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Autore: Leonhard    24/03/2016    5 recensioni
Alla fine il suo mondo si era sempre ridotto a quello: un intero universo, il suo, che partiva dalla porta e finiva alla finestra. Ed in mezzo lui, in silenzio, ad interrogarsi sul perchè una cosa come quella era successo proprio a lui: un'altra domanda che non avrebbe mai avuto risposta. Aveva affrontato Streghe, Cavalieri, mostri di ogni tipo e poi era arrivato bello bello un RubRum Dragon che aveva provveduto a mettergli addosso una catena che mai, mai sarebbe riuscito a togliersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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TO REVIVE


Le pillole gialle nella tasca di Laguna fecero il loro lavoro per cinque anni. In quell'arco di tempo fece ciò che non aveva mai fatto, tutto ciò che non aveva mai fatto: restaurò i rapporti con FH e con Galbadia, tenuti per troppo tempo sui carboni ardenti, tagliò il nastro del primo Garden di Esthar nella storia del paese e fece rifiorire il suo orto privato.

Ma sopratutto ebbe l'occasione di fare il padre: Squall era stato messo in terapia, sotto quello che Odaine aveva chiamato progetto Oblivion. Qualche ora dopo, una glaciale Shiva evocata davanti a loro avrebbe puntualizzato che quello che le stavano chiedendo si chiamava baratto e che tecnicamente non poteva farlo ma per Squall avrebbe fatto un'eccezione. E poi era una transazione troppo ghiotta per non indurre in tentazione qualunque altro GF.

“Perdita di ricordi selettiva?” aveva commentato la creatura.

“È possibile dargli dei ricordi di un'altra persona?” aveva chiesto Laguna. Il GF era apparso scandalizzato, ma ritrovò immediatamente dopo la sua compostezza e la sua espressione insensibile.

“Dipende” rispose. “Dai ricordi che volete avere e da quelli che volete darmi”.

“Vorrei i ricordi di un medico” intervenne Squall: sapeva che Shiva aveva un debole per lui ed era una prova la rapidità con cui ogni volta rispondeva alla chiamata e da quanto fosse insignificante il ricordo che gli prelevava ogni volta. “Vorrei diventare un medico”.

“Ed in cambio cosa avrò?” chiese Shiva, rompendo di poco la sua patina di permafrost.

“Prenderai tutti i ricordi che ha della mia vita al Garden e tutti gli insegnamenti che ha avuto al suo interno” replicò Laguna. “Nonché il ricordo del suo nome”. Shiva si zittì per qualche secondo, scrutando il giovane con un'espressione quasi preoccupata.

“Ci saranno degli effetti collaterali” disse poi piano. “Quei ricordi sono la radice di molti altri: dimenticherai di aver conosciuto i tuoi amici. Dimenticherai come evocarci”.

“Devo farlo, Shiva” disse Squall, deglutendo piano. Si volse poi verso Laguna. “Spiegherai loro la situazione, vero?”.

“Certo” annuì il presidente. Mentiva, ma andava bene così: suo figlio si sarebbe dimenticato anche quella bugia che aveva accettato di dire.

Non deve avere alcun tipo di rapporto con il Garden; per il mondo lui sarà morto su quell'elicottero e noi ci comporteremo come se fossimo parte del mondo. Cid era stato categorico su quel punto e sui notiziari e sui quotidiani sarebbe comparso quel messaggio: avrebbe informato il Garden che Squall era libero. Invieremo la nuova identità di Squall nell'istante in cui la notizia comparirà in televisione: era una celebrità a tutti gli effetti e la notizia della sua morte farà il giro del mondo in tempo zero.

Così, mentre Squall dormiva nel coma farmacologico indottogli da una flebo di Medicina dell'Eroe, i documenti falsi di quello che oramai era un morto vivente pervennero sulla scrivania del presidente di Esthar, assieme ad uno scarabocchio su un post-it: l'ultimo messaggio del preside Cid riferito a Squall Leonhart era breve ma pregno di significato.

Che sia libero.

