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Autore: PeaceS    26/03/2016    1 recensioni
Sequel di 3.00am
Lord Voldemort sembra scomparso: nascosto nell'ombra e in attesa di recuperare le sue forze, ricorda ai suoi avversari sporadicamente la sua presenza. Sono passati due anni e le premesse di Angelique si sono avverate: lui non è nel pieno delle sue forze e Albus Potter viaggia ininterrottamente per trovare un modo - un piano - che possa salvarli tutti. Nel mentre, Chrysanta Nott ritorna, ma il suo cuore appartiene già a qualcuno.
Il tempo passa e la verità sta per venire a galla: la vera identità di Scorpius sta lottando per uscire e lei, nonostante cerchi di cancellare ciò che è stato, sa che non sarà così facile.
Jackie Alaia e Joanne Smith giocano con i morti e Dalton Zabini con un libretto che, due anni prima, aveva reso Lily un mostro senz'anima.
Alice Paciock è passata al lato oscuro e si dice che suo fratello, ora, sia in giro per Londra... a dissanguare innocenti - e cercare di evitare l'unica donna che avesse mai amato, Roxanne Weasley.
Lucy Weasley, invece, è sempre più vicina al suo destino. E tra Mangiamorte, Demoni e Angeli, sente il fuoco dell'inferno cercare di bruciarla da dentro.
Lucifero è dentro lei.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, James Sirius/Dominique, Lily/Scorpius
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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  • A.A.

Prima di iniziare con il capitolo, mi sono ritagliata questo piccolo “angolo autrice” per scrivervi qualcosa che mi sta molto a cuore.
Sono anni oramai che scrivo e non mi sono mai trovata in una situazione del genere; insomma, non mi sono mai preoccupata dei seguiti o delle recensioni che mi venivano fatte e per me anche solo il fatto di averne era oltre che un piacere quasi un onore.
È con le recensioni che sono cresciuta come “scrittrice” e sono stati i pareri – sia negativi che positivi – ad aiutarmi in tutto e per tutto. Oltre allo slancio e all'entusiasmo, mi smussavano e caratterizzavano nello scrivere – facendomi notare errori e bravure.
Ma ora mi trovo quasi... sola. Io vedo che il "Il Trillo" viene visitata, ma non sento praticamente nessuno (né pubblicamente, né in posta privata qui su EFP e né sul mio contatto personale di Facebook). Nessuno di chi legge si è preoccupato di dirmi cosa andava bene o cosa non andava bene ed è solo questo. Nel senso che io non voglio la recensione in sé, pubblicamente, perché voglio farmi figa o altro, ma vorrei semplicemente qualcuno che dopo aver letto mi dicesse cosa gli è piaciuto o meno o che mi faccia notare solo qualche errore di battitura.
Non smetterò di pubblicare per questo, è certo, ma comunque rallenterò di molto la storia e darò priorità ad altri “progetti” miei, che posso migliorare.
E niente, ora vi lascio al capitolo.
Buona lettura!





VII.

 

 

 

“Guardami”
La voce di Tom era affilata, quasi nevrotica e Chrysanta lo fissò, accendendosi l'ennesima sigaretta di quell'infinito ed esasperante interrogatorio.
Aspirò con forza dal filtro e quasi si divertì nel constatare che i suoi stessi occhi blu le ricambiavano lo sguardo... ma erano molto più arrabbiati, vivi e incapaci di perdonare dei suoi. Lei non era viva da un bel po' di tempo.
“Sto aspettando una risposta” bisbigliò suo fratello – quasi disperato – passandosi una mano tra i capelli scuri e per poco strappandosene una ciocca. Era così ferito da non riuscire nemmeno a piangere, come quando da bambini il loro papà si rinchiudeva nello studio e si rifiutava di vederli e sentirli.
“Non so proprio cosa tu ti aspetta che io ti dica” rispose Chrys, buttando fuori il fumo dalle narici dopo l'ennesimo tiro.
