Capitolo 24
Ricominciare
“Rimani!
Riposati accanto a me. Non te ne andare.
Io ti veglierò.
Io ti proteggerò.
Ti pentirai di
tutto fuorché d’essere venuta a me, liberamente, fieramente.
Ti amo. Non ho
nessun pensiero che non sia tuo;
non ho nel
sangue nessun desiderio che non sia per te.
Lo sai. Non vedo
nella mia vita altra compagna, non vedo altra gioia.
Rimani.
Riposati.
Non temere di
nulla. Dormi stanotte sul mio cuore …”
Gabriele
D’Annunzio, Rimani
George Peppard e Sophia Loren
Città di Fürstenberg/Havel, 10 novembre 1950
Kurt abbassò lo sguardo: non aveva il coraggio di
guardare Engel negli occhi. Nonostante i suoi tanti errori, le sue
contraddizioni, le sue brutture, nonostante il suo poco amore, lei continuava
ad amarlo ed era pronta a ricominciare. Pensava di non meritare un’altra
possibilità, pur desiderandola con tutto se stesso. Appoggiò di nuovo la fronte
sulle sue ginocchia e rimase lì per terra, in ginocchio, a piangere stretto a
lei. Anche Engel piangeva a dirotto. All’improvviso, Kurt si sentì tirare la
giacca e si volse di scatto: era la sua piccola Brigit che lo fissava con occhi
sgranati di innocente stupore. La bimba aveva un’espressione interrogativa
stampata sul visetto pallido e un ditino poggiato sulle labbra come indecisa su
cosa dovesse dire. Poi i suoi occhioni marroni si riempirono di lacrime e, con
voce sottilissima, quasi sussurrando, disse: “Papà, mamma, vi prego, fate la
pace.” Nonostante i suoi cinque anni, Brigit aveva capito dal principio e
sofferto nel silenzio l’attrito tra i suoi genitori. Davanti all’espressione
triste e un po’ corrucciata della sua bambina, Kurt si sentì l’uomo peggiore
del mondo e capì quanto fosse stato stupido a smarrire le sue priorità, la sua
famiglia, per rincorrere un fantasma del suo passato, un ricordo idealizzato
della ragazza che un tempo aveva amato. Nadine non era più quella ragazza. Quelle
lacrime, pronte a bagnare il faccino della sua bambina, lo avevano
improvvisamente guarito dalla sua ossessione. Engel si alzò di scatto dalla
sedia e prese in braccio la piccola Brigit per rassicurarla e per evitare che
iniziasse a piangere. “Shh, tesoro mio … La mamma e il papà hanno già fatto la
pace.” le disse, con voce spezzata e tentando un sorriso. Anche Kurt si alzò e,
trattenendo un pianto di commozione, strinse sua moglie e sua figlia in un
abbraccio fortissimo. I tre erano di nuovo una famiglia.
Berlino ovest
Edith aprì la porta e, non appena vide sua cugina
mano nella mano con Werner e le loro dita intrecciate, il suo viso s’illuminò
subito di gioia. “Andrej, vieni qui! C’è una sorpresa per te!” disse la ragazza
entusiasta mentre Nadine le ricambiò il sorriso. Alle parole di Edith,
seguirono immediatamente il tonfo di un salto giù dal letto e il rumore di due
piedini che, scalzi, correvano spediti verso il salotto. “Papà!” urlò felice il
piccolo Andrej, tuffandosi nelle braccia aperte di Werner. Quest’ultimo si
acquattò a terra e lo abbracciò fortemente, baciandolo sulla fronte. “Quanto mi
sei mancato, piccolo mio.” gli disse, trattenendo a stento lacrime di
commozione, mentre il bimbo non riuscì a resistere ed esplose in un pianto
sommesso. “Papà, non ci lasciare mai più.” sussurrò, fra piccoli singhiozzi.
“Mai più, te lo prometto.” rispose Werner e, alzatosi, lo sollevò in aria per
farlo sorridere. Guardando i bellissimi occhi azzurri del suo bambino pieni di
lacrime, Nadine capì quanto dolore avesse causato il proprio orgoglio e quanto
fosse stato crudele separare suo figlio dal padre, dividere la propria
famiglia. Una lacrima le rigò il viso mentre tentava d’ingoiare un singhiozzo,
poi avanzò lentamente nel centro della stanza per unirsi a quell’abbraccio e volse
uno sguardo a sua cugina. La giovane Edith annuì con un cenno della testa e le
sorrise compiaciuta. “Io vado a preparare la valigia di Andrej.” disse e Nadine,
ricambiandole il sorriso, esplose in un pianto di gioia. Tra risa e lacrime, la
donna si strinse più forte a suo marito e al suo bambino: la famiglia era
finalmente riunita.
