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Autore: TimeFlies    23/03/2016    5 recensioni
Scarlett, diciassette anni appena compiuti e un segreto piuttosto scomodo da nascondere, non potrebbe essere più felice di stare nella sua adorata ombra, lontana da sguardi indiscreti e da problemi presenti e passati che non vuole affrontare.
Adam, riflessivo eppure anche avventato, ha sempre avuto un'innata curiosità e una gran voglia di sapere.
Quando vede Scarlett per la prima volta non riesce a fare a meno di sentirsi attratto dall'aura di mistero che la circonda. Vuole conoscerla, svelare ciò che si nasconde dietro quella facciata di acidità e vecchi rancori.
Tutti i tentativi della ragazza di allontanarlo da sé finiranno per avvicinarli ancora di più portandoli dritti ad un preannunciato disastro. O forse no, perché nei momenti di difficoltà possono nascere le alleanze più impensate, soprannaturale e umano possono trovare un punto d'incontro.
E quando il pericolo si avvicina, l'unica cosa che vuoi è avere qualcuno al tuo fianco. Poco importa se solo poco prima eravate perfetti sconosciuti, se lui è entrato nella tua vita con la grazia di un uragano, se non volevi niente del genere.
A volte, un diciassettenne un po' troppo insistente è tutto ciò che hai, è la tua unica speranza. E tu la sua.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Under a Paper Moon- capitolo 23


                                                         

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23. Scarlett

Mi sfiorai le labbra con le dita e sorrisi. Mi sentivo un po’ idiota a farlo, ma stare con lui mi aveva lasciato uno strano buon’umore che non provavo da qualche tempo.
Era notte inoltrata e avrei dovuto dormire, ma in realtà me ne stavo sdraiata sul letto a fissare il soffitto e a ripensare a quei baci, a quell’abbraccio, a lui.
Una vocina nella mia mente mi diceva che avrei dovuto essere triste e arrabbiata per James e il modo il cui mi aveva lasciata, eppure non riuscivo ad esserlo. E neanche ci provavo. In fondo, perché avrei dovuto? Se n’era andato senza neanche darmi una spiegazione degna di questo nome, non meritava niente da me.
La sensazione delle labbra di Adam sulle mie, poi, era un’ottima distrazione. Quando ci eravamo baciati per la prima volta, in quel locale, non ci avevo quasi fatto caso, presa com’ero dal cercare di tirarmi fuori da quella situazione. Ma quel pomeriggio… Era stato tutto diverso. Era stato solo io e lui.
Il primo bacio non sembrava essere stato l’iniziativa di nessuno, era successo e basta. Ma era stato il secondo a rimanermi impresso di più, perché era stato lui a volerlo. E io mi ero fatta prendere dall’entusiasmo, a cui lui aveva risposto molto bene. Questo mi aveva portato a riconsiderarlo sotto molti punti di vista e a decidere, alla fine, che era molto meglio di quanto avevo pensato all’inizio.
Quando mi aveva riaccompagnata a casa, ovvero quando mi ero decisa a staccarmi da lui e quindi a sciogliere l’abbraccio abbandonando a malincuore il suo calore rassicurante, avevo cercato di smettere di sorridere per non sembrare troppo pazza, ma poi avevo visto che anche lui si stava mordendo il labbro per evitare di lasciarsi sfuggire un sorriso, quindi mi ero rilassata.
Al momento di salutarci, avevo esitato, indecisa se baciarlo oppure no: non sapevo cosa pensava di me, come considerava il nostro rapporto. Alla fine non avevo fatto niente di diverso dal solito, gli avevo dato un bacio sulla guancia ed ero scesa dalla macchina. Lui mi aveva fatto un sorriso un po’ timido ma anche sinceramente felice che mi aveva fatto venire voglia di riaprire lo sportello, gettargli le braccia al collo e baciarlo. In qualche modo ero riuscita a trattenermi e l’avevo guardato allontanarsi.
