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Autore: lawlietismine    23/03/2016    3 recensioni
C'era una volta– Tutte le belle storie iniziano con un “c'era una volta”, tutte quelle fantastiche, quelle da raccontare ai bambini prima che si addormentino, quelle storie che fanno sognare e che si allontanano fin troppo dalla realtà, creando illusioni che portano solamente delusioni, ma comunque, naturalmente, anche questa storia ha il suo “c'era una volta”.
Dal capitolo 2:
Per poco non gli sfuggì un grido esterrefatto, quando – addormentato ai suoi piedi – non trovò quel lupo dal manto nero e gli occhi verdi, ma un uomo, a vista poco più grande di lui, nudo, il corpo forte e atletico illuminato alle spalle dal camino acceso, il respiro calmo e i muscoli rilassati.
Stiles – fra tutte le cose che avrebbe potuto fare – si riscoprì a pensare che era bellissimo.
#werewolves are known #au
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Allora, preparatevi mentalmente perché questo 1) è l'ultimo capitolo, 2) è lungo più del doppio rispetto agli altri e 3) è un totale casino, qui spiego praticamente tutto quello che c'è da spiegare e probabilmente capirete il senso soltanto alla fine mettendo insieme tutti i pezzi.
C'è un'alternanza fra flashback e il momento interrotto alla fine dello scorso capitolo in cui Stiles parla con il nuovo personaggio, e anche qui capirete il senso dei flashback soltanto man mano che vi avvicinerete alla fine. 
E questo è tutto, ci vediamo a fine capitolo!^^


 





Stiles se ne stava sdraiato nel letto di camera sua, dalle finestre entravano i raggi del sole già alto nel cielo e la sveglia sul suo comodino stava suonando in modo assordante già da un minuto, annunciando che era definitivamente giunta l'ora di alzarsi e iniziare la giornata.
Si stiracchiò leggermente, la testa poggiata sul petto caldo e nudo di Derek e le braccia avvolte intorno a lui per tenerlo stretto a sé, poi tornò a sonnecchiare contro il licantropo, mentre quello si affrettava a spegnere infastidito l'oggetto che emetteva quel suono indesiderato e che li aveva inevitabilmente svegliati entrambi.
Stiles mugugnò qualcosa di sconnesso nel sentire l'altro allontanarsi, poi le labbra di Derek si posarono sulle sue per un veloce bacio e l'attimo dopo Stiles lo sentì indossare i pantaloni, alzarsi e dirigersi infine verso il bagno.
Quando ne uscì qualche minuto dopo, lui era sdraiato a pancia in su, un braccio incrociato dietro la testa e lo sguardo fisso sullo schermo del proprio telefono per dare un'occhiata ad alcuni messaggi, la coperta che lo copriva malamente fino ai fianchi.
“Pensavo ti ci sarebbe voluto di più” ammise Derek, che si era aspettato di trovarlo di nuovo immerso in un sonno profondo da cui sarebbe toccato a lui trascinarlo via: il diretto interessato lo guardò con un sorrisetto ferino e un sopracciglio inarcato ironicamente.
“Sai che effetto mi fai se mi baci di prima mattina mentre sei nudo” ribatté con ovvietà, facendo alzare gli occhi al cielo all'altro di riflesso “e poi è il mio ultimo giorno di vacanza e voglio godermelo, domani mi attende una lunga giornata a scuola e il Coach mi distruggerà all'allenamento” aggiunse in un borbottio falsamente indispettito, sporgendo il labbro inferiore in modo da infondere un po' di pietà nel licantropo di fronte a lui, che “è il tuo dovere” rispose solamente, prima di avvicinarsi alla scrivania e prendere la sua maglia, abbandonata sul pavimento dalla sera prima.

“Sembri mio padre così” si lamentò Stiles scuotendo la testa, senza risparmiarsi poi dal seguire l'altro con lo sguardo mentre indossava l'indumento a suo parere indesiderato, con i muscoli che si tendevano a ogni singolo gesto “ancora due anni e poi college, addio Harris e le sue stupide punizioni insensate!”
Derek si voltò per osservarlo, le braccia strette al petto e lo sguardo fisso sul ragazzo che ora se ne stava scoperto seduto sul letto a gambe incrociate, nudo e senza nessuna vergogna, la testa probabilmente altrove mentre pensava sicuramente a un futuro senza più quella patetica imitazione di professore tra i piedi.
“Cosa vuoi fare oggi?” interruppe la sua immaginazione, pronto ad assecondarlo in qualsiasi cosa anche se non lo avrebbe ammesso ad alta voce.
Stiles tornò a concentrarsi su di lui, apparentemente incerto, poi gli rivolse di nuovo un'occhiata eloquente e un sorriso furbo, prima di sbattere la mano sul posto libero accanto a lui sul materasso in un chiaro invito a tornare al suo fianco: un ultimo giorno di pace solo fra loro due, prima di ritornare a scuola e al mondo soprannaturale che non li lasciava mai respirare, tentando di ucciderli ogni volta che si presentava l'occasione.

“Sono tre giorni che stiamo qui” tentò inutilmente e falsamente di opporre resistenza, Derek, muovendosi impercettibilmente verso l'altro.
“Stai approfittando troppo dell'assenza momentanea di tuo padre” aggiunse, come se fosse davvero intenzionato a non dargliela vinta, avvicinandosi ancora un po' a ogni parola.
“Magari potresti anche stud–” Derek si interruppe da solo quando, ormai già arrampicatosi di nuovo sul letto e raggiunto l'altro, la sua maglia già di nuovo in terra, baciò il ragazzo.

