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Autore: NeroNoctis    06/04/2016    2 recensioni
All'apparenza Daniel è un normale ragazzo di 20 anni, amante delle più svariate cose e con uno spiccato sarcasmo. Ma nasconde semplicemente la sua vera identità, quella di un soldato dell'organizzazione Sephiroth.
Organizzazione che caccia "Loro", creature assetate di sangue che vagano per il mondo, che a prima vista non sembrano avere un obbiettivo, ma che tramano qualcosa da dietro le quinte, perseguendo un oscuro obbiettivo. E proprio "Loro" hanno sterminato la famiglia di Dan anni prima.
In un mondo dove "Loro" si nutrono di umani, Dan dovrà viaggiare per trovare la sua sorellina scomparsa e vendicarsi delle creature che han cambiato per sempre la sua vita.
Sullo sfondo paranormale popolato dai Wendigo, prenderanno vita numerosi personaggi il cui destino di andrà ad incrociarsi con quello di Daniel e della sua partner Lexi, per svelare un segreto rimasto sepolto per anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sephiroth'
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«Lui è mio fratello maggiore.» 
Quella frase parve gelare l'intera stanza: i presenti, il cadavere del Wendigo, i resti sul pavimento, tutto come se fosse stato investito da una tempesta di ghiaccio. Simon battè le palpebre, confuso, scosso. Non era stato facile per lui assistere a quello che aveva visto, affrontato. I resti di quelli che una volta erano i suoi genitori erano ancora lì, ad un palmo da lui e il ragazzo, semplicemente, non riusciva ad avere una reazione umana. Tutti avrebbero urlato, avrebbero pregato Dio di svegliarsi, ma lui no, era semplicemente immobile a fissare i ricordi di una vita passata. Si sentì così inumano, o forse si sentì di dover resistere ancora un altro po'... 
Osservò Daniel, successivamente guardò la sua ragazza, Tessa, come se fosse la prima volta che la vedesse. Suo fratello non era quel tipo eroico là, e lui si sentì così confuso.
«Cosa stai dicendo, T?» chiese, finalmente. Daniel fece per dire qualcosa, ma Tessa si fece avanti, carezzando una guancia di Simon. «Lui era la mia famiglia, prima che mi abbandonassero.»
Daniel sembrò aver ricevuto un pugno in pieno viso. Abbandonata? E quando sarebbe accaduto? Scosse la testa, avvicinandosi alla sorella, che gli intimò comunque di non avvicinarsi. Era visibilmente agitata, vuoi per lo shock di quanto accaduto in precedenza, vuoi per quell'incontro così paradossale.
«Karen, nessuno ti ha...» ma non fece in tempo a finire la frase che si avvicinò alla sorella, per abbracciarla. La cercava da troppo tempo, da una vita. Le aveva dedicato una vita. Lei era tutto ciò che restava della sua vita, della sua famiglia. Anni andati in frantumi, una vita distrutta, un bambino lasciato solo al suo destino, al suo odio, al suo senso di colpa per essere il presunto unico sopravvissuto... adesso tutto cambiava. Lei era là, la sua ragione di essere, il suo punto di svolta. Era ormai vicino alla sorella, ma prima che potesse cingerla sè, uno schiaffo gli arrivò in pieno viso, che lo svegliò improvvisamente dai suoi pensieri, dalla sua felicità, da tutto quello che provava e non riusciva a spiegare.
«STA LONTANO DA ME!» 
Daniel balbettò qualcosa, ma si accorse che gli uscirono solo versi indistinti. Quando la notte sognava quel momento, era tutto fantastico, tutto perfetto. Un abbraccio amorevole, frasi dolci, lui che si scusava e lei che gli ripeteva quanto avesse sentito la sua mancanza. Ne avrebbe voluto parlare con Lexi, ma non voleva annoiarla con i suoi drammi, nonostante i due si dicessero praticamente tutto, beh, quasi tutto. Lexi non sapeva dell'amicizia del ragazzo con Bran, John e Vincent, ma quella era un'altra storia e poi Lexi lo sapeva bene, Dan non amava parlare del suo passato. Lei era sicuro che lui fuggisse dal suo passato, o forse satava cercando un modo per affrontarlo, ma semplicemente, non era qualcosa che lei poteva capire probabilmente. 
«Io... forse è meglio che vi lasci da soli.» Simon uscì velocemente da quella stanza, chiudendo la porta dietro di sè. Sentì l'aria che gli accarezzò il viso, sentendosi finalmente libero da quell'oppressione. 
Ma era solo un'illusione. 
Le sue mani iniziarono a tremare, il respiro iniziò a farsi più corto e affannato. Si rese conto che il voler lasciar da soli Tessa e il suo scomparso fratello non era una scelta che aveva fatto per loro, ma per sè stesso. Voleva stare egoisticamente da solo, affogando nel suo dolore. Non riusciva a sopportare la vista di quel mostro, dei resti di cadavere... doveva allontanarsi, stare da solo per qualche minuto. Pensò che non era per niente un gesto nobile lasciare Tessa da sola, ma si fidava di Daniel, anche se non sapeva bene il perchè. Si chiese se fosse per il fatto di aver ucciso quel mostro, ma semplicemente non era per quello. Il motivo? Ignoto anche a lui, semplicemente una sensazione che sentiva dentro.
Iniziò a camminare per la fabbrica abbandonata, con i passi che gli rimbombavano in testa. Scese le scale facendo attenzione a non calpestare niente di schifoso, ma finì quasi per scivolare su un giornale. Non riusciva più a connettere, la testa gli iniziò a girare e i suoi pensieri si accavallavano uno sull'altro formando una massa indistinta e rumorosa. I ricordi del suo passato riaffiarono prepotentemente, facendogli rivivere scene con sua madre e, purtroppo, anche con suo padre. Ma si rese conto che una volta perso, qualcosa di lui gli mancava. Era una persona schifosa, ma quando fingeva di essere un buon padre... quei momenti gli mancavano. Quell'illusione gli mancava. 
La pesca, le risate... tutto bruciato. E sua madre, il cucinare insieme, la sua pazienza ad ascoltare i suoi primi accordi di chitarra, il confidarsi, le litigate... le mancava. Amava sua madre e aveva paura che lei non l'avesse mai capito del tutto. Si sentì in colpa per non essere stato un bravo figlio, si odiò a morte per quello che le aveva detto prima che morisse.
"Perdonami" pensò. E lo ripetè ancora, ancora ed ancora. Ma sarebbe bastato? Sarebbe bastato chiedere perdono per averlo? Ormai era tutto finito, l'aveva persa per sempre. E forse era anche colpa sua. 
"Se solo fossi rimasto a casa..." 
Cadde a terra, poggiando la schiena al muro. Si rese conto di avere ancora la pistola in mano. La osservò, passò le dita ormai sporche sulla canna, analizzò i dettagli, sfiorò il cane, il grilletto... e la puntò alla propria tempia.



