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Autore: _Do not stop Believin    12/04/2016    6 recensioni
-COME HAI POTUTO NASCONDERMI UNA COSA DEL GENERE, JEN?- urlò sbattendo la mano chiusa in un pugno sul tavolo.
-Tu non hai il diritto di arrabbiarti.- pronunciò calma.
-NON MI HAI DETTO DI MIO FIGLIO! COME CAZZO DOVREI REAGIRE?- le urlò in faccia, spaventando la ancora di più.
-Oltre ad avermi abbandonato ed ad avermi amato per finta, mi hai anche portato via mio figlio.- sussurrò, con disgusto, ritrovandosi subito cinque dita sulla guancia.
-Tu...Tu non immagini neanche quanto io ti abbia amato, Louis! Dio solo sa quanto! Vuoi sapere il perché? Perché non avresti avuto questa stupida vita che tanto bramavi! Volevi la fama, diventare un cantante, no? Eccoti nella vita più bella in cui chiunque vorrebbe stare! Ora puoi fare tutto quello che vuoi, ma in questo mondo non farai entrare ne me, ne mio figlio.-
----------------
-Quando mio padre aveva gli occhi lucidi quando lo abbracciavo o gli davo un bacio sulla guancia, io non capivo.
Quando mi stringeva a sè e mi sussurrava che ero la cosa più bella che gli fosse mai capitata, non capivo, ma ora so.
So che sentirmi chiamare papà è la nota più bella esistente nel brano musicale della mia vita.-
Genere: Romantico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Forgive me.
Jennifer's pov. 
-La febbre è molto alta, non si sa quale sia la causa di tutto ciò. Dobbiamo solo sperare che superi la notte, per poter cominciare a risolvere il problema.- provai un dolore lancinante al cuore, all'udire quelle parole così appuntite come lame d'acciaio puntate dritte al centro del mio corpo.
Portai una mano sulla bocca, sentendo la testa girare come coinvolta in un vortice di emozioni.
Dolore, paura, rabbia si alternavano nella mia mente, intrecciandosi a vicenda.
Guardai il dottore, avvolto nella sua espressione dispiaciuta, probabilmente provando pena per un bambino così piccolo rinchiuso in questa situazione e ad una madre-ragazza che doveva affrontare un fatto più grande di lei stessa.
Ma lui non provava il mio stesso dolore. Lui non aveva vissuto quello che avevo vissuto io.
Louis se ne stava dietro di me, ad un metro di distanza, anche se io sapevo che lui stesse ascoltando, e che avesse ascoltato quelle parole pronunciate dall'uomo con il camice bianco.
Il respiro si fece irregolare, sconvolto da tante cose avvenute troppo in fretta. Il dottore abbassò lo sguardo, congedandosi con un sorriso che io non riuscii a ricambiare.
Portai una mano sulla fila di sedie bianche tutte appoggiate sul muro, sedendomi poi piano, per paura di cadere.
Superare la notte.
Superare la notte.
Superare la notte.
E se non lo avesse superata? Cosa sarebbe successo?
No. Non poteva capitare a me, a noi, al mio bambino. Era sempre stato così vivace, così resistente alle malattie.
Ci doveva pur essere una ragione per la quale aveva preso l'influenza, per di più alta.
Un bimbo della sua età era molto più delicato. Tre anni.
Aveva quasi tre anni. Dio non poteva essere così crudele da pensare di potermelo portare via.
Portai le mani sulla fronte, massaggiandola con fermezza. La testa stava per scoppiare, non riuscivo nemmeno a piangere per dare sfogo al mio dolore.
Sembrava che il mio cuore fosse sospeso, quella sensazione che si ha quando ti rendi conto che ormai sei alla fine della tua vita.
Ma io lo sapevo, che se il mio piccolo se ne fosse andato, io me ne sarei andata con lui.
Con una forza che manco sapevo di avere, presi tutte le energie rimaste nel mio corpo, e mi alzai, temendo di barcollare.
La caduta di prima per via Louis mi aveva provocato un dolore alla caviglia che in quel momento era l'ultimo dei miei problemi.
Cercai di camminare normalmente, anche se un po' di male faceva, dirigendomi così verso la porta così opaca e bianca che nel vederla mi veniva quasi da vomitare.
Tutto in quell'ospedale dava la ragione per essere triste.
I colori. I mobili. Le persone. Tutto.
Per questo io le odiavo, con tutto il mio cuore.
Portavano via felicità, gioia, e anche le persone che mi amavano e che io amavo.
Aprii la porta titubante, sentendo il solito scricchiolio che mi provocò una scarica di brividi lungo il corpo, e lo vidi.
Disteso su quel letto tre volte più grande di lui.
Sentii le lacrime salire negli occhi, e cercai di fermarle, riuscendoci, almeno per ora.
Presi a camminare lentamente verso quel letto così vicino quanto lontano.
Più mi avvicinavo, e più mi sembrava che si allontanasse da me.
Senza accorgermene, presi a correre, sedendomi sul materasso anch'esso ricoperto dal lenzuolo bianco cadaverico, quasi dello stesso colore della pelle di mio figlio.
Teneva gli occhi socchiusi: era sveglio. Quelle pochissime volte che si ammalava, non riusciva mai a dormire.
L'unica soluzione era cantargli la sua ninna nanna, ovvero la canzone di suo padre, cosa che io gli facevo ascoltare tutti i giorni quando ancora era al sicuro dentro di me.
Per quanto volessi però, nessun suono uscì dalla mia bocca secca. Portai la mano destra sui suoi capelli color del miele, sentendo anch'essi caldi, e presi ad accarezzarglieli con cura, avendo paura di fare qualcosa di sbagliato.
-M-Mami...- balbettò con un filo di voce, senza aprire i suoi occhi blu, cosa un po' positiva per me, poiché se mi fossi immersa in quei oceani, non avrei più trattenuto le mie lacrime.