Quel ragazzo aveva il potere di incatenarmi con quei suoi occhi blu tempesta e riusciva a farmi stare bene anche solo sorridendomi. Non sapevo se era una cosa buona o se si sarebbe rivoltata contro di me con il passare del tempo. L’unica cosa che sapevo era che Adam era passato dal rappresentare una scocciatura, una minaccia per la mia già precaria tranquillità, all’essere una parte importante della mia vita.
Non avevo idea di come avrei dovuto sentirmi a riguardo: nervosa, impaurita, oppure solo felice? In fondo, era pur sempre un pericolo in meno, ed un alleato in più. Un alleato che era riuscito a farsi strada oltre le mie difese e che si era conquistato con ostinata determinazione un angolino nel mio cuore. E non riuscivo a sentirmi irritata o minacciata da questo, mi sembrava così... giusto, come se avesse dovuto accadere, come se fosse già stato scritto.
 
«Scarlett, sveglia!» La voce di mia madre riusciva ad essere più fastidiosa di quella della professoressa di matematica quando si impegnava.
Ogni volta che tornava da un viaggio di lavoro diventava incredibilmente efficiente in fatto di sveglia e terzo grado sui ragazzi con cui uscivo. Il punto era che non riuscivo a prenderla sul serio quando beveva il suo tè ai lamponi da una tazza rosa con il disegno di un gatto che indossa un paio di occhiali da sole, e cercava di rimproverarmi per il disordine della mia stanza nello stesso tempo.
Mi tirai la coperta sopra la testa e mugolai una risposta: «Ancora cinque minuti… O magari dieci…»
Qualcuno mi strappò di dosso la trapunta. «Assolutamente no. Su, in piedi. Sei già in ritardo.»
Mi coprii il viso con le braccia. «Mamma!»
Mi sorrise. «Sì, tesoro?»
Le scoccai un’occhiataccia che lei ricambiò senza scomporsi, come al solito. Si chinò su di me e mi diede un bacio sulla testa. «Ti aspetto in cucina, mmh?» Aggiunse prima di uscire dalla mia stanza.
Le feci il verso tra me e me mentre mi giravo sulla schiena e mi passavo una mano sul viso. Era stressante, a volte, eppure mi faceva piacere lo stesso averla in casa. Beh, più o meno. Diciamo che era una buona compagnia dalle nove di mattina in poi.
Mi tirai su a sedere tenendo gli occhi socchiusi per via della luce che entrava dalla finestra visto che qualcuno era stato tanto gentile da spalancare le tende.
Mi concessi un attimo di tregua prima di alzarmi e cercare a tentoni dei jeans. Ne trovai un paio neri buttati sulla sedia. Me li infilai distrattamente prima di aprire un cassetto del mobile accanto alla scrivania e prendere una maglietta verde scuro. Mi tolsi quella che usavo per dormire, e la cambiai con quella pulita. Mi infilai le scarpe rischiando di inciampare nelle stringhe e cercando di mettere a fuoco quello che stavo facendo.
A che ora ero andata a letto la sera prima? Mi sarebbe piaciuto credere alle undici, come mi ero prefissata, ma qualcosa mi diceva che era stato più verso l’una o le due. Però non era colpa mia se una certo George Martin¹ si divertiva a scrivere libri che ti tengono incollato alle pagine.
Scesi le scale senza quasi vedere dove mettevo i piedi, ancora mezza addormentata. Dalla cucina proveniva un buon odore di caffè e tè che mi fece quasi venire voglia di sbrigarmi. Quasi, in realtà volevo solo tornare a letto.
Mentre stavo per varcare la soglia, qualcuno suonò il campanello. Lanciai un’occhiata critica alla porta: chi va a casa della gente alle sette di mattina? Un venditore porta a porta? Mi lasciai sfuggire una smorfia di fronte a quella prospettiva.
«Vado io.» Annunciai senza riferirmi a nessuno in particolare.
