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Autore: AlexisRendell    30/03/2016    1 recensioni
[Guilty Gear]
In un mondo ostile, dove la guerra perdurata centinaia di anni fra uomini e Gear ha ridotto l'umanità a poche centinaia di esemplari, solo pochi di essi possono garantirsi un'esistenza pacifica.
L'utilizzo della magia è proibito a chiunque se non ai Nobili, i capi autoproclamanti di una società che sta lentamente morendo, sotto l'assedio dei Gear e degli stenti.
In questo scenario post-apocalittico, molti dei Reietti hanno accettato il loro infausto destino, ma qualcuno ancora cerca di lottare, senza abbandonare la speranza che tutto torni come era un tempo, e non cessa di ribellarsi ai soprusi di coloro che tentano ostinatamente di schiacciarli.
Alternative Universe della storia di Guilty Gear.
Genere: Angst, Guerra, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
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𝓒𝔥𝔞𝔭𝔱𝔢𝔯 𝔒𝔫𝔢: 𝔎𝔢𝔢𝔭 𝔜𝔬𝔲𝔯𝔰𝔢𝔩𝔣 𝔄𝔩𝔦𝔳𝔢.


Non si poteva dire che lui fosse un tipo religioso, o che credesse in dio, ma quel giorno qualche dio di sorta sembrava averlo preso particolarmente in simpatia.
Due cervi. Giovani maschi probabilmente troppo poco furbi per rendersi conto che avvicinarsi al confine della riserva era un suicidio…
Un po’ come lui.
Sapeva benissimo che sconfinare dalle terre libere ed addentrarsi nel territorio dei Nobili, per cacciare di frodo, gli sarebbe costato la testa… ma la fame, spesso e volentieri, sa essere più forte della prudenza.
 
Sollevò lo sguardo dalla tenera carne impregnata di liquido purpureo, ignorando lo stomaco che reclamava a gran voce parte del cacciato.
Non ora, e non li. L’odore del sangue e delle prede appena uccise avrebbe potuto attirare ospiti indesiderati, e nonostante una parte di lui gli sussurrava suadente che avrebbe potuto nutrirsene lui, li in quel bosco… la sua coscienza lo manteneva lucido sul suo obiettivo.
Doveva rientrare.
Afferrò i due animali per le lunghe corna, cominciando a trascinarli lungo il sottobosco. Erano troppo ingombranti per trasportarli a spalla, e farli a pezzi li era troppo rischioso.
Tuttavia… la striscia di sangue che il cacciatore lasciava dietro di sé era fin troppo chiara.
 
Se ne accorse che era già troppo tardi.
Inebriato dal profumo metallico che risvegliava in lui desideri primordiali, e stordito dalla fame, si bloccò in mezzo alle fronde, ascoltandone l’ondeggiante suono.

‘Non ora….’ Pensò. ‘Per favore.’

Era andato tutto fin troppo bene.
Lasciò cadere il frutto della sua caccia, portando  una mano alla particolare spada che portava sulla schiena, sguainandola appena in tempo ed illuminandola di innumerevoli lingue di fuoco, che strinarono il pelo della creatura,  costringendola ad allontanarsi per studiare meglio l’avversario. Non era un boccone facile quanto pensava.
 
“Oh, andiamo. Non dirmi che sei qui da solo.”
 
Il cacciatore chiuse gli occhi. La bestia ringhiò, ed a quel gutturale suono ne seguirono parecchi altri.
 Due… quattro…. Sei. Sei Gear, classe piccola. I bastardi si muovono sempre in branchi per cacciare…
Non poteva biasimarli, la fame colpiva anche quegli esseri ripugnanti.
Ma non si sarebbero mangiati lui, né le sue prede.
Ringhiò con loro, gli occhi color del sole che bramavano la battaglia.
 
 
Lo chiamavano Sol. Nessuno sapeva chi fosse, o da dove arrivasse, né quale fosse il suo vero nome.
Anche sulla sua età circolavano varie leggende…
Così ad occhio e croce non ne mostrava più di venticinque. Ventisette al massimo.
Ma c’era chi, fra gli emarginati, sosteneva che fosse sempre stato li. Eterno, silenzioso, immutabile.
L’unico fra i reietti a saper utilizzare la magia.
Stava sempre in disparte, parlava poco. Non cercava compagnia, ma c’era sempre quando si aveva bisogno di lui.
Per questo gli avevano conferito quel nome. Come il Sole che illumina il giorno, lui era la loro guida. La loro luce nella disperazione di quella vita che pareva non avere senso, destinata solo ad una fine per mano degli stenti. Come il Sole che viaggia silenzioso oltre le nubi, Sol era sempre li, giorno dopo giorno.
Non dispensava parole di conforto, né cercava di sollevare il morale. Ma era sempre lui che, a fine giornata, portava il fuoco, o divideva con loro i frutti della magra caccia.
Era l’unico che fosse mai entrato nella foresta, uscendone indenne. Sembrava non conoscere la paura, spesso e volentieri lo vedevano camminare trascinando la testa di qualche Gear, per consegnarla ai nobili e ritirare la ricompensa. Una ricompensa che non si era mai tenuto per sé, nonostante tutto.
 
