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Autore: Stella cadente    14/04/2016    4 recensioni
– Eliza – la chiamò, quasi in un sussurro. – Tu lo diresti se ci fosse qualcosa che non va, vero?
La piccola sollevò lo sguardo. Una lacrima le rotolò sulla guancia morbida.
– Cosa vuole sapere?
– Vorrei sapere... – non trovava le parole. Come si faceva a chiedere ad una bambina di sei anni se avesse assistito ad un omicidio?
– Vorrei sapere che cosa sai di quello che è successo – disse infine, mantenendosi sul vago.
[…]
– È stata lei. Lo so.
L’ispettore provò un brivido di inquietudine.
– Lei chi?
Ci fu un attimo di esitazione, poi la piccola rispose:
– Samara.
Pausa.
– Vuole ucciderci tutti. Me lo ha fatto vedere.
– Chi è Samara?
[…]
– Allora posso andare a parlarci – tentò.
La bambina si fece seria, poi disse:
– No. Le diranno che sta dormendo. Ma non è vero, signor McDoyle. Lei non dorme mai.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Samara Morgan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Ring - Samara Morgan'
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1977
Aprile



Ashley
 
 
Il caso si faceva sempre più complicato, come una matassa intricata con nodi invisibili.
McDoyle aveva intervistato brevemente tutti coloro che, all’orfanotrofio, avevano a che fare con Samara, e tutti avevano dato la colpa di quello che era successo alla bambina.
Non aveva mai assistito ad un fenomeno simile.
Non aveva altra scelta. Doveva parlare con lei.
In mezzo a tutti i suoi appunti, spiccava un post-it giallo con su scritto il suo nome, con le lettere ripassate più e più volte.
 
 
Samara
 
 
 
****
 
 
C’era una tra i bambini più grandi, che si chiamava Ashley. Una pallida ragazzina di undici anni dai capelli rossi e il viso coperto di efelidi. Aveva dei lineamenti particolari, ma belli, con due occhi nocciola liquidi e profondi che esprimevano una maturità inaudita.
Ashley, gli aveva detto la signora Nancy – la sua balia – giocava con Samara, quando era più piccola. In seguito aveva smesso, senza che nessuno ne capisse il perché.
Ora lui era determinato a svelare il mistero.
Tutto l’orfanotrofio era in subbuglio. Tra le balie si diceva che Samara avesse degli strani poteri, che emanasse energia negativa o qualcosa del genere. Ma era davvero da prendere in considerazione un’ipotesi del genere?
Ovviamente no.
Doveva esserci una spiegazione razionale.
E se nessuno l’aveva ancora trovata, beh, voleva dire che ci avrebbe pensato lui.
 
 
– Ciao Ashley – esordì, quando la ragazzina gli si sedette di fronte.
– Salve – disse lei, con un sorriso gentile.
– Sono Henry McDoyle, sto lavorando al caso di Nate Embry e Victoria Neal. Ti dispiace se ti faccio qualche domanda?
La ragazzina fece segno di no con la testa.
– Faccia pure – disse solo.
– Riguardano una tua amica più piccola, Samara.
Appena pronunciò quel nome, il viso di Ashley si incupì. Non disse niente, e McDoyle lo interpretò come un incoraggiamento a continuare.
– Dicono che sia stata lei ad uccidere la giovane coppia che è venuta qui. Tu la pensi come loro?
Ashley sprofondò nel silenzio. L’uomo sospirò: ma perché le persone si paralizzavano ogni volta che parlava di quella maledetta bambina? Che cos’aveva che non andava?
– Ashley – la chiamò. – Devi dirmelo, o questa cosa non finirà mai.
La ragazzina ebbe un tremito. Deglutì, poi si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Si guardava le mani mentre parlava.
– Io volevo allontanarmi da lei. Ma lei non me lo ha permesso.
– Che vuol dire?
– Vuol dire che mi ero accorta di cos’è, già da prima.
– E cos’è esattamente?
Ashley deglutì di nuovo. Sembrava che ogni parola le costasse una fatica enorme, come se si vergognasse di quello che stava dicendo. Come se qualcuno potesse sentirla.
– Non lo so – disse poi. – Io non posso...
I suoi occhi avevano un’espressione terrorizzata. Il respiro era così affannato che lui stesso si sentì soffocare.
Quando lei alzò gli occhi dalle sue mani, avvenne tutto nell’arco di un secondo.
La ragazzina balzò in piedi dal tavolo e indietreggiò, mentre i suoi arti erano scossi da violenti tremiti. D’improvviso la sua faccia era diventata di un pallore malaticcio e un velo di sudore le ricopriva la fronte.
Era nel panico più totale.
– Ashley – cercò di richiamarla l’uomo.
– Si volti! Si volti! – urlò lei, terrorizzata.
– Calmati, che succede?
– SI VOLTI!
Il modo in cui lo aveva urlato, con quella disperazione che gli gelò il sangue nelle vene, lo costrinse a voltarsi davvero.
Ma quando lo fece, vide che non c’era niente.
 