-Si?- sussurrai, con dolcezza, e anche se la situazione non era uno dei migliori, sorrisi. Era impossibile non farlo, in sua presenza. Quel bambino ti poteva riscaldare il cuore con un piccolo gesto, e nel mio caso, chiamarmi 'mamma'.
-Scusa...- sussurrò, con quel tono che era quasi sull'orlo di piangere. Ma sapevo che mio figlio era forte. Avremmo superato anche questo.
-Per cosa, amore?- chiesi, confusa, continuando ad accarezzarlo, anche se quel gesto più che per tranquillizzare lui, era anche per tranquillizzare me.
-Pecchè tu sei tanto triste e è tutta coppa mia.- tirò su con il naso, guardandomi negli occhi con quelle due piccole fessure.
E ciò che prevedevo si avverò. Lacrime pervasero il mio viso, alla vista di quell'angelo che mi era stato regalato preoccuparsi non per lui, ma per la sua mamma triste. Sorrisi piangendo: il mio piccolo era un bambino molto altruista, tutto suo padre.
-Hey, no, non è vero...- presi il suo viso fra le mani, accarezzando le sue guanciotte e quasi non mi sentii male nel vedere che non c'era quel colore rosaceo che le caratterizzava.
-...la mamma non è triste per colpa tua. Tu non hai colpe, amore mio, hai capito? Tu sei il mio bambino, mio figlio, e sei la gioia della mamma. Io non saprei cosa fare senza di te, piccolo mio, ok? Non dire mai più cose del genere. La mamma ti ama, non dimenticarlo mai.- pronunciai, fermandomi e creando un intervallo dopo ogni singola parola per colpa dei singhiozzi. Lui chiuse gli occhi, addormentandosi lentamente.
Sospirai afflitta, tutti questi dolori stavano avendo il sopravvento su di me. Sarei crollata, ma non potevo permettermelo. Mio figlio aveva bisogno di me. 
Osservai il colorito pallido della sua pelle così liscia e morbida, pregando Dio che ribaltasse le situazioni. Quanto avrei voluto soffrire io al posto suo. Era così piccolo, non doveva accadere tutto questo a lui.
Con una lentezza immaginabile mi alzai, coprendolo bene con la coperta di cotone bianca e lasciandogli un bacio sulla guancia, per poi uscire da quella stanza così calda, o magari ero io che avevo la sensazione di essere circondata, di essere d'un tratto ricoperta dal dolore. Ma ciò che provavo, ciò che pensavo, svanì subito alla vista di quei occhi davanti a me. Occhi di ghiaccio, blu denso come il mare, eppure mi sembrava di vedere qualcosa dentro di loro, un qualcosa che, capii subito dopo, si trattava di odio.
-E' tutta colpa tua.- sibilò a denti stretti, stringendo le mani in un pugno troppo forte, tanto da far diventare le nocche bianche. Mi fissava, come io non lo avevo mai visto fissare qualcun altro. Puro odio ondeggiava in quei occhi che tanto amavo. Quel senso di calore che vedevo sempre riflessi in quelle iridi cristalline non c'era. Abbassai la testa, non riuscendo a reggere il suo sguardo.
-Abbi almeno la decenza di ammetterlo, cazzo!- urlò, facendomi sussultare. Non parlai, in fondo, cos'altro avrei potuto dire?
Aveva ragione.
Era colpa mia.
Ma lo avevo fatto per il bene di tutti e tre, e lui questo non lo sapeva.
-Ma ti rendi conto che cazzo hai fatto? Se tu non te ne fossi andata, non saremmo mai finiti in questa cazzo di situazione! Porca troia, oltre che ad avermi lasciato ed avermi fatto soffrire per tre anni ora metti anche Chris in mezzo a tutto?- ascoltavo quelle parole così affilate, che andavano a creare buchi nel mio cuore.
Ogni parola era una lama in più.
Faceva così male, sentirle da lui.
-Che razza di madre sei?!?- e fu questa frase, a far da ultima goccia al mio vaso già saturo di dolore. Sentii gli occhi pizzicarmi, avevo tentato di non piangere. Avevo tentato di assumermi tutto il suo odio, ma se si trattava di mio figlio, io crollavo.
'Che razza di madre sei?' mi ripetevo nella mia mente.
 Improvvisamente, una lacrima cadde solitaria lungo la mia guancia destra, una lacrima che non mi preoccupai di asciugare.
-Basta...- alzai lo sguardo, incontrando il suo, tanto freddo quanto caldo dal fuoco che vi ribolliva dentro.
Solitamente ero io a fare da acqua a quel fuoco, ero io a cercare di calmarlo per fermare la sua rabbia.
Adesso non potevo più, perché la causa ero io stessa.
-...Ho capito. Non c'era bisogno che tu me lo dicessi o me lo ricordassi. Mi sento già uno schifo di mio.-parve irrigidirsi un secondo, per poi sorridere, compiaciuto, e pronunciare le ultime parole, le ultime pugnalate.
-Te lo meriti.-
Rimasi ad osservarlo in silenzio, non sapendo come reagire. Il suo sguardo mi paralizzava, e a dare il colpo di grazia furono proprio le ultime tre parole.
Non riuscii a reggere la situazione, più grande di qualunque altra mi sia capitata nella vita, e silenziosamente, me ne andai, non sapevo dove, ma mi rifugiai nella terrazza, respirando aria fresca, il che era tutto un dire, siccome l'aria fresca a Manchester te la potevi anche scordare, ma era molto meglio del clima inquinato londinese a cui ero abituata.
Mi venne in mente la mia città, Doncaster, e un senso di malinconia pervase il mio cuore.
Lì l'aria era pura, limpida, così piacevole da respirare. L'aria di periferia che profumava di casa.
Ma sapevo benissimo che casa mia non era stata solo Doncaster, bensì le braccia di una persona, una persona che in questo preciso istante mi odiava, avendo tutti i motivi del mondo.
Lasciai che la lacrime scivolassero lungo le mie guance, per poi scomparire sulle mie labbra ormai salate. Cercai di smettere, ma più lacrime asciugavo, e più ne uscivano dai miei occhi.