Erano passate delle ore, ormai il sole era alto in cielo e il gruppo composto da Vincent, John e il padre Brandon avevano ormai ripulito la moquette della casa del ragazzo, sorbendosi anche qualche imprecazione varia, ma tuttavia i tre ne approfittarono per riallacciare i rapporti persi da un po' di tempo. Certo, farlo con un cadavere in casa non era il massimo delle situazioni, infatti si premurarono di sbarazzarsene quanto prima. John optò per il classico "sacco nero da cadavere", ma era una scelta fin troppo ovvia, poi il sangue avrebbe imbrattato tutto rendendo la cosa molto ovvia. I tre analizzarono diverse situazioni, ma alla fine cauterizzarono la ferita e richiusero il malcapitato dentro una scatolone, che piazzarono poi direttamente in discarica, stando attenti a non essere scoperti. Finirono il giretto facendo colazione nel più vicino fast food e poi tornarono a casa, stanchi, sazi ma comunque tranquilli. 
«Che faticaccia!» esclamò John, gettandosi sul divano. Fortunatamente quello era rimasto pulito, e il ragazzo apprezzò molto quella comodità. Ricordava che dopo essersi allenato con  Dan e Vincent amava sempre rilassarsi a letto o sul più comodo divano del centro addestramento. Brandon lo fissava con un lieve sorriso, seppur il figlio fosse leggermente sbadato e a volte così divertente, sotto nascondeva un lato forte, un animo nobile e spirito di sacrificio. Era tutto ciò che gli rimaneva, un figlio da crescere e da proteggere, ma sapeva bene che era un ragazzo in gamba capace di saper cavarsela da solo. Istintivamente la sua mente tornò ai primi passi di John, con un Brandon goffo e impacciato, completamente inesperto nel maneggiare un bambino. Sua moglie successivamente gli diceva che i bambini non si maneggiano come delle armi. Poi lei morì, lasciando i due uomini di casa da soli, in balia di loro stessi. Brandon era sempre stato un uomo solare, occhi verdi magnetici e un sorriso che sa rallegrare il mondo, lo spirito della compagnia. Al funerale di Jocelyn -sua moglie- tutti erano praticamente certi che Bran si sarebbe trasformato in un uomo assente e afflitto dal dolore, ma non mostrò mai il minimo cambiamento, dimostrò al proprio figlio che la vita doveva continuare, andava vissuta e combattuta, anche se alle volte giocava scorrettamente. John crebbe con quel pensiero, riuscendo a prendere con leggerezza tutte le situazioni che gli si paravano davanti, almeno in apparenza: dentro di lui ponderava la scelta migliore, analizzava la situazione e mandava giù i bocconi amari, accettando le cose spiacevoli e rendendole parte di lui. 
«Bran?» L'uomo si voltò verso Vincent, che lo fissava. «A che pensavi?» chiese infine il ragazzo.
«Al passato.» rispose lui, con un sorriso malinconico e, improvvisamente, tutti e tre si ritrovarono a discutere sui vecchi tempi. John e Vincent ripercorsero le singole avventure affrontate da quando erano Nezakh, anche se quelle del figlio di Bran si interrompevano un po' prima, avendo abbandonato l'organizzazione e divenendo ricercato. John non si era mai espresso in merito, aveva semplicemente metabolizzato la cosa, non soffrendo troppo della sua libertà molto ristretta.
«Non mi avete mai detto il perchè.» esordì Vincent, parlando tranquillamente ma conscio di aver toccato un argomento un po' scottante. Dopotutto pochissimi Nezakh disertavano, anche perchè erano a conoscenza delle conseguenze: morte certa. Brandon si grattò la bionda barba, annuendo, come se stesse decidendo il discorso più adatto da esporre. Non aveva mai raccontato quella storia, essendo qualcosa che avrebbe scosso le fondamenta stessa di ogni guerriero, avrebbe cambiato il mondo. Voleva urlarlo al mondo quello che sapeva, ma non sapeva come fare per limitare i danni... era qualcosa che avrebbe cambiato per sempre l'organizzazione.
«E' qualcosa di altamente confidenziale.» rispose, voltandosi verso il figlio, come se stesse cercando il suo appoggio. John annuì, così Brandon iniziò a raccontare tutto quello che sapeva.
«Tutto riguarda l'organizzazione, soprattutto lui. Il Re.»
Vincent alzò un sopracciglio. I Sephiroth erano divisi in gerarchie: sopra tutto c'era il Re Sephiroth, che risiedeva in una base a nord del mondo, mai vista da molti. L'ubicazione della base Keter era molto discussa, ma la più accreditata la dava come base segreta al polo nord, dove il Re e altri pochi membri fidati vegliavano sull'organizzazione. Subito sotto al Re e alla base Keter, si estendevano altre basi, che funzionavano in diverso modo. 

