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Autore: Lely1441    01/04/2009    3 recensioni
E cosė, quasi per gioco, tutti cominciarono a chiamarle "Le Tre Sorelle" per ribadire quel fenomeno cosė inusuale per un paese cosė piccolo, associando le tre bimbe ancora prima che queste potessero parlare o addirittura imparare a camminare.
Prima classificata al Contest "Best Friends" indetto da Writers Arena.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rating: 14 anni (presenza di linguaggio colorito).
Tipologia: One-Shot.
Lunghezza: 3972 parole.
Avvertimenti: Character Death, Linguaggio Colorito.
Genere: Generale.
Disclaimer: Trama, personaggi, luoghi e tutti gli elementi che questa storia contiene, sono una mia creazione e appartengono solo a me.
Credits: Canzone utilizzata: You'll be in my heart, di Phil Collins. Tutte le citazioni presenti provengono da questa canzone.
Note dell'Autore: A fine storia.
Introduzione alla Storia: E così, quasi per gioco, tutti cominciarono a chiamarle "Le Tre Sorelle" per ribadire quel fenomeno così inusuale per un paese così piccolo, associando le tre bimbe ancora prima che queste potessero parlare o addirittura imparare a camminare.






Le Tre Sorelle

[24/12/08] Best Friends






Non c'era nessuno in quel piccolo paese di provincia che non conoscesse le Tre Sorelle.
Quando ci sono solo quattromila anime di cui parlare, anche l'evento più insignificante può diventare motivo di inutile sproloquio e chiacchiericcio; era per questo che quando tre donne partorirono tutte nello stesso giorno, ad alcune ore di differenza, nel piccolo ospedale poco distante da lì, tutti ne ebbero a parlare per mesi e mesi; le donne si fermavano a contemplare con un sorriso i tre fiocchi rosa che svettavano orgogliosi su tre portoncini diversi; gli uomini coglievano la palla al balzo per farsi una bevuta in più al bar in onore di quelle tre nuove canagliette, che se ne stavano tranquille a dormire nelle braccia delle rispettive madri, all'oscuro di tutto.
E così, quasi per gioco, tutti cominciarono a chiamarle "Le Tre Sorelle" per ribadire quel fenomeno così inusuale per un paese così piccolo, associando le tre bimbe ancora prima che queste potessero parlare o addirittura imparare a camminare.
Mano a mano che crescevano, senza rendersi conto si trovarono loro malgrado a dividere la maggior parte del tempo: all'asilo perfino le maestre le mettevano sempre in gruppo insieme, e le tre bambine non si facevano nessun problema.
Danièle era in un certo senso la "maggiore": la madre aveva cominciato ad imprecare in francese alle tre di mattina, e alle sei era nata lei, con quella testolina scura e gli occhi blu che pian piano divennero verdi, capaci di incantare chiunque.
Poi era venuta Giò, subito dopo mezzogiorno. Il padre e tutte le comari del paese era persuasi che sarebbe nato un maschio, e a nulla era valso il testardo tentativo di Maddalena, la madre, di cercare di convincere tutti che sarebbe stata una femmina. Ma quando nacque e tutti scoprirono chi aveva ragione, sorse il problema del nome: il padre, influenzato dai vecchi western e da quei Joe, uomini duri, forti, senza paura di nulla, aveva deciso di italianizzare così uno degli epiteti più comuni, con quello strano Giò. Ma dopo sei mesi in cui tutti avevano preso confidenza con quel semplice nome, cambiarlo sarebbe risultato quasi offensivo nei confronti di quella piccola creaturina che si era ormai abituata a sentirsi chiamata così, quindi rimase Giò.
E poi, c'era Veronica. La piccola prematura, la biondina con gli occhi grandi che sembrava persa in qualsiasi contesto uno la piazzasse.
A ben pensarci, non avevano poi molto in comune, ma quel fatidico 24 settembre le aveva unite, forgiando quella strana triade che sarebbe andata avanti per anni e anni, facendo dimenticare a loro stesse spesso e volentieri che non vi era nessun legame di sangue a tenerle insieme, ma solamente un'etichetta data da altri.
Ma Sorelle una volta, Sorelle per tutta la vita.