Sentivo il cuore pesante: tutto stava scivolando troppo velocemente dalle mie mani. Tutto e tutti sembravano andarmi contro, ma in fondo, io sapevo che era per me una lezione.
Me lo meritavo.
E lui non mi avrebbe mai più perdonata.
Louis' pov.
Massaggiai le mie tempie con il pollice e l'indice, seduto sulle tante sedie messe in fila sul muro bianco opaco.
Era troppo. Era tutto fottutamente troppo.
Appena avevo visto una lacrima solcarle sul viso candido, stavo quasi per crollare.
Volevo abbracciarla, sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, ma le uniche parole che fuoriuscirono dalle mie labbra erano stati sinonimi di odio.
Non riuscivo a trattarla in un modo diverso dalla rabbia.
Sentii una ventata di aria proveniente dalla parte destra ed uno scricchiolio, segno che qualcuno si era seduto vicino a me.
Con le 18371837 sedie che c'erano, proprio vicino alla mia doveva sedersi?
Non ci feci caso, avendo già altri problemi a io badare, finché la persona accanto a me, che non avevo nemmeno guardato, prese parola, precedendo il tutto con un sospiro, quasi come se si stesse preparando per un lungo discorso. Peccato, che quel discorso, era totalmente rivolto a me.
-Sei anni fa, mia nipote venne a pranzo da me in una calda giornata di giugno. Lo faceva sempre, ogni fine anno scolastico. Diceva che era per festeggiare l'inizio delle vacanze. Ma io l'ho sempre reputata una scusa sul fatto che a casa mia c'era la piscina...- incominciò.
Fermai i miei pensieri, non riuscendo ad ascoltare quella voce che a me sembrava tanto famigliare. -Quell'anno però, fu diverso. Mi presentò il suo migliore amico. Un ragazzino di quindici anni con un sorriso smagliante, una vivacità immensa ed una voglia di vivere assurda. Scherzavano, si punzecchiavano a vicenda, e nei loro occhi leggevo un affetto profondo...- tolsi le mani dal mio viso, liberando così le orecchie, per poter sentire meglio il suono ovattato che giungeva a me.
-...Esattamente due anni dopo, la stessa scena si ripetè, con un piccolo grande particolare. Quella volta, mia nipote mi salutò con un:'zia, ti presento il mio ragazzo!' con una felicità che non seppi neanche descrivere.
A pranzo, fecero la stessa cosa di sempre: si punzecchiarono, si presero in giro, ma nei loro occhi vidi nuove cose. Cose che non tutti avevano la fortuna di avere.
Ma quei due ragazzi, follemente innamorati, ce l'avevano. E da lì, capì che sarebbe durata per tanto tempo, se non per sempre.- mandai indietro la schiena, per star in una posizione più composta e dritta, guardando il muro bianco dinnanzi a me.
La donna, continuò a parlare, noncurante del fatto che magari io non l'ascoltassi. Ma lei sapeva.
Sapeva che la mia attenzione era totalmente rivolta a lei.
-Due anni dopo trovai la stessa ragazza in lacrime, mentre mi raccontava piangente la fine di quello che a lei sembrava infinito. E che si malediva profondamente, per aver fatto soffrire l'unica persona che avesse amato davvero.- sussultai, sentendo un peso al cuore.
Sentii quest'ultimo pulsare sangue, al solo pronunciare di quel verbo 'amare' che tanto infinito non era.
-Quasi tre anni dopo, mi ritrovo in un ospedale, a guardare due giovani innamorati soffrire, per colpa del passato.- quanto aveva ragione. -Due giovani con due responsabilità: un figlio da crescere...- in quel momento, trovai coraggio, e la guardai negli occhi.
-...e l'amarsi a vicenda.- quasi non mi venne un infarto, specchiandomi in quegli occhi simili a lei, ma non suoi.
-Ho visto troppe lacrime sul viso di mia nipote. Lacrime che non potresti mai contare con le dita, nemmeno se avessi tutte le mani dell'universo. Piange di notte, credendo che nessuno la senta. Nasconde il dolore con un sorriso, pensando che nessuno lo veda veramente. Ma i suoi occhi la tradiscono, sempre. Come i tuoi occhi ti tradiscono quando la guardi, mentre ti rivolgi a lei con tono infuriato.- si fermò un secondo, per riprendere fiato.
Io l'ascoltavo, come un bambino ascoltava una favola che lo rapiva totalmente.
Mi rivolse uno sguardo dolce, che mi ricordò terribilmente il suo.
-Figliolo, non puoi pretendere che la vita sia perfetta, che le persone siano perfette. Nessuno lo è in questo mondo. Le cose si fanno, si sbaglia, si perdona, si soffre, fa tutto parte del pacchetto. Se lei ti ha lasciato, un motivo c'era, c'è e ci sarà sempre. Hai mai pensato, che se tu avessi saputo della sua gravidanza, cosa avresti fatto?- mi chiese, sempre con quello sguardo. Ingoiai la saliva che voleva risalire, sentendomi troppo soggetto a quella domanda. Sorrise nuovamente, forse divertita dal mio silenzio indeterminato. La guardai titubante, non sapendo cosa dire.
-Forza...dillo.- la sapeva già la risposta che avrei dato.
Era la risposta che il mio cuore mi suggeriva, e che sapevo era ciò che avrei fatto, se lo avessi saputo prima.
-Non sarei andato a fare i provini.- risposi sinceramente.
-Esattamente.- ma continuai a non capire.
La guardai, rivolgendole una domanda silenziosa che probabilmente capì.
-Rifletti. Non pensare a quello che ti ha fatto, mettiti nei suoi panni. Se lei avesse un sogno di cui non potrebbe mai rinunciare, un sogno che tu sai di essere importante per lei...la lasceresti andare o la fermeresti per un fatto di egoismo?- e da lì, intesi.