Tom le guardò il volto più maturo, etereo dall'ultima volta che l'aveva visto e bevve la sua immagine. Si beò delle ciglia scure e dei boccoli bruni. Si beò della sua pelle pallida e del suo sorriso birichino. Dei suoi occhi vuoti. Spenti. Bui. Non la riconosceva più.
“La verità. L'unica cosa che voglio è la più fottutissima e sincera verità!” urlò con quanto fiato avesse in gola, colpendo con un pugno il tavolino di legno basso che li divideva. Le tazzine di porcellana caddero sulla moquette e il tè si rovesciò fino ai loro piedi. Così vicini. Così distanti.
Chrysanta sorrise, spegnendo il mozzicone della sigaretta proprio sulle rilegature d'oro del legno fatto a pezzi.
“La verità è che sono scappata via come un cane, perché non avevo il coraggio di affrontarvi – di uccidervi –.” bisbigliò con la gola secca e la voce di chi sta raccontando un fatto lontano, estraneo.
Si passò una mano sul viso e sospirò stancamente, ignorando l'entrata silenziosa di Dalton nella sua stanza a Zabini Manor – dove era stata quasi tenuta prigioniera per una giornata intera quando Tom ce l'aveva sbattuta dentro senza sentire né se e né ma.
“Poi sono stata all'inferno” continuò e Tom sogghignò ironicamente.
“Oh, così mi spezzi il cuore, sorellina” cinguettò sarcastico e Chrysanta scosse il capo, mordendosi la bocca carnosa e già resa rossa dalle precedenti torture inflitte dai denti.
“Non puoi capire” sussurrò, spostando ora gli occhi su Dalton. Era supplichevole e quest'ultimo non capì. Anche a lui aveva detto di essere stata « all'inferno » ma non capiva. Non riusciva a capire cosa intendesse veramente.
“Cosa? Cosa non posso capire? Che hai passato un inferno perché ci hai tradito? E noi cosa dovremmo dire?” sbraitò Tom, incredulo – guardandola e non riconoscendo niente di lei. Nemmeno il suo sguardo, che si rifletteva nel proprio – gemello. Nemmeno i suoi capelli scuri, lunghi come li ricordava e simili in tutto e per tutto a quelli della loro nonna materna.
La maledizione delle Greengrass.
“Tu non capisci. Non capisci” gemette ancora, dondolando su se stessa.
Allora Dalton attraversò la stanza a grandi falcate – inginocchiandosi ai suoi piedi e afferrandola dolcemente per le mani, deciso, intristito, addolorato. “E allora facci capire. Permettici di capire, di perdonare e dimenticare” mormorò, raggiungendo piano le braccia e infine il volto.
Lo accarezzò con i pollici e quasi pianse. Sì, da uomo adulto e maturo quasi pianse al suo cospetto; era seduta su un trono fatto a pezzi come una regina caduta e sembrava una bambola infinitamente bella... e vuota. E distrutta.
“Non posso. Ve lo giuro, non posso” singhiozzò – aggrappandosi alle sue mani.
Chrysanta Nott era seduta su un trono fatto a pezzi come una regina caduta e mai come in quel momento Tom credette nella maledizione. La donna che aveva condannato la stirpe femminile delle Greengrass aveva usato una delle più crudeli pene esistenti al mondo e lui ricordava bene quel monito, quelle parole che avevano deciso il destino di tutta la dinastia.
« E sarà nel pentimento, nel dolore e nel totale disamore che nasceranno e cresceranno le prossime generazioni dell'erba verde.
Rigogliose e splendide come le stesse figlie di Venere e Giove e capaci di stregare – ammaliare, incantare e irretire come solo la grande Trivia è mai stata in grado di fare. E verranno amate. E verranno venerate. E saranno la grande Madre Terra, simili ad un'asse o un'ancora, mentre il resto un qualsiasi mare o sole o singolo granello di polvere che gli sosti o volteggi attorno. E resteranno vuote – morte – insensibili.
Le prossime generazioni dell'erba verde saranno la parte marcia del giardino e per quanto immortali possano essere agli occhi degli altri, il loro cuore arido le ucciderà prima del compimento reale del loro cammino. »
Tom non aveva mai voluto crederci. Mai. Ma poi aveva visto sua madre, che non era riuscita ad amare nemmeno sangue del suo sangue. E poi aveva visto sua sorella... che aveva tradito sangue del suo sangue ed era stato costretto a crederci.