Laguna, con gli occhi lucidi di lacrime non piante, gettò il bigliettino nel tritacarte e lesse i documenti nella busta marroncina, cacciandosi in bocca una pastiglia gialla ed inghiottendola intera.

Lo sarebbe stato.



Dopo cinque anni, tuttavia, le medicine smisero di fare effetto: immunizzazione, l'aveva chiamata Odaine, e nel giro di un mese il cancro fece il suo lavoro e se lo portò via. A Laguna successe Kiros Seagill e Ward divenne il consigliere.

Assistette alla cerimonia in prima fila, come unico parente del defunto: Laguna venne seppellito accanto a sua madre, Raine Leonhart. Proprio lì accanto, una lapide sempre pulita, sempre circondata da sgargianti fiori multicolore e candele.

Squall Leonhart.

A distanza di anni, ancora non capiva il motivo per cui un eroe come Squall Leonhart avesse voluto essere seppellito in un posto sperduto come quello. A cerimonia finita, rimase ancora per qualche momento sulla lapide del padre, con la testa invasa da pensieri che mai aveva fatto: non era del tutto sicuro che lui e Laguna fossero mai andati a pescare insieme, e quello fu solo uno dei rimpianti che proprio lì, su quel pezzo di lucido marmo, sentì e scoprì.

Accettò le condoglianze da amici e collaboratori e colleghi del padre di cui lui aveva solo un vago ricordo e, all’imbrunire, si sedette finalmente in macchina, guidando verso Deling City. Si sentiva un cerchio alla testa mentre altre lacrime minacciavano di vincere la resistenza delle palpebre stanche ed arrossate: davvero non vedeva l'ora di tornare nel suo appartamento, farsi una doccia calda ed infilarsi sotto le coperte.

L'appartamento era silenzioso e buio, come ogni volta che tornava a casa. Gettò stancamente la giacca sul divano e si sedette sulla poltrona, liberando nell'aria uno sbuffo esausto: era solo, era stanco, era

libero

sudato ed invaso da polline. La doccia fu un toccasana; rimase sotto il getto d'acqua per quello che gli parve un tempo infinito, godendosi il piacevole picchiettare dell'acqua tiepida contro il corpo tonico. Uscendo dal box doccia la prima cosa che cercò fu l'asciugamano.

La seconda fu il bastone.

Dopo l'incidente d'auto aveva passato mesi infernali di dolorosa riabilitazione, che aveva portato a quel risultato. Una gamba offesa era molto più di quanto l'equipe di medici capitanati da Odaine in persona aveva previsto e lui stesso non poteva lamentarsi: l'alternativa sarebbe stata la sedia a rotelle e si era sempre anche solo rifiutato di immaginare come sarebbe stato.

Conoscendosi avrebbe tentato il suicidio.

 
--- o ---


Rinoa non era mai stata un'amante delle folle, ma era una cosa che ormai non poteva più evitare; almeno non dall'uscita del suo ultimo libro. Aveva perso Squall, ma a modo suo era andata avanti; il Garden non aveva più nulla da offrirle e l'aveva lasciato dopo appena un anno. L'opera che l'avrebbe annoverata tra le scrittrici più lette ed apprezzate di quella generazione era nata come sfogo, come tentativo di buttar fuori tutta la nostalgia e la sofferenza che sentiva nei confronti di un uomo che non poteva ricordarla.

Era stata scoperta per caso e la stesura dell'ultima parte della storia, dettata dalla speranza nascosta di un miracolo, l'aveva scritta velocemente, circondata da bicchieri di caffè. Il libro era uscito dopo qualche settimana e da quel momento era stato un crescendo di popolarità e convocazioni e fiere e presentazioni, a cui non mancava mai di allungare istintivamente lo sguardo per cercare QUEL volto familiare.

Alla presentazione ad Esthar poi, l'eccitazione provata nel riconoscere Laguna si era trasformata in delusione nel constatare che c'era soltanto Laguna in modo talmente repentino che non riuscì a mascherarla bene.