«Tu dici che mi farà male?»
Mugugnò contrariata Giò ad una delle sue due compagne di stanza. Danièle sbuffò e roteò in alto gli occhi, facendo poi scattare sicura il coltello davanti al viso dell'altra.
«Ti dico di no. Quando mi hanno tolto l'appendicite, mi hanno tagliata in due e non ho sentito niente», si pavoneggiò, con quell'aria da donna vissuta che riusciva sempre, bene o male, a convincerle a compiere le più grandi cavolate della loro ancora giovane vita.
«Bella forza, eri addormentata!», sbottò Giò. Se c'era una cosa che detestava, era il dolore fisico. Il solo pensiero di potersi rompere qualcosa la faceva scappare via urlando in preda al panico.
Danièle portò il manico del coltello alle labbra, soppesando quanto potesse divertirsi in quella situazione. Valutò anche il livello di piagnucolamento dell'amica, e decise subito di non tirare troppo la corda.
«Se non lo fai andrò a dire a tutti di Marco», intervenne però Veronica, con uno strano sorriso sulle labbra.
«No che non lo farai».
«Io dico di sì!»
"Ogni volta così", pensò affranta Danièle.
«Senti, non devo tagliarti il polso, devo solo incidere appena la carne, giusto per qualche goccia di sangue!»
Giò fissò critica il piatto che era in mezzo al cerchio formato dai loro corpi, in attesa del loro liquido vitale.
«Va bene. Ma se sento anche solo qualcosa...»
«Sì, sì, mi porterai alla corte marziale e mi farai fucilare, d'accordo. Dammi qua», disse Danièle, riferendosi al braccio della ragazzina.
Giò glielo porse e chiuse gli occhi, girando decisa il capo verso il muro, le labbra contratte. Danièle si concentrò e Veronica si sporse per guardare meglio la scena; Danièle prese il coltello e fece per passarlo sul palmo della mano...
«Si può sapere cosa state combinando qua dentro?»
A volte uno la sfiga se la chiama. La porta della camera da letto si aprì di scatto, facendole sobbalzare e facendo tremare la mano di Danièle.
Quando Maddalena vide tutto quel sangue, lanciò un urlo che svegliò persino i vicini della casa accanto.



[Why can’t they understand the way we feel?
They just don’t trust what they can’t explain

Perché non possono capire quello che sentiamo?
Loro, semplicemente, non possono credere in ciò che non riescono a spiegarsi]




«Ti vuoi decidere a spiegarmi cosa diamine stavate facendo con un coltello? Un coltello, maledizione, un coltello!»
Giò sbuffò e si appiattì ancora di più contro il sedile della macchina, desiderando ardentemente di poter scomparire. O di far azzittire la madre in qualche modo, qualsiasi opzione le andava bene.
«Non potete suggellare la vostra amicizia con il sangue! Ma dove s'è mai visto?!»
«Nei telefilm lo fanno sempre!»
La madre strabuzzò gli occhi e si voltò a guardarla inferocita.
«Nei telefilm? In quella spazzatura americana che ti propinano come se fosse una cosa normale?»
«Non è spazzatura!», si spazientì Giò. Sua madre odiava gli Americani, la loro cultura ed il loro cibo, ancora prima che la sua Miriam diventasse la Giò di amici e parenti. Se l'era legata al dito, oh sì.
«Signorinella mia, se le cose stanno così ti vieto di guardare la televisione per due settimane! Anzi, meglio, un mese intero!»
«Cosa?!»
«Non ti sono bastati i sei punti di sutura a fartelo capire?»
Giò si guardò la mano bendata; nonostante non lo desse a vedere, le faceva molto male.
«Sei tu quella che non capisce».
«A dodici anni non potete programmare di rimanere amiche per tutta la vita, è ridicolo! Con il tempo si cambia, si cresce... Potreste anche non andare più d'accordo».
Fu in quell'esatto istante che il tarlo del dubbio si insinuò maligno nel cervello di Giò. E per quanto urlasse, piangesse, stringesse i denti, ormai quella certezza, la certezza del "sempre", era andata definitivamente perduta.
Erano sempre state legate, ma ora che ci pensava erano amiche per abitudine di stare insieme, non lo avevano deciso loro, non l'avevano scelto spontaneamente. Era semplicemente stato così da sempre.
Quella specie di rito che doveva sancire la loro amicizia aveva invece fatto sì che una di loro tre cominciasse a domandarsi se l'affetto che le legava era veramente puro.
E per molti anni non riuscì a darsi una risposta.



