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Autore: Mirtilla Schwarz    03/04/2016    2 recensioni
"Abigail, hai mai giocato a "Il cacciatore e il cervo"?-
Lo guardai e scossi la testa.
"È un gioco molto semplice:il cervo scappa, il cacciatore lo insegue. Il cervo deve cercare di essere più furbo per potersi salvare, ma se il cacciatore dovesse essere più veloce..."-
"Il cervo morirebbe."-
"Il cervo morirebbe"-sussurrò.
"Non voglio che il cervo si ferisca"
"Ab, è solo un gioco, fidati. Ora cerca solo di essere più furba di me"
"Quindi io sono il cervo... e tu il cacciatore?"-
Lo fissai mentre si alzava dal prato, scostandosi i capelli dal viso riuscì a vederlo mentre sorrideva. Ero un cervo e come tutti i cervi avevo paura del mio cacciatore.
Genere: Dark, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sono le sei e dieci di un martedì mattina e io mi sto annoiando. Nonostante abbia odiato la scuola per tutto il tempo in cui l’ho frequentata era un modo per tenermi occupata, a qualsiasi ora della giornata potevo lamentarmi dei compiti, dei professori e dei compagni ma, da quando l’ho finita non trovo nulla da fare la mattina. Neanche al pomeriggio. Ne’ alla sera.

Ho 21 anni e sono la persona più apatica al mondo.

Scendo le scale in punta di piedi per non svegliare nessuno, accendo le luci del soggiorno. Ogni lampadina inizia a fare luce illuminando ogni angolo. La casa è enorme, così grande da togliere il fiato. Dietro ogni porta ce ne sono altre tre e così via. Non manca il giardino completo di piscina, gazebo e altalena. Una villa da un miliardo di euro costruita interamente per un’unica persona e i suoi libri; questa casa non è mia, io ci lavoro qui, da quasi 2 anni.

È stata mia madre a trovarmi questo lavoro, aveva paura che finita la scuola sarei potuta cadere in un lungo periodo di depressione e che non sarei più uscita dalla mia camera. Da questa casa esco di continuo:per andare a prendere la posta, annaffiare le piante e piangere sdraiata sull’erba. Complimenti mamma.

Se rimanessi troppo tempo fuori casa William si preoccuperebbe per me. William il mio fidanzato? No, è il ragazzo per cui lavoro. Cieco dalla nascita, e nonostante sia capace a fare ogni cosa che una persona normale fa quotidianamente, cercava qualcuno con cui condividere la casa, qualcuno che lo aiutasse, non a cucinare, stirare le sue camicie o a rimboccargli le coperte prima di andare a dormire ma qualcuno che lo trattasse come una persona come le altre e che potesse scherzare sul suo handicap facendogli ricordare che se non può vedere il mondo, se lo può immaginare, e lo può immaginare come vuole.

Di mestiere fa lo scrittore, il fatto che non possa vedere non è un ostacolo per lui, anzi, è qualcosa che lo sprona ad impegnarsi ogni volta sempre di più. E non ha tutti quei soldi perché è uno scrittore, ovviamente è bravo e i suoi libri sono apprezzati ma i suoi genitori sono le persone che gli permettono di vivere nel lusso di prima categoria.

In 2 anni non li ho mai visti, eppure non abitano lontani da qui, forse neanche cinque ore di viaggio in macchina. Colmano la loro scarsa presenza nella vita del figlio con i soldi, tantissimi soldi; non ho idea di che cosa si occupino, non l’ho mai chiesto a William. Nonostante scherzi in continuazione sulla sua cecità quando mi parla di sua madre o di suo padre resta sempre serio e cerca di tagliare corto ogni conversazione a riguardo.

È strano come William tra le tante ragazze che si sono presentate al colloquio per il lavoro abbia scelto me. Mi ricordo ancora, quel giorno pioveva a dirotto e arrivai alla sua casa fradicia. Prima di entrare dentro il suo studio mi strizzai i capelli sullo zerbino che diventò scivoloso e a momenti divenne la causa di una caduta goffa.

Mi sedetti di fronte a lui e inconsciamente gli consegnai il mio curriculum, lui lo poggiò sulla scrivania e sorrise:

“Come cazzo dovrei leggerlo ora?”-mi chiese ridendo.

Imbarazzatissima sentii le guance infuocarsi, azzarderei dire che in quel momento il fatto che fosse stato cieco fu una fortuna per me, si risparmiò la visione di una ragazzina bagnata dalla pioggia e stupidamente timida.

Gli parlai della mia esperienza scolastica e il rapporto che avevo con le persone, ma fu lui a fermarmi a metà del mio discorso per dirmi che il colore dei miei occhi era uno dei più belli che avesse mai visto. Avrei voluto chiedergli come faceva a saperlo o se si stesse prendendo gioco di me, invece lo ringraziai.

La mattina del giorno seguente mi chiamò e mi comunicò che il lavoro era mio. Sarei dovuta essere felice ma non ce la facevo, non perché sapevo che mi sarebbe mancata la mia famiglia o la mia città, ma perché avevo dimenticato come si facesse.

I primi mesi a casa con William sono stati un po’ in incubo, avevo paura di dire cose che potessero offenderlo per il suo handicap, avevo il timore di trattarlo come un bambino di due anni che non riesce neanche a mangiare, ma lui mi diceva sempre di restare tranquilla e di trattarlo come se fosse un mio amico. Il mio lavoro era quello di tenere compagnia a William, ma con il tempo mi accorsi che era lui a tenere compagnia a me.

Il sabato sera non ci si annoia mai con lui, viene sempre invitato a cene o feste esclusive, o almeno, i suoi genitori vengono invitati, ma visto che non hanno il tempo neanche per avere delle amicizie declinano rispondendo che il loro figlio sarà presente al loro posto. Quando ho voglia di uscire lo accompagno, lui mi compra un abito che si possa abbinare al suo completo e nonostante mi facciano quasi tutti schifo li indosso per renderlo contento. Se partecipiamo a degli eventi dove non conosciamo nessuno ci fingiamo una coppia, lui cieco e io sordomuta. Lo so, non è carino e neanche rispettoso, ma quando racconto a William le espressione che la gente fa scoppia a ridere.

Forse lui è una delle poche ragioni per cui la sera, prima di dormire, chiudo la finestra invece di sentire la voglia di passarci attraverso.

È un mio amico? Gli voglio bene? Non lo so, però mi fa stare bene passare del tempo con lui. Mi piace vederlo mentre cerco di raccontargli come sono fatti i colori, mi piace vederlo concentrato quando legge e passa le sue mani sulle pagine come se stesse suonando il piano, mi piace quando ripete che se avesse la possibilità di vedere anche solo per un minuto, gli piacerebbe guardare per davvero il colore dei miei occhi e ribadire che sono davvero bellissimi.

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Beh, siamo ancora all'inizio e non si capisce se Abigail odi questa cazzo di vita o se ci sia ancora qualcosa che la rende felice. Spero di aggiungere qualcosa di più narrativo nel prossimo capitolo,aaa. XOXO Vostra Mirtilla
   
 
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