Il sorriso di Stiles si espanse incontrollatamente, mentre – a cavalcioni sull'altro – si accertava di non essere l'unico privo di indumenti nella stanza: nelle iridi del licantropo guizzò irrimediabilmente una luce rossastra mentre il ragazzino si dedicava diligentemente al suo collo, lambendo i punti che sapeva più che bene essere sensibili, per poi scendere sul petto e sostituire per un solo attimo i denti alle labbra, cogliendolo di sorpresa.
Ci volle poco per farlo spazientire: Derek, già stanco di quel gioco fin troppo lento per quanto piacevole, ribaltò con un ringhio animalesco la situazione, frettoloso e secco, e Stiles, stringendogli le braccia al collo, si lasciò a una felice risata sonora.

 


Stiles voleva chiedere alla sconosciuta dove diamine fossero finiti suo padre e Derek, e dove invece si trovassero loro, se fosse tutto nella sua testa o se fosse reale, per quanto ne dubitasse, ma più la guardava più non riusciva a parlare.
Non avrebbe saputo darle un'età e neanche gli interessava al momento, ma la sua pelle era liscia e pallida, sembrava quasi porcellana, gli occhi etero-cromatici, uno grigio e l'altro ambrato, splendevano di una luce innaturale e i capelli lunghi fino oltre la vita e mossi erano bianchi, alternati con alcuni boccoli neri che stonavano e allo stesso tempo sembravano in armonia con tutto il resto e che mettevano ancora più in risalto le iridi diverse e la pelle lattea.
La ragazza mosse con un gesto fluido e calcolato la mano sinistra di fronte a sé e prima ancora che Stiles potesse chiedersi il perché, il pavimento bianco alle sue spalle si deformò, fino a rialzarsi e plasmarsi per formare quello che sembrava un trono, costringendolo, volente o nolente, a sedersi.
Fece per protestare, ma lei lo interruppe.
“Tu non ti ricordi di me, Stiles, ma in altre circostanze sei stato tu a cercarmi”
Il ragazzo la fissò corrucciato e allo stesso tempo intimorito, una parte di lui che ancora pensava a Derek e suo padre, un'altra che invece voleva tempestarla di domande di tutti i tipi, prima fra tutte come fosse possibile che lui, come lei sosteneva, non la ricordasse affatto nonostante a quanto pareva si fossero già visti, o perché avrebbe dovuto mai contattarla.
“Questa non è la tua vita” continuò, osservandolo dall'alto in basso mentre lui se ne stava seduto con le mani artigliate ai braccioli di quell'assurdo trono bianco, come a tentare di fermare il tremolio, e la schiena completamente indietro, quasi a volerle stare il più lontano possibile.
Poi si accorse di una cosa: le sue mani erano pulite, sul suo corpo non c'era più traccia di terra né una goccia di sangue, ed era vestito.
“Quando mi hai cercata, il tuo mondo era diverso da questo: l'esistenza dei licantropi era segreta, il tuo migliore amico, Scott, era uno di loro e tu e Derek vi conoscevate già da un po'”

A ogni parola detta, nella testa di Stiles si iniziarono a formare immagini sconnesse, immagini che non gli sembravano reali o familiari, ma che nel profondo sapeva invece che lo erano.

 


Se ne stava seduto scompostamente sul divano nero del loft, mentre Derek, Scott e Isaac parlavano di qualcosa che poco gli interessava: era stato così tante volte lì, con o senza il resto dei ragazzi, che ormai era come se ci abitasse. Il suo spazzolino di riserva era nel bagno accanto a quello di Derek, alcuni suoi abiti stavano nell'armadio – o sulla sedia quando il licantropo non faceva in tempo a sistemare il suo disordine – e alcuni dei suoi cibi preferiti erano nel frigo per ogni evenienza, anche se la maggior parte delle volte ordinavano pizza: niente di serio o concordato esplicitamente, solo cose che rendevano tutto più semplice visto il tempo che passava nel loft.
Nessuno dei due aveva dato l'idea di averci fatto caso e il resto del branco, di fronte al forte odore di Stiles in quel posto, quasi come se gli appartenesse, non aveva mai proferito parola, visto che i due interessati erano stati i primi a non farlo.
Prese l'ennesima manciata di patatine dalla busta e se la portò in modo piuttosto animalesco alla bocca, finendo per sbriciolarle quasi tutte sul divano, poi allungò l'altra mano verso la lattina di Coca Cola sul comodino di fianco e bevve un lungo sorso, noncurante delle goccioline che gli ripercorsero tutta la gola fino a infrangersi sul bordo della sua felpa.
L'attimo dopo Derek era in piedi davanti a lui, le braccia incrociate al petto e uno sguardo che dava l'idea che si stesse trattenendo dal lanciargli il tavolo contro.
“Mm?” Stiles mugugnò qualcosa a mo' di domanda, le sopracciglia inarcate e la bocca di nuovo piena, una mano nella busta e l'altra che teneva la bibita a mezz'aria: il licantropo prese un profondo respiro, contò probabilmente fino a dieci e quando fece per dire quello che voleva dire, l'altro gli offrì il pacchetto di patatine con molta nonchalance.
Derek ringhiò.
“Avevi detto che dovevi fare dei compiti, no?” sbottò, e subito lui fece per ribattere, ma lo zittì con un'occhiata e “vai a farli e smetti di perdere tempo” continuò imperterrito, il solito tono di quando non ammetteva repliche –e di quando era arrabbiato perché qualcosa lo preoccupava.
Stiles vide Scott e Isaac guardarsi per un attimo, sorpresi e forse preoccupati di fronte a quella reazione che secondo lui era evidentemente eccessiva, ma non si intromisero e alla fine si ritrovò costretto ad alzarsi, prendere con uno sbuffo la sua tracolla e montare le scale senza guardarsi indietro, per poi rinchiudersi in camera.

