Film > Labyrinth
Segui la storia  |       
Autore: petitecherie    10/04/2016    4 recensioni
Si portò le mani al petto nudo e le sfregò contro la pelle, come a ripulirle da un sottile strato di sangue.
-Chi sei davvero? Desidero che i nostri cammini si incrocino di nuovo.-
Non sapeva a chi avesse rivolto quella preghiera: se al vecchio se stesso o alla fanciulla bianca dei suoi sogni, ma alla fine non importava.
Poiché aveva detto le parole giuste, la Magia lo ascoltò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jareth, Sarah
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
L'incantatore
But,
I nearly forgot.
You must close your eyes.
Otherwise...
you won't see anything.
Lewis Carroll, Alice in Wonderland
 

 

La voce di David, morbida e un po’ roca, graffiava l’aria come l’artiglio di un gatto.

-Certo che ci sarò, Maggie. Facciamo alle quattro e mezzo, allora!-

-Sicuro che non sia un problema aver posticipato?- dall’altro capo del cellulare, la voce della donna trasudava efficienza. David udì un fruscio in sottofondo, come se la donna stesse sfogliando l’agenda. -Perché altrimenti possiamo… -

-Tranquilla, Maggie: nessun problema! Spostare la tua riunione sul bilancio dell’intero ospedale mi sembra un filo più impegnativo che spostare il mio spettacolo per i bambini della pediatria.-

Silenzio. A David pareva di sentire le rotelle girare nella testa di Maggie.

-Non ne sarei così sicura, sai? Abbiamo un totale di trenta piccole pesti che ti adorano. Più relative madri che potrebbero adorarti ancora di più, se solo ti decidessi a indossare i pantaloni di scena che ti avevo suggerito...-

-…sei molto cara, ma erano un po’ troppo attillati…-

-…per non parlare dei tuoi fan nel personale medico e paramedico. Se il tuo spettacolo venisse sospeso, rischierei un’insurrezione, altrochè!-

-Amministrare un ospedale è un mestiere pericoloso!-

-Puoi dirlo forte, ragazzo!-

David sollevò un biondo sopracciglio.

-Credo che nemmeno mia madre mi chiamasse così, sai?-

-Finchè non ti torna la memoria, non possiamo esserne sicuri,- sentenziò Maggie, pragmatica. -E in ogni caso qualcuno dovrà pur farne le veci, no? A dopo!-

David chiuse la chiamata con un ghigno ironico stampato sul volto affilato.

Si passò una mano tra i corti capelli biondi e si chinò sul borsone aperto sul letto, riprendendo a fare l'inventario.

Bacchetta? . Cappello? Ovvio! Cristalli? Li ho inseriti prima e… sì, ci dovrebbe essere tutto.

-Valigia da lavoro: mission accomplished!-

Inserì nel borsone la camicia dalle ampie maniche che costituiva il suo costume di scena, e da ultimo pigiò dentro il mantello nero, punteggiato di strass talmente piccoli da sembrare parte della trama stessa del tessuto. Come sempre, ebbe un brivido sfiorando quella stoffa così particolare.

La restante parte della sua tenuta era molto semplice, ma quel mantello...

Il pubblico deve essere partecipe e lasciarsi incantare, sussurrò a se stesso.

Si guardò intorno, indeciso se portarsi dietro qualcos'altro, ma finì per lasciarsi distrarre dalla propria immagine, imprigionata nella cornice del grande specchio decorato, posto al centro del monolocale. La funzione dell’oggetto era quella di convogliare più luce possibile dall'esterno e far sembrare l'ambiente più spazioso, ma a David ricordava lo specchio magico di Alice nel paese delle Meraviglie: quasi un portale per un'altra dimensione, se solo avesse conosciuto le parole giuste.