Entrambe erano la reincarnazione di ciò che quella zingara aveva predetto, lettera dopo lettera, aggettivo dopo aggettivo – come se le avesse plasmate lei stessa con le proprie mani. E Tom non aveva mai voluto crederci, ma era stato costretto a crederci.
“Non vuoi o non puoi?” sussurrò proprio lui, alzandosi lentamente dalla poltrona su cui era sprofondato subito dopo la propria sfuriata, ormai sfibrato da tutta quella manfrina. Voleva solo Rose e il suo profumo sulla pelle. Voleva solo ritornare a poche ore prima – quando si era trovato in una moltitudine di colori e seta a letto con lei e la testa completamente e totalmente lontana dalla questione « Chrysanta. »
“Non posso, Tom” rispose allora sua sorella, con le lacrime a adombrarle gli occhi e bagnare il viso. Alzò il mento con fare orgoglioso, nonostante Dalton lo circondasse ancora con le mani grandi e scure e lo fissò con aria di sfida.
Chrysanta. Quella era sua sorella. La sua orgogliosa, stronza e figlia di puttana di sua sorella.
“Cosa hai combinato, allora?” domandò, quasi curioso di sentirsi dire l'ennesima bugia.
“Quando prima ci hai parlato della questione « essere stata all'inferno » subito dopo averci tradito... non dicevi in senso letterario, vero?” sussurrò Dalton, terrorizzato, guardandola con gli occhi spalancati e il fiato ad ostruire il normale funzionamento dei polmoni.
Chrysanta. Con la sua bocca rossa paragonabile al peccato originale.
“Cosa? Sei stata all'inferno?” sbottò Tom, spalancando la bocca di scatto.
Chrysanta. Con la sua pelle diafana – così pura, delicata, marchiabile.
“All'inferno, inferno?” ripeté Nott, come se quella fosse una balla fin troppo sgamabile per essere una vera e propria balla.
Chrysanta. Con il suo corpo da sirena e la promessa di paradiso nelle iridi blu notte.
“Santissimo Merlino...” soffiò Dalton, accasciandosi sulle propria ginocchia. Chrys era stata « all'inferno, inferno » nel senso reale della parola per assumere quel colorito verdastro al solo pronunciarla. Ed era inconcepibile.
“Il mondo fuori di qui, fuori dal « nostro mondo », è così vasto che... voi non potete capire. Ci sono cose là fuori di cui noi non immaginiamo nemmeno l'esistenza e siamo maghi” disse la Nott, abbassando lo sguardo e facendo apparire sul viso l'ombra di quello che un tempo doveva esser stato un bel sorriso.
La maledizione delle Greengrass. Avere tutto e non sentire niente. Avere tutto e non possedere – amare – mai niente.
“Io mi sono fatta divorare, è questa la verità. Prima tutti gli sbagli e gli errori che ho combinato nel corso dei miei anni e poi il picco, la cosa più sbagliata, erronea, stupida che potessi mai fare. Tradirvi. E gioirne.
Tradirvi e stare bene” continuò, affossandoli ancora di più. Li guardò entrambi con la morte nel cuore e scosse il capo – meno ammaliante di quando l'avevano vista la prima volta quella mattina. In quelle condizioni, la maledizione sembrava quasi aver vinto e lei veniva avvolta dal buio.
“E quel picco mi ha trascinato definitivamente giù, in un posto che era un agglomerato delle mie paure e angosce. Dei miei dolori, sbagli ed errori” masticò cauta, scegliendo bene le parole. Sembrava dosare ogni singola frase – formulata con un attenzione meticolosa...quasi come se avesse paura di farsi scappare qualcosina in più.
“Smettila con i giri di parole!” sbottò Tom, afferrando il primo pacchetto di sigarette che gli capitò sotto tiro e accendendosene una con mani tremanti, mentre Chrysanta scuoteva energicamente il capo.