Tutto quadrava perfettamente. Le immagini prima sparse nel vuoto e nel dubbio, si stavano attaccando pian piano come pezzi di puzzle. Stava accadendo troppo in fretta, ed io mi sentivo più schifoso ogni secondo di più.
Scattai in piedi, non prima di aver ascoltato le sue ultime parole, accompagnate da un sorriso quasi vincente.
-Dietro al dolore, c'è sempre un perché. Non tutti lo vanno a cercare, semplicemente perché è facile soffrire ed è difficile accettare il motivo per il quale farlo. Ma l'arcobaleno non dura mai tanto quanto una pioggia. Scompare, proprio come la felicità. Ma sta a te, riaverla di nuovo.-
Dopo aver percorso un paio di corridoi nel reparto pediatria, la trovai, di spalle, mentre ammirava l'ambiente circostante.
Ma io sapevo che la sua mente era da tutt'altra parte.
La conoscevo, ed ero stato uno stupido da pensare che lei avesse fatto tutto per puro egoismo.
Ebbi un'indecisione se aprire o no la porta di vetro che ci separava, ma dovevo.
Questo discorso era stato rimandato per troppo tempo, ed era arrivato il momento di abbandonare i ricordi, e crearne dei nuovi.
Lo scatto dell'apertura fu talmente rumoroso che sapevo mi avesse sentito, ma non si girò, troppo presa dai suoi pensieri.
Più mi avvicinavo, e più era la voglia di scappare. Ma non lo avrei fatto. Scappavo ormai da due anni e prima o poi dovevo affrontare quello che cercavo di evitare con tutto me stesso.
Ripensai alle parole che le avevo detto.
Ripensai alle cattiverie che lei aveva subito da parte mia, semplicemente restando con sguardo basso, senza battere ciglia.
Con passo così lento da essere sorpassato perfino da una tartaruga, arrivai, dietro di lei. Sentii subito il suo profumo allo zucchero filato, che non era affatto cambiato in questi anni. Ricordai che la prima bottiglietta gliel'avevo regalata io, il giorno del suo compleanno.
O meglio, lei mi aveva costretto a comprargliela a modo suo. Aveva messo un volantino del negozio di profumeria che aveva come prima pagina il suo adorato profumo dentro il mio zaino 'per caso'; ogni volta che uscivamo insieme, 'per caso' passavamo davanti al negozio e restava ad ammirare quella dannata bottiglietta per mezz'ora, entrava nella profumeria e se la spruzzava tutta, con me che mi guardavo intorno, imbarazzato quanto divertito; fingevo di non essere interessato, e quando lei sembrava essersi arresa, il giorno dopo le avevo messo il profumo tutto incartato davanti casa sua, suonando, per poi sparire. Inutile dirvi che le urla si sentirono anche fino in Alaska.
Tre secondi dopo, era sotto casa mia, ansante, ed io le avevo aperto la porta disinvolto, facendo finta di niente.
Ma non potei non sorridere davanti al suo sorriso che mi faceva sciogliere come non mai, e alla fine cedetti anche io, mentre mi si saltava addosso. Si metteva quella fragranza ogni singolo giorno, ed ogni volta che entravo in casa sua, la sentivo dovunque, tant'è che ebbi il dubbio che avesse spruzzato tutto il profumo per tutta la casa.
Avevo cominciato ad odiare quel prodotto, ma ora come non mai, mi era mancato.
Ed in un certo senso, sentire quell'odore dolce, mi fece scaldare il cuore, poiché lei stessa mi aveva confessato che aveva scelto quel profumo perché le ricordava di me. Diceva che in apparenza potevo sembrare trasparente e noncurante di tutto e di tutti, proprio come aveva pensato quando ci eravamo incontrati per la prima volta da piccoli.
-Sai...- aveva cominciato, guardando distrattemente le nostri mani intrecciate, mentre eravamo di ritorno a casa.
-...puoi anche sembrare trasparente e forte davanti a tutti, ti potranno anche evitare per il tuo carattere...ma questo perchè non hanno mai assaggiato una tua dolcezza- aveva aggiunto, arrossendo.
Ero rimasto colpito da quelle parole, ma nessuno mi aveva avvertito di ciò che avrebbe detto poi...una frase, che mi sarebbe rimasta impressa nel cuore fino alla fine dei miei giorni.
-...ma è anche meglio per me!- mi aveva guardato negli occhi e per poco non ero affogato in quella sincerità e purezza che albergavano nei suoi -Perchè non si sa mai, una volta assaggiato anche un pizzico di quello zucchero filato, non potrebbero più farne a meno di te...- aveva detto in un sussurro e poi seguirono -...Proprio come me.-
Ero stato fortunato ad averla. Ma lo sarei di più, se potessi farla ritornare mia.
Una brezza di aria fresca mi fece tornare alla realtà.
L'aria faceva svolazzare i suoi capelli verso oriente, quasi come una danza melodiosa.
Quanto avrei voluto posarci le mie labbra, per sentire lo shampoo alla pesca di cui era follemente innamorata.
La vidi irrigidirsi, probabilmente accorgendosi che non era più sola, e che tra tutte le persone del mondo, si era ritrovata sola con me.
Non si girò, per mia fortuna, poiché vedendo i suoi occhi sarei crollato seduto stante. Provai a parlare, ma la gola e le corde vocali si rifiutarono di emettere suono.
Louis.
Ce la puoi fare. 
Ma se si trattava di lei, tutto mi sembrava più difficile.
Accadde tutto in un secondo.
Portai le braccia in avanti, avvolgendo il suo esile corpo.
Il suo profumo mi inebriò le narici, provocandomi un senso di completezza.
Sentii un suo singhiozzo, che provocò le mie lacrime.
E restammo così, a piangere silenziosamente, senza dire niente, perché era l'unica cosa che avevamo bisogno.
La strinsi più a me delicatamente, quasi avessi paura di farle del male, sussurrandole la parola chiave che avrebbe dato il benvenuto ad un nuovo inizio.
-Perdonami.-