Hokmah: il luogo dove venivano iniziati i diversi membri dell'organizzazione, per venir poi smistati nelle varie basi in base alle loro abilità. Era anche luogo della maggior biblioteca e archivio dei Sephiroth.

Binah: parte spirituale dell'organizzazione, vi si celebravano matrimoni, battesimi e tutto quello che concerne la vita dopo la morte, per tutti i membri nati o sposati in Sephiroth.

Hesed: base dove si riunivano i membri che avevano trasgredito qualche regola e cercavano il perdono, attendendo la clemenza del Re. In genere si espiavano le proprie colpe svolgendo svariati compiti.

Gevurah: qui prendeva luogo il tribunale Sephiroth, formato dal concilio dei mentori e dai rappresentanti delle varie basi, più sette giudici capeggiati dal giudice magister. Come i classici tribunali si occupavano di giudicare i trasgressori.

Tiferet: base romana centro della bellezza e dello svago, il luogo di relax totale per ogni Sephiroth in viaggio. 

Nezakh: il centro addestramento dei guerrieri, che prendevano appunto il nome della base. Ogni cacciatore veniva forgiato proprio dentro quelle mura, con addestramenti al limite della sopportazione.

Hod e Yessod, due delle basi dedite alla ricerca e sviluppo e ai rapporti con i vari governi ed organizzazioni mondiali, passando sia dalla scienza che dalla fede, in una rete che inglobava l'intero pianeta.