Sorrise al proprio riflesso. Non sapeva con esattezza quanti anni avesse: doveva andare per i quaranta, forse: di certo più di trentacinque primavere se le portava addosso. Il suo riflesso mostrava un uomo curato, dal portamento elegante e dall'atteggiamento sicuro, ma non arrogante. La sua particolarità più affascinante stava senza dubbio negli occhi spaiati.

Dopo aver lasciato l'ospedale, costretto a doversi inventare da capo una vita e un’identità, David aveva puntato tutto sul proprio carisma e sulla strana, apparentemente innata abilità per i giochi di prestigio.  La sua abilità nel contact juggling, l'arte di manipolare le sfere, l'aveva reso abbastanza rinomato nel suo ambiente e gli aveva garantito il companatico. Insomma, per essere la vittima di un misterioso incidente affetta da un'amnesia irreversibile – quindici anni e nemmeno un dejà vu - David King si era ripreso abbastanza bene.

Oltre a una reputazione nel proprio campo, aveva creato una stabile rete di amicizie: con esse curava la solitudine e il sottile senso d'abbandono, pressoché inevitabile visto che nessuno l'aveva mai cercato in quegli anni.

Le congetture sulla sua vera origine, sulla sua vita e la sua identità di prima, si sprecavano, ma il dottor Cavendish, il suo psichiatra, gli aveva consigliato di non tormentarsi più di tanto: la sua vicina di casa gli preparava un'apple pie fantastica, di che si doveva lamentare?

Persino il suo nome sembrava portargli fortuna.

Non che fosse davvero il suo – non aveva la più pallida idea di come si chiamasse – ma, per una serie di fortunate coincidenze, sembrava calzargli a pennello. Proprio Maggie l'aveva soprannominato “David” notando la sua somiglianza con David Bowie, e “King” se l’era scelto da solo, perché gli pareva adatto alla propria persona. Durante gli spettacoli si presentava come King David, il Re Davide, citando così il personaggio della Bibbia, a cui si sentiva vicino per modi di fare e complessità psicologica.

Il suo cellulare emise un beep e David si trovò davanti l'ennesimo messaggio di auguri per il suo compleanno. Scosse il capo. Non amava più di tanto la ricorrenza in questione, anch'essa fittizia, perché gli ricordava tutto ciò che gli mancava. Sui documenti, comunque, doveva comparire un’ipotetica data di nascita, e David aveva optato per il giorno in cui era stato trovato privo di sensi in un parco della città, un Halloween di quindici anni prima. L'unica cosa rimasta del suo passato era il mantello nero come la notte, che lo ricopriva mentre sotto era nudo come un verme.

Chi, come e perché fosse finita così, rimaneva un mistero e David esorcizzava le paure legate a quella notte nell'unico modo possibile: ringraziare per la nuova vita coloro che l'avevano salvato. Così, da parecchi anni a questa parte, organizzava un piccolo spettacolo nel reparto di pediatria dell'ospedale e ciò lo faceva sentire utile, oltre che vivo.

David sorrise tra sé, chiudendo il borsone.

Tutto pronto: si va in scena!

 

*

 

Io sono un guerriero,
veglio quando è notte

Ti difenderò da incubi e tristezze,
ti riparerò da inganni e maldicenze
e ti abbraccerò per darti forza sempre.
Ti darò certezze contro le paure
per vedere il mondo oltre quelle alture.
Non temere nulla io sarò al tuo fianco
con il mio mantello asciugherò il tuo pianto.

Marco Mengoni, Guerriero

 

-Posso andare allo spettacolo, allora?- chiese Liza.

Un lento sorriso affiorò alle labbra di Sarah.

-Prima sentiamo come respiri.- disse, infilando il fonendo nelle orecchie e poggiando la campana sul torace della bambina.

La piccola paziente tacque immediatamente, respirando a bocca aperta come ormai aveva imparato a fare. Sarah socchiuse gli occhi e si concentrò sul suono regolare e leggermente aspro del suo respiro.

Niente fischi o sibili, prese nota mentalmente.