Ho una grande faccia tosta, vero?

Tre anni sono passati. Tre anni.

Non credo ci sia ritardo più in ritardo del mio, semplicemente perchè se un autore non aggiorna la sua storia per più di un anno è praticamente sottinteso che l'abbia già abbandonata e sayonara.

Lo ammetto. Io ho pensato la stessa cosa. Perchè? Perchè stavo crescendo, avevo cominciato a guardare il mondo da una prospettiva diversa...e loro mi sembravano diversi.

Non li riconoscevo più e ancora non li riconosco neanche più. Dove erano finiti i miei ragazzi sulle scale?

Durante le vacanze estive in cui io avevo finito i miei temuti esami di terza media, mi ero presa una pausa; e quando avevo messo mano sulle mie storie non riuscivo più a scrivere niente.

Leggevo loro notizie, guardavo su youtube i loro concerti, ascoltavo le loro nuove canzoni, e senza rendemene conto ero entrata in un vortice di pensieri nostalgici da cui pensavo di non uscire.

In realtà non so nemmeno se ci sono riuscita. Dopo due anni di strenue battaglie interiori ho deciso di affrontarli.

E non ho potuto non notare il loro cambiamento, sia di numero di componenti che di stile.

E mi sono sentita persa.

Come hanno osato crescere e lasciarmi indietro? ho pensato.

Un giorno, però, ho letto a caso le vostre recensioni, sì, quelle di tre anni fa.

E sono rinata. Perchè non c'è gioia migliore per una ''scrittrice'' alle prime armi come me di leggere le vostre meravigliose parole e di immaginare, durante la lettura delle mie storie, i vostri meravigliosi sorrisi, dei queli spero di aver fatto parte almeno una volta. Ed è questo il motivo che mi ha portata a scrivere questo capitolo e ad ignorare di studiare Fisica, Latino per le mie verifiche che tra parentesi sono tra 3 giorni e sono in crisi totale, ma questa è una cosa a parte.

Non so se la rinascita avvenuta è in meglio o in peggio, non so se riuscirò a trovare quell'amore che mi legava a voi e a loro e non so se mai mi perdonerete per aver vagato così a lungo, ma sono qui.

Qui per voi e per loro.

Aiutatemi a ritrovarli.

Aiutatemi a ritrovare i miei quindici anni di tre anni fa.

E dato che è passato troppo tempo dal nostro ultimo incontro, se tu sei ancora qui dopo tutto questo tempo, accogli la mia richiesta d'aiuto ed io te ne sarò eternamente grata, insieme alla mia gratitudine per il fatto che tu sia rimasta, nonostante il mio sviamento.

Se tu sei nuova o sei una mia vecchia ed amata lettrice che ha deciso di dare una possibilità alla mia nuova persona, è giusto che io mi presenti:

''Ciao, sono Sheila, per gli amici Shay, ho 17 anni, frequento il liceo scientifico, sono l'autrice a cui hai bestemmiato mentalmente, non vedendomi aggiornare per più di 1000 giorni e...sono tornata''.

 

Forgive me.

 

Jennifer's pov. 

 

-La febbre è molto alta, non si sa quale sia la causa di tutto ciò. Dobbiamo solo sperare che superi la notte, per poter cominciare a risolvere il problema- provai un dolore lancinante al cuore, all'udire quelle parole così appuntite come lame d'acciaio puntate dritte al centro del mio corpo.

Portai una mano sulla bocca, sentendo la testa girare come coinvolta in un vortice di emozioni.

Dolore, paura, rabbia si alternavano nella mia mente, intrecciandosi a vicenda.

Guardai il dottore, avvolto nella sua espressione dispiaciuta, probabilmente provando pena per un bambino così piccolo rinchiuso in questa situazione e ad una madre-ragazza che doveva affrontare un fatto più grande di lei stessa.Ma lui non provava il mio stesso dolore.

Lui non aveva vissuto quello che avevo vissuto io.

Louis se ne stava dietro di me, ad un metro di distanza, anche se io sapevo che lui stesse ascoltando, e che avesse ascoltato quelle parole pronunciate dall'uomo con il camice bianco. Il respiro si fece irregolare, sconvolto da tante cose avvenute troppo in fretta.

Il dottore abbassò lo sguardo, congedandosi con un sorriso che io non riuscii a ricambiare.

Portai una mano sulla fila di sedie bianche tutte appoggiate sul muro, sedendomi poi piano, per paura di cadere.

Superare la notte.Superare la notte.Superare la notte.

E se non lo avesse superata? Cosa sarebbe successo?

No. Non poteva capitare a me, a noi, al mio bambino.

Era sempre stato così vivace, così resistente alle malattie.

Ci doveva pur essere una ragione per la quale aveva preso l'influenza, per di più alta. Un bimbo della sua età era molto più delicato.

Tre anni. Non aveva neanche tre anni.

Dio non poteva essere così crudele da pensare di potermelo portare via.

Portai le mani sulla fronte, massaggiandola con fermezza. La testa stava per scoppiare, non riuscivo nemmeno a piangere per dare sfogo al mio dolore.

Sembrava che il mio cuore fosse sospeso, quella sensazione che si ha quando ti rendi conto che ormai sei alla fine della tua vita. Ma io lo sapevo, che se il mio piccolo se ne fosse andato, io me ne sarei andata con lui.

Con una forza che manco sapevo di avere, presi tutte le energie rimaste nel mio corpo, e mi alzai, temendo di barcollare.

La caduta di prima per via Louis mi aveva provocato un dolore alla caviglia che in quel momento era l'ultimo dei miei problemi.

Cercai di camminare normalmente, anche se un po' di male faceva, dirigendomi così verso la porta così opaca e bianca che nel vederla mi veniva quasi da vomitare.

Tutto in quell'ospedale dava la ragione per essere triste.

I colori. I mobili. Le persone. Tutto.

Per questo io le odiavo, con tutto il mio cuore.

Portavano via felicità, gioia, e anche le persone che mi amavano e che io amavo.

Aprii la porta titubante, sentendo il solito scricchiolio che mi provocò una scarica di brividi lungo il corpo, e lo vidi.

Disteso su quel letto tre volte più grande di lui.Sentii le lacrime salire negli occhi, e cercai di fermarle, riuscendoci, almeno per ora.

 Presi a camminare lentamente verso quel letto così vicino quanto lontano.

Più mi avvicinavo, e più mi sembrava che si allontanasse da me.

Senza accorgermene, presi a correre, sedendomi sul materasso anch'esso ricoperto dal lenzuolo bianco cadaverico, quasi dello stesso colore della pelle di mio figlio.

Teneva gli occhi socchiusi: era sveglio.

Quelle pochissime volte che si ammalava, non riusciva mai a dormire.

L'unica soluzione era cantargli la sua ninna nanna, ovvero la canzone di suo padre, cosa che io gli facevo ascoltare tutti i giorni quando ancora era al sicuro dentro di me.

Per quanto volessi però, nessun suono uscì dalla mia bocca secca.

Portai la mano destra sui suoi capelli color del miele, sentendo anch'essi caldi, e presi ad accarezzarglieli con cura, avendo paura di fare qualcosa di sbagliato.

