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Autore: _Tenshi89_    04/04/2009    1 recensioni
*Postato cap. 47!*
Per tanti anni mi sono detta che quella gente doveva morire. Per tanti anni mi ero giustificata dicendo che qualcuno doveva pur fermarli.
Balle. Tutte balle.
Io ero un’assassina.
Ero la più perfetta delle macchine per uccidere, in fondo. Un predatore micidiale.
Ho sempre avuto la pretesa di giudicare quella gente perché seguiva un folle ideale, ho sempre preteso di dire che loro erano la feccia, che io ero nel giusto. Era giusto per me vederli morire uno per uno, con il terrore marchiato per sempre nei loro occhi.
Se è vero quel che si dice, che l’ultima immagine vista in vita rimane per sempre impressa negli occhi, loro vedranno me per l’eternità.
Li uccisi tutti. Come loro avevano fatto con la mia famiglia; li avevo uccisi perché erano delle persone malvagie, avevano fatto soffrire tante persone innocenti. Avevo messo finalmente fine a quei massacri assurdi.
Erano i cattivi.
Ma io ero forse migliore di loro?

Gli errori si pagano, sempre.
Ma le conseguenze non sono sempre facili da affrontare...
Questa è la storia di Elian.
Una storia di odio, una storia di amore.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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***