“Non posso. Non posso dirvi le cose come stanno, sono vincolata, ma posso cercare di farvi capire... non so se mi spiego” disse cauta e Dalton prese un grosso sospiro per riordinare le idee.
Bene. Chrysanta era stata all'inferno ed era vincolata da qualcosa – o qualcuno – che le impediva di dire le cose come stavano e spifferare ciò che aveva subito. Doveva esercitare silenzio di tomba, se non voleva finirci dentro per davvero e loro avevano bisogno di qualcuno molto, ma molto intelligente per decifrarla.
“Bene, io vado a cercare Rose!” si alzò Dalton, facendosi guardare strano da entrambi i fratelli Nott.
“Rose? E a cosa ti serve Rose?” borbottò Tom, sbattendo ingenuamente le ciglia scure e guardandolo senza capire. Chrysanta sogghignò, invece, fissandolo ironica.
“Ma stanno ancora insieme?” ridacchiò tutta perfida, ricordando ai ragazzi di quando ad Hogwarts strofinava diabolicamente le mani nel venire a sapere una qualche loro relazione.
“Chiamo Rose perché tra i due è quella con più logica e intelligenza. E anche quella con più sangue Granger nelle vene” soffiò fuori Dalton – incrociando le braccia al petto come se avesse fatto la scoperta del secolo.
“Giusto” acconsentì Tom, sedendosi di nuovo accanto alla sorella e quasi spaparanzandosi. Ma l'espressione che aveva assunto non gli piaceva per niente.
“Cosa hai intenzione di fare? Non ti faccio uccidere tua sorella per poi farti fare sesso con Rose sul suo corpo. Ci serve” e come sempre Dalton fu cacciato fuori da casa sua a calci in culo – oggetti volanti e bestemmioni che anche i giocatori d'azzardo nei peggiori bar dei Caracas si sarebbero messi le mani sulle orecchie per la vergogna.
Si materializzò piagnucolando come un bambino, aggrappandosi alla propria fiaschetta di whisky portatile e chiedendosi cosa avesse fatto male nella propria vita per meritarsi tutto quello; prima veniva cornificato, poi riappariva quella traditrice sangue avvelenata di Chrys e infine veniva picchiato da Tom. Cosa? Cosa aveva fatto? La sua bellezza, intelligenza e fascino erano un offesa così grande per gli Dei, che cercavano sempre di rendergli la vita un inferno? O era Dio – che lo considerava la sua migliore creazione e voleva temprargli lo spirito, per renderlo assolutamente perfetto?
“Dalton? Sei tu?” borbottò una voce femminile, interrompendo il filo dei suoi pensieri.
Dalton alzò gli occhi su quelli di Rose, chiari e limpidi oltre il vetro degli occhiali da vista e sorrise – quasi facendo le fusa.
“Oh, Rosie! Rosina, Rosellina mia!” piagnucolò, quasi lanciandosi ai suoi piedi e ignorando totalmente di essere osservato da altri quattro paia d'occhi.
“Dalton! Ma che succede...?” si allarmò la ragazza, dandogli alcune pacche sulle spalle e cercando di tranquillizzarlo – mentre quel porco le abbracciava le gambe e vi ci strusciava contro.
“Il tuo fidanzato, quel maiale traditore, mi ha cacciato fuori di casa perché io gli ho impedito di fare sesso con te sul cadavere di sua sorella!” si disperò Dalton. Rose sbiancò, avvicinandosi pericolosamente al colore biancastro dei ceri e guardò dritta davanti a sé con un espressione orripilante dipinta sul volto privo di trucco.
“Dalton...” lo richiamò con tono tremulo – quasi come se volesse avvertirlo di qualcosa. Qualcosa che si avvicinava ad un « Chiudi quella fogna di bocca che ti ritrovi » et similia.
“Cosa ho detto di male, hm? Ho solo impedito una cosa macabra e contro natura e poi Chrys ci serve viva” si lamentò ancora, mentre i clienti di Rose la fissavano come se fosse un insetto particolarmente schifoso, ma questa aveva smesso di guardarli quando aveva sentito il nome Chrysanta.