Passarono tre ore prima che la porta si aprisse, Stiles – seduto sul letto un po' sfatto con il libro di chimica sulle gambe – alzò leggermente lo sguardo ancora un po' offeso e vide Derek entrare a passo strascicato, un'espressione stravolta mentre si passava stancamente una mano sul volto, e di riflesso provò un po' di apprensione nei suoi confronti: qualcosa lo stava decisamente preoccupando.
“Cosa succede, Derek?” abbandonò il libro da una parte quando l'altro si lasciò cadere a sedere in fondo al letto, lo raggiunse in ginocchio da dietro e si sporse su di lui, posandogli piano le mani sulle spalle in un gesto che voleva essere confortante. Il licantropo appoggiò indietro la testa sul suo petto tenendo gli occhi chiusi.
Quando non rispose, Stiles desiderò dargli dello sciocco per il suo continuo volerlo tenere fuori da qualsiasi cosa, nonostante tutto quello che avevano passato insieme, nonostante tutte le volte che si erano salvati la vita a vicenda: Derek aveva sempre l'orrenda abitudine di voler fare tutto da solo, di voler portare ogni peso unicamente sulle sue spalle e di lasciare gli altri fuori, come se non capisse di non essere solo, che quelli intorno a lui odiavano il suo non volersi fare aiutare.
Soprattutto Stiles. Stiles odiava da morire quando gli altri fingevano che lui fosse parte del branco, nonostante il suo essere solo un umano, e poi però lo tenevano all'oscuro di tutto, soprattutto Derek.
Naturalmente il licantropo, per quanto egoisticamente lo volesse, non poteva chiuderlo in una gabbia e impedirgli per sempre di intervenire.

La questione era che nuove creature erano arrivate a Beacon Hills, nuovi guai e nuove minacce da cui Derek, alla fine, non riuscì a proteggerlo.

 


A Stiles girava a testa, gli faceva male come se fosse tutto troppo e voleva dirle di smetterla di parlare a vanvera, sia per il rumore prodotto, che per le immagini che le parole suscitavano nella sua testa confondendolo fino allo stremo, ma lei se ne stava immobile di fronte a lui, le braccia lungo i fianchi e lo sguardo impassibile, e continuava a dire cose per lui completamente senza senso, prendendo ogni cosa con molta calma.
“Mi hai cercata quando andavi ancora alla Beacon Hills High School, Scott McCall era un Alpha e lo stesso vale per Derek” per un attimo si interruppe, come a dargli il tempo di assimilare le informazioni e prepararsi per le seguenti. Stiles aveva subito fatto per ribattere sbalordito a quell'assurdità sul suo migliore amico ma alla fine aveva taciuto sotto quegli occhi “tu e Derek eravate molto legati, eri il suo compagno”
Spalancò gli occhi sorpreso e si sporse istintivamente in avanti, la bocca schiusa per rispondere in qualche modo senza però riuscirci davvero, la guardava come se fosse totalmente impazzita, come se avesse di fronte un alieno, ma quella non si scompose minimamente: dopo quel bacio ce ne erano stati altri, ma lui e Derek non avevano parlato esplicitamente di ciò che poteva comportare quello che era nato tra loro, anche se entrambi lo sapevano. Ma non riusciva a capire come ne fosse a conoscenza lei.
La ragazza parve leggergli nel pensiero.
“Lo so perché ti sto dicendo la verità, Stiles, questo dettaglio si è mantenuto anche qui ma in realtà la tua vita è un'altra” gli sorrise leggermente, quasi comprensiva, di fronte alla sua completa confusione “siete stati insieme per qualche anno, lo hai conosciuto grazie alla trasformazione del tuo migliore amico in licantropo e dopo un po' è successo, eravate follemente innamorati. Come mi hai detto tu per convincermi quando mi hai cercata, eravate destinati

Stiles non riuscì a trattenersi: “Convincerti di cosa?” domandò quasi in un sibilo, corrucciato, come se nel profondo temesse la risposta.

 

Lei lo fissò come se avesse finalmente fatto la domanda giusta.
 