Nessuno sapeva chi fosse, o perché lo facesse. Era uno di loro, e per loro lottava incessantemente…
Anche i più curiosi, alla fine, avevano smesso di fare domande, limitandosi a mostrare la loro gratitudine a quella figura avvolta nel mistero, ma che era al loro fianco da anni.
 
 

I denti della bestia si chiusero sul piatto della spada, ritraendosi con un guaito di dolore quando questa si fece incandescente.  Non abbastanza in fretta per evitare un pugno in pieno muso, che la mandò a ruzzolare con svariate zanne spezzate pochi metri più avanti.
Si rialzò subito, solo per ritrovarsi circondata da lingue di fuoco, che lentamente la bruciarono fra strazianti versi di dolore.
Non perse tempo a prestare attenzione a quella, che andò presto ad unirsi alle altre due che aveva fatto fuori. Le altre sembravano aver capito l’antifona, ed indietreggiarono nel bosco, prima di darsela a gambe levate.
 
Con ancora il braccio avvolto dalle fiamme, rimase immobile ad osservare il punto dove gli occhi sanguigni delle bestie erano scomparsi, per assicurarsi che non sarebbero tornate.
Era stato troppo facile…
Troppo. On erano solite arrendersi così facilmente, a meno che-
Si voltò di scatto, tornando al punto dove aveva lasciato i due cervi, solo per ritrovarsene uno solo.
I bastardi erano riusciti a distrarlo, procurarsi la cena e scappare.

Maledizione…’

Un solo cervo non sarebbe bastato nemmeno a sfamare metà della gente.. ma era pur sempre meglio di nulla.
Caricò in spalla l’ungulato rimasto, fermandosi ad osservare per qualche secondo i corpi delle bestie intorno a lui.
Avrebbe dovuto bruciarli, ma forse poteva ricavarci qualcosa. Non era comune trovare Gears con la pelliccia, e non semplici rettili…
 
Rientrò al villaggio, se così si poteva definire quella desolata landa di detriti e scheletri di edifici crollati, con un cervo sulla spalla e trascinando le carcasse di due delle tre bestie uccise.
Una l’aveva già carbonizzata sul posto.. non aveva potuto recuperare nulla.
 
Portò  i due corpi da un uomo. Come chiunque, in quel posto, era stanco, magro, ingrigito dal peso di quell’esistenza.
Ma quando vide Sol, puntò su di lui uno sguardo vivo, ricolmo di domande e dubbi.

“Avevi detto che questi affari non possono essere mangiati.”

“Infatti è così. Ma l’inverno è freddo, e per quanto la loro pelliccia sembri ispida, è sufficientemente calda.”

Solo in quel momento l’uomo si rese conto di quale valore davvero avessero quei due corpi sanguinolenti. Conciarne la pelle e bruciare il resto. Il cacciatore aveva sempre specificato che i resti dovevano essere bruciati, per evitare che le cellule finissero ingerite da altri animali, infettandoli.

“Sol, io… non ho di che pagarti…”

“Non ho mai preteso pagamenti.”

Non voleva nulla in cambio. Quell’uomo aveva una famiglia, una moglie, dei figli ancora piccoli.
Non avrebbero superato l’inverno senza qualcosa con cui scaldarsi, ed oltre al fuoco, questo era il massimo che Sol poteva offrire loro.

“Riportami solo le loro zanne.”

Si avvolse nel logoro mantello e si allontanò, evitando gli sguardi pieni di gratitudine di quell’uomo, del quale mai si era preso la briga di conoscere il nome.
 
Quegli sguardi non facevano altro che far accrescere il senso di colpa che si annidava nel suo petto, divorandolo  passo dopo passo.
 