-Fai un colpo di tosse, tesoro.-

Liza obbedì diligentemente.

Ancora qualche crepitio sotto i colpi di tosse, nettamente migliorato rispetto ai giorni scorsi.

Sarah sfilò il fonendo dalle orecchie e se lo sistemò attorno al collo.

-Insomma, posso?- pigolò Liza, piantandole in faccia due occhi scuri da cerbiatto.

-Puoi… MA starai seduta tutto il tempo, da brava bambina, e dopo dovrai subito tornare a letto. Intesi?-

La bimba battè le mani, raggiante.

-Promesso, dottoressa campionessa!- e le allungò il mignolo.

Sarah strinse il piccolo dito con il proprio, l'espressione seria di chi fa un voto solenne. Era tornata nella propria città natale da una manciata di mesi, dopo gli studi e la specialistica che aveva seguito a Boston, ma le stanze colorate della pediatria e i corridoi dalle pareti dipinte erano già diventati la sua seconda casa. Anzi, a dir la verità passo molto più tempo qui, che a casa, pensò distrattamente.

-Campionessa di cosa?- domandò Marika dall’angolo opposto della sala, cambiando una flebo.

-Campionessa di storie!- trillò Liza.

-È il mio secondo lavoro. – sorrise Sarah.-Non lo sapevi?-

L’infermiera scoppiò a ridere e Sarah scrollò le spalle.

Era stata davvero una campionessa, una volta: aveva battuto un pericoloso avversario in un Labirinto che si trovava oltre il tempo e lo spazio.

Ciò che ti chiedo è così poco! Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e diventerò il tuo schiavo!

Sarah rabbrividì un attimo, la penna sospesa a mezz’aria sopra il foglio degli ematochimici.

Un nome le affiorò alle labbra, ma lei lo ricacciò indietro, sul fondo della propria mente, e lasciò che la realtà prendesse il sopravvento. Ripiegò la scheda dei parametri e scorse la tabella di terapia, tagliando via la fisiologica delle 8 e la glucosata delle 16.

-Perfetto. Abbiamo finito, Liza.- disse alla bambina, che la scrutava con leggera apprensione.

-Niente più punture per oggi?-

-Niente più punture. –

-Verrai anche tu, oggi?- Liza fece una piccola smorfa. –Devi venire per forza: il Re David è bravissimo! È un mago vero!-

Sarah sollevò le sopracciglia scure.

-Davvero?-

-Sì, fa le magie sul serio! Vieni a vederlo anche tu, dottoressa campionessa!-

-Mi hai quasi convinta!- Sarah si sporse verso Liza con aria da cospiratore. –Vuoi sapere un segreto?-

Gli occhi castani della bambina si spalancarono, facendosi grandi e attentissimi.

-Tantissimi anni fa,- sussurrò Sara -anch'io ho un incontrato un mago vero! Sono proprio curiosa di scoprire se questo Re David è alla sua altezza!-

-Hai incontrato un mago vero? Come? Quando?-

-Oh, tanto tempo fa, in un sogno.- Sarah accarezzò i morbidi capelli chiari di Liza e le tirò la coperta sotto il mento. -Allo spettacolo manca ancora un'oretta: fino ad allora voglio che riposi.-

La voce di Liza la raggiunse che era già sulla soglia.

-D'accordo, Lady Sarah.-

-Come?- Sarah restò immobile.

-Saresti una bellissima principessa di fate, dottoressa.- sussurrò Liza, già mezza addormentata.

Sarah uscì dalla stanza lentamente, quasi temesse che un'orda di Goblin si manifestasse all'improvviso e la riportasse nel vortice di fantasie infantili da cui tanto faticosamente era uscita.