[Come stop your crying, it will be all right
Just take my hand, hold it tight
I will protect you from all around you
I will be here don’t you cry

Dai, smetti di piangere, andrà tutto bene
prendi solo la mia mano, tienila stretta
Ti proteggerò da tutto ciò che ti circonda
Io sarò qui non piangere]






«E allora io gli ho detto... Ehi, ma mi state ascoltando?»
Danièle socchiuse pigramente un occhio e agitò un piede in aria per farle capire che poteva continuare a parlare, mentre Veronica continuava a fissare un punto indefinito del soffitto. Era qualche ora che faceva così, e Giò cominciò a nutrire una seria preoccupazione nei suoi confronti. Stava per aprire bocca per chiederle se stava bene, ma Danièle l'interruppe, cogliendo entrambe di sorpresa.
«Cosa c'è che non va, Vero?»
La ragazza la guardò spaesata, e per un attimo calò un silenzio terribile sulla stanza. Giò si strinse di più nel largo pigiama di pile passandosi le mani sulle braccia, in imbarazzo. Conoscevano bene Danièle, sapevano che andava sempre dritto al sodo, ma a volte la sua schiettezza era veramente disarmante.
«Di cosa stai parlando? Guarda che sto benissimo!»
Danièle guardò critica l'altra, e Giò si ritrovò a pensare che costituivano di certo uno strano quadretto, quelle due: l'eroina tragica e il boia mancato. E lei, lei cos'era? Che ruolo aveva in quel dipinto, perché si trovava lì? Per un attimo le vennero le vertigini, e fu solo il forte sbuffo di Danièle che riuscì a riportarla a terra.
«Vero, se proprio devi mentire, almeno fallo meglio. Mi vergogno io al posto tuo».
«Non è colpa mia se spari balle anche a tua madre!», ribatté con rabbia all'attacco. Giò spalancò la bocca, sorpresa, ma Danièle si limitò solo ad alzare pigramente un sopracciglio.
«Quello che faccio in casa mia e con le persone che non sono te, non ti riguarda affatto».
"Oddio, ora si picchiano", pensò disperata Giò. Inaspettatamente però dopo un iniziale turbamento, Veronica iniziò a piangere e si gettò nelle braccia di Danièle, farfugliando delle scuse e continuando a singhiozzare.
«I miei... Papà se n'è andato di casa e mamma vuole andarsene di qua!»
Per loro fu come una doccia fredda. In sedici anni, non avevano mai pensato di separarsi. Non era concepibile, punto.
«Come, te ne vai?», domandò Giò senza fiato, mentre Danièle si alzava dal suo letto ed usciva dalla stanza. La sentirono sbattere con rabbia la porta del bagno, e Veronica alzò gli occhi spaventata.
«Si è arrabbiata?»
«Sai com'è fatta... Deve solo riuscire a digerire la cosa. Vedrai che tempo un'ora sarà tornata quella di prima».
Le strinse forte la mano, tentando di rassicurarla. Veronica si strinse a lei e piano piano si addormentò, mentre un peso sempre più grande si faceva più opprimente nel petto di Giò.
Danièle non tornò nella sua camera fino a notte fonda.