 
 
 
 
 Accese il fuoco che il sole era appena tramontato.
Ogni volta che l’astro calava, era lui a dover illuminare e scaldare quella povera gente.
Stavano quasi tutti vicini, uniti a piccoli gruppi, preparandosi  ad affrontare il gelo, e pazientemente Sol accendeva i vari fuochi. In molti avevano chiesto dove avesse imparato a manipolare quell’elemento, ma non avevano ottenuto risposta, se non un eloquente invito a tapparsi la bocca, silenziosamente proferito dagli occhi da rettile del cacciatore.
Altri misteri.. che alimentavano altrettante dicerie sul suo conto. Non ne aveva mai smentita nessuna, e nemmeno sembrava interessato ad esse.
 
Divise la carne del cervo in piccole parti, cercando di fare economia affinché tutti potessero averne.
Ma le bocche da sfamare erano sempre troppe, e la fame ancora di più.
Come molte altre volte, rinunciò alla sua parte, riservando però un pezzo della carne, più grosso degli altri, per una persona in particolare.
Erano abituati a quei gesti.. nessuno fece domande, e lui ringraziò mentalmente per quel silenzio.
 
Per ultimo, si avviò verso quella che, un tempo, poteva essere stata una piccola e graziosa casetta, magari appartenuta ad una giovane coppia appena sposata. Tracce di vernice gialla ancora si potevano intravedere fra i pochi mattoni che non erano crollati, e che sostenevano a malapena un rozzo tetto di assi di legno marcito dalla pioggia e dal freddo.
Sotto di esso, una figura minuta sembrava quasi attenderlo. Avvolta in uno spesso cappuccio nero, ed un mantello dello steso colore che le copriva il corpo, una voce femminile lo accolse con una frase ormai familiare. Poco più matura della voce di una bambina.

“E tu, non ne mangi?”

La ragazza sollevò lo sguardo sulla parte di carne che Sol le stava offrendo, accennando un sorriso quando lo vide andare a sedersi in un angolo dopo che lei ebbe accettato il pasto.

“Non puoi continuare così… Quanto tempo è che non mangi?”

“Non ha importanza.”

“Sol… E’ più di una settimana che non ti vedo toccare cibo.”

Non ebbe altre risposte. Il cacciatore si era messo ad ammucchiare rami di legna secca vicino a lei, per accendere l’ultimo fuoco della giornata.
Lei mangiò in silenzio. Era una battaglia persa in principio, la testardaggine di quell’uomo le era ormai nota.

“Questo non è cervo selvatico. E’ allevato.”

Ancora nulla. Sol fece apparire un piccolo globo di fiamme fra le sue mani, per poi posarle sulla legna, attendendo che questa cominciasse ad ardere. Dopo poco, il fuoco circondò le sue braccia, senza ferirlo.

“Sei andato di nuovo nel loro territorio, ver-“

“Ed anche se fosse?”

Questa volta, la voce di lui mostrava una nota di rabbia repressa a stento, nonostante fosse sempre controllato. La ragazza alzò lo sguardo in quello di lui, e parte del cappuccio scivolò indietro sul capo, mostrando i lunghi capelli blu e scoprendo quegli occhi che l’avevano portata ad essere la ‘protetta’ del cacciatore. Occhi inconfondibili, un segno che la avrebbe obbligata a rimanere sempre nascosta dietro lo spesso cappuccio, e che solo Sol poteva dire di aver davvero ammirato, nella loro inquietante bellezza.

“Lo sai che… che non possiamo spingerci così oltre.”

“E tu sai benissimo che quei fottuti bastardi si prendono tutto.  Non c’è vita nella nostra parte di foresta, se non quegli esseri, Dizzy.”

Il sorriso che lei gli riservò questa volta fu amaro. Aveva ragione.  Lasciò cadere l’argomento.

“Sei sicuro che sia meglio cruda?”

Osservò il pezzo di carne fra le sue mani, scottato appena sulla fiamma, e Sol annuì.

“A voi piace così.”

Voi. La ragazza mangiò in silenzio, posando poi le mani sull’appena evidente rigonfiamento allo stomaco.
Calò la notte senza che nessuno dei due proferisse ulteriori parole. Sol badava al fuoco, e lei cercava di dormire, rannicchiata vicino alle pietre, tremante. Faceva dannatamente freddo.
Sol le gettò una rapida occhiata, lasciandosi sfuggire un sospiro mentre si toglieva il pesante mantello dalle spalle, per posarlo su quelle di lei. Per quanto macchiato e logoro fosse, faceva ancora il suo dovere. I tremiti della ragazza si affievolirono, per poi fermarsi del tutto.




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