acque limpide e la vegetazione rigogliosa che avevano spinto, milioni di anni fa, antichi uomini a stabilirsi lì,ad affidarsi lui?Non c’era niente, assolutamente niente per me, cresciuta in campagna tra aria pura, animali e distese di coltivazioni. C’era forse un lungo e tortuoso cammino davanti a me?Allora non era possibile dirlo…e così mi venne subito in mente che dovevo staccarmi da lì e iniziare un cammino non metaforico, quello che mi avrebbe portato al mio nuovo lavoro. Diedi un’ultima occhiata al Po che sembrava separare per sempre e da sempre la periferia dalla città, una misera stalla da una lussuosa villa, l’inferno da quello che per tutti potrebbe essere il paradiso…era insomma una sorta di purgatorio ed io un piccolo Dante che era stato catapultato lì da uno dei tanti pullman. Iniziai a camminare: osservavo bene ogni cosa, non volevo perdermi niente della nuova città. C’erano palazzi, negozi e uffici lussuosi; c’erano turisti curiosi e originari di lì ben vestiti e curati ma anche tanta miseria, quella della gente comune, dei precari, degli studenti squattrinati e dei senza tetto che in quella città avevano poche speranze. Un paradiso abitato anche da “dannati” per restare in tema, insomma. Mi sarebbe piaciuto fermarmi a parlare con ciascuno di loro, farmi raccontare le loro storie, chiedere il perché delle loro scelte ma non era il momento. “Mi scusi per Palazzo Reale?”chiesi alla prima persona che mi sembrò più disponibile: un anziano signore, forse un pensionato, con i capelli bianchi e il bastone che passeggiava tranquillo con una signora che sicuramente doveva essere sua moglie. “Giri a destra, c’è una piazza e lì Palazzo Reale”mi sentii rispondere con molta sicurezza, probabilmente c’era vissuto da sempre lì e anche nato. Lavorando un po’ di fantasia potevo immaginare chi fosse: un professionista in pensione, figlio di professionisti che aveva avuto tutti i mezzi per godere di Torino, del centro di Torino; aveva sicuramente sposato la più bella delle ragazze conosciute e con lei aveva costruito una bella famiglia, aveva avuto dei bei figli, forse problematici, ma con posto e carriera assicurati e adesso, libero da ogni impegno e dal lavoro, passeggiava con la donna che amava e a cui forse, quand’era giovane, non sempre era stato fedele. Era il genere di persone che odiavo e invidiavo allo stesso tempo. Sarebbe piaciuto anche a me, sotto certo aspetti, avere un futuro cero, potermi permettere privilegi e lussi; ma odiavo, odiavo la mentalità della maggior parte di queste persone…io ero un’anticonformista, una che si metteva sempre in discussione e che aveva sempre lottato tanto. Svoltai a destra, mi trovai in una delle più belle piazze mai viste e proprio come aveva detto quel signore, davanti a me, c’era Palazzo Reale in tutto il suo splendore. Era una reggia enorme e lussuosa, in cui si entrava attraverso un cancello. Proprio sul cancello, ai lati, c’erano due grosse statue: animali che a me incutevano terrore. Ero pronta per affrontarli, per capire cosa fosse a incutermi tanto terrore ma… Una ragazza, come me, mi si avvicinò: ”La nuova guida, scommetto?” Tant’ero presa a scrutare quelle figure che la ragazza mi prese di sorpresa, e balbettai: ”Sii” Anche a Torino allora nessuno si faceva i fatti propri, bene molto bene pensai ironica. Quella, intanto, continuava a ciarlare e non la finiva più! In meno di dieci secondi riuscì a darmi una miriade d’informazioni neanche immaginabili. Io capii solo tre cose: che il giorno dopo avrei iniziato, che potevo dare a lei i documenti senza andare in segreteria e infine che, nonostante avrei spiegato ai turisti solo l’interno del palazzo, dovevo comunque avere notizie sul resto. Diedi lei i documenti e le mostrai, giusto per rassicurarla, libri importanti sulla storia di Torino e su Palazzo Reale; non sembrò molto convinta, forse aveva