«Allora, dimenticato nulla?»
Veronica rise forte, mentre finiva di sistemare uno scatolone nel bagagliaio della macchina della madre.
«Nulla, mammina...»
«Smettila di prendermi in giro! Mi stavo solo assicurando che avessi preso tutto!», sbuffò Giò, incrociando le braccia irritata. Veronica le sorrise radiosa e l'abbracciò forte, mentre anche la madre scendeva e finiva di mettere le ultime cose nella vettura.
«Tranquilla, ci sono solo un centinaio di chilometri da noi, tornerò appena possibile. E ti giuro che non darò confidenza al primo sconosciuto che passa, che chiuderò sempre la porta a doppia mandata e che prima di rispondere al citofono controllerò sempre chi ha suonato. Che ne dici?»
«Cosa vuoi che dica... Divertiti, e ricordati di noi».
«Non mi potrei mai e poi mai dimenticare di voi, tranquilla».
Danièle si avvicinò silenziosamente ed il sorriso di prima s'incrinò appena.
«Ce l'hai ancora con me?»
Danièle l'abbracciò e le sussurrò:
«Buon viaggio».
«Stammi bene. E controlla anche quella piagnucolona, mi raccomando!»
«Ehi! Guarda che sono qui!»
Veronica rise e le baciò velocemente sulle guance, come facevano di rado. Non era da loro.
«Non preoccupatevi, resterà tutto come prima! Ve lo prometto».
Quelle furono le sue ultime parole prima di entrare in macchina ed andarsene verso la sua nuova vita.

«Non sarà mai più niente come prima, invece». Danièle voltò le spalle a Giò e si incamminò verso casa, lasciandola sola in mezzo alla stradina secondaria.
Il magone dentro Giò si fece sempre più pressante, mentre quello che la tormentava da quattro anni sembrava aver preso vita.
L'aveva detto anche Danièle. Nulla sarebbe stato più come prima.
L'illusione del sempre si era dissolta come neve al sole, cedendo il posto ad un futuro che ora non sembrava più una semplice linea retta da attraversare tutte insieme, piuttosto un baratro sotto di loro. Da una parte erano rimaste lei e Danièle, mentre Veronica l'aveva oltrepassato ed era svanita nella nebbia.
Non ebbe mai tanta voglia di piangere. Ma quello che nessuna delle due poteva vedere, erano le lacrime di Veronica una volta rimasta sola con la madre in auto, e le occhiate tristi che quest'ultima continuava a lanciarle, ben sapendo che in quel frangente non poteva fare nulla per aiutare la figlia.
Maledì suo marito con tutte le sue forze.



[For one so small, you seem so strong
My arms will hold you, keep you safe and warm
This bond between us can’t be broken
I will be here don’t you cry

Per uno così piccolo, tu sembri così forte
Le mie braccia ti stringeranno, ti terranno al sicuro e al caldo
Questo legame tra noi non può essere spezzato
Io sarò qui non piangere]




