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Autore: MrEvilside    22/03/2016    0 recensioni
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"Quando gli angeli meritano di morire" è il mio primo romanzo, edito da La Caravella Editrice, disponibile in libreria e in tutti i canali online. Qui potete trovare il prologo e il primo capitolo, più un breve spin-off per stuzzicare ulteriormente la vostra curiosità.
Dalla quarta di copertina: "Time is running out" dei Muse palpita impetuosa nella stanza di Gabriele mentre è impegnato a condurre la sua vita di sempre, ignaro del mondo invisibile che lo attende.
Non sa ancora di essere ricercato da due fazioni angeliche in lotta da più di mezzo secolo, sulla Terra e in Paradiso, e sarà presto travolto da una sequela fatale di eventi, prendendo parte al conflitto inestinguibile tra bene e male.
Pagine intense in cui il protagonista perde dolorosamente pezzi della sua esistenza umana per vestire la sua nuova identità, unica e mai vista tra angeli, demoni e uomini. La fantasia smisurata si impossessa della realtà e la voce giovane e appassionata dell'autrice rende l'urban fantasy prepotentemente coinvolgente.
Genere: Avventura, Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Preludio


Non sapeva dove si trovasse. Lo avevano bendato, braccia e gambe erano inchiodate a una sedia di metallo dallo schienale reclinabile e le ali erano state ripiegate malamente tra schiena e poltrona, bloccate da cinghie robuste, che gli impedivano di aprirle e lo ferivano quando tentava di muoverle.

Sentiva il sangue colare lentamente a terra dai fori nelle braccia, dov'erano stati confitti gli aghi, e le lacrime impregnare la stoffa premuta sugli occhi.

«Non si doveva arrivare a questo» osservò una voce da qualche parte di fronte a lui. Il tono era cupo e glaciale, come congelato da un profondo furore. «Avresti dovuto essere una cavia volontaria. Pensavo che fossi fedele alla causa».

L'angelo prese fiato diverse volte, l'aria che raschiava dolorosamente contro la gola, prima di riuscire a rispondere. «Lurido bastardo». Gli tremavano le braccia, le siringhe affondavano di più nella pelle a ogni spasmo. «Sono stato cieco, ho avuto davvero fiducia in te. Ma adesso mi rendo conto che il tuo intento è puro egoismo. Non meriti il posto che ti abbiamo dato, né la fiducia che ti è stata accordata». Sputò per terra, non sapeva se saliva o anche sangue. «Puoi uccidermi, ma non riuscirai a portare a termine la tua follia».

Per un momento vi fu silenzio. Nessuna delle sue provocazioni venne accolta. Al contrario, il suo interlocutore rimase maledettamente calmo. «Non ho intenzione di farlo. Per la verità, spero che tu sopravviva. Syn, procedi».

Seguì un rumore di passi cadenzati, ma lui sapeva di non essere stato lasciato solo. Nel silenzio e nell'oscurità, continuava a percepire la sua presenza e quella dell'assistente. Aveva provato a parlarle, a convincerla dell'enormità del loro errore, ma Syn si era rifiutata di ascoltarlo: la sua lealtà andava solo al suo superiore. Saperla così vicina e determinata a tradirlo – a tradire un membro della sua stessa specie – era peggio della sofferenza fisica.

"Che cosa ci ha fatti diventare?"

All'improvviso udì un fischio, come una perdita d'aria, una serie di rumori metallici provenienti da dietro di lui e qualcosa che si faceva più vicino, fino a fermarsi al suo fianco. Doveva essere una sorta di strumento meccanico, che iniettò un qualche fluido negli aghi. Attese, fremente, aspettandosi di provare dolore da un istante all'altro.

Ma fu una sofferenza talmente devastante che, pur consapevole dell'arrivo imminente, non riuscì a trattenere un grido lacerante. Tese i muscoli allo spasimo, del tutto incurante dei legacci che sfregavano contro polsi, collo e caviglie. Niente era paragonabile all'iniezione.

Alla fine, però, prosciugò ogni energia, il corpo si rilassò, troppo indebolito per reagire ancora, e la testa era così pesante che fu un sollievo appoggiarla allo schienale e chiudere gli occhi.

La donna digitò rapidamente sulla tastiera del computer, senza mai staccare lo sguardo dal monitor olografico, quindi fissò il corpo accasciato sulla sedia. Solo il petto che si sollevava e abbassava confermava che era ancora in vita. Syn spostò di nuovo l'attenzione sullo schermo e decifrò i dati che vi si susseguivano in tono d'approvazione: «La trasfusione è avvenuta senza alcun problema. Il soggetto ha superato la prima fase con successo».

L'uomo le si avvicinò e si chinò per esaminare a sua volta le file di codici sul desktop. «Ottimo» annuì compiaciuto. «Monitora l'evolversi della situazione e tienimi aggiornato. Passeremo alla fase due appena il siero avrà fatto effetto».

A meno che non si fosse innescata la reazione di rigetto che avrebbe distrutto sia le nuove cellule che il corpo ospitante – com'era accaduto durante ogni altro esperimento. Non lo disse, ma quella minaccia alitava sul collo di entrambi come la spada di Damocle.

Aggirò la scrivania, salì i pochi scalini che conducevano alla piattaforma dove si trovava la sedia di metallo, sopraelevata rispetto al livello del pavimento, e si fermò davanti alla cavia tramortita.

«Non volevo che finisse così, Hevel» sospirò, sebbene lui non potesse udirlo.

Alle sue spalle si levò la voce inquisitoria dell'assistente. «Come l'ha chiamato, signore?»

Lui si riscosse dalla sua contemplazione e si girò per metà, per incrociare lo sguardo di lei con la coda dell'occhio. «Ero sovrappensiero. Adesso puoi andare, Syn».

Lei chinò bruscamente il capo, batté un'altra sequela di comandi sulla tastiera e si allontanò senza una parola. Passando davanti all'uomo svenuto, gli lanciò un'occhiata di sottecchi, ma non indugiò oltre e lasciò il laboratorio.

Rimasto solo, l'uomo si chinò sul volto addormentato e sfiorò quella fronte gelida con la propria, tiepida.

Poggiò le labbra sulle sue, sebbene sapesse che, se Hevel fosse stato davvero in punto di morte, non avrebbe mai accettato il Bacio Ultimo da lui. C'era stato un tempo in cui non avrebbe desiderato quello di nessun altro, ma era soltanto un ricordo dolceamaro. Era stato lui stesso a porvi fine, in nome di un obiettivo ben più grande, che Hevel non aveva voluto condividere.

Aveva compiuto un sacrificio, rinunciando alla persona più importante della sua vita.

In cambio, avrebbe avuto il mondo.

  
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