“Sta bene” le aveva detto poi, in privato. “Ma non posso dirti dov'è, Rinoa. Mi dispiace, ma Cid è stato estremamente chiaro ed anche io capisco il motivo per cui nessuno deve conoscere i suoi spostamenti”. A lei erano bastate quelle parole ed aveva annuito, prima di salire sul palco a presentare il suo libro, bellissima nella sua camicetta verde acquamarina accompagnata dai pantaloni color beige chiaro.

Parlò a lungo e rispose a domande; diede risposte piacevoli, curiose, ma anche sofferte e nostalgiche. Da dove era nata l'idea, se si era ispirata a qualcuno in particolare, se pensava di fare un seguito: come poteva fare un seguito?

Dopo la presentazione, seduta ad un tavolo privato con Laguna, si era fatta raccontare quel poco che poteva dirle su Squall e si sentì genuinamente felice nel sentire che si era costruito una vita nuova, lontano dal rigore militare in cui era cresciuto e da cui era stato educato per tutta la vita. La paralisi alle gambe si era ridotta ad una gamba offesa ed a quella notizia una lacrima le scavò il trucco.

“Vorrei tanto vederlo...” mormorò. Laguna non seppe fare altro che sospirare e scuotere la testa.

“Mi dispiace...” rispose.

Il suo libro divenne un best seller e a distanza di cinque anni veniva ancora riconosciuta e lodata per quella storia così toccante e commovente. Autografi e dediche erano quotidiani anche a distanza di cinque anni e ogni volta che leggeva quel titolo, così pregno di significati che solo lei conosceva, sentiva quella fitta che le impediva di dimenticare, di andare avanti con la sua vita, magari di innamorarsi nuovamente e di mettere su quella famiglia che per anni e da anni desiderava.

Scese dal treno e s'incamminò verso casa di suo padre; aveva promesso di passare a trovarlo un giorno che fosse capitata da Deling City e lei ci era andata apposta. Non le avrebbe fatto male dopotutto tornare in quella casa, da un padre che si era riscoperto desideroso di riallacciare con lei quel rapporto che non avevano mai veramente avuto. Era appena uscita dalla stazione quando il telefono trillò nella sua tasca: il numero sullo schermo era quello di Zell. Non si sentivano da almeno due mesi.

 
--- o ---


Il dottor Leonhard Loire, al tempo Squall Leonhart, uscì dalla sala operatoria e diede la lieta notizia ai parenti del paziente: era stata un'operazione alla cistifellea, ormai roba di routine, ma immaginava che anche in quel caso era una faccenda del tutto diversa stare al di qua della porta che dava alla sala operatoria.

Vide la luce riaccendersi negli occhi della donna davanti a lui e sul suo viso si schiuse un sorriso che esprimeva una rara felicità.

“Grazie dottore” esclamò. “Hyne gliene renderà merito”. Lui annuì una volta sola, disegnando un lieve sorriso complice prima di salutare ed andare a cambiarsi. Era passato un mese dalla morte del padre e l'affogare il dolore nel lavoro aveva dato i suoi frutti e poteva dire di sentirsi abbastanza bene. E poi gli piaceva il suo lavoro: si sentiva a proprio agio come dottore e l'ospedale di Deling City era piena di persone che l'avevano conosciuto durante il suo tirocinio.

L'orologio lo informò che era ora di coprire il turno al pronto soccorso; normalmente non lo faceva, ma il dottor Marchisi stava uscendo da una crisi coniugale e gli aveva chiesto di coprire il suo turno per un paio di giorni. Leonhard, desideroso di più lavoro in cui affogare la nostalgia del padre, aveva accettato su due piedi. Indossò il camice e zoppicò fino al reparto.

Verso la metà del suo turno venne mandato nella stanza otto. Si sentiva il braccio leggermente intorpidito dallo sforzo che doveva fare sul bastone ed il suo umore ne aveva risentito, guastandosi leggermente. Sostò per qualche momento davanti alla porta, sospirò ed entrò nella stanza.