Shekinah: ultima base, situata a sud. Più che una vera e propria base era più un santuario, dove venivano sepolti i membri e commemorati.

«Il Re? Alcuni pensano che non esista.» 
Bran accennò un sorriso, lui sapeva bene che esisteva, e quanto fosse determinato a portare avanti la sua opera. «Il Re esiste. E purtroppo anche i suoi ideali.»
John deglutì, sapeva bene a cosa si riferiva il padre, e finalmente era arrivato il momento di far sapere quella terribile verità. Probabilmente Vincent non gli avrebbe mai creduto, ma dovevano rischiare, provare.
«Abbiamo lasciato i Sephiroth per lo stesso motivo per cui i Flamboyant vi combattono.» ci fu una pausa, poi Bran riprese il discorso. «I Wendigo, gli ideali Sephiroth, i vostri nemici... tutto riguarda il Re, il cui vero nome è Igor Dj-»
Il volto di Brandon si tinse di rosso. Un foro di proiettile l'aveva attraversato da parte a parte, colpo che era esploso fuori dall'abitazione di Vincent e aveva attraversato la larga finestra. Il sangue colpì i due ragazzi, e tutto improvvisamente divenne confuso. Le urla di John, Bran che cadeva senza vita sul pavimento, diverse esplosioni. Urla e schiamazzi fuori, la porta d'entrata che veniva spalancata, soldati vestiti di nero con maschera antigas, un colpo sordo alla testa di Vincent... e tutto divenne nero.    



Lexi cavalcava spensierata la sua Cream, attraversando le vaste praterie di casa sua. Era davvero rilassata, felice, tranquilla. Stare in compagnia dei suoi genitori era un toccasana per il suo stato d'animo, così come stare in compagnia della sua puledra, che tanto amava. Anche l'aver rivisto Jake non le dispiacque, dopotutto erano ottimi amici i due. Parlarono praticamente di tutto, aggiornandosi su ogni novità. Il discorso finì inevitabilmente su Daniel, con Jake che chiedeva come mai il ragazzo non si fosse mai accorto delle attenzioni di Lexi.
«E' stupido!» rispose lei, scherzosamente. Ma in fondo, non le importava molto di averlo come qualcosa di più di un amico. Erano praticamente una cosa sola, cresciuti insieme... a volte non era neanche sicura se provasse amore romantico o amore fraterno, l'unica cosa che sapeva era che quando lui non c'era... beh, sentiva la sua mancanza. Daniel era una parte di Lexi, una parte a cui lei teneva molto. Diverse volte l'aveva visto giù di morale, o perso nei suoi pensieri, l'aveva visto anche ridere, scherzare, o semplicemente essere menefreghista. Conosceva ogni sua sfumatura, apprezzandole tutte. Si rese conto di star sorridendo, e continuò a cavalcare, insieme a quel pensiero che la faceva stare così bene. Voleva che fosse lì con lei, ma dentro sapeva che presto l'avrebbe rivisto. E questo, la riempì di gioia.
Poco distante da lei, Jake era disteso sotto un albero, fissando le nuvole che disegnavano le più svariate figure. Era abbastanza certo di aver visto una nuvola a forma di peperella mannara, non che sapesse bene che forma aveva una paperella mannara. Stava quasi per appisolarsi, quell'aria così fresca e limpida lo rilassava al punto che gli veniva sonno. Chiuse gli occhi, masticando una fogliolina d'erba, ma venne distratto dalla vibrazione del cellulare, che prese poco dopo. Era arrivata una mail.

 
Signor Jake, il nostro agente ha eseguito il Codice 66.
Daniel Walker è sfuggito.
Adesso è inevitabile, tocca a lei.
Ci porti Daniel Walker, o ci consegni Alexis.
A lei la scelta.

 
L'email finiva con il logo di un albero in fiamme. Jake sospirò, si voltò verso Lexi e deglutì. Tornò a fissare il cielo, ma stavolta le nuvole non avevano più la forma di figure bizzarre, le nuvole sembravano suggerirgli una sola cosa: trovalo.