Quella notte erano tornati al loft con qualche graffio, ma decisamente e fortunatamente vivi.
Scott si era accertato che l'amico stesse bene e poi, andandosene via con Isaac, lo aveva lasciato nelle mani di Derek, che per tutto il tempo se ne era rimasto in religioso silenzio, come aspettando di riportare Stiles a casa e di essere soli prima di lasciarsi andare a qualsiasi cosa lo stesse tormentando.
Infatti, non appena erano entrati nel loft e si erano richiusi la porta alle spalle, il ragazzino lo aveva guardato in attesa di vederlo esplodere, ma lui si era limitato a non proferir parola, superandolo velocemente.
“Derek” lo richiamò Stiles con un sospiro, ancora fermo dove – non appena arrivato, come al solito – aveva lasciato le chiavi della Jeep: l'altro stava mettendo a posto cose a caso poco distante da lui pur di non dover dar voce ai suoi pensieri, probabilmente prossimo a una sfuriata, e nessuno dei due si premurò neanche di accendere la luce, accontentandosi di quella lunare che penetrava dalla grossa vetrata.
Quei raggi perlacei colpirono i tagli e le ferite sul volto di Stiles, mettendo in contrasto la pelle pallida e il rosso scarlatto sulle labbra e sul collo, per non parlare dell'alone violaceo che gli ripercorreva lo zigomo destro.
“Potresti almeno guardarmi” sbuffò esasperato, allargando le braccia per poi stringere le labbra con frustrazione, desideroso di lanciargli qualcosa contro per attirare la sua attenzione.
L'importante era solo che fossero sopravvissuti anche stavolta, ma forse era l'unico a pensarla così.
“Der–”
“No, Stiles, no” sbottò in un ringhio il diretto interessato, interrompendolo bruscamente e voltandosi all'improvviso per fronteggiarlo con una strana luce negli occhi “ti avevo detto di non farlo e tu non mi hai ascoltato, non lo fai mai!”
Stiles fece istintivamente un passo indietro, un'espressione ferita in risposta allo sguardo furioso che Derek gli stava rivolgendo, anche se sapeva bene che fosse soltanto per la preoccupazione nei suoi confronti, perché lo amava e lui continuava a cacciarsi nei guai, facendolo dannare.
“Derek, io–”
“Per una sola dannata volta non potevi fare quello che ti era stato chiesto?” continuò imperterrito, ignorando ogni suo tentativo di ribattere, e l'altro seppe che era sull'orlo di perdere il controllo “come fai a non capire che mi è impossibile concentrarmi, se devo pensare prima di tutto a te?”
“Nessuno te l'ha chiesto” si difese velocemente in modo infantile senza riuscire a zittirsi in tempo, e dall'occhiata che gli rivolse Derek, si sentì improvvisamente minuscolo, come un bambino di fronte ai rimproveri del padre: era il suo compagno, stavano insieme e avrebbe sempre messo la sua sicurezza prima di tutto, lui lo sapeva bene. Entrambi lo sapevano bene.
Si pentì subito di aver parlato.
“Davvero, Stiles? L'hai detto davvero?” quasi mormorò l'altro, deluso da quella risposta e sfinito da quella giornata disastrosa, troppo stanco, arrabbiato e allo stesso tempo sollevato per poter realmente mettere su una vera predica, che tanto – come al solito – sarebbe andata sprecata.
Voleva solamente medicare quelle ferite che tempestavano il corpo di Stiles e poi andare a dormire, lasciando al sonno il compito di affievolire ogni emozione e sistemare le cose, mentre si stringevano l'uno all'altro come quasi ogni notte.
L'umano abbassò lo sguardo e sentì una voragine nel petto, mentre il senso di colpa pian piano cresceva, consapevole che ogni sua mossa stupida metteva in pericolo anche Derek, che sarebbe morto prima di far succedere qualcosa a lui. Si strinse le braccia al petto e deglutì a vuoto, reprimendo il pizzicore negli occhi, e alla fine sentì sospirare stremato l'altro: odiava discutere con lui, deluderlo e farlo arrabbiare, preoccupare, voleva solamente baciarlo e poi stringersi a lui prima di addormentarsi, lasciando perdere tutto il resto.
Quella sera il branco di Alpha per poco non li aveva ammazzati, perciò voleva soltanto chiudere gli occhi e ringraziare il cielo per esserne usciti tutti vivi.
Stiles si avvicinò all'altro con cautela, come per accertarsi che l'insopportabile lite fosse davvero terminata, poi lasciò andare il respiro che non si era neanche accorto di star trattenendo quando Derek lo strinse improvvisamente a sé con forza, affondando disperatamente il volto nell'incavo del suo collo e mostrando così tutta la sua debolezza, quanto fosse stato tormentato fino a quel momento, perché per quella sera aveva davvero avuto paura di perderlo.
Ricambiò presto la stretta, maledicendosi di essere la causa della sua apprensione.
“Mi dispiace” mormorò, quando Derek rialzò la testa e lo guardò dritto negli occhi, prima di afferrargli il volto con le mani e baciarlo, ignorando la fitta data dai tagli sulle labbra. La tensione fra loro si sciolse a ogni tocco e il licantropo lo baciò a sua volta, attento a ogni ferita, stringendogli i fianchi quasi a non volerlo far andare via.
“Mi dispiace” ripeté sincero Stiles, quando si allontanarono leggermente per riprendere fiato, poggiando la fronte su quella dell'altro.

 


Kimera lo scrutò dall'alto in basso come se stesse valutando se sarebbe riuscito a mantenere la calma oppure no, quasi come se pensasse che avrebbe dato di matto da un momento all'altro, e quest'attesa provocò in lui ancora più ansia di quanta già non ne provasse, facendolo agitare sul posto impaziente.
“Di cosa dovevo convincerti?” chiese ancora, ormai come se credesse davvero a tutto ciò che lei gli stava dicendo, più preoccupato di quello che ancora non sapeva che della veridicità del resto che aveva già sentito.
“Volevi che io lo riportassi indietro” gli rispose calma, prima di spostarsi distrattamente una ciocca bianca dietro l'orecchio e prendere a rigirarsi fra le dita una di quelle nere: l'altro si accigliò senza riuscire a capire.
“Cosa intendi dire?”
“Intendo dire che quando mi hai cercata, Derek Hale era morto”
L'umano spalancò gli occhi, smarrito e attonito, la gola improvvisamente secca al solo pensiero.
Poi, però, lei aggiunse la cosa peggiore di tutte e allora si sentì come se stesse precipitando nel vuoto: “L'avevi ucciso tu”.
Stiles impallidì.

 