Accanto al letto vi erano quattro ragazzi, ad occhio suoi coetanei, e steso sul lettino vi era un quinto, con una gamba stretta in una fasciatura rossastra. Dieci occhi saettarono verso di lui e si spalancarono dopo qualche secondo, attoniti e sorpresi come se stessero guardando la cosa più strana al mondo. Il ragazzo sul lettino ruppe il silenzio.

“Che mi venga un colpo...” borbottò, con una voce che esprimeva sorpresa. Leonhard tossicchiò una risata e chiuse la porta.

“Spero di no, ma nel caso è nel posto giusto...” rispose. Nel silenzio generale si avvicinò al lettino e prese la cartellina appesa ai piedi del letto. “Seifer Almasy. Sono il dottor Leonhard Loire: cosa è...successo...?”. La voce scemò lentamente, mentre guardava le espressioni attonite e stupite degli altri ragazzi presenti nella stanza. “Qualche problema?”.

“Scusateci dottore” prese parola una donna con gli occhiali. “Lei ci ricorda un nostro vecchio amico”. Leonhard annuì, intuendo che forse non era il caso di indagare oltre.

“Allora? Che è successo?” chiese nuovamente.

“Noi siamo SeeD” cominciò un ragazzo biondo con un grosso tatuaggio sullo zigomo sinistro. “Eravamo in missione ed il nostro compagno è stato ferito da un Adamanthard: ecco il referto della nostra infermiera”. Il dottore lesse il foglio: frattura del femore con sospetta lacerazione dei tessuti interni.

“Ho capito” borbottò. “Beh bisogna mettere a posto l'osso o non si salderà bene. Allora Seifer: ho bisogno di sapere quanto reggi il dolore”.

“Ma che scherza dottore?” replicò lui, con un sorriso di sfida. “Io sono un SeeD”. Leonhard annuì con un sorrisetto.

“Non lo metto in dubbio, ma il dolore alle ossa è il più acuto che il corpo umano può generare e sto per farle parecchio male” replicò.

“Wow, un attimo!” esclamò il biondo, improvvisamente allarmato. “Come sarebbe a dire?”.

“Tenetelo fermo” ordinò secco il medico, con quello stesso tono con cui, in un passato che non ricordava, dava istruzioni a quegli stessi SeeD presenti nella stanza. Obbedirono senza fiatare. Prese saldamene i due capi della frattura e si mise in posizione. “Allora Seifer; al tre”. Il ragazzo prese a respirare profondamente.

Il conteggio di Leonhard arrivò a malapena al due, poi torse la gamba: nell'aria risuonò per qualche istante il ripugnante schiocco delle ossa, poi fu sovrastato dall'urlo di dolore di Seifer, che rimbombò per tutto l'ospedale.

“CRISTO SANTO, SQUALL!” ruggì il ragazzo. “MA TI HANNO INSEGNATO A CONTARE O NO?”.

“Seifer!” esclamò Quistis, scandalizzata, ma il dottore scosse la testa prendendo delle bende pulite.

“Non si preoccupi” disse serio. “Capita spesso che mi confondano con Squall Leonhart. Sinceramente non capisco il motivo, dato che è morto cinque anni fa…”.

Se avessero chiesto ad ogni singolo componente della squadra, Seifer incluso, non avrebbero saputo dire se quello che faceva loro più male fosse quel tono distaccato con cui Squall parlava di sé stesso, il fatto che dava loro del lei oppure per l’espressione: era tranquilla, serena, in qualche modo finalmente

libero

in pace con sé stesso.

“Beh, un po’ le assomiglia…” osservò cauto Zell, pregando di non ricevere una delle famigerate gomitate di Quistis. “Forse sarà per questo…”.

“Forse…” assentì lui fasciando stretto la gamba del biondo ed ignorando i grugniti di dolore. Tutti notarono l’espressione di Zell illuminarsi di una sorda inquietudine e lo sguardo saettare alla porta e poi all’orologio tranne il dottor Leonhard, che scrisse frettolosamente qualcosa su un foglio. “Beh, tra qualche minuto l’infermiera vi condurrà in sala gessi: dovrà tenerlo per un paio di mesi e stare a riposo. Questa è l’esenzione dall’attività SeeD. Ora scusatemi ma ho altri pazienti…”. Quistis annuì e salutò con un sorriso largo quanto falso.