Città di Fürstenberg/Havel
Engel rimboccò le coperte alla sua bambina e, andando verso il salotto,
indugiò sull’uscio ad osservare l’ombra di suo marito nel bagliore del camino
acceso. Kurt era seduto sul tappeto e fissava la lenta e rilassante danza delle
fiamme, con una mano poggiata su un cuscino e l’altra che teneva un bicchiere
con del vino rosso, e con quell’aria che lo faceva sembrare sempre triste e
inquieto. Quanti pensieri tormentavano la sua mente di uomo provato dalla vita
e lei questo molto spesso lo dimenticava troppo concentrata sul proprio dolore
e sul proprio desiderio di voler essere felice a tutti i costi. Troppo spesso
aveva occhi solo per se stessa e chiudeva il cuore a suo marito. Lentamente
entrò nella stanza e, senza fare rumore, con movenza impercettibile, prese dal
tavolino il bicchiere che in precedenza Kurt le aveva riempito. Gli si avvicinò
e, inginocchiatasi dietro di lui, lo avvolse con un braccio provocando un suo
sussulto. “Engel!” esclamò, poggiandole di colpo una mano sul braccio mentre
lei lo baciò sonoramente sulla guancia. Riuscirono a sorridere dopo tanto tempo
e tante lacrime versate. La donna sedette e, subito, le sue pallide guance
arrossirono, accarezzate dal calore del fuoco. Alzò il bicchiere verso Kurt e
disse: “Brindiamo?” “A cosa?” fece l’altro ostentando curiosità. Sapeva già a
cosa avrebbero dovuto brindare. “Al nostro nuovo inizio.” rispose Engel con un
tenero sorriso. Per quanto tempo gli aveva negato quello sguardo di dolcezza. I
suoi occhi brillavano di emozione contenuta ma non era uno sguardo di vera
felicità e non lo era mai stato. Improvvisamente, Kurt divenne serio e,
accarezzandole la guancia, le disse: “Engel, amore mio, io non voglio più farti
soffrire perché io ti amo.” Una grossa lacrima le rigò la guancia. Da troppo
tempo non udiva quelle parole e adesso stentava a crederci. Nel profondo di se
stessa sentiva di non essere amata. “Ti prego, credimi. Io ti amo e voglio che
tu sia felice, Engel.” continuò Kurt, sfiorandole le labbra e facendosi sempre
più vicino fino ad avvicinare il viso al suo. “Credimi, amore mio …” aggiunse
l’uomo, quasi in un sussurro di preghiera “… non ci sei che tu nella mia vita.”
La stanza diventava sempre più calda e le loro labbra erano sempre più vicine, mentre
i battiti dei loro cuori si rincorrevano all’impazzata e i loro respiri si
univano affannati in un sol sospiro di tremore. Engel rabbrividì al lieve bacio
di Kurt: quasi ne aveva dimenticato il sapore. “Non aver paura, fidati di me.”
Forse fu la dolcezza di queste parole appena sussurrate oppure il tocco caldo
di quel bacio a labbra socchiuse e tremanti a risvegliare in lei il desiderio
di ricominciare per davvero e di abbandonarsi di nuovo tra le braccia di suo
marito. Le loro labbra si unirono finalmente in un bacio appassionato e le loro
mani ripresero ad accarezzare dopo un tempo che era sembrato un’eternità. I
bicchieri si rovesciarono e il vino disegnò una grossa macchia sul tappeto, nell’indifferente
frenesia di due corpi desiderosi di rincontrarsi.
Berlino ovest
Nadine si tolse il cappotto rosso e, guardandosi
attorno con espressione sempre più allibita, lo mise sulla sedia dove giaceva
ancora il suo vestito a pois, ricordo dell’ultima notte insieme. Si sfilò le
scarpe ed emise un lieve sospiro di stanchezza. “Questa casa è un completo
disastro.” disse, stiracchiandosi un po’ mentre Werner poggiò la valigia sul
letto. “Lo so ma senza di te avevo perso ogni cognizione. Domani penserò io a
mettere tutto a posto.” ribatté l’altro e la donna, sorridendo in modo quasi
ironico, sedette ai piedi del letto. “Non basterebbe un’impresa di pulizie.”
scherzò Nadine per sdrammatizzare quella strana sensazione di disagio che stava
provando. C’era un qualcosa che le impediva di sentirsi finalmente a casa e
quel qualcosa non era di certo il disordine che aveva reso la casa irriconoscibile.
Il pensiero che suo marito non si fidasse di lei continuava ad opprimerla e a
tenerla legata a un forte dolore. Sobbalzò quando Werner, senza preavviso, aprì
la bottiglia di spumante. “Nessun’ombra del passato dovrà più oscurare la luce
del nostro amore.” disse, porgendole il bicchiere. Ma gli occhi di Nadine erano
ancora velati di una tristezza che celava quel desiderio di ricominciare. Le
prese il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, quegli occhi tanto
accesi di determinazione, e poi avvicinò la fronte alla sua. Il “ti amo” di
Werner fu un sussurro veloce che si perse tra le labbra socchiuse di Nadine e
scivolò dritto nel suo cuore. A quel “ti amo”, appena sussurrato ma fermamente
deciso, la donna rispose abbandonandosi in un bacio appassionato.
Si ritrovò sdraiata sul letto, con il
corpo a pochi centimetri da quello di suo marito e, con un fil di voce, disse:
“Ricominciamo.” “Da dove eravamo rimasti?” fece Werner, alludendo all’ultima
notte insieme. “No, da qui …” ribatté Nadine “… Perché il tempo che abbiamo
vissuto lontani l’uno dall’altra non può essere stato vano e deve averci
insegnato qualcosa …” gli prese il viso e lo guardò profondamente “… Devi
fidarti di me.” “E tu?” “Devo imparare ad essere meno impulsiva.” “Non da
adesso spero.” concluse l’uomo con tono ironico e i loro sorrisi si unirono in
un lento e interminabile bacio appassionato.
Vivere ed amarsi
Vivere e
lasciarsi vivere
Riconquistarsi
come l’ultima volta
In questa vita
che ha fretta
Riapriamo ancora
una porta
E raddrizziamo
la rotta
Per vivere che
giorno è
Marco Masini,
Che giorno è