Fin dall’adolescenza, la realtà in cui viveva le era sempre stata stretta: da ragazzina, rifugiarsi in un mondo di fate e folletti la faceva sentire completa e meno sola. Almeno finchè non aveva incontrato il Re dei Goblin. Da lì, da quell'assurda avventura degna di Alice, la sua bussola interiore si era come stabilizzata. Si era cullata un altro po' in quei sogni – ricordava ancora i suoi amici di quelle notti: Hoggle, Bubo, Sir Didymus, i Fireys... dèi, i Fireys! – fino a che non aveva avuto il coraggio di stare in piedi da sola e li aveva relegati in una scatolina della sua mente.

Aveva colmato quel vuoto scrivendo racconti, avvicinandosi al mondo del teatro, tentando di creare un legame con sua madre Linda, ma oramai ognuna di loro correva su un binario diverso, e Sarah si era sorpresa, incredibilmente, a preferire la compagnia di Karen, la sua matrigna, ben più affidabile e materna della sua vera madre.

Le fiabe e i balocchi erano stati messi da parte nel momento in cui aveva accettato la sua nuova famiglia e il suo ruolo di sorella maggiore. Non che non avesse mai raccontato favole a Toby, solo che non le considerava più così reali.

Al college, sorprendendo tutti, aveva scartato letteratura inglese e folklore e scelto di studiare medicina. Non se n’era mai pentita, anzi: il suo lavoro la teneva ancorata al reale. Per un medico, il corpo umano è qualcosa che bisogna ispezionare, palpare, auscultare; un meccanismo delicato e preciso con esigenze molto concrete.

I pazienti di Sarah erano vivi, veri, reali: quando stava in mezzo a loro, anche lei lo era.

Andò in cucina e si servì un caffè, generosamente addolcito con zucchero e latte.

Da quando era tornata a casa, i ricordi riguardanti il Labirinto avevano iniziato a far capolino, come se la sua città fosse intimamente legata al Sottosuolo.

Sarah sbuffò e lo sguardo le cadde sul volantino che sponsorizzava lo spettacolo: “Il grande Re David si esibirà nella saletta A di pediatria, per inaugurare Halloween in grande stile”.

Un prestigiatore fanatico di sfere e Halloween alle porte, tutto nello stesso pomeriggio.

Quando si dice il destino! si lamentò Sarah alzando gli occhi al soffitto.

 

*

 

- Ehi, Sarah, sei ancora qui? Pensavo fossi già andata via!- disse Marika, incrociandola in spogliatoio.

Sarah incrociò nello specchio lo sguardo dell’infermiera e arricciò il naso, facendole una piccola smorfia.

-Non infierire, please: sono di guardia fino alle 20.30!-

Marika sollevò le mani mostrando i palmi.

-Tranquilla, non infierisco: giungo in pace! Hai programmi per cena?-

-Più o meno: i miei mi hanno chiesto di mangiare da loro stasera.- borbottò Sarah pettinandosi i capelli scuri. Li portava ancora lunghi, ma con un taglio più scalato. Il viso aveva perso la rotondità infantile, ma i lineamenti dolci e gli occhi verde menta le conferivano un’aria eterea, quasi irreale.

Era diventata una bella donna e lo sapeva, ma nessuno era riuscito a stregarla al punto da farle desiderare un matrimonio e dei figli. Aveva avuto le sue storie, alcune anche serie, ma alla fine preferiva sempre passare una serata con i suoi che uscire a caccia di un ipotetico fidanzato.

-Se non sei troppo stanca, sul dopocena potresti venire con me e le altre a prendere una birra!- buttò lì Marika. -Sai, giusto per festeggiare Halloween!-

-Non siamo un po' cresciute per fidarci degli uomini mascherati?- scherzò Sarah, rimettendo il pettine a posto nell'armadietto.