“Se ripenso a tutto quello che è successo nell'ultimo periodo, mi vengono i brividi: non so proprio come facciamo a essere vivi e vegeti e soprattutto sani di mente fra Deucalion, Scott che è diventato un Alpha, quella pazza di una Darach che ci provava spudoratamente con te come se non fossi già impegnato con il sottoscritto, il rituale e il Nemeton...” Derek smise immediatamente di leggere alcuni documenti e abbassò lo sguardo sul ragazzo che aveva parlato e al quale stava distrattamente accarezzando i capelli arruffati con la mano libera, mentre entrambi se ne stavano sul divano del loft, l'umano sdraiato con la testa sulle sue gambe.
“Ah già, proprio sani di mente non direi, ma almeno siamo vivi” aggiunse in uno sbuffo di risata ironico che stonava del tutto con la stanchezza e le occhiaie che gli marcavano il volto in modo innaturale, provocando nell'altro un'espressione dura a quell'allusione sarcastica e fuori luogo.
“Gli incubi stanno peggiorando, non è vero?” chiese infatti di rimando con una smorfia sofferente, riferendosi a ciò a cui aveva portato quel dannato rituale proposto da Deaton a lui, Scott e Allison per salvare i loro genitori dalla morte certa a cui li aveva sottoposti la Darach: Derek c'era stato la prima notte in cui Stiles si era svegliato gridando nel buio, la fronte imperlata di sudore e uno sguardo oltremodo terrorizzato mentre cercava di capire dove fosse, prima che lo Sceriffo entrasse di corsa nella stanza e insieme a lui cercasse piuttosto inutilmente di calmarlo, troppo preso dalle condizioni del figlio per poter commentare la sua presenza lì, anche se sapeva di loro due.
Derek c'era stato quando Stiles aveva iniziato ad avere problemi con la lettura, quel giorno in cui lui se ne stava sdraiato sul letto a farsi gli affari suoi per tenergli compagnia mentre il ragazzo studiava alla sua scrivania. Lo Sceriffo era entrato per controllarli giusto quando Derek aveva iniziato a sentire uno strano odore d'ansia e confusione nell'aria, suo padre gli aveva chiesto se fosse tutto okay e lui aveva risposto di sì: il suo cuore aveva mancato un battito, il licantropo l'aveva sentito.
Stiles non ci aveva messo molto ad ammettere quale fosse il problema.
Deaton aveva detto che le allucinazioni erano date dal rituale, eppure più il tempo passava più la situazione peggiorava, nonostante l'altro cercasse di non darlo troppo a vedere: era arrivato a un punto in cui, Derek ne era certo, aveva perfino paura di addormentarsi.
Nel caso in cui non fosse bastato il suo andare a letto a ore improponibili, ne sarebbero stati comunque una prova evidente gli occhi stanchi e il pallore della pelle, in aggiunta al carattere sempre più irascibile, per niente da Stiles.
“Dimmi la verità” continuò il più grande, rivolgendogli uno sguardo serio e apprensivo.
L'altro perse il sorriso e sospirò, abbandonando ogni maschera, prima di allungare una mano fino a posarla sulla guancia di Derek coperta dallo strato leggero di barba: era impossibile e inutile fingere che andasse tutto bene con lui, non ne era neanche capace.
“Non sono più sicuro se sto sognando o se sono sveglio” ammise con un filo di voce, visibilmente spaventato di fronte a quella realtà che lo perseguitava “non riesco a capire se è tutto nella mia testa o no, sto per impazzire”.

Derek ci fu anche quando tornarono gli attacchi di panico, quando Stiles annaspava in cerca d'aria, incapace di reagire, incapace di capire cosa gli stesse succedendo, paura pura a invadere l'aria che li circondava mentre il sudore ghiaccio gli avvolgeva la pelle, la vista lo ingannava e il cuore gli scoppiava nel petto senza alcuna pietà.
Ci fu quando iniziò a soffrire di sonnambulismo, quando cominciò a sentirsi costantemente disorientato.

Derek ci fu anche quando Stiles, il fiato corto e gli occhi pieni di lacrime, dette finalmente voce alla sua paura più grande: “Penso sia demenza frontotemporale, Derek”
E il mondo crollò sotto i suoi piedi.

 


Stiles sbiancò e fissò la ragazza inorridito, un sorriso tremolante e isterico a delineargli le labbra socchiuse, mentre un senso di nausea si impossessava del suo stomaco e le parole gli morivano in gola. E inoltre tutte quelle nuove immagini, lontani ricordi per lui apparentemente mai vissuti, gli stavano invadendo la testa sempre più in modo confusionario, facendolo impazzire.

“Cosa hai detto?” sibilò sconcertato, percependo anche un moto di rabbia nei confronti di lei, che stava sicuramente mentendo, quasi infastidito di fronte al pessimo scherzo, perché era impossibile. Tutta quella situazione era impossibile.
Kimera mosse di nuovo una mano e anche dietro di lei si plasmò quello che pareva un trono completamente bianco uguale al suo, si mise a sedere, accavallò elegantemente le gambe e, con entrambe le braccia poggiate mollemente sui braccioli, lo fissò dritto negli occhi.
“Non eri del tutto te stesso quando lo hai ucciso, tranquillo” continuò, come se la cosa fosse confortante.
“Comunque, nella speranza che le mie parole ti abbiano stimolato giusto qualche ricordo...” e si fermò un secondo, in attesa di vederlo annuire come conferma “...non starò a spiegarti proprio tutto. Eri posseduto da un demone chiamato Nogitsune e Derek è morto nel tentativo di liberarti, mi hai cercata poco dopo e mi hai pregata di aiutarti perché, e qui ti cito, eravate destinati a essere e non potevi vivere senza di lui”

 


Era iniziato tutto con lo Sceriffo che metteva piede nel loft, un paio di manette in mano e lo sguardo dritto su quello che ormai non era più suo figlio. Si era avvicinato con prudenza, quasi avesse avuto paura di vedere l'altro trasformarsi in qualcosa di mostruoso proprio di fronte ai suoi occhi, e gli aveva parlato come nella speranza che suo figlio prevalesse sul demone, ma quello che all'apparenza era Stiles si era limitato a una teatrale scenata in cui si era fatto ammanettare, prima di rivolgergli un ghigno derisorio e liberarsi da solo.
Poi erano arrivati anche i rinforzi.

Ora Scott e Allison erano rispettivamente uno alla sua sinistra e l'altra alla sua destra, entrambi con un'espressione cauta in volto come se avessero davanti un animale imprevedibile, di fronte a lui Chris Argent gli stava puntando una pistola contro, nonostante lo Sceriffo e Derek gli stessero intimando caldamente di abbassarla, tutti pronti allo scontro.
“Papà, Derek...” lo voce di Stiles era una tale distrazione, che rendeva praticamente impossibile la realizzazione che in realtà non era davvero lui a parlare “vuole spararmi, vuole uccidermi”.
Il Nogitsune fece di tutto per alimentare la tensione già palpabile, da una parte pregando falsamente in preda al panico e alla paura i due cari all'umano che aveva posseduto, dall'altra provocando furbamente l'uomo che minacciava senza troppi problemi di piantargli una pallottola nel petto, ponendo così fine a tutto: quando Scott e Allison si resero conto che Stiles lo stava facendo di proposito, ormai era troppo tardi.
La prima a reagire fu la cacciatrice, che nella distrazione generale si fece avanti per bloccare lui che a sua volta aveva iniziato ad agire, ma fu respinta con noncuranza, come fosse niente.
Fu soltanto quando anche Scott tentò di bloccarlo, che gli altri tre si accorsero che erano stati mossi come pedine: l'Alpha fu fermato con semplicità, senza neanche il bisogno di dedicargli troppa attenzione, e l'attimo dopo fu scaraventato contro la ragazza già a terra.