“È tornata?” sussurrò, con una mano sul cuore e l'altra aggrappata saldamente alla scrivania di mogano scuro. Era girata verso di lui ed era speranzosa.
Dalton divenne improvvisamente serio. Rose Weasley – che non aveva condiviso metà della sua esistenza con Chrys – sperava che lei fosse tornata... e lui e sangue del suo sangue non erano riusciti a fare altro che sputarle addosso il proprio rancore. Abbandono. Dolore.
“Sì. È a casa, ma c'è un problema molto, ma molto grande” mormorò, stringendole un ginocchio con dolcezza.
Rose lo guardò dall'alto e lui sospirò – annuendo. “Dobbiamo andare a casa” continuò e senza che se lo facesse ripetere due volte, la ragazza si era già alzata di scatto e infilato il cappottino di volata – scusandosi con i clienti e prendendo il volo.
Già. Rose Weasley, che non aveva condiviso metà della sua esperienza con Chrys, e volava appena si chiedeva aiuto per lei. E lui e sangue del suo sangue non erano riusciti a fare altro che sputarle addosso il proprio rancore. Abbandono. Dolore.
E rabbia per non essere stati abbastanza per lei.

 

✞ ✞ ✞

 

Laurie Sheeley era sicura del proprio corpo. Insomma, aveva due bocce enormi, una forma a clessidra da fare invidia a Marilyn Monroe e due gambe chilometriche che le modelle Babbane di Victoria Secret potevano solo sognarsele – e non si poteva proprio avere di più.
Gli uomini cadevano ai suoi piedi e mai, mai in vita sua era stata rifiutata da qualcuno. Tranne da Harry James Potter. Tranne dal bambino che per sfortuna era sopravvissuto.
“Maledizione! Ma cosa dovrei fare, hn? Quello non molla di un centimetro” sbottò verso Amanda – l'unica amica che era riuscita a farsi lì al corso d'Auror. Tutte le altre avevano troppa paura di lei e del suo piccolo e insignificante vizio di essere attratta dagli uomini sposati.
Ma loro non erano mica sposati, insomma!
“Che cosa credevi? Il signor Potter è sposato con Ginevra Weasley. La grande Ginevra Weasley, mica con una qualunque!” rise Amanda, ciondolando le gambe oltre il lungo tavolo e guardando gli altri svolgere le solite e noiose mansioni.
Si attorcigliò una ciocca di capelli scuri attorno al dito, senza notare lo strano bagliore nello sguardo verde foglia di Laurie – che aveva appena storto il labbro carnoso con superiorità.
“Nulla di che. Il signor Potter potrà essere sposato anche con la Madonna, a me può fregarmene di meno” sibilò indispettita, guardando davanti a sé con una strana determinazione a dare slancio alle sue parole.
“Madoche?” borbottò Amanda, facendole alzare gli occhi al cielo.
“Lascia perdere!” sbottò, dandosi slancio e scendendo dal tavolo con aria scocciata. S'infilò le mani nel retro delle tasche della divisa, mentre la lycra delineava il suo fondoschiena perfetto.
“Quindi cosa hai deciso di fare?” domandò Amanda – prima che Laurie se ne andasse. Quest'ultima le mostrò un sorriso splendente, riavviandosi i capelli scuri con un gesto secco.
“Lo vedrai presto, tesoro” ridacchiò, schioccando le dita e uscendo dalla Sala Meeting con gran stile. Congiunse le mani dietro la schiena e ciondolò per i corridoi – pensando al suo magnifico e geniale piano.
Oltre ad avere un corpo da urlo e non essere mai stata rifiutata da nessuno, Laurie Sheeley era anche intelligente. Sicuramente più intelligente della « grande » Ginevra Weasley. Tse.
Cos'aveva di così straordinario quella donna? Laurie proprio non riusciva a concepirlo! Aveva dei capelli orrendamente arancioni, dei banali occhi marroni e una propensione storica nel rompere le palle. E lei lo sapeva perché la maggior parte delle sue sfuriate erano state proprio lì, al Ministero.