Mi ravviai i capelli con una mano nella speranza di sistemarli almeno un po’. Attraversai il corridoio passando davanti allo specchio con le foto incastrate nei bordi di fronte al quale si era soffermato anche Adam quella che sembrava un’eternità fa. Eppure erano passati solo un paio di mesi, forse meno.
Posai una mano sulla maniglia e l’abbassai. Quello che mi trovai davanti mi svegliò completamente e mi fece perdere, nello stesso tempo, dieci anni di vita. Miles, mio padre, se ne stava sull’ingresso con aria imbarazzata.
Indossava dei jeans, un maglione grigio e un lungo cappotto scuro. I capelli castani erano accuratamente pettinati in modo da sembrare arruffati. Gli occhi verdi mi scrutavano da dietro gli occhiali dalla montatura sottile. Sembrava in attesa di qualcosa, un saluto magari. Ma io ero troppo sconvolta anche solo per lasciare la maniglia della porta.
Avevo la mente completamente vuota, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che Miles sembrava molto più giovane della mamma, come se lui in tutti quegli anni non avesse lavorato per mantenere se stesso ed un’altra persona. E probabilmente era così: perché avrebbe dovuto? Lui aveva Patty, ovvero Miss Minigonna, la finta bionda piena di soldi che aveva fatto a pezzi la mia famiglia.
«Ciao Scout.» Mormorò Milese studiandomi cauto.
Il mio primo impulso fu quello di sbattergli la porta in faccia con tutta la forza che avevo, ma mi trattenni: le possibilità di riuscire a fargli male erano troppo poche visto che non era abbastanza vicino. Meglio aspettare una situazione più propizia.
Di fronte al mio silenzio aggiunse: «Come sei cresciuta… Sei proprio come tua madre.»
“Come mamma dici? Ma ti riferisci alla Natalie che hai lasciato anni fa, innamorata e piena di progetti per un futuro insieme a te, o alla Natalie di adesso, quella che lavora come una pazza per riuscire a tirare avanti?”, pensai sentendo la rabbia montarmi dentro: come si permetteva di ripresentarsi dopo tutto quel tempo così, come se non fosse successo niente?
«Tesoro, chi… Oh, Miles.» La voce di mia madre mi arrivò ovattata, quasi fosse stata lontana chilometri.
Ero consapevole della sua presenza dietro di me, ma non riuscivo a staccare gli occhi da l’uomo che le aveva spezzato il cuore.
«Che ci fai qui?» Chiese Natalie con una calma incredibile.
«Ero a Seattle per lavoro e ho pensato di venire a salutarvi…» Spiegò lui infilando le mani nelle tasche del cappotto.
Spalancai gli occhi: ora pensava di venire a farci visita? Dopo tutti gli anni che aveva passato a divertirsi con Miss Minigonna? Si era stancato e voleva tornare? Oppure lei l’aveva mollato e lui non sapeva da chi andare? In ogni caso l’unica cosa che volevo fare era fargli un occhio nero.
Mamma abbozzò un sorriso di cortesia. «Accomodati.» E fece un passo indietro per lasciarlo passare.
Mi spostai anch’io senza pensare a quello che facevo, come se avessi inserito il pilota automatico. Miles entrò passando davanti a me e Natalie con un po’ troppa naturalezza per i miei gusti.
Scambiai un’occhiata con mia madre: sembrava controllata, ma anche nervosa, in ansia. Il suo ex marito che l’aveva lasciata per una donna più giovane e meno vestita era appena entrato in casa sua, chiunque al suo posto sarebbe stato a disagio. Trasse un respiro profondo e mi fece un piccolo cenno di incoraggiamento.
Automaticamente, mi avviai lungo il corridoio mentre lei chiudeva la porta e mi raggiungeva. Miles era in cucina e si guardava intorno come se stesse valutando se comprare o no la casa. Pensai distrattamente che le tazze con i pinguini in bella mostra sul tavolo non aiutassero a far sembrare che io e mamma ce la stessimo cavando bene: a volte la passione di Natalie per le tazze fantasiose e colorate era terribilmente fuori luogo.