“Stiles oppone resistenza” annunciò il Nogitsune irritato, come se la cosa causasse seri problemi a tutti i suoi loschi piani, e fu allora che il suo sguardo infuriato si posò su Derek Hale, perché se fosse riuscito a togliere di mezzo lui, allora il ragazzino che ancora si ostinava a intralciarlo si sarebbe completamente arreso al suo comando.

Kimera trovò Stiles il giorno dopo – quando ormai era libero e se stesso – dopo aver sentito la sua richiesta disperata di aiuto diretta a nessuno che potesse sentire.

Lo trovò ancora in ginocchio, solo, le mani e il corpo ricoperti di sangue ormai quasi totalmente secco e sicuramente non suo, gli occhi rossi e gonfi e le guance rigate dalle lacrime incontrollate che ancora scendevano ininterrottamente, l'espressione stravolta e angosciata, distrutta, il respiro alterato quanto il battito del cuore, di fronte a lui un corpo inerme circondato da una pozza rosso scarlatto proveniente dalle svariate ferite, ma soprattutto da quella voragine al centro del petto.
“Ho detto che dovete andare via!” il grido lacerò la gola del ragazzo, affranto e inconsolabile, furioso, probabilmente con se stesso, provocandogli un dolore fisico insulso in confronto al resto di ciò che provava, mentre le dita avvolgevano con forza i capelli e i denti si stringevano così tanto da fargli sentire un assordante suono nelle orecchie, il sapore delle lacrime e del sangue che gli riempiva fastidiosamente la bocca.
“Lasciatemi solo!” pianse in modo soffocante, ormai fuori di sé, quasi impazzito, rivolto a quelli che probabilmente aveva già cacciato prima, ma che in realtà non erano lì come lui pensava.
“Lasciatemi solo” ripeté fra i singhiozzi, stavolta più piano, sfinito, quasi in un sussurro, prima di cadere in avanti in modo arrendevole su quel corpo già morto e aggrapparsi tremante a quel petto squarciato, in un lamento feroce e straziante che sembrava interminabile.

 


Stiles aveva le guance rigate, il respiro mozzato in gola di fronte a quel ricordo per niente sbiadito e terribilmente vivido che gli occupò la mente, come ogni singolo sentimento che gli riempì il petto come se non avesse mai smesso di dolergli. Fremette all'immagine di Derek, il suo Derek, morto fra le sue braccia, il suo sangue sul suo corpo e la consapevolezza pungente di essere stato lui a ridurlo in quel modo.
Non riuscì a proferire parola, mentre gli occhi bruciavano e lui tremava.
La ragazza sembrò comprenderlo.
“Non hai chiamato direttamente me, hai semplicemente chiesto aiuto preso dal momento” riprese a spiegare pacatamente, come fosse incerta se l'altro la stesse ancora ascoltando o no “ma è uno dei miei compiti, perciò sono venuta da te e ti ho spiegato chi sono: io sono l'Ancora, Stiles, sono l'essere Originale che tiene insieme i vari mondi, sono il primo vampiro, il primo licantropo e la prima strega, e una delle mia capacità coinvolge il controllo del tempo”.
Si interruppe per scrutarlo silenziosamente, mentre lui fissava un punto davanti a sé senza davvero vederlo, ancora scosso dai nuovi ricordi acquisiti, incapace forse di distinguere quelli e la vita vissuta fino a quel momento, dove lui era sì innamorato di Derek, ma era tutto completamente e dannatamente diverso. Non si sorprese neanche troppo di fronte a quella spiegazione: vera o no, non sarebbe stata comunque l'unica stranezza della sua esistenza.

“Quando te l'ho detto, tu mi hai pregata di cambiare le cose perché voi vi amavate, perché eri stato debole e questo lo aveva portato a una morte ingiusta, per mano tua ma per volontà di un demone che si era impossessato di te”.
Stiles si sentì sprofondare a ogni singola parola.
“Ma certamente saprai che niente è mai semplice, io ho deciso di proporti delle possibilità alternative e nell'attesa di rendere realizzabile la tua richiesta, ti ho mandato qui, dove non lo conoscevi e dove avresti potuto vivere qualcosa di diverso. Dal nostro incontro ti sembrerà passata una vita adesso che lo ricordi, ma in realtà ogni cosa che hai vissuto è successa contemporaneamente in linea temporale, io ho solo momentaneamente interrotto il corso degli eventi”
“Adesso hai tre possibilità, Stiles, posso rimandarti indietro a quando mi hai chiesto aiuto e imparerai col tempo a convivere con la morte di Derek, posso farti continuare a vivere questa vita in cui lo hai incontrato un giorno in una villa abbandonata e in cui l'esistenza dei licantropi è nota, oppure posso far ricominciare daccapo quella vita in cui lo hai perso, dandoti un'altra occasione”
“In ogni caso tu non ricorderai chiaramente il resto di quello che hai vissuto in alternativa, ti sembrerà tutto un sogno vago, soprattutto se sceglierai l'ultima opzione e in quel caso avrai la possibilità di incontrarlo di nuovo, innamorarti di nuovo e ripercorrere il tuo percorso, ma il vostro futuro sarà unicamente lasciato nelle mani di quello che tu dici essere il vostro destino: se davvero siete destinati allora non dovrai preoccuparti, io però ti assicurerò unicamente che non sarà lui a morire per mano del Nogitsune”
A quel punto Kimera smise di parlare e attese che Stiles assimilasse ogni cosa, prima di fare la sua scelta.
Il ragazzo ci mise un po' a riprendersi.
“Quindi mi stai dicendo che posso lasciarlo morto a causa mia, costringerlo a una vita con me – una vita in cui non ho controllo di me stesso tra le altre cose – o dargli la possibilità di non innamorarsi di me per la terza volta?” domandò ironicamente con la voce un po' strozzata per l'agitazione, lei alzò gli occhi al cielo e poi scosse la testa delusa.
“Confidavi molto sul vostro amore” lo rimproverò, facendogli di riflesso abbassare lo sguardo “comunque tu hai il controllo di te stesso e non c'è niente che non vada, ero solamente io a decidere quando potevate incontrarvi, ero io ad animare la casa ed eri affetto da alcuni dei sintomi del Nogitsune, ma se sceglierai la seconda possibilità la smetterò con i risvegli incontrollati e i sintomi passeranno”.
“Oh bene... Io–” ma si interruppe, non sapendo molto come ribattere.