-M-Mami...- balbettò con un filo di voce, senza aprire i suoi occhi blu, cosa un po' positiva per me, poiché se mi fossi immersa in quei oceani, non avrei più trattenuto le mie lacrime.

-Si?- sussurrai, con dolcezza, e anche se la situazione non era uno dei migliori, sorrisi.

Era impossibile non farlo, in sua presenza.

Quel bambino ti poteva riscaldare il cuore con un piccolo gesto, e nel mio caso, chiamarmi 'mamma'.

-Scusa...- sussurrò, con quel tono che era quasi sull'orlo di piangere.

Ma sapevo che mio figlio era forte. Avremmo superato anche questo.

-Per cosa, amore?- chiesi, confusa, continuando ad accarezzarlo, anche se quel gesto più che per tranquillizzare lui, era anche per tranquillizzare me.

-Pecchè tu sei tanto triste e è tutta coppa mia- tirò su con il naso, guardandomi negli occhi con quelle due piccole fessure.

E ciò che prevedevo si avverò. Lacrime pervasero il mio viso, alla vista di quell'angelo che mi era stato regalato preoccuparsi non per lui, ma per la sua mamma triste.

Sorrisi piangendo: il mio piccolo era un bambino molto altruista, tutto suo padre.

-Hey, no, non è vero...- presi il suo viso fra le mani, accarezzando le sue guanciotte e quasi non mi sentii male nel vedere che non c'era quel colore rosaceo che le caratterizzava.

-...la mamma non è triste per colpa tua. Tu non hai colpe, amore mio, hai capito? Tu sei il mio bambino, mio figlio, e sei la gioia della mamma. Io non saprei cosa fare senza di te, piccolo mio, ok? Non dire mai più cose del genere. La mamma ti ama, non dimenticarlo mai- pronunciai, fermandomi e creando un intervallo dopo ogni singola parola per colpa dei singhiozzi.

Lui chiuse gli occhi, addormentandosi lentamente.

Sospirai afflitta, tutti questi dolori stavano avendo il sopravvento su di me.

Sarei crollata, ma non potevo permettermelo. Mio figlio aveva bisogno di me. 

Osservai il colorito pallido della sua pelle così liscia e morbida, pregando Dio che ribaltasse le situazioni.

Quanto avrei voluto soffrire io al posto suo. Era così piccolo, non doveva accadere tutto questo a lui.

Con una lentezza immaginabile mi alzai, coprendolo bene con la coperta di cotone bianca e lasciandogli un bacio sulla guancia, per poi uscire da quella stanza così calda, o magari ero io che avevo la sensazione di essere circondata, di essere d'un tratto ricoperta dal dolore. Ma ciò che provavo, ciò che pensavo, svanì subito alla vista di quei occhi davanti a me.

Occhi di ghiaccio, blu denso come il mare, eppure mi sembrava di vedere qualcosa dentro di loro, un qualcosa che, capii subito dopo, si trattava di odio.

-E' tutta colpa tua- sibilò a denti stretti, stringendo le mani in un pugno troppo forte, tanto da far diventare le nocche bianche.

Mi fissava, come io non lo avevo mai visto fissare qualcun altro.

Puro odio ondeggiava in quei occhi che tanto amavo.

Quel senso di calore che vedevo sempre riflessi in quelle iridi cristalline non c'era.

Abbassai la testa, non riuscendo a reggere il suo sguardo.

-Abbi almeno la decenza di ammetterlo, cazzo!- urlò, facendomi sussultare.

Non parlai, in fondo, cos'altro avrei potuto dire? Aveva ragione. Era colpa mia.

Ma lo avevo fatto per il bene di tutti e tre, e lui questo non lo sapeva.

-Ma ti rendi conto che cazzo hai fatto? Se tu non te ne fossi andata, non saremmo mai finiti in questa cazzo di situazione! Porca troia, oltre che ad avermi lasciato ed avermi fatto soffrire per tre anni ora metti anche Chris in mezzo a tutto?- ascoltavo quelle parole così affilate, che andavano a creare buchi nel mio cuore.

Ogni parola era una lama in più. Faceva così male, sentirle da lui.

-Che razza di madre sei?!?- e fu questa frase, a far da ultima goccia al mio vaso già saturo di dolore.

Sentii gli occhi pizzicarmi, avevo tentato di non piangere.

Avevo tentato di assumermi tutto il suo odio, ma se si trattava di mio figlio, io crollavo.

'Che razza di madre sei?' mi ripetevo nella mia mente. 

Improvvisamente, una lacrima cadde solitaria lungo la mia guancia destra, una lacrima che non mi preoccupai di asciugare.

-Basta...- alzai lo sguardo, incontrando il suo, tanto freddo quanto caldo dal fuoco che vi ribolliva dentro.

Solitamente ero io a fare da acqua a quel fuoco, ero io a cercare di calmarlo per fermare la sua rabbia.

Adesso non potevo più, perché la causa ero io stessa.

-...Ho capito. Non c'era bisogno che tu me lo dicessi o me lo ricordassi. Mi sento già uno schifo di mio- parve irrigidirsi un secondo, per poi sorridere, compiaciuto, e pronunciare le ultime parole, le ultime pugnalate.

-Te lo meriti.-

 

 

Rimasi ad osservarlo in silenzio, non sapendo come reagire.

Il suo sguardo mi paralizzava, e a dare il colpo di grazia furono proprio le ultime tre parole.

Non riuscii a reggere la situazione, più grande di qualunque altra mi sia capitata nella vita, e silenziosamente, me ne andai, non sapevo dove, ma mi rifugiai nella terrazza, respirando aria fresca, il che era tutto un dire, siccome l'aria fresca a Manchester te la potevi anche scordare, ma era molto meglio del clima inquinato londinese a cui ero abituata.

Mi venne in mente la mia città, Doncaster, e un senso di malinconia pervase il mio cuore.Lì l'aria era pura, limpida, così piacevole da respirare.

L'aria di periferia che profumava di casa; ma sapevo benissimo che casa mia non era stata solo Doncaster, bensì le braccia di una persona, una persona che in questo preciso istante mi odiava, avendo tutti i motivi del mondo.

Lasciai che la lacrime scivolassero lungo le mie guance, per poi scomparire sulle mie labbra ormai salate.