interpretato la paura sul mio volto come consapevolezza di non saper nulla di Torino. Lasciai stare, era inutile. Io ero la romana de Roma e lei la torinese, io la meridionale e lei la settentrionale, io la terrona e lei la colta. Non c’era molto da aggiungere, non era colpa sua; la colpa spettava al tempo che aveva radicato nella mente di persone,popolazioni quest’idee. Sbagliate si, ma che ormai facevano parte del loro bagaglio culturale. La salutai e la ringraziai(in fondo mi aveva risparmiato una bella scocciatura); presi un taxi, dovevo andare nel “residence” che per qualche anno(“giusto il tempo di finire l’università”)sarebbe stato la mia dimora. Il viaggio in taxi durò una trentina di minuti, durante questo il paesaggio mutava: dal centro ricco e antico al Po, dal Po alla periferia moderna e triste fino ad arrivare sulla cima di una collina vicina Torino, dov’era situata la “mia nuova casetta”. La “mia nuova casetta” era, in realtà, una specie di campus che ospitava universitari, ricercatori, scolaresche, ecc. ; all’interno c’era di tutto: bar, sale per le conferenze, mense… Quando entrai, però, la prima cosa che notai fu un immenso salone con al centro un’opera di un artista. No, non una di quelle in marmo, realistiche e antiche ma una che per me rappresentava il vero spirito di quel posto: colori accessi, figure geometriche non definite e dalle dimensioni che permettevano di osservarla per bene. Posai le valigie, mi buttai su uno dei salotti che circondavano l’opera e mi persi nei miei pensieri. La mia vita era un po’ come quell’opera: non c’erano un giusto e sbagliato indiscutibili,universali ne decisioni concrete da prendere cioè, mi spiego, scegli di percorrere una strada, di fare un percorso ma in realtà ne stai facendo mille altri insieme e ti accorgi che gli obbiettivi di partenza non ci sono più, che forse ce ne sono di nuovi, che la tua vita è un rebus senza fine per te. Proprio così per te,non per gli altri;tutti gli altri potrebbero,con un po’ di fatica,riuscire a individuare il vero percorso come lo spettatore di quest’opera. Ritornai dunque sull’opera,il nome dell’artista era stato scritto piccino piccino:non contava molto? Forse no, non più nella nostra società post-moderna(così com’era definita dai più); non si guardava più al futuro, dominavano l’individualismo e l’edonismo in questa società: si voleva subito successo e notorietà e tutto allora diventava provvisorio. Provvisorio proprio come quella targhetta con il nome dell’artista che forse aveva avuto, un tempo, chissà quale importanza per qualche mesetto, e poi? E poi, niente. Si pensava fosse un passaggio necessario e naturale, una tendenza evolutiva e storica della società ma forse era “solo” il sintomo di una malattia? Malattia che l’indifferenza al futuro, l’incapacità di prevedere, la ricerca del guadagno immediato avevano trasformato in crisi totale, mondiale. Forse rappresentava anche questo quella strana opera:le figure geometriche la nostra società nel suo complesso, dove realtà e illusione si confondevano; i colori accesi tutti noi che, stupidamente, ci raggruppavamo in torno ad un blog, a una squadra di calcio, a una marca. Restai lì, ad osservare e riflettere, un altro po’. Con le valigie e la chiave della camera in mano, presi l’ascensore diretta al secondo piano camera duecentoventuno; ci misi poco a trovarla, ad entrare e sistemare le mie cose. In realtà, le camere erano tre: un piccolo corridoio con tanto di quadri e appendiabiti, la stanza con il letto, gli armadi e una scrivania e poi una specie di salone con divano, televisore, frigobar e addirittura fornelli. Quindi per quella sera avrei mangiato qualcosa in camera, non avevo voglia di scendere giù e poi dalle finestre si vedeva un paesaggio che non volevo assolutamente perdermi: Torino illuminata
  
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