«Stavamo per fare colazione.» Disse mia madre ostentando un’espressione cordiale. «Posso offrirti qualcosa? Tè, caffè…»
«Un caffè, grazie.» Rispose Miles con atteggiamento fin troppo rilassato.
“Approfittatore!”, scattò una vocina nella mia mente.
Natalie annuì appena. «Siediti pure.»
Miles scostò una sedia dal tavolo e ci si lasciò cadere con quel suo modo di fare da ragazzino: evidentemente non gli andava ancora giù il fatto che anche lui stesse invecchiando.
Mamma prese la caraffa del caffè e ne versò un po’ nella vecchia tazza di papà, quella blu e arancio. Erano anni che non la rivedevo, chissà dove l’aveva tenuta tutto quel tempo.
«Scarlett tu cosa vuoi?» Mi chiese mia madre guardandomi.
Sbattei le palpebre e mi risvegliai dai miei pensieri non proprio allegri in cui auguravo a Miles di strozzarsi con il caffè o di essere fulminato seduta stante. «Ehm… Caffè, per favore.»
Lei mi fece un sorriso dolce. «Okay tesoro.»
«Non ti siedi?» Intervenne Miles studiandomi con un sopracciglio alzato.
La rabbia tornò a farsi sentire, travolgente e improvvisa. «Non hai nessun diritto di dirmi cosa fare.» Ringhiai scoccandogli un’occhiataccia.
Sembrò sorpreso dalla mia reazione. «Cosa? Scarlett, io sono tuo padre…»
«Mio padre?!» Ripetei stringendo i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi. «E tu pensi che basti fare un figlio per potersi considerare un padre? Se vuoi davvero essere un padre dovresti passare del tempo con tuo figlio, aiutarlo, educarlo, dargli il buon esempio. Non scappare con la prima finta bionda che ti capita a tiro! E, per la cronaca, Patty ha dei denti orribili!»
«Scarlett…» Il tono di mia madre era incredulo e sofferente.
La guardai per un attimo prima di tornare a fissare Miles. «Non voglio avere niente a che fare con te. Sei solo un codardo approfittatore.»
Natalie fece una passo verso di me. «Scarlett, per favore…»
Indietreggiai istintivamente, il petto che si alzava e si abbassava velocemente. «No, no. Basta così…»
«Scarlett, ascoltami. So di aver sbagliato, non devo lasciare te e Natalie, ma non riuscivo più ad andare avanti in quel modo.» Disse Miles con voce calma. «Avrei dovuto parlarvene, avremmo dovuto risolvere insieme questa cosa.»
Se ci sono dei problemi in un coppia bisogna risolverli insieme, non scappare. Le parole di Adam mi tornarono in mente all’improvviso facendo accrescere la mia rabbia: com’era possibile che lui, un ragazzo di diciassette anni, si rendesse conto che fuggire dalle complicazioni era sbagliato mentre un uomo di più di quarant’anni come Miles non riuscisse ad afferrare un concetto del genere?
«E allora perché non l’hai fatto? Perché ci hai mollate qui da sole?» Sbottai sentendo il tremito nella mia stessa voce.
Miles sembrò colto alla sprovvista. Tentò di dire qualcosa, ma ci rinunciò. Chinò la testa e si passò una mano tra i capelli. «È stato un errore, lo so…»
«Già, un errore. In fondo, noi siamo solo giocattoli, no?» Lo provocai. «Quando ti stanchi puoi cambiarci con qualcos’altro. Magari con meno vestiti addosso, eh?»
Sollevò di colpo lo sguardo su di me. «No, niente del genere. E vorrei che la smettessi di insultare Patty: io e lei stiamo bene insieme e stiamo programmando di sposarci il prossimo anno quindi…»
«Sposarvi?» Ripeté flebilmente mamma. Sembrava che qualcuno le avesse portato via tutto il colore dal viso.