“Ti prego Zell, dimmi che non hai chiamato Rinoa…” mormorò Irvine, nell’istante in cui il camice bianco del dottor Loire scomparve dietro l’angolo ed il tonfo dello zoccolo del bastone si fece più sordo e lontano.

“Eh…” mormorò il ragazzo grattandosi la testa. Era una domanda retorica, ovviamente: l’espressione colpevole del ragazzo valeva più di mille parole. “Se vuoi non te lo dico…”.

“Adesso capite perché continuo a chiamarlo gallinaccio?” sbottò Seifer, irritato per il dolore alla gamba immobilizzata. “Hai il cervello di un Lesmathor”.

“Ma cosa potevo saperne io che avremmo trovato Squall?” replicò lui, nervoso ed irrequieto.

 
--- o ---


La telefonata di Zell aveva risvegliato ricordi che per sempre sarebbero stati troppo vividi e troppo dolorosi, per una serie di motivi che sinceramente non riusciva a mettere su una scaletta. L'ospedale di Deling City, per dirne una, dove era stato ricoverato Squall e dove era morta sua madre, il fatto che si trattasse di Seifer e che si era ferito, come Squall, durante una missione, che fosse stato nuovamente Zell a chiamarla ed a farla precipitare in quell'atrio, esattamente come era successo con Squall.

Squall, Squall, Squall.

Seriamente, come poteva fare una scaletta?

“Buongiorno” salutò, appoggiandosi al bancone della reception. “Avete ricoverato un certo Seifer Almasy?”. L'uomo dietro il bancone digitò il nome sul terminale ed annuì dopo qualche secondo.

“Sì; è in sala gessi in questo momento” disse. Le indicò il corridoio dietro di lui. “Secondo piano a destra”. Rinoa ringraziò e si avviò verso l'ascensore con passo spedito. Arrivò al secondo piano e si avviò velocemente verso il reparto gessi, mancando di udire i passi dietro l'angolo accompagnati da un ritmico tonfo secco, come di un bastone.

L'urto la colse di sorpresa ma barcollò solamente, riuscendo in qualche modo ad aggrapparsi ad una fila di sedie lì accanto. Il povero malcapitato non fu altrettanto fortunato: stramazzò a terra con uno stupito verso strozzato; il bastone che volò qualche metro più in là la informò che aveva appena atterrato uno zoppo ed il camice bianco precisò che la sua vittima era un DOTTORE zoppo.

“Oh santo Hyne!” esclamò. “Mi dispiace! Scusi! Si è fatto male?”. Preda dall'adrenalina, si volse e raccolse il bastone, poi si sporse verso la figura per cercare di fare qualcosa e tutto quello che seppe fare fu immobilizzarsi.

Rinoa in quel momento non avrebbe saputo dare un nome a ciò che sentiva, anzi non avrebbe nemmeno saputo spiegarlo. Si riempì gli occhi con quei folti capelli castani, quei lineamenti marcati ma gradevoli, quegli occhi grigi che la guardavano con curiosità mista ad una piccola, impercettibile punta di rimprovero.

“No, tutto bene signorina” disse. “Lei?”. C’era anche la voce, bassa e penetrante come la ricordava, ma condita da un senso di quiete e di tranquillità che era del tutto nuova da lui, ma che già sapeva che avrebbe popolato i suoi pensieri per molto, molto tempo. Boccheggiò, senza riuscire a muovere un muscolo; si accorse di non avere forze sentendo il bastone, fino a qualche istante prima stretto nella mano, piombare nuovamente al suolo con un tonfo secco. Impallidì e si sentì mancare, mentre la sua testa cominciò a vociare, come e fosse al centro di una piazza piena di gente.