«Come va con l'università?»
«Come vuoi che vada... A volte mi sembra di essere troppo intelligente perfino per i miei professori. Basta qualche citazione in francese e sembrano perdersi in chissà quale oceano senza fondo».
Giò ridacchiò. Conosceva Danièle e a volte le dispiaceva veramente per quei poveri esseri che avevano il compito di esaminarla.
«Dì la verità, ti diverti».
Sentì uno sbuffo dentro la cornetta e capì subito che stava sorridendo.
«Ovvio. Progetto di far venire una crisi di nervi il più presto possibile all'insegnante di inglese. Con quello di francese ci sono riuscita già il mese scorso, non c'è più gusto a stuzzicarlo, ormai. Invece a te come va?»
«Non mi lamento... Piuttosto, sai chi ho incontrato l'altro giorno?»
«Spara».
«Mauro Salvoni».
«Il padre di Veronica?»
«Quanti Mauro Salvoni conosci?»
«In effetti uno solo. Che voleva?»
Giò si attorcigliò il filo del telefono intorno al dito, mentre rifletteva meglio su quello che l'uomo le aveva detto.
«Non è stato molto chiaro, ma credo fosse in ansia per la figlia. Ma sai, alcolizzato com'è se la sarà anche sognata».
«Mmh... Quant'è che non senti più Veronica?»
«Tanto... Penso tre, forse quattro mesi. O anche di più, chissà».
Era andata esattamente come Giò aveva temuto. Il trio si era diviso, le Tre Sorelle avevano smesso di esistere, e con l'inizio delle università era finita che anche con Danièle i contatti erano sempre più staccati e lontani.
«Anch'io non la sento da parecchio».
«Senti, per te può avere seriamente dei problemi?», domandò titubante Giò, mentre l'altra valutava se credere o meno a quell'uomo.
«Non ne ho idea», ammise infine. «Però, per quanto ubriaco, non credo che direbbe delle bugie del genere, è pur sempre sua figlia».
Fu quel qualcosa nella voce di Danièle a far scattare una specie di molla nella testa di Giò.
«La vado a prendere».
«Cosa?»
«La vado a prendere», insistette lei, caparbia.
«Fa' come vuoi».
C'erano cose che Danièle non riusciva a capire. "E forse non sarà mai in grado di farlo", pensò tristemente Giò riabbassando il ricevitore per andare a prendere la valigia.

Quando le venne ad aprire, per un attimo Giò non riuscì a dire nulla. Quella non era la Veronica che ricordava, la ragazza avvenente e sempre perfetta, come Danièle.
«Chi si vede», mormorò l'altra senza alcuna convinzione nella voce. Giò fissò sconvolta il trucco colato del giorno prima, le profonde occhiaie sotto i suoi occhi, i capelli sporchi e tinti di un biondo assurdo, platino, che non le apparteneva, quella semplice canottiera con cui andava in giro e le gambe fasciate da culottes che non potevano coprire la sua magrezza. Le salì un improvviso groppo in gola, e dovette sforzarsi per riuscire a modellare i suoi muscoli facciali in un sorriso di circostanza. Il genere di sorrisi che Danièle odiava, ma che più di una volta le avevano salvato le chiappe.
«Allora, mi fai entrare? Il corridoio è carino, ma direi che proprio non è il massimo...»
Veronica si spostò lateralmente e tornò in salotto, gettandosi a peso morto sul divano e guardandola da sotto in su.
«Cosa vuoi?»
«Sono venuta qui per qualche giorno e mi serviva un posto dove dormire, così mi sono chiesta se tu...»
«Se ti accontenti di una brandina, il posto c'è», liquidò il discorso Veronica.
Giò non aggiunse altro, posando la valigia in un angolo ed ispezionando velocemente il piccolo appartamentino dove l'altra alloggiava.
«E così... Tu vivi qui, giusto?», chiese Giò, passando due dita su un mobile e ritirandole ricoperte di polvere. Veronica per tutta risposta si limitò ad alzare le spalle, dirigendosi senza guardarla in cucina.
"Ah, se solo ci fosse Danièle... Temo di non essere la più adatta per dire certe cose".
Si risolse a rimandare la chiacchierata ad un altro giorno, ma soprattutto di riordinare quel caos che Veronica chiamava "casa" appena la legittima proprietaria se ne fosse andata.