Simon sentiva il freddo della canna sulla sua tempia. La sua mano tremava e lui singhiozzava, ma non riuscì a premere il grilletto. Non riusciva a sopportare quel dolore che tanto combatteva, ma era troppo vigliacco per farla finita... o forse troppo coraggioso. Non voleva arrendersi, non poteva arrendersi, per lui e soprattutto per Tessa. Fece passare qualche minuto, tentando di calmarsi, ma la sua attenzione si spostò a degli strani rumori provenienti dal piano interrato. Strinse la pistola e scese le scale lì vicino, facendo attenzione a non fare rumore. Di fronte a lui si stagliava imponente una porta di metallo, socchiusa. La aprì lentamente, trovando una stanza piena di scatoloni e flaconi vuoti, per il resto abbastanza pulita. La cosa che però attirò la sua attenzione fu una botola aperta, con una scaletta di metallo. Non seppe bene il perchè, ma scese nelle profondità di quel luogo, trovandosi in un ampia sala illuminata da luce artificiale, quasi come un laboratorio. Muri di metallo, ripiani dello stesso materiale. Vari computer rotti erano sul pavimento, insieme ad attrezzi vari e in lontananza, un corridoio completamente buio portava chissà dove. Su un tavolo erano presenti diversi documenti, che ritraevano persone mutilate, con strane cicatrici e ustioni sul corpo. Gente in camice iniettava loro qualcosa in corpo, mentre alcuni dati incomprensibili erano scritti sul retro di quelle foto e documenti. Simon si sentì raggelare il sangue, ma non capiva bene cosa stesse osservando. Controllò le altre foto, soffermandosi su una foto che raffigurava il padre, sottoposto agli stessi esperimenti.
Sul retro vi era scritto: Soggetto 16, non idoneo. Previsione: Wendigo Rango E.
Osservò ancora quella foto, notando che il padre aveva il fianco lacerato, con i dottori che armeggiavano dentro di lui. Indietreggiò, ma inciampò su un computer, facendo cadere diverse fiale sul pavimento. Quando si rialzò, dal corridoio buio si avvicinarono lentamente un numero indefinito di Wendigo.



«Karen, nessuno ti ha mai abbandonato!» esclamò Daniel, visibilmente nervoso. Non riusciva a credere che sua sorella pensasse quelle cose.
«Chiamami Tessa. Karen è un nome che mi sono lasciata alle spalle.» Mentre lo diceva, una lacrima rigò il suo viso, che fu prontamente asciugata dalla sua manica. Daniel avrebbe tanto voluto stringerla, ma si rese conto che non era ancora il momento, almeno per lei non lo era ancora.
«Okay, Tessa.»
«Voi mi avete lasciato... la mia attuale famiglia mi ha accudito. Ho detto loro di non voler essere più Karen Theresa Walker. Solo Tessa. Avevo sei anni Daniel... perchè avete lasciato una bambina di sei anni?» adesso quella lacrima divenne un vero e proprio pianto, anche se la ragazza cercava di trattenere le lacrime, doveva essere forte.
«Non è andata così. La notte che... la notte che andasti via, fummo attaccati da uno di Loro» indicò il Wendigo che un tempo era il padre di Simon. «Sterminò la nostra famiglia, attaccò anche me, lasciandomi questa.» Daniel si alzò la maglia, indicandosi la cicatrice a forma di morso sul fianco. Quando passò le dita su diessa, riuscì a sentire le urla dei suoi genitori nella sua testa. Tessa trasalì, come se avesse sentito le stesse voci.
«Io persi conoscenza e a dire il vero... non ricordo molto. So solo che al mio risveglio tu non c'eri. Ho sempre pensato che quel Wendigo ti avesse portata via, ma a quanto pare ti hanno salvato da quel mostro, raccontandoti una menzogna meno dolorosa.» Daniel si rese conto che quella fu la prima volta che pronunciava la parola Wendigo.
«Io...» Tessa non sapeva bene cosa rispondere. Tutto quello in cui aveva sempre creduto era falso. La sua famiglia non l'aveva mai odiata, non l'aveva mai abbandonata. Tutta quella rabbia che fino al giorno prima provava si era trasformata.
«Daniel?»
«Tessa.»
Ma prima che la ragazza potesse dire altro, le urla di Simon arrivarono fino a loro, che si trovarono a correre per la fabbrica alla ricerca del ragazzo.


Simon era riuscito ad allontanarsi, ma era caduto su del liquido non meglio definito. Si era slogato una caviglia. Iniziò ad urlare, implorando aiuto. Strinse la pistola a se, pronto a difendersi, ma prima che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo, Daniel e Tessa l'avevano raggiunto nel sotteraneo, ma la situazione era peggio del previsto.
In pochi secondi il trio venne circondato da otto Wendigo, togliendo ogni possiilità di fuga.          
   
 
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