Squall. Quello è Squall! Oddio. Squall! Cosa? Lei? Mi ha dato del lei? Porco Ifrit, ho atterrato Squall! Squall.

Il ragazzo la guardò con più attenzione, poi si sporse in avanti per come la posizione gli consentiva.

“Signorina! Si sente bene?” chiese, leggermente allarmato. Allungò rapidamente la mano verso il bastone e si mise in piedi; in un attimo fu accanto a lei.

“Tu...io...non...” biascicò. Le passò un braccio dietro la schiena, guidandola verso le sedie dietro di lei: il suo tocco le fece girare la testa ancor più velocemente.

“Si sieda” invitò il ragazzo, chiamando subito dopo un'infermiera di passaggio. “Serve un bicchiere d'acqua qui”.

Riuscì a non svenire per un motivo sconosciuto. Rinoa trangugiò l'acqua coltivando il sordo desiderio di qualcosa di molto più forte; sfidò la sorte ed alzò uno sguardo tentennante verso il dottore. Quegli occhi grigi non la lasciavano, guardinghi ed attenti, mentre la delicata pressione della sua mano sulla spalla era ciò che la teneva ancorata in quello che non esitò a definire il più bel sogno della sua vita. Gli occhi attenti si fecero sospettosi e la scrutarono per qualche secondo, prima di allargarsi con una luce di comprensione.

“Ma lei è Lenore!(*)” esclamò.

“Cosa...?” mormorò lei, persa: lei era Rinoa ma se lui voleva chiamarla così andava bene, purché non lasciasse la sua spalla. Il dottore annuì.

“Ma sì! La scrittrice!” puntualizzò lui. “Mia sorella va matta per i suoi libri!”. La felicità la prese come l'alta marea, un'onda anomala. La prima lacrima le tracciò un solco e scoppiò a piangere senza ritegno; non si controllò e premette la testa contro la pancia di Squall, quantomeno stupito dalla reazione. Il vociare nella sua testa aveva cambiato registro, ma era ancora assordante.

Squall. Mi da del lei. Sua sorella. Scrittrice: ti conosce come scrittrice. L'hai trovato, ma non si ricorda di te. L'hai trovato.

Sentire le sue mani contro le spalle non limitò quella felicità con uno strano sapore agrodolce, che non le permetteva di riprendere il controllo: il tocco era incerto, il suo odore rimandava alle corsie ospedaliere in cui

era rinato

aveva vissuto e gli inviti a calmarsi erano lontani e distaccati, esattamente come il dottore che, tanti anni prima, l'aveva consolata dopo averle spiegato che sua madre si era addormentata ma non si sarebbe più svegliata. Ma era Squall, il suo Squall, e quella era una consapevolezza in cui la sua mente si sarebbe persa per ancora qualche secondo, prima di ricordarle che non lo era più.

 
--- o ---


Leonhard guardava la figura premuta contro di lui, in lacrime; era sicuro di non averla mai incontrata, ma in qualche modo percepiva una strana sensazione: si sentiva incredibilmente felice, come se avesse ritrovato una persona cara da tempo perduta.

Si divise da lei e si appoggiò al bastone, a disagio: lo sguardo che la giovane donna gli rivolgeva racchiudeva il panico disperato. Sentendo che era la cosa giusta da fare si sedette sulla sedia accanto, si volse a guardarla asciugarsi gli occhi con un sorrisetto imbarazzato.

“Mi deve scusare dottore” mormorò con voce rotta. “Non…non so veramente cosa mi sia preso”.

“Un po’ di stanchezza?” azzardò cauto, interrogandosi su quella strana empatia che non riusciva a sopprimere. Lei annuì. “Beh, capita anche ai migliori di crollare: non si preoccupi signorina Lenore”.

“Rinoa” disse lei. “Mi chiamo Rinoa Heartilly”.

“Leonhard Loire” si presentò lui.