La GRANDE Ginevra Weasley. Puah. Laurie ci sputava sopra la « grande » e stupida matrona di casa Potter.
“Oh cielo, Sheeley! Quelle rughe sul viso ti uccideranno tra un paio d'anni” sogghignò Roxanne Weasley, appoggiata contro una colonna accanto all'immensa finestra presente ogni quattro metri lì al Quartiere.
Al nuovo Ministro piaceva così tanto la luce che aveva reso quel posto una vera e propria scuola – consentendo a molti Auror, funzionari o addetti a violare più volte il cartello « vietato fumare » affisso su qualsiasi superficie libera.
“Oh, Weasley! Bentornata.
Pensavo stessi ancora curando il tuo fidanzatino” soffiò Laurie, sorridendo con aria superiore.
Già. Quando si era inimicata la GRANDE Ginevra Weasley, aveva quasi dimenticato tutto lo strascico che si portava dietro. E che comprendeva la bellezza di una ventina e passa di femmine completamente e assolutamente pazze.
“Meglio curare il mio fidanzatino che avere una vita così misera e insulsa da togliermi le mutande un passo sì e l'altro pure” cinguettò Roxanne, chiudendo la canna che aveva tra le mani con agilità e smontandole l'allegria.
“Almeno l'uomo che amo io non è un brutale assassino” sibilò Laurie e stava dando a Roxanne un ottimo motivo per mollarle un cazzotto sul naso, se prontamente – con una flemma invidiabile – non le interruppe Molly.
“Oh cielo, Laurie, cara! Quelle rughe sul viso ti uccideranno tra un paio d'anni!” esclamò preoccupata, ripetendo le stesse e identiche parole di Rox – che non se la sbaciucchiò in bocca giusto perché conservava un briciolo d'orgoglio.
Sheeley divenne un solo tic nervoso e spalancò la bocca di iena in una smorfia disgustata. “Oh, eccone un'altra. Weasley, ti trovo bene. E il braccio, come va?” cinguettò velenosa e stavolta Roxanne si alzò le maniche – partendo di quarta – se non fosse stata interrotta, di nuovo, da una quarta voce.
“Meglio della tua faccia sicuramente” borbottò Edivad Stewart, la cotta secolare di Molly. Fissò con gli occhi blu intrisi di disgusto la faccia di quella stronza « gallinella », come l'aveva apostrofata la prima volta che se l'era ritrovata al corso Auror.
“Vedrete... vedrete, un giorno!” minacciò Laurie, fissandoli furiosa e andandosene sbattendo i piedi a terra come una bambina capricciosa.
Edivad scosse il capo – chiedendosi cosa avesse fatto di male nella sua lunga e misera esistenza per meritarsi delle reclute così.
“Quella è fuori di testa” sibilò a nessuno in particolare, trattenendosi dall'alzare le braccia al cielo e invocare Dio.
Un Dio che quel giorno lo odiava particolarmente.
“Ciao, Ed” sorrise Molly, con i suoi bellissimi capelli biondo\rossicci raccolti sulla nuca. Quel giorno era quasi più luminosa del solito e lui, con un ringhio a fondo gola, cercò di essere civile e non saltarle letteralmente addosso.
“Weasley. Weasley rompiballe” salutò, soffermandosi con una vena pulsante sulla tempia su Roxanne, che ricambiò il saluto angelica come non mai. “Non sai leggere i cartelli, maledetta d'una Weasley?!” lo scimmiottò – prima che lui potesse effettivamente rimproverarla con quelle esatte parole. Parole che ripeteva da anni oramai e che, nonostante quella rossa della malora ne avesse imparato a memoria ogni singola sillaba, continuava ad ignorare bellamente.
“Il giorno in cui questo Ministero sarà libero dalla vostra razza, sarà sempre troppo tardi” sbottò – pentendosene subito dopo, come sempre, quando incontrò il sorriso gentile e solare di Molly.
“Penso proprio che vi lascerò da soli. Ciao, ciao, piccioncini!” ridacchiò, beccandosi dietro un bestemmione da parte di Ed e un'occhiata imbarazzata da Molly.