Giò in un certo senso amava le faccende di casa, quando era arrabbiata prendeva uno straccio e cominciava a pulire tutti i vetri delle finestre, per smaltire il nervoso. Pulire quell'appartamento le aveva donato però uno strano senso di benessere, come se togliendo lo sporco da quei mobili fosse riuscita un po', giorno dopo giorno, a rimuovere la patina che avvolgeva anche il suo rapporto con Veronica.
«Ti sei trasformata in una massaia perfetta e non lo sapevo», commentò dopo qualche giorno Veronica, quando finalmente riuscì ad entrare nel bagno senza dover tentare di scardinare la porta.
«Mi sento molto Cenerentola, effettivamente. Passano molti Principi Azzurri qua intorno oppure dovrò andare al Gran Ballo e perdere una scarpa per trovarlo?»
«Con quello che costano qui le calzature, non te lo consiglio proprio. Se lo vedi, dagli direttamente il tuo indirizzo, e chiedigli se ha un qualche cugino disponibile anche per me».
Giò rise e si sistemò una ciocca castana dietro l'orecchio. Aveva dimenticato come fosse facile parlare con Veronica, come si trovasse bene insieme a lei. Veronica d'altra parte non avrebbe mai pensato che sarebbero tornate così unite in pochi giorni, e questa cosa la commuoveva, facendo sciogliere un po' il carattere esacerbato dovuto ad una delle tante delusioni d'amore, l'ennesima subita.
«Visto com'è facile? Una passata e via, torna tutto come nuovo!»
Veronica rise, mentre decideva in quel momento di togliere quella tinta assurda che portava sui capelli. In fondo, non le era mai piaciuta.
«Fosse sempre così facile, Giò...»
Giò sorrise con aria complice, mentre continuava a lustrare a fondo i fornelli della cucina.
«Il numero di Danièle è lì, accanto al telefono».
Glielo disse senza guardarla, per non imbarazzarla.
«Perché...?»
«Fallo e basta. Le Tre Sorelle si sono perse un po' per strada, ma vedi come alla fine tutto torna apposto? A noi sono bastati solo pochi detersivi e una buona bugia!»
Veronica osservò il telefono.
«Credi che vorrà parlarmi ancora?»
«Questo non lo so, ma finché non provi non lo saprai, no?»
«Hai ragione...»
Ed il sorriso raggiante di Veronica alla fine della chiamata scaldò il cuore di Giò, felice che i suoi abbracci avessero ancora un potere consolatorio sulle lacrime di Veronica, fossero pure di felicità.
"Ci sono legami che non si spezzeranno mai".



[And you’ll be in my heart
Yes, you’ll be in my heart
From this day on
Now and forever more
You’ll be in my heart
No matter what they say
You’ll be here in my heart
Always


E tu sarai nel mio cuore
Sì, sarai nel mio cuore
Da oggi in poi
Ora e per sempre
Sarai nel mio cuore
Non importa cosa dicono
Tu sarai nel mio cuore
Sempre]