«Mi svegliai parecchio tempo dopo. Dovevo essere rimasta incosciente per parecchi giorni, perché, quando mi svegliai, mi sentivo quasi bene.
Quando aprii gli occhi, mi trovavo in un posto che non conoscevo. Era una piccola stanza di pietra, e c’erano solo due minuscole finestre, coperte da pesanti drappi di panno; io ero distesa su quello che mi sembrò un letto, perché ero troppo comoda per essere ancora a terra. La casa era illuminata da decine di candele, era un posto che non avevo mai visto. L’arredamento, poi, era del tutto assurdo. Quando cercai di mettermi seduta, mi accorsi di non poter muovere il braccio, e vidi che era stato avvolto stretto intorno ad una stecca, mentre il reso del corpo era ricoperto di bende. Cercai di mettermi in piedi, ma quando ci provai, sentii qualcuno dire: “Non dovresti alzarti, hai perso molto sangue”. Ero convinta di essere sola, ero terrorizzata.
Poi lo vidi».
Mi fermai. Ero sicura che, se avessi continuato, la voce avrebbe cominciato a tremare troppo per far finta di niente. Gli annebbiati ricordi umani correvano veloci nella mia mente, ma il suo viso rimase li fermo, immobile, davanti ai miei occhi.
Era talmente tanto vivido che mi provocò una fitta dalle parti dello stomaco. Era incredibile come i ricordi di quasi due secoli prima potessero ancora fare così male.
Non so se Bella notò il cambiamento del mio tono, ma non fece niente per mostrarmelo. Cercai di continuare a parlare, mantenendo la voce il più possibile ferma.
«Era la cosa più bella che avessi mai visto. Dico “cosa”, perché non riuscii immediatamente a capire chi avevo davanti, non credevo possibile che esistessero degli esseri umani così perfetti.
La creatura incredibile che aveva parlato aveva la voce più melodiosa che avessi mai sentito. Si muoveva piano verso di me; sentivo qualcosa gridare nella mia testa, una voce che mi urlava di scappare via a gambe levate. Ma, anche se avessi avuto tutte le ossa sane, non sarei andata mai via. Io volevo rimanere, desideravo scoprire chi diavolo fosse la persona che avevo davanti.
Mi chiese come mi chiamavo, e io riuscii a malapena a balbettare: “Mi chiamo Elian Rosemberg”. Avanzava piano; quando fu vicino al mio letto rimasi a bocca aperta.
Era un angelo. Non dimostrava più di vent’anni, aveva i capelli corti e neri, e dalle candele riuscivo a vedere chiaramente la figura slanciata, magra; era meraviglioso, come una statua greca.
Qualcosa in lui, però, non quadrava. Aveva la pelle bianchissima, i lineamenti troppo perfetti per essere naturali. La cosa, però, che mi è sembrata assolutamente la più incredibile, era il colore dei suoi occhi».
«Rossi?», chiese Bella, che aveva riconosciuto perfettamente la descrizione di un vampiro.
Scossi la testa, sorridendo. «No, Bella. Erano dorati».
Vidi Bella sussultare per un istante, per poi concentrarsi, probabilmente cercando tra le sue conoscenze qualcuno che corrispondesse alla descrizione che le avevo fatto. Risi alla sua espressione corrucciata. «Non credo tu possa conoscerlo, Bella».
Mi guardò incuriosita. «Io pensavo che solo Carlisle e il clan di Denali fossero vegetariani…»
«Ed è cosi», le dissi io, «lui conosceva Carlisle…o meglio, aveva avuto modo di conoscere il suo stile di vita, e aveva scelto di abbracciarlo. Arriverò anche a quello».
Ripresi il racconto da dove mi ero interrotta, davanti al suo sguardo perplesso. «Era senza ombra di dubbio l’essere più bello che avessi mai visto, era di una bellezza sconvolgente. Nonostante sentissi che dovevo avere paura, nonostante sentissi che era meglio per me scappare, non mi mossi di un millimetro. Ma credo che tu possa capire questa sensazione». Lei come nessuno poteva capirmi, grazie all’amore che l’aveva portata da Edward, contro ogni umano buon senso.
«Capii immediatamente che in lui c’era qualcosa di strano. Intuii che doveva essere lui il fantomatico essere che viveva oltre la collina. Come erano stupide certe credenze popolari», ridacchiai. «Eppure, non riuscivo a darmi una spiegazione migliore. Gli chiesi se era lui quello di cui si parlava nelle credenze locali, e lui per tutta risposta scoppiò a ridere. Non era una risata allegra, mi fece venire i brividi; mi disse che non era niente del genere, e che, non appena fossi stata in grado di camminare, sarei dovuta tornare dalla mia famiglia. Gli dissi chiaramente che non avevo più una famiglia, e solo in quel momento realizzai davvero quello che era successo.
Fino a quel momento non ero stata abbastanza lucida da riuscire a prendere atto del fatto che tutte le persone che conoscevo, la mia famiglia e i miei amici, erano scomparsi. Fu in quel preciso istante che mi ricordai perché ero andata oltre il bosco.
Provai a mettermi in piedi, ma lui mi trattenne sul letto; mi toccò appena un secondo, prima di togliere la mano, che era incredibilmente ghiacciata. Quel particolare mi colpì particolarmente, quello era l’ennesimo elemento che non riuscivo a far collimare con tutte le cose incredibili di quel ragazzo.
Gli dissi che non avevo più una famiglia, che ero sola. Lui non sembrò capire, e gli raccontai tutto quello che era successo. Mi ascoltò in silenzio, e, quando finii, mi disse che sarebbe tornato subito; sembrava molto arrabbiato. Tornò dopo nemmeno dieci minuti, e la sua espressione me ne convinse: era molto, molto arrabbiato. Mi chiese dettagli su come era avvenuto l’attacco, su quanti erano, da chi erano comandati… io non avevo la minima idea di dove volesse arrivare, e non sapevo nemmeno cosa rispondere.
Mi tartassò di domande al punto che, non so nemmeno perché, scoppiai a piangere. Volevo che mi lasciasse in pace. Mi chiese scusa, e si vedeva che gli dispiaceva veramente. Come non credere ad una creatura del genere?
Mi disse di dormire, di riposarmi. Mi riaddormentai quasi subito; quando mi svegliai, trovai accanto al letto del cibo e alcuni vestiti puliti. Lui però non c’era. Riuscii a mettermi in piedi, mi cambiai e mangiai (era incredibile quanta fame avessi), ma lui non tornò. Gironzolai per casa sua, e vidi che mancavano parecchie cose che invece c’erano nella casa dei normali umani, come una cucina, stoviglie o qualcosa che indicasse che chi ci abitava mangiasse, e il caminetto sembrava essere stato acceso per la prima volta; anche il letto in cui ero stata fino a quel momento sembrava non avesse mai ospitato nessuno, oltre che me. Insomma, non potevo certo immaginare che mi trovavo nella tana del lupo». Sorrisi a Bella, che mi sorrise di rimando.
«No, certo che non potevi saperlo. Ma saresti andata via, anche se l’avessi saputo?»
Aveva colto nel segno.
Risi. «No, non credo», dissi io, «credo sarei rimasta comunque. Mi affascinava troppo, e poi ero amante del pericolo», e le strizzai l’occhio. «Comunque, lui tornò dopo qualche ora. Io ero in piedi, e lui si stupì di vedere che stavo bene. Notai immediatamente che cercava di mantenersi il più possibile lontano da me, non voleva nemmeno rischiare di sfiorarmi. Lo ringraziai del cibo e dei vestiti. Non lo avevo ancora inquadrato: mi aveva raccolta moribonda nel bosco, mi aveva protetto, si era preso cura di me, e non sapevamo niente l’uno dell’altra. Non sapevo nemmeno come si chiamasse. Quando glielo chiesi mi disse di chiamarsi Vincent, ma, quando provai a chiedergli qualcosa in più, perché vivesse così isolato, perchè mancavano tutte quelle cose in casa sua, non ci fu verso di strappargli nient’altro. Ma io ero testarda, e non avevo intenzione di cedere.
Quella notte mi svegliai urlando. Avevo avuto un incubo, vividissimo, e ci misi qualche istante a ricordare dove mi trovassi. Scoppiai a piangere, disperata, quando sentii Vincent avvolgermi in un’altra coperta, abbracciandomi stretta. Mi sussurrava che andava tutto bene, che ero al sicuro, che non mi sarebbe successo niente di male. Quando mi calmai, lui fece per allontanarsi, ma io gli dissi: “Ti prego, non te ne andare”. Lui ci pensò un attimo, titubante, poi si sedette sul letto, e mi prese tra le braccia. Era una sensazione meravigliosa, respirare il suo profumo, avevo la sensazione che niente potesse sfiorarmi quando ero con lui. Quella fu la prima notte che mi sentii davvero bene.
I giorni passavano, e presto mi rimisi in forze. Non avevo mai abbandonato l’idea di vendetta che mi aveva spinto fino a li, ma adesso sapevo con assoluta certezza che, stregone o no, quel ragazzo avrebbe potuto aiutarmi, anche se non sapevo ancora come avrebbe fatto. E alla fine mi ha aiutato, in un modo che non mi sarei mai aspettata».



***



  
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