“Ed... volevo chiederti una cosa” sussurrò proprio lei, poggiando la mano sul suo braccio con una delicatezza che gli fece attorcigliare con dolore le viscere.
“Dimmi” sospirò, passandosi una mano tra i capelli castani macchiati appena d'argento sulle tempie.
“Io...beh, io...” balbettò Molly, cercando di trovare le parole giuste.
Ad Hogwarts non aveva mai avuto quei tipi di problemi. Sarà stato il carattere tipico dei Weasley o non avere alcun handicap a farla sentire sbagliata – sola, inamabile – ma ora stava sudando freddo.
Se avesse rifiutato, lei lo avrebbe capito. Nessuno voleva al proprio fianco una bambola orrendamente sfigurata. E inutile. Inutilizzabile.
“Tu, cosa?” la spronò Edivad, curioso.
Molly arrossì ancora di più e nascose il viso tra i capelli prima di sganciare la bomba. “Michiedevosetiandavadicenareconmequestasera!” disse tutto d'un fiato – mentre Ed sgranava gli occhi perché non aveva capito un cazzo e lei si tratteneva dallo schiaffeggiarsi violentemente la fronte.
“Eh?”
“Mi chiedevo se ti andava di cenare con me, questa sera” ripeté più lentamente, senza osare ricambiare il suo sguardo.
Molly era così carina da potersela mangiare con gli occhi, ma Ed non voleva – non poteva – rovinarla con la sua infelicità. Con il suo essere tremendamente sbagliato. Lei meritava qualcuno di migliore.
Qualcuno che non era lui.
“Non credo che sia il caso” mormorò – pentendosene subito dopo, come sempre, quando incontrò gli occhi feriti della ragazza... che sfoggiava il suo solito sorriso come nulla fosse.
L'aveva ferita. E si odiava per quello.
“Oh beh... ciao, allora. Ci vediamo presto” disse velocemente, stringendosi al petto le solite cartelle che si portava perennemente dietro.
“Molly!” cercò di chiamarla, ma lei se l'era già data a gambe.
L'aveva ferita. Lui aveva ferito il sole e si odiò profondamente per quello.
Maledizione!
“Cosa le hai fattò?” Louise gli apparve alle spalle e quasi gli causò un infarto – fissandolo con un misto di pena e forse... sì, forse rabbia. Un sentimento che non aveva mai visto sul suo visino angelico.
Louise era l'unico dei cugini Weasley a non sbandierare al mondo il suo legame con il resto della famiglia ed era anche l'unico a strafregarsene grandemente dei problemi che quelle teste calde e rosse condividevano tra loro come se fossero una sola cosa.
“Cosa le hai fattò?” ripeté con quell'accento ridicolo e uno sguardo di fuoco.
“Niente” sussurrò Ed, che con l'età che si ritrovava di fare a botte con un ragazzino non ne aveva proprio voglia.
“Quella è l'unica che potrebbe sopportarti per il poco tempo che ti resta, cherìe” disse il mezzo francese, con un sorriso amaro sulla bocca morbida.
“I cazzi tuoi?” sbraitò in risposta l'uomo, scostandolo in modo rude e imboccando la strada opposta alla sua.
“Pensaci bene, vecchiaccio!” gli urlò dietro Louise, ignorando il dito medio che gli rifilò l'altro.
E non aveva nemmeno tutti i torti. Edivad era insopportabile e Molly era l'unica che aveva sempre avuto il coraggio di parlargli ed essere gentile con lui senza temere di rovinarsi la giornata o sfracellarsi le ovaie dopo l'ennesimo brontolio.
Si avviò con la coda tra le gambe verso l'ufficio del Ministro – infilandosi nel primo ascensore che gli capitò sotto tiro gufando come un pazzo; ignorò saluti, frivolezze e qualsiasi essere umano che volesse anche solo pensare di rivolgergli la parola.
Ah, Dio. Lui sì che era superiore a metterlo in quelle condizioni per il semplice gusto di farlo.
“Dopo mio marito proprio mi mancava qualcuno con quella faccia” lo accolse divertita il Ministro, quel giorno deliziosa nel suo completo pantalone e giacca rosso fuoco.