Cercai di smettere, ma più lacrime asciugavo, e più ne uscivano dai miei occhi. Sentivo il cuore pesante: tutto stava scivolando troppo velocemente dalle mie mani. Tutto e tutti sembravano andarmi contro, ma in fondo, io sapevo che era per me una lezione.

Me lo meritavo.

E lui non mi avrebbe mai più perdonata.

 

Louis' pov.

 

Massaggiai le mie tempie con il pollice e l'indice, seduto sulle tante sedie messe in fila sul muro bianco opaco.

Era troppo.

Era tutto fottutamente troppo.

Appena avevo visto una lacrima solcarle sul viso candido, stavo quasi per crollare.

Volevo abbracciarla, sussurrarle che sarebbe andato tutto bene, ma le uniche parole che fuoriuscirono dalle mie labbra erano stati sinonimi di odio.

Non riuscivo a trattarla in un modo diverso dalla rabbia.

Sentii una ventata di aria proveniente dalla parte destra ed uno scricchiolio, segno che qualcuno si era seduto vicino a me.

Con le 18371837 sedie che c'erano, proprio vicino alla mia doveva sedersi?

Non ci feci caso, avendo già altri problemi a io badare, finché la persona accanto a me, che non avevo nemmeno guardato, prese parola, precedendo il tutto con un sospiro, quasi come se si stesse preparando per un lungo discorso.

Peccato, che quel discorso, era totalmente rivolto a me.

-Sei anni fa, mia nipote venne a pranzo da me in una calda giornata di giugno. Lo faceva sempre, ogni fine anno scolastico. Diceva che era per festeggiare l'inizio delle vacanze. Ma io l'ho sempre reputata una scusa sul fatto che a casa mia c'era la piscina...- incominciò.

Fermai i miei pensieri, non riuscendo ad ascoltare quella voce che a me sembrava tanto famigliare.

-Quell'anno però, fu diverso. Mi presentò il suo migliore amico. Un ragazzino di quindici anni con un sorriso smagliante, una vivacità immensa ed una voglia di vivere assurda. Scherzavano, si punzecchiavano a vicenda, e nei loro occhi leggevo un affetto profondo...- tolsi le mani dal mio viso, liberando così le orecchie, per poter sentire meglio il suono ovattato che giungeva a me.

-...Esattamente due anni dopo, la stessa scena si ripetè, con un piccolo grande particolare. Quella volta, mia nipote mi salutò con un:'zia, ti presento il mio ragazzo!' con una felicità che non seppi neanche descrivere. A pranzo, fecero la stessa cosa di sempre: si punzecchiarono, si presero in giro, ma nei loro occhi vidi nuove cose. Cose che non tutti avevano la fortuna di avere. Ma quei due ragazzi, follemente innamorati, ce l'avevano. E da lì, capì che sarebbe durata per tanto tempo, se non per sempre- mandai indietro la schiena, per star in una posizione più composta e dritta, guardando il muro bianco dinnanzi a me.

La donna, continuò a parlare, noncurante del fatto che magari io non l'ascoltassi.

Ma lei sapeva.

Sapeva che la mia attenzione era totalmente rivolta a lei.

-Due anni dopo trovai la stessa ragazza in lacrime, mentre mi raccontava piangente la fine di quello che a lei sembrava infinito. E che si malediva profondamente, per aver fatto soffrire l'unica persona che avesse amato davvero- sussultai, sentendo un peso al cuore.

Sentii quest'ultimo pulsare sangue, al solo pronunciare di quel verbo 'amare' che tanto infinito non era.

-Quasi tre anni dopo, mi ritrovo in un ospedale, a guardare due giovani innamorati soffrire, per colpa del passato- quanto aveva ragione.

-Due giovani con due responsabilità: un figlio da crescere...- in quel momento, trovai coraggio, e la guardai negli occhi.

-...e l'amarsi a vicenda- quasi non mi venne un infarto, specchiandomi in quegli occhi simili a lei, ma non suoi.

-Ho visto troppe lacrime sul viso di mia nipote. Lacrime che non potresti mai contare con le dita, nemmeno se avessi tutte le mani dell'universo. Piange di notte, credendo che nessuno la senta. Nasconde il dolore con un sorriso, pensando che nessuno lo veda veramente. Ma i suoi occhi la tradiscono, sempre. Come i tuoi occhi ti tradiscono quando la guardi, mentre ti rivolgi a lei con tono infuriato- si fermò un secondo, per riprendere fiato.

Io l'ascoltavo, come un bambino ascoltava una favola che lo rapiva totalmente.

Mi rivolse uno sguardo dolce, che mi ricordò terribilmente il suo.

-Figliolo, non puoi pretendere che la vita sia perfetta, che le persone siano perfette. Nessuno lo è in questo mondo. Le cose si fanno, si sbaglia, si perdona, si soffre, fa tutto parte del pacchetto. Se lei ti ha lasciato, un motivo c'era, c'è e ci sarà sempre. Hai mai pensato, che se tu avessi saputo della sua gravidanza, cosa avresti fatto?- mi chiese, sempre con quello sguardo.

Ingoiai la saliva che voleva risalire, sentendomi troppo soggetto a quella domanda.

Sorrise nuovamente, forse divertita dal mio silenzio indeterminato.

La guardai titubante, non sapendo cosa dire.

-Forza...dillo- la sapeva già la risposta che avrei dato.

Era la risposta che il mio cuore mi suggeriva, e che sapevo era ciò che avrei fatto, se lo avessi saputo prima.

-Non sarei andato a fare i provini- risposi sinceramente.

-Esattamente- ma continuai a non capire.La guardai, rivolgendole una domanda silenziosa che probabilmente capì.

-Rifletti. Non pensare a quello che ti ha fatto, mettiti nei suoi panni. Se lei avesse un sogno di cui non potrebbe mai rinunciare, un sogno che tu sai di essere importante per lei...la lasceresti andare o la fermeresti per un fatto di egoismo?- e da lì, intesi.

Tutto quadrava perfettamente.

Le immagini prima sparse nel vuoto e nel dubbio, si stavano attaccando pian piano come pezzi di puzzle.