“La scelta è tua, devi solo capire cosa vuoi” gli disse calma, facendogli intendere che era arrivato il momento “devi solo capire in cosa confidi davvero”.
Stiles la fulminò con lo sguardo, poi si passò l'avambraccio sugli occhi per asciugare le lacrime e si alzò sicuro.

“Io ho già scelto”

 


Epilogo


Scott McCall aveva sistemato con cura la sua attrezzatura da lacrosse, poi si era allenato un po' e alla fine si era lavato i denti, probabilmente pronto per andare a letto, ma un rumore fuori dalla sua finestra lo distrasse all'improvviso catturando la sua attenzione e l'attimo dopo, abbandonando completamente l'idea di dormire, uscì fuori il più piano possibile con una mazza da baseball fra le mani: per poco non gli prese un attacco d'asma quando Stiles, il suo migliore amico, sbucò dal nulla a testa in giù davanti a lui, appeso a chissà che.
Urlarono entrambi per lo spavento nel buio della sera inoltrata.
Ma sei impazzito?! Che diamine fai?” sbottò, cercando di riprendere fiato.
L'altro fissò l'arma improvvisata e nel frattempo, dalla sua posizione sfavorevole, tentò malamente di alzare le braccia in segno di resa, sperando di non essere colpito alla cieca in pieno volto.
“Tu non rispondevi al telefono!” si lamentò, come se fosse una spiegazione sufficiente per giustificare il suo essere appeso fuori casa sua, poi tornò a guardare la mazza da baseball e “cosa ci fai con quella?!” guaì con un tono fin troppo acuto, ancora con il cuore palpitante.
Scott l'abbassò e lasciò andare un sospiro.
“Pensavo fossi un ladr–”
“Sì, sì, molto interessante, ma senti qua: mio padre è andato via venti minuti fa, stanno richiamando tutti gli agenti federali del distretto di Beacon e anche la polizia” lo interruppe con poco garbo, proponendogli i fatti come se fossero grandiosi, e quando l'amico gli chiese il perché, lui gli rivolse un'espressione soddisfatta ed elettrizzata: “Hanno trovato un corpo nel bosco”.
E con un balzo fin troppo agile scese giù sul prato, rialzandosi poi in piedi e appoggiandosi alla balaustra.
“Cioè un morto?” domandò Scott sorpreso, sporgendosi per guardarlo mentre quello si ripuliva con una mano i pantaloni dai vari residui della sua scalata spericolata, Stiles lo fissò come se fosse un idiota, sconcertato, e “no, il corpo di un vivo” borbottò sarcastico.
Poi si arrampicò e scavalcò la ringhiera, affiancandolo così sulla terrazza “sì, stupido, un cadavere!”.
“Un omicidio?” si interessò l'altro, ignorando l'offesa ironica, ormai abituato al carattere di quello che definiva suo fratello.
“Non si sa ancora, so che era una ragazza di circa vent'anni” gli rispose con l'aggiunta di una scrollata di spalle, come se stesse parlando del tempo e non del ritrovamento di un morto.
“Ma se hanno trovato il corpo, allora che stanno cercando?”
“Qui viene il bello” ghignò ancora più entusiasta, non riuscendo a trattenersi “ne hanno trovato solo metà!” e con uno sguardo eloquente, lo invitò ad andare con lui: poco dopo erano già nella riserva di Beacon Hills.

Fra i vari discorsi e le varie risposte pungenti si inoltrarono nel bosco, illuminati unicamente dalla debole luce lunare e dalle torce.
“Per curiosità, quale parte del cadavere stiamo cercando?”
“Ah... Non ci avevo pensato”
“E se l'assassino fosse ancora da queste parti?”
“Non ho pensato neanche a questo”

Naturalmente, come il ragazzo fortunato che era, la sua avventura fu interrotta dopo poco dall'arrivo di suo padre, lo Sceriffo, che – senza rendersi conto di starsi lasciando dietro uno Scott piuttosto intimorito dalle circostanze – lo trascinò via fino alla macchina.

I due si ritrovarono solamente il giorno dopo a scuola, con lui che tentava di fargli credere che la ferita che aveva sul fianco – e che si era procurato nella riserva quando l'amico l'aveva praticamente abbandonato a se stesso – fosse il morso di un lupo e Stiles che lo informava che non era possibile, perché i lupi non si trovavano più in California da ormai ben sessant'anni, causandogli la più completa confusione.
Messo da parte l'argomento, Scott aveva annunciato di aver trovato l'altra metà del cadavere: il resto della giornata scolastica era trascorso con lui che si comportava in modo strano e dava straordinariamente il meglio di sé a lacrosse e Stiles che non vedeva l'ora di andare a indagare non appena fosse uscito da quella prigione.

Poi finalmente erano usciti ed erano tornati nella riserva.
Scott gli stava elencando tutte le stranezze che lo avevano perseguitato per tutto il giorno, l'udito sensibile, l'olfatto, e allora iniziarono a pensare alle mille possibilità: un'infezione, magari, per il morso dell'animale che lo aveva aggredito la notte prima, ma Stiles preferì la fantasia e, prendendolo in giro, optò per la licantropia.
Fra una battuta e l'altra riguardo la notte di luna piena e l'argento, arrivarono fino al punto in cui il ragazzo aveva detto di aver trovato il corpo e perso l'inalatore per l'asma, ma, naturalmente, non ci trovarono niente di tutto ciò. Scott si chinò a terra e iniziò a cercare.