Aveva i ribelli riccioli raccolti in uno chignon duro e inflessibile, ma il sorriso sulla bella bocca era tutto un piano. Sì, quello di addolcirlo prima di buttare qualche bomba lì per caso. “Cosa è successo questa volta?” borbottò infatti, sedendosi sul puff rosso di fronte la scrivania e accettando di buon grado il caffè che il Ministro gli stava offrendo.
“Potrei farti la stessa domanda, sai?” sogghignò Hermione, divertita, rilassandosi per la prima volta dopo una lunghissima ed estenuante giornata. Era sfinita.
“I tuoi nipoti hanno il potere di tirare fuori il peggio di me” sussurrò Ed, centellinando con una smorfia la bevanda che teneva tra le mani infreddolite.
“Oh, a chi lo dici!” rise la Granger, poggiandosi contro lo schienale della propria poltrona con un sospiro.
Dopo aver litigato pesantemente con Atwood, ancora, preso a badilate il consiglio degli anziani – ancora – e quasi ucciso quel maledetto Malfoy, ancora, voleva solo tornare a casa e farsi un bel bagno caldo con la sua bambina. Già. Narcissa. Il frutto carnale del suo dolore. La prova tangibile dei suoi errori. Del suo passato. Della sua morta interiore.
“Signor Ministro, cosa voleva dirmi?” domandò Ed, ora sinceramente curioso.
Hermione posò la tazza sulla scrivania, scostando appena i fascicoli che popolavano le sue giornate e le sue infinite riunioni, per poggiare i gomiti con gli occhi gravi puntati su di lui.
“Volevo dirti che ci ho pensato bene, Stewart e penso che con il piano « Paciock » abbiamo toppato alla grande” mormorò la Granger, massaggiandosi il viso con stanchezza. Sembrava non dormire da secoli.
“E quindi?”
No, il termine non era giusto. Lei non sembrava non dormire da secoli. Lei si sentiva invecchiata di almeno dieci anni; sentiva il peso di ogni ora della giornata e a volte crollava come un sacco di patate, senza riuscirsi a tenere in piedi.
Non ne aveva parlato con nessuno – non voleva preoccupare gli altri né dare agio di pensare che non fosse adatta al ruolo che ricopriva – ma certe volte aveva paura. Quella mancanza completa di forze, lo sguardo oscurato improvvisamente e il vuoto totale la mandavano in tilt. E aveva paura. Ed era orgogliosa.
“E quindi la persona più adatta a svolgere questo caso è Roxanne” disse Hermione – amara.
Si odiava per quelle parole, ma era la verità. Franck era un vampiro e come tale difficilissimo da acchiappare, quindi stava dando agli Auror vero e proprio filo da torcere; uccideva chiunque trovasse sulla propria strada per dispetto e l'unico a cui lui voleva mostrarsi era anche l'unica che non doveva trovarsi faccia e faccia con Franck.
“È una follia. Vera e propria follia” quasi urlò Edivad, alzandosi di scatto e ignorando il grattare sul legno che produsse il suo movimento brusco.
Già, era una pessima idea. Ma era l'unica che dava speranza ai cacciatori.
“Lo so, lo so, ma Edivad... è l'unica soluzione e lo sai anche tu!” cercò comprensione Hermione e l'uomo seppe che aveva ragione. Fin troppo.
Quel maledetto moccioso era estremamente vendicativo e aveva la forza e sete di sangue di un neonato – che era gli inizi della fase vampiresca negli esseri umani trasformati. Appena nati erano senza controllo e i sentimenti da uomo erano ancora vivi e pulsanti dentro di lui.
E Franck voleva Roxanne. E Franck voleva vendicarsi di tutti coloro che in qualche modo lo avevano ferito.
“Maledizione!”accusò, sbattendo con rabbia i pugni sulla scrivania.
Era una follia. Una vera e propria follia e se Roxanne non sarebbe stata attenta... o si sarebbero ritrovati un Auror morto-vivente sulla coscienza o un Auror morto e basta.

   
 
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