Stava accadendo troppo in fretta, ed io mi sentivo più schifoso ogni secondo di più.Scattai in piedi, non prima di aver ascoltato le sue ultime parole, accompagnate da un sorriso quasi vincente.

-Dietro al dolore c'è sempre un perché. Non tutti lo vanno a cercare, semplicemente perché è facile soffrire ed è difficile accettare il motivo per il quale si è sottoposti a così tanto dolore. Ma l'arcobaleno non dura mai tanto quanto una pioggia. Scompare, proprio come la felicità; ma solo perchè non si trova lì per sempre, non significa che tu non lo possa rivedere. La fiducia non basta, figliolo. Cercala. Cercala la felicità. Non potrà essere con te tutte le volte che vorrai e spesso sarà anche matrice delle tue lacrime...- chiuse gli occhi, per poi riaprirli e rivolgere quell'azzurro intenso ai miei -...ma non pensi che alla fine...ne valga dannatamente la pena?-

 

 

Dopo aver percorso un paio di corridoi nel reparto pediatria, la trovai, di spalle, mentre ammirava l'ambiente circostante.

Ma io sapevo che la sua mente era da tutt'altra parte.

La conoscevo, ed ero stato uno stupido da pensare che lei avesse fatto tutto per puro egoismo.

Ebbi un'indecisione se aprire o no la porta di vetro che ci separava, ma dovevo.

Questo discorso era stato rimandato per troppo tempo, ed era arrivato il momento di abbandonare i ricordi, e crearne dei nuovi.

Lo scatto dell'apertura fu talmente rumoroso che sapevo mi avesse sentito, ma non si girò, troppo presa dai suoi pensieri.Più mi avvicinavo, e più era la voglia di scappare.

Ma non lo avrei fatto.

Scappavo ormai da due anni e prima o poi dovevo affrontare quello che cercavo di evitare con tutto me stesso.Ripensai alle parole che le avevo detto.

Ripensai alle cattiverie che lei aveva subito da parte mia, semplicemente restando con sguardo basso, senza battere ciglia.

Con passo così lento da essere sorpassato perfino da una tartaruga, arrivai, dietro di lei.

Sentii subito il suo profumo allo zucchero filato, che non era affatto cambiato in questi anni.

Ricordai che la prima bottiglietta gliel'avevo regalata io, il giorno del suo compleanno; o meglio, lei mi aveva costretto a comprargliela a modo suo.

Aveva messo un volantino del negozio di profumeria che aveva come prima pagina il suo adorato profumo dentro il mio zaino 'per caso'; ogni volta che uscivamo insieme, 'per caso' passavamo davanti al negozio e restava ad ammirare quella dannata bottiglietta per mezz'ora, entrava nella profumeria e se la spruzzava tutta, con me che mi guardavo intorno, imbarazzato quanto divertito; fingevo di non essere interessato, e quando lei sembrava essersi arresa, il giorno dopo le avevo messo il profumo tutto incartato davanti casa sua, suonando, per poi sparire.

Inutile dirvi che le urla si sentirono anche fino in Alaska.

Tre secondi dopo, era sotto casa mia, ansante, ed io le avevo aperto la porta disinvolto, facendo finta di niente.

Ma non potei non sorridere davanti al suo sorriso che mi faceva sciogliere come non mai, e alla fine cedetti anche io, mentre mi si saltava addosso.

Si metteva quella fragranza ogni singolo giorno, ed ogni volta che entravo in casa sua, la sentivo dovunque, tant'è che ebbi il dubbio che avesse spruzzato tutto il profumo per tutta la casa.

Avevo cominciato ad odiare quel prodotto, ma ora come non mai, mi era mancato.

Ed in un certo senso, sentire quell'odore dolce, mi fece scaldare il cuore, poiché lei stessa mi aveva confessato che aveva scelto quel profumo perché le ricordava di me.

Diceva che in apparenza potevo sembrare trasparente e noncurante di tutto e di tutti, proprio come aveva pensato quando ci eravamo incontrati per la prima volta da piccoli.

 

-Sai...- aveva cominciato, guardando distrattemente le nostri mani intrecciate, mentre eravamo di ritorno a casa.

-...puoi anche sembrare trasparente e forte davanti a tutti, ti potranno anche evitare per il tuo carattere...ma questo perchè non hanno mai assaggiato una tua dolcezza- aveva aggiunto, arrossendo.

Ero rimasto colpito da quelle parole, ma nessuno mi aveva avvertito di ciò che avrebbe detto poi...una frase, che mi sarebbe rimasta impressa nel cuore fino alla fine dei miei giorni.

-...ma è anche meglio per me!- mi aveva guardato negli occhi e per poco non ero affogato in quella sincerità e purezza che albergavano nei suoi.

-Perchè non si sa mai, una volta assaggiato anche un pizzico di quello zucchero filato, non potrebbero più farne a meno di te...- aveva detto in un sussurro e poi seguirono -...Proprio come me.-

 

Ero stato fortunato ad averla.

Ma lo sarei di più, se potessi farla ritornare mia.

Una brezza di aria fresca mi fece tornare alla realtà.

L'aria faceva svolazzare i suoi capelli verso oriente, quasi come una danza melodiosa.

Quanto avrei voluto posarci le mie labbra, per sentire lo shampoo alla pesca di cui era follemente innamorata.

La vidi irrigidirsi, probabilmente accorgendosi che non era più sola, e che tra tutte le persone del mondo, si era ritrovata sola con me.

Non si girò, per mia fortuna, poiché vedendo i suoi occhi sarei crollato seduto stante.

Provai a parlare, ma la gola e le corde vocali si rifiutarono di emettere suono.

Louis. Ce la puoi fare. 

Ma se si trattava di lei, tutto mi sembrava più difficile.

Accadde tutto in un secondo.

Portai le braccia in avanti, avvolgendo il suo esile corpo.

Il suo profumo mi inebriò le narici, provocandomi un senso di completezza.

Sentii un suo singhiozzo, che provocò le mie lacrime.

E restammo così, a piangere silenziosamente, senza dire niente, perché era l'unica cosa che avevamo bisogno.

La strinsi più a me delicatamente, quasi avessi paura di farle del male, sussurrandole la parola chiave che avrebbe dato il benvenuto ad un nuovo inizio.

-Perdonami.-

  
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