Quella mattina faceva freddo, ma splendeva il sole, che andava ad infrangersi in mille luci diverse sulle pietre bianche di quel grande prato.
Giò camminava da sola, le mani in tasca, fissando distrattamente il marciapiede sbreccato e i ciuffi d'erba che lottavano contro il cemento per venire alla luce, mentre il suono dei suoi passi sulla ghiaia le risultava assordante in quel silenzio ma le dava anche una rassicurazione quasi gentile.
Ad un certo punto temette di essersi persa in quella specie di labirinto ed alzò gli occhi. In lontananza vide due figure in piedi, e le riconobbe subito.
«Scusa il ritardo», sussurrò, appena arrivata, a Veronica.
«Figurati, siamo appena arrivati anche noi».
Giò guardò in faccia l'uomo che accompagnava l'altra e sorrise.
«Grazie mille anche a te per essere qui. Per noi è importante».
Massimo scrollò il capo come per dire "non fa nulla" e Veronica si sistemò meglio gli enormi occhiali da sole che portava.
«Sei pronta?»
Veronica annuì e lasciò la stretta del suo uomo, per porgere la mano a Giò e prendere la sua. Insieme si avvicinarono di più a quell'enorme tomba bianca e grigia che campeggiava imponente di fronte a loro.
«Non pensavo che sarebbe successo...»
«Io non pensavo sarebbe successo a lei», confessò Giò. «Era la più forte di noi, ci ha sempre sostenute, non l'avrei mai immaginato... Non così, perlomeno.»
Estrassero dalle loro borse una busta chiusa ciascuna e le poggiarono tra la lapide ed un vaso di fiori freschi, poi Giò posò un bacio sulla punta delle dita ed accarezzò la foto messa lì da poco, che ritraeva Danièle alla festa dei suoi diciotto anni, con quel suo sorriso un po' strano e smaliziato che l'aveva caratterizzata da sempre. Si rialzarono in piedi e Veronica scoppiò a piangere; Giò l'abbracciò e appoggiò il suo mento sulla sua testa, mentre guardava il cielo e delle calde lacrime cominciavano a rigare anche il suo volto. Sentiva il cuore dell'amica battere accanto al suo, e pensò che era giusto così, che era quello il posto dove doveva stare, dove si era trovato anche quello di Danièle solamente fino a qualche mese prima. Accarezzò i capelli di Veronica e li baciò, prima di staccarsi e dirle:
«Vai da lui. Ha capito quello che proviamo, non farlo sentire escluso».
«E tu come farai?», chiese, con la voce rotta dal pianto, mentre si toglieva gli occhiali da sole e si asciugava con una mano le lacrime.
«Non ti preoccupare per me. In qualche modo ce la farò, tranquilla. E se proprio sarò così giù, verrò da te e mi farò viziare un po', cosa ne pensi? Massimo sarà felice di vedersi sbattuto sul divano?».
Le rivolse un sorriso, mentre l'altra rideva piano.
«Quando vuoi, Giò, quando vuoi».
Guardarono per un'ultima volta la pietra che le separava da Danièle, prima di voltarsi verso l'uomo che le aspettava.
«È un bravo ragazzo, non farlo scappare», le disse Giò cominciando ad incamminarsi.
«Ci separiamo qui?»
«Sì. Voglio andare a trovare la madre di Danièle, prima di tornare a casa».
Si fissarono per qualche istante, e quando il mento di Veronica ricominciò a tremare impercettibilmente, Giò le sorrise e le strinse la mano.
«Tranquilla, lei è sempre qui», e si batté piano il palmo contro al petto.
«Hai ragione. Ti voglio bene, Giò».
«Anche io, tesoro, anche io».
Perché a volte può essere troppo tardi per dirlo.

Giò rimase a guardare la coppia andare via, fissando serenamente il braccio dell'uomo stretto sul fianco dell'altra. Aspettò che scomparissero dietro ad una nuova fila di cipressi, prima di guardare ancora quella foto dentro la piccola cornice dorata. La stretta che da giorni le attanagliava il cuore si fece più forte, lasciandola per un attimo senza respiro. Veronica non ricordava, ma lei sapeva benissimo che in quella foto comparivano tutte e tre, e che avevano tagliato il resto per far vedere solo il volto straordinario di Danièle.
Alzò lo sguardo al cielo, mentre un'anziana donna le passava accanto senza curarsi di lei, con un mazzo di fiori ed un paio di cesoie in mano. Mentre il rumore di passi si allontanava, lasciò finalmente che il dolore la invadesse in pieno, come non si era mai permessa in quei giorni. Era sempre stata brava a nascondere i propri sentimenti, ma a volte ci sono cose che non possono essere tenute dentro troppo a lungo. Cominciò a singhiozzare forte e si inginocchiò di fronte alla faccia sorridente di Danièle, stringendosi saldamente le braccia.
Non sapeva se ce l'avrebbe fatta anche questa volta, sinceramente. Ma al momento non se ne curava affatto, non riusciva a pensare a niente, il dolore era troppo.
Continuò a singhiozzare forte ancora a lungo, e quando la donna di prima tornò, la trovò ancora così. Le rivolse uno sguardo compassionevole e continuò a camminare, stringendo forte il manico delle forbici nelle sue dita.
Lei quel dolore se lo ricordava bene. Quello che la notte non ti fa dormire e che continua a svegliarsi, non importa ogni quanto, ma sempre con la stessa intensità.
Si ritrovò a pregare fervidamente che quella ragazza imparasse ad affrontarlo presto.