-Oh, andiamo, che male c’è? Cosa vuoi diventare, una zitella con i gatti?-

-Preferisco i cani!- scoppiò a ridere Sarah. -Comunque, visto che il reparto è tranquillo passo un attimo dalla saletta per controllare Liza. Si è sfebbrata e gli esami vanno bene, ma voglio essere sicura che dopo lo spettacolo torni dritta nella sua stanza. E poi, voglio dare un'occhiata allo show di magia.-

-Ah, allora vai a vedere David!- Marika le lanciò uno sguardo malizioso. -Stai attenta a che non ti rubi l'anima: quell'uomo è un incantatore nato!-

-Tranquilla, con gli incantatori ho già dato!-

Sarah mise piede nella saletta quando lo spettacolo ormai si avviava alla fine. I bambini erano seduti in cerchio –chi in sedia a rotelle, chi sulle sedie di plastica. Il mago vestito di nero dava le spalle alla porta e camminava in mezzo ai bambini, chinandosi felino sui loro volti rapiti. Con un gesto che doveva essere talmente studiato da apparire del tutto naturale (o talmente naturale da apparire studiato? Sarah non riusciva a capirlo) il mago si sfilò il cappello a cilindro e lo lanciò ad un bambino, che tese le manine e lo afferrò al volo.

Sotto lo sguardo del pubblico, il cappello si sfaldò al tocco delle piccole dita, diventando un mantello nero.

-Ah! Ecco dov’era finito!- disse il mago, trionfante, e gettò il capo all’indietro, i capelli di un biondo iridato sotto le fredde luci a neon.

Il mantello dell’uomo parve fluttuare un istante nell’aria – una notte scura, trapuntata di stelle – poi lui lo afferrò al volo, prima che si adagiasse a terra. Le sue movenze, feline ed aggraziate, fecero indietreggiare Sarah per la sorpresa.

E poi la voce limpida del mago iniziò a graffiare l’aria.

-Nessuno vide il barbagianni: bianco al chiar di luna, nero sotto le stelle. Nessuno lo sentì planare su ali di velluto. Il barbagianni vide tutto. Si piazzò su un albero, artigliato a un ramo, e fissò la ragazza nella radura sottostante.- La sua voce era roca e invitante e sempre più familiare, mentre intrecciava una parola all’altra, tessendo una storia che Sarah conosceva troppo bene. Il mago sollevò una mano guantata verso il soffitto. Una sfera baluginò tra le sue dita e lui la fece scivolare nel palmo, e poi sul dorso della mano, come non facesse altro da tutta la vita. -Il vento mugghiava, faceva dondolare il ramo, trasportava di qua e di là le basse nubi nel cielo crepuscolare. Sollevò i capelli della ragazza. Il barbagianni guardava con occhi impenetrabili e scuri. La ragazza si allontanò lentamente dagli alberi verso il centro della radura, dove luccicava uno specchio d'acqua. Era immersa nei suoi pensieri. Ogni passo la portava più vicino al suo scopo. Teneva le mani aperte, appena tese in avanti. Il vento sospirò fra gli alberi: il mantello le si avvolse attorno al corpo; i capelli si scompigliarono, coprendole in parte il volto illuminato dai grandi occhi verdi. La ragazza aveva le labbra socchiuse. Si voltò verso il barbagianni e disse…-

-Jareth!-

Il nome sfuggì dalle labbra di Sarah in un sussurro, ma risuonò nel silenzio della sala come una scudisciata. Il mago trasalì e si voltò di scatto verso di lei, catturando nel suo sguardo spaiato il verde dei suoi occhi. Le sfere gli sfuggirono di mano, ma non raggiunsero mai il pavimento. Sotto lo sguardo incantato dei bambini, esplosero nell’aria in una lenta pioggia di piume bianche.

°°°

NdA: Eccomi di ritorno! 

Un doversoso ringraziamento a tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite, seguite, ricordate e che hanno recensito lo scorso capitolo. Siete davvero uno sprone ad andare avanti :*

Disclaimer: non scrivo a scopo di lucro, nessun Re dei Goblin è stato maltrattato. Tanti saluti dal Labirinto!

 

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Labyrinth / Vai alla pagina dell'autore: petitecherie