Fu Stiles a vederlo per primo.
I suoi occhi si posarono sulla figura che all'improvviso era poco distante da loro e sobbalzò vistosamente, richiamando l'attenzione dell'altro animatamente: il nuovo arrivato si mosse verso di loro, mentre lui se ne stava con le mani nelle tasche dei jeans e lo scrutava sorpreso, Scott immediatamente in piedi al suo fianco.
“Che ci fate qui?”
Stiles lo osservò corrucciato, ignorando il tono minaccioso della sua voce, e istintivamente si passò con fare nervoso una mano fra i capelli corti, chiedendosi perché all'improvviso sentisse il proprio respiro pesante, mentre la testa iniziava a dolergli leggermente, strane immagini perlopiù sfocate gli occupavano la mente senza che riuscisse a distinguerle davvero.
Una parola gli stava fastidiosamente sulla punta della lingua.
Il ragazzo sconosciuto ricambiò il suo sguardo duramente, ma per un attimo – per occhi attenti, quali naturalmente non erano i loro – parve destabilizzato per qualcosa di incomprensibile.
“Questa è proprietà privata” si affrettò ad aggiungere, cercando probabilmente di spaventarli con quel suo tono e quel suo modo di fare: Stiles si inventò che non ne avevano idea, zittendosi subito per quella irritante sensazione che voleva portarlo a dire qualcosa, senza che però sapesse cosa fosse, e Scott aggiunse un po' balbettando che stavano cercando una cosa, interrompendosi un po' intimidito.
Il tipo, come leggendogli nel pensiero, tirò fuori dalla tasca l'inalatore e glielo lanciò, poi – senza aggiungere altro, se non un'ultima occhiata incerta a Stiles – se ne andò, lasciandoli di nuovo soli.

Stiles lo fissò mentre si allontanava, lo sguardo leggermente sgranato e il battito confusamente alterato, poi capì cosa gli stesse premendo sulla punta della lingua e, senza davvero sapere lui stesso come avesse fatto a riconoscerlo, si rivolse a Scott: “Amico, quello era Derek Hale”.

E in cuor suo, inaspettatamente, sapeva che quello era solo l'inizio di qualcosa di importante.



 

Fine






*Come avrete notato, nei flashback ho ripercorso un po' (a parte il primo^^) gli avvenimenti della terza stagione, dal branco di Alpha al Nogitsune.
**La scena nel loft in cui Chris minaccia il Nogitsune e lo Sceriffo all'inizio tenta di far ragionare Stiles, è quella del telefilm (nella fic ho praticamente tolto tutto ciò che viene dopo quello, avendo modificato gli avvenimenti), ma in quel caso Scott non c'era, erano solo Chris, lo Sceriffo, Derek e Allison. 

Angolo della pazza: 

(T.T) Allora... Sinceramente non posso credere di aver finito questa fic, non ci speravo davvero e ora mi sento un po' (molto) depressa ^^" ma vabbuò.  
Ci ho lavorato parecchio e sinceramente fra quelle che ho scritto, è quella che mi piace di più. (Ed è anche la più seria, devo dire...) 
Mi sono affezionata (?) e ora è già conclusa, damn. 
Cooomunque, ai ringraziamenti ci penso dopo, ora parliamo un po' di questo capitolo: è un casino, eh? Spero davvero di essere riuscita a spiegare ogni cosa e che l'idea si capisca! 
Prima di tutto, Kimera è un personaggio inventato da me, la roba dell'Originale (obv) mi è venuta in mente grazie a The Vampire Diaries con la famiglia immortale di vampiri dei Mikaelson e l'ho rigirata un po' con licantropi e streghe perché... Beh, perché mi serviva una tizia capace di fare una cosa del genere. Inoltre, per quanto riguarda l'aspetto, mi ispirava così ^^" 
Poi... Stiles all'inizio di tutto viveva in un'altra sorta di dimensione, quella di questi flashback, una dimensione in cui la sterek era molto canon e che io vedo un po' tipo come storia pre-telefilm, in cui poi la morte di Derek ha portato Stiles a trovare un modo per ripartire da zero e quindi ha portato poi di conseguenza alla trama effettiva del Teen Wolf che conosciamo tutti (nell'epilogo come avrete notato ho ripreso la prima puntata e ho usato i suoi vaghi ricordi per giustificare il fatto che lui conosce il nome di Derek, mentre Derek reagisce un po' confuso perché lo ha riconosciuto come suo compagno o comunque Stiles lo ha colpito), in cui però lui e gli altri non hanno memoria di quello che è successo prima e quindi non sanno di star rivivendo tutto (???) e fra il pre-telefilm che ho raccontato in questo finale e il Teen Wolf vero, c'è quello che ha coinvolto praticamente tutta questa fanfiction, in cui si dimostra che in qualsiasi occasione Stiles e Derek finiscono per innamorarsi.
Questo finale lascia mooolto spazio alla fantasia, perché praticamente da qui parte il vero telefilm e quindi ognuno può pensare che loro - visto che sappiamo tutti che tanto, che Jeff lo dica o no, loro si amano - alla fine si troveranno di nuovo, con la differenza che Derek non morirà per il Nogitsune (e invece Allison sì ç.ç), oppure che tutto procederà come ha scelto Jeff, con Derek che alla fine se ne andrà via. 
E quindi niente... Questo è tutto. ç_______________________ç
Spero solamente che la storia sia riuscita e che vi sia piaciuta  (Se qualcosa non si capisce o comunque per qualsiasi domanda, basta un messaggio ^^)
Grazie mille a dida kinney per avermi lasciato un pensiero allo scorso capitolo e grazie mille anche alle persone che hanno messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate e me fra gli autori preferiti.

Alla prossima, 
Lawlietismine 

Bonus ♥ 

 
  
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