Danièle, ti ricordi quando ci giurammo eterna amicizia? Ci aspettavamo di vivere insieme il resto della nostra vita, divertendoci sempre al massimo.
Be', non è andata proprio così. Ad ogni modo, ci tenevo a dirti una cosa che credevo non avrei più detto a nessuno, men che meno a te.
Ti voglio bene, te ne voglio sul serio. Ma credo che questo tu l'abbia sempre saputo, dopotutto. Tu sapevi sempre tutto.
Chiudo qui, Danièle. Fuori è una splendida giornata, voglio uscire per pensare un po'. Non voglio bagnare ulteriormente questa lettera, altrimenti sono certa che ti arrabbieresti come facevi sempre quando piangevo, perché odiavi vedermi stare male. Mi dispiace solo di essermene accorta così tardi, ti prego di perdonarmi.
Un'ultima cosa: consola Giò, ti prego. So che sta più male di quanto voglia dimostrare, ma questo non le fa bene. Non ne fa neppure a me. Consolala, stalle vicino. Io continuerò a farlo, nello stesso modo in cui voi avete sempre fatto con me.
Sarai sempre nei nostri cuori, Danièle, sempre.
Ricordalo.
Un abbraccio,
Tua Sorella Veronica




Note dell'Autore: In questa storia ho messo del mio, molto più di quello che mi sarei aspettata. In qualche modo, è stato doloroso per me scriverla, e questo non me lo sarei mai aspettato. Ho scelto di non descrivere la morte di Danièle, non ho scritto neppure le cause, perché credo che alla fine non sia importante tanto il come, quanto il fatto che ormai è successo.
Alla fin dei conti, è sempre la solita storia di amiche. Spero solo di essere riuscita a fare un buon lavoro con le psicologie delle tre ragazze. Questo me lo saprete dire voi ^^
Adieu!

Giudizio:
Prima qualificata:
Le tre sorelle di Lely1441
Punteggio: 8.8




Questa è la storia di tre amiche, unite apparentemente solo per una banale coincidenza, che sviluppano un legame profondo e duraturo, un legame che va persino al di là di quanto loro stesse non si rendano conto. Si tratta di tre ragazze molto diverse tra loro, complementari, ciascuna dotata di una propria personalità ben distinta dalle altre. La forza del racconto è proprio questa: le tre amiche, prima bambine e poi giovani donne, non vengono ritratte solamente nel loro rapportarsi l’una con le altre. Di ciascuna l’autrice riesce a tracciare un quadro chiaro, descrivendo brevemente ma efficacemente tre diversi caratteri. Gran parte della storia è raccontata dal punto di vista di Giò, che per certi aspetti può sembrare la meno “speciale” delle tre ragazze, ma che in realtà mostra una sensibilità e un animo a cui è difficile non affezionarsi. Vedere il rapporto con Danièle e Veronica descritto proprio da Giò aiuta a comprenderne le dinamiche, porta il lettore a dubitare di quella amicizia come fa la stessa ragazza, ma alla fine ad accettarla come qualcosa che non è soltanto stato imposto, ma che ad un certo punto le ragazze hanno scelto.
Il racconto si conclude in modo molto amaro, ma l’autrice descrive anche il dolore con una delicatezza e una sensibilità ammirevoli. La scelta di inserire alla fine la lettera di Veronica è molto azzeccata, permette di vedere anche Giò da una prospettiva diversa e dà grande intensità al finale.
La canzone scelta è stata utilizzata molto bene, le frasi inserite accompagnano in maniera armonica il racconto, non disturbando in alcun modo la narrazione. Dal punto di vista formale e stilistico si tratta di un’ottima storia.

Grammatica e sintassi: 9
Capacità espressiva: 9
Capacità argomentativa: 9
Capacità critico-rielaborative: 9
Originalità e creatività: 8



Al solito, un ringraziamento speciale a Sonsimo, il cui giudizio mi ha commosso sul serio (ancora grazie ç___ç), alla mami che mi ha creato il bannerino, alle altre partecipanti e a chi recensirà la storia ^^
Bando Contest Best Friends
Kissoni!!

   
 
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