Sentii un sorriso di rabbia amara sfiorarmi le labbra. «Ah, bene. Sono proprio felice per te. Ma sai cosa? Non sprecare la carta per farmi un invito: non verrò mai al tuo stupido matrimonio.»
Lo sguardo di Miles si indurì. «Non permettersi di parlare così a tuo padre, ragazzina.»
«Ragazzina?» Ripetei incredula. Scossi la testa e mi passai una mano tra i capelli cercando di fermarne il tremito. «Sai che ti dico? Fa’ quel cavolo che ti pare, sposa quella sottospecie di spaventapasseri e fingi di essere felice con lei: ormai non importa più.»
Mi avviai verso la porta con passo pesante ma determinato. Sentii mia madre trattenere il fiato per poi rilasciarlo in un lungo sospiro che assomigliava tremendamente ad un singhiozzo.
«Scarlett…» Mi richiamò debolmente.
«Devo andare a scuola.» Borbottai afferrando lo zaino che avevo lasciato nel corridoio e raggiungendo la porta. Uscii e me la sbattei alle spalle usando un po’ troppa forza dovuta alla rabbia: era uno degli svantaggi dell’essere un licantropo, quando ti arrabbiavi lo facevi sempre sul serio. Non c’erano vie di mezzo.
Una parte di me sperò che i cardini della porta reggessero visto il terribile rumore che avevano fatto; l’altra parte voleva uccidere qualcuno.
Nonostante fossi quasi del tutto fuori di me, in qualche modo mi ritrovai a camminare lungo la strada che facevo tutte le mattine per andare a scuola. In realtà non ero sicura che fosse una buona idea andare lì, in mezzo a tutta quella gente: chi mi assicurava che sarei riuscita a mantenere il controllo per tutte e cinque le ore di lezione? No, dovevo sbollire la rabbia prima, solo quando mi fossi calmata sarei potuta andare. Magari potevo entrare alla seconda ora…
Mi lasciai sfuggire un respiro spezzato: com’era possibile che una sola persona potesse complicarmi tanto la vita? Per un po’ Miles era stata un buon padre, sempre sorridente e pronto a passare del tempo con me e con mamma. Poi qualcosa era cambiato e lui aveva deciso di lasciarci da sole, con la macchina da pagare, il mutuo e il cuore spezzato.
I documenti del divorzio erano stati il colpo di grazia: freddi, distaccati, uguali a quelli già usati molte volte da molte altre coppie. Non c’era neanche stato bisogno di intraprendere una battaglia per l’affidamento: aveva lasciato intendere che non mi voleva, che potevo stare con mia madre.
Quando era successo ero troppo piccola per capire, ma, una volta cresciuta e dopo aver rimesso insieme i pezzi, avevo cominciato a provare una rabbia fredda e piena di rancore per l’uomo che aveva illuso me, ma soprattutto mia madre, per anni.
Sbattei le palpebre per scacciare eventuali lacrime e mi guardai intorno: non era il quartiere da cui passavo di solito, dovevo aver mancato una svolta. Imprecai mentalmente e mi lasciai sfuggire uno sbuffo stizzito. Quella giornata stava andando di male in peggio.
Mi trovavo in una zona periferica praticamente deserta. Alla mia destra, dall’altra parte della strada, c’erano delle case, grigi blocchi di cemento dall’aria triste e squallida; alla mia sinistra, un parco abbandonato a se stesso con alberi verdi e rigogliosi che spuntavano dall’erba alta. Non ero mai stata lì.
Un fruscio mi distolse dai miei pensieri. Mi voltai verso l’intreccio degli alberi al mio fianco, i sensi all’erta. Poi mi diedi della stupida da sola: che mi veniva in mente? Al massimo poteva essere un gatto o un uccello… Di sicuro niente di pericoloso. Forse ero solo troppo stressata per via di Miles.
