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Autore: ThestralDawn    31/03/2016    0 recensioni
Severus Piton è sopravvissuto all'attacco di Nagini e è assunto la carica di preside ad Hogwarts. Tra gli studenti di cui si deve occupare ci sono suo figlio, Albus Potter e una nuova studentessa venuta da lontano, con un passato oscuro alle spalle. I tre Serpeverde, al di là delle nuove amicizie e vecchi rancori, dovranno affrontare qualcosa che metterà a repentaglio l'intero mondo magico.
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.."Le forze mi stanno abbandonando, poso lo sguardo sul mio braccio, qualcosa di nero ora ha invaso la mia visuale. Sembra chiedermi aiuto, sembra voler uscire dalla ferita. Non so se quello che vedo è reale o frutto degli spasmi ma qualcosa di enorme e nero sta prendendo vita sul mio braccio: è un teschio, dalla cui bocca esce un serpente come una lunga lingua. Il mio cuore batte all'impazzata e penso possa uscirmi fuori dal petto in questo istante. I miei occhi restano incatenati alla vista del serpente, un istinto che non ho mai provato mi rassicura, non mi accadrà nulla di male finché lui è con me".
Genere: Drammatico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton | Coppie: Hermione/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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Le parole a mia disposizione non sono sufficienti per descrivere lo splendore di quella che il preside di Hogwarts ha chiamato Sala Grande. Se non fosse per il vociare dei ragazzi e delle ragazze che la affollano, potrei rimanere al suo interno per diverso tempo.
Sotto un cielo stellato, illuminato da infinite candele, quattro lunghe tavolate, addobbate a festa e apparecchiate a lustro, riempiono l’intera sala, circondate da pareti ricolme di quadri in movimento. Una melodia proveniente dal fondo, invitante e seducente, mi da il benvenuto e mi accoglie in quella che sarà la mia casa per i prossimi anni.

Le parole del professore accanto a me distolgono parzialmente la mia attenzione da quello splendore che invade il mio piccolo cuore forse ormai non più capace di provare così forti sensazioni. Sotto indicazione dell’uomo, percorro per intero la tavola della mia casata, per poi sedermi in mezzo ad un gruppo di studenti del quarto anno.
Rimango seduta immobile a fissare ciò che mi sta intorno; nessuno sembra curarsi quanto me della bellezza prodotta da tutta quella luce che si riflette sulle pareti, sulle colonne lucide, sui piatti e le posate d’oro. Tutto risplende di pulito, tutto brilla e allieta l’animo di pensieri felici; l’atmosfera mi rende leggera, mi sento bene, mi sento protetta e a casa.

Apro improvvisamente gli occhi, non mi ero accorta di averli chiusi. Qualcuno intorno mi sta fissando; sarò sembrata una pazza, la stramba nuova studentessa arrivata da chissà dove.
“Stai bene?” Volto la testa. La ragazza al mio fianco mi guarda imbarazzata. Devo essere rimasta in stato catatonico per troppo tempo. Le rivolgo un sorriso di circostanza.
“Sì, ho un leggero mal di testa. C’è troppa luce in questa sala.” Mento. Mi guarda stupita, non sembra capire le mie parole. “Sono nuova, arrivata poco fa.”

Ora ho l’attenzione di un discreto numero di ragazzi; sembrano tutti interessati a conoscermi, in quanto nuovo acquisto Serpeverde. C’è chi mi domanda perché mi sono trasferita in Inghilterra e vorrei rispondere che non lo so, che non sono padrona della mia vita; come ho fatto a lasciare i miei amici in Russia, se conosco incantesimi in lingua russa, se è vero che a Durmstrang insegnano la magia oscura per poi usarla contro gli studenti. Non so se prenderli sul serio o aspettare che qualcuno esca da sotto il tavolo per dire che è tutto uno scherzo. In questo momento mi sento un fenomeno da baraccone.

All’improvviso, come se qualcuno avesse udito le mie suppliche, vaste quantità di pietanze riempiono le tavolate e tutte le attenzioni nei miei confronti svaniscono per lasciare lo spazio alle bocche affamate e a stomaci brontolanti.
Resto affascinata da tutto questo cibo, sento di non meritarmelo. Qualcosa mi ferma, qualcosa mi blocca. Sento una sensazione fastidiosa, qualcuno mi sta osservando. Mi volto di scatto verso sinistra. Un ragazzo dagli occhi color verde e dai capelli castani mi sta guardando. Distoglie velocemente lo sguardo, sembra affannato. Si ricompone subito, riprende il controllo del suo volto, che in pochi secondi torna impassibile. È seduto al mio tavolo ma non sembra avere la mia età; sembra più piccolo, nonostante si atteggi per fingersi più grande.

“Mangia. Prima che si freddi. Qui è gratis.” Difronte a me, un ragazzo mi riporta al presente, riporta la mia attenzione al cibo che ho nel piatto. Continuo a sentire una costrizione sul petto, che mi impedisce di toccare alcuna delle prelibatezze sul tavolo. A Durmstrang era differente: nessuna sala accogliente, nessuna luce splendente a illuminarla, poche pietanze stese su un piatto di sofferenza. Solo chi eccelleva, chi si dimostrava all’altezza dei compiti assegnati poteva permettersi un pasto completo e quello non era il mio caso. Nonostante i miei sforzi, nessuno è mai stato generoso nei miei confronti, nessuno mi ha dato aiuto, teso una mano. La vita non è stata giusta con me, come se portassi sfortuna, come se il mio passato non mi permettesse di essere felice. Lentamente prendo la forchetta e infilzo una coscia di pollo, la assaporo e mi rilasso. Nessuno mi aggredisce, nessuno si preoccupa per quello che sto facendo.

Il banchetto finisce e per me è il momento di lasciare quella sala così ben congegnata per farti sentire a casa. Seguo i ragazzi della mia casata; mi conducono nei sotterranei del castello, dove si trovano gli alloggi dei Serpeverde.
Tutto sembra disposto per rappresentare la tana di un essere prezioso; gli stemmi di color verde e grigio, le arcate ottocentesche, pizzi e merletti di rinomata decorazione. Sono finita nel rifugio del predatore ma non mi sento in gabbia, sono piuttosto un’alleata cui è permesso essere brava, scaltra, fiera di me stessa e potente. Sento di essere tra i miei simili, tra persone che la pensano come me. È una sensazione che non ho mai provato e mi fa sentire bene ma dura un istante, il tempo di un respiro.

Mi trovo nella mia stanza ora. Sono sola, accovacciata in un angolo. Gli occhi neri del preside fanno capolino nella mia mente ma non voglio ricordare. Non ha avuto il coraggio di guardarmi in viso, al mio cognome si è scostato.
Estraggo la mia bacchetta, unica fedele servitrice nel corso degli anni. Hanno avuto l’ardire di togliermela, dicevano che non ne ero degna. Alzo la manica sinistra della giacca che indosso; è inzuppata di sangue. Le escoriazioni sul braccio si sono infiammate e riaperte, c’è troppo sangue ora, per terra, su di me, sulle mie mani.
Le guardo, troppo a lungo forse. Faccio ribrezzo a me stessa. Tento qualche incantesimo per la medicazione ma non funzionano. Sono stanca; non ricordo più com’è la sala grande, non ricordo più la melodia dolce all’ingresso, non ricordo più il sapore del cibo mangiato. Chiudo gli occhi, le forze mi stanno lasciando e mi accascio a terra addormentata.
  
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