Parlarono. E null’altro. Rinoa non si soffermò a riflettere che lui stava conoscendo una persona che lo amava e che aveva amato: lo scoprì come dottore presso l’ospedale di Deling City e fu quando lo guardò zoppicare via, richiamato all’ordine dal cercapersone che prese la sua decisione. Passò a trovare Seifer ed il sorriso sul suo volto disteso informò i SeeD di quello che era successo. Da parte loro ci fu solo solidarietà e sorrisi complici, che le diedero tacitamente un permesso di cui lei non aveva bisogno.

Lo aveva sentito. Il loro legame esisteva ed era saldo; la Strega ed il Cavaliere erano figure che l’oblio donato dai GF non era riuscito a cancellare e lei non avrebbe mai permesso che una cosa del genere capitasse.



Un mese dopo guardò l’orologio del suo appartamento appena messo a nuovo, nella zona residenziale di Deling City e capì che era giunto il momento. Si fece una doccia e si pettinò accuratamente, prima di prendere la teglia sul piano cottura ed uscire. Attraversò la strada e quando fu su quella soglia si fermò, prese un bel respiro e suonò il campanello.

Per qualche secondo spaziò, perdendosi in quelle iridi grigie che la guardavano meravigliate attraverso la folta chioma castana, poi il suono della sua voce la riscosse. Squall, anzi il dottor Leonhard Loire, era sorretto dal suo bastone, indossava una camicia turchina ed un paio di jeans; dall’interno della casa si spandeva un delizioso profumo di soffritto.

“Salve…” salutò, con un sorriso smarrito. La ragazza sentì il trasporto di molti anni prima e fu con uno sforzo non indifferente che riuscì a non salutarlo con un bacio. Invece sorrise il suo miglior sorriso.

“Buonasera Leonhard” disse, porgendogli la teglia coperta da un foglio di alluminio. “Mi sono appena trasferita nell’appartamento dall’altra parte della strada e ci tenevo a conoscere i miei vicini”. Il ragazzo prese il piatto con un’espressione a metà tra il divertito e l’incuriosito.

“Sapevo che funzionava al contrario” osservò. “Non dovrei essere io a farle visita?”.

“Sì…però sono una che canta fuori dal coro” rise lei, con l’argento vivo addosso. Il ragazzo scartò la teglia e studiò il contenuto.

“Crostata di mirtilli” constatò. “La mia preferita! Grazie”. Il suo sorriso si fece più ampio, la sua felicità più immensa. Rimasero sulla soglia per qualche secondo, in silenzio, cercando non le parole ma il coraggio di dirle.

“Beh…io adesso vado” disse lei, agitando timidamente la mano. Fece tre passi e si sentì chiamare.

“Senti…Rinoa” chiamò Leonhard. Con il cuore a mille si volse verso di lui. “Mi stavo per mettere a tavola…se non hai ancora mangiato, vuoi farmi compagnia?”. Il suo cervello urlò un’assordante sì, ma deglutì quella risposta repentina ed istintiva.

“Non disturbo?” chiese. Lui scosse la testa.

“Assolutamente no” rispose lui, con un sorriso. “Se ti piace la pasta…”.

“Vado matta per la pasta...”.

“E allora che aspettiamo?”. La sua risata era cristallina, gioviale e Rinoa si sarebbe impegnata a godersela per tutta la vita: lo giurò a sé stessa varcando quella soglia.

Fu qualche ora dopo che notò il suo romanzo accuratamente riposto sulla libreria. Lesse i caratteri lucidi che nominavano con quel titolo la sua storia.

La loro storia: la storia sua e quella di Squall.

Il Cuore del Leone.



(*) Per quelli che non lo sanno, Lenore è il nome che in origine era stato pensato dalla Square per Rinoa.



NOTA DELL’AUTORE:

Cari miei lettori, siamo giunti alla fine. Ho voluto rendervi partecipi del mio compleanno con questa storia, finalmente completa, che spero vi abbia divertito e che vi sia piaciuta.

A breve tornerò con una nuova fic, ma fino ad allora io vi saluto. Ringrazio tutti coloro che leggono queste righe e che magari leggeranno anche le righe future che scriverò.

Un saluto a tutti.

Leonhard
   
 
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