Il rumore, però, si ripeté e qualcosa dentro di me, qualcosa legato al mio lupo, scattò. Diceva pericolo.
Ma che tipo di pericolo? Sentii il mio cuore aumentare i battiti e il mio respiro farsi più veloce, eppure non riuscivo ancora a capire cosa ci fosse che non andava. C’era un altro lupo nei paraggi? O forse il soprannaturale non c’entrava niente?
Mi presi un attimo per cercare di concentrarmi sui suoni intorno a me: il rumore del traffico lontano, il fruscio dei rami degli alberi, il sibilo del vento, il cinguettio esitante degli uccelli… il respiro di qualcuno.
Mi voltai di scatto e mi trovai davanti tre uomini. Indossavano abiti comuni, jeans, magliette, giacche di pelle, ma avevano in mano armi non proprio rassicuranti: quello più grosso e muscoloso stringeva nelle dita tozze un coltello incredibilmente lungo che riluceva sinistro alla luce del sole; un altro, quello con i capelli biondi e che sembrava il più giovane, impugnava un fucile nero e lucido; l’ultimo, che sembrava essere il capo, mi puntava contro una pistola.
Il rumore del mio stesso cuore mi rimbombava nelle orecchie coprendo tutto il resto, l'aria mi graffiava la gola. Che volevano da me? Chi erano? Istintivamente feci un passo indietro e due di loro sogghignarono divertiti.
«Guarda che abbiamo qua.» Commentò quello che sembrava il leader. «Un lupo solitario. Non lo sai che è pericoloso per quelli della tua razza andarsene in giro da soli?»
“Sanno cosa sono”, pensai trattenendo il fiato. «Cosa?» Il mio fu un bisbiglio flebile e appena udibile.
Lui sorrise beffardo. «Paura, lupo? Beh, fai bene. Non siamo qui per chiacchierare.»
Cercai disperatamente di riprendere il controllo della situazione. «Cosa volete?»
L’uomo più muscoloso ghignò. «Secondo te?» Di fronte al mio sguardo perplesso aggiunse: «Te, ecco cosa vogliamo.»
Fu come se qualcuno mi avesse tirato un pugno nello stomaco. Spalancai gli occhi e mi sentii mancare il fiato. «Me? C-che vuol dire?»
Il capo ridacchiò e nei suoi occhi passò un lampo. «Questo.»
Sollevò la pistola puntandola direttamente contro di me. Ebbi appena il tempo di provare un terrore cieco e gelato prima di sentire lo sparo. Da qualche parte nel mio corpo esplose il dolore, forte come non lo avevo mai provato prima. Fu giusto un attimo, però.
Poi fu solo buio.



1: George R. R. Martin, scrittore della saga "Il Trono di Spade", da cui è tratta la serie TV "Game of Thrones"

SPAZIO AUTRICE: Cu :3
Ed eccoci nella seconda metà della storia ** Nuovo banner -con i prestavolto, finalmente!-, nuovi personaggi in arrivo... e nuovi guai.
La situazione negli scorsi capitoli sembrava essersi stabilizzata, gli Adamett stavano finalmente andando d'accordo e sembravano aver realizzato di provare qualcosa l'uno per l'altra. E adesso invece è tutto ribaltato.
Scarlett ha rivisto suo padre, Miles, l'uomo che ha lasciato lei e sua madre per il suo capo, Patty, o Miss Minigonna, come l'ha rinominata Scar. E, come se non bastasse, le sparano. Potrebbe essere viva o morta adesso, per quel che ne sappiamo.
Chi sono questi tizi? Cosa vogliono da lei? E come andrà avanti la cosa? E, anche se è meno importante, vi immaginavate così Scar e Adam, come sono mostrati nel banner? Oppure avevate altre idee?
Vi anticipo che nel prossimo capitolo verrà introdotto uno dei miei personaggi preferiti, una figura ambigua che amerete o odierete, è tutto da vedere.
Vi lascio, perché altrimenti vi spoilero tutto. A presto **

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