 
****
 
 
Henry McDoyle cominciava a preoccuparsi. Tutto l’orfanotrofio sembrava essere nelle stesse condizioni di Ashley, e tutti riconducevano quello stato d’animo alla piccola Samara.
Aveva un senso? No. Ma ora l’uomo cominciava a capire perché la signorina Nichols non aveva più voluto occuparsi di quel caso; era troppo per lei.
C’era qualcosa di anormale in tutta quella faccenda. E doveva assolutamente parlare con Samara. La registrazione non gli bastava più. Si era stufato di vagare a vuoto, mentre la risposta gli stava praticamente sotto il naso. Eppure un lato nascosto di lui temeva quell’incontro; sembrava che la bambina esercitasse sui suoi coetanei – e non solo – una paura profonda, intangibile, e proprio per questo impossibile da aggirare.
Ma è l’unico modo per mettere un punto a questa storia.
Si avviò nella sala principale, determinato a capire chi – o cosa – fosse la bambina che aveva gettato nel panico tutto il King County Orphanage.
 
 
L’aveva vista.
Ashley sapeva che non l’avrebbe mai perdonata per averla abbandonata all’improvviso. Era da un po’ che non aveva più amici, che se ne stava sempre sola. Lei non le permetteva di parlare con altri bambini.
Avvicinarsi a lei era stata la sua condanna, e lo aveva capito quando aveva visto la sua sagoma – la sagoma di quello che sarebbe diventata, un fantasma con lunghi capelli neri – materializzarsi dietro l’ispettore che le stava facendo delle domande.
Ma l’uomo non l’aveva vista.
Non aveva visto i suoi occhi che la guardavano minacciosi.
Non aveva visto.
 
 
– Salve, sono l’ispettore McDoyle. Vorrei parlare con Samara, la bambina che è stata coinvolta nell’incidente.
Dietro la scrivania c’era una giovane ragazza che non aveva mai visto. Gli rivolse un sorriso un po’ forzato.
– Buongiorno, signore, sono Emily Watson. Mi occupo di Samara da poco, ma se vuole delle informazioni io posso...
– Vorrei parlare direttamente con lei, signorina. Ma ovviamente delle informazioni supplementari non potrebbero far altro che fornirmi un quadro più chiaro – disse professionalmente l’anziano ispettore.
– Bene – fece la ragazza. – Venga, la accompagno.
 
 
Ashley...
La ragazzina si voltò, senza vedere niente.
Ma sapeva benissimo a chi appartenesse quella voce.
Passarono alcuni secondi, in cui ci fu il silenzio più totale. Lo stomaco le si chiuse, le gambe le si fecero molli, il cuore le andò a palpitare in gola talmente forte che temette di vomitarlo e di vederlo pulsare sul pavimento.
Aveva paura.
Sembrava che qualcuno l’avesse rinchiusa in una specie di bolla e resa insensibile a qualunque cosa che fosse proveniente dalla realtà esterna. Un sibilo acuto le riempì le orecchie, costringendola a coprirsele con le mani per non impazzire.
Poi iniziarono le immagini.
Iniziò di nuovo l’incubo che la tormentava da anni.
 
 
– Samara non ha mai parlato molto con i suoi coetanei – esordì Emily, mentre salivano le scale fino al piano di sopra. – È sempre stata una bambina riservata, da quel che mi hanno detto. Fino a qualche mese fa se ne è occupata Nancy Johnson, non so se la conosce...
– Sì – la interruppe lui. – Come mai ha smesso di occuparsi della bambina?
Emily fece spallucce. Si vedeva che era giovane, anche nei modi di fare; non doveva aver più di una ventina d’anni. Eppure c’era qualcosa di strano nei suoi occhi, come un’ombra che li faceva apparire in qualche modo tristi e malinconici.
– Non lo so. E a quanto pare non sono l’unica, qui dentro.
 
 
Un cerchio, una scala. Un faro. Bambini che corrono, un’immagine sfumata ed evanescente che se ne va via e che sembra intrappolata dentro una televisione. Bambini che sembrano ombre e che sussurrano tra di loro con vocine spettrali.
E al centro, lei.
Lei che sembra l’unica cosa che abbia dei contorni in quell’inquietante quadro di indefinitezza.
Guarda in alto. Guarda il cielo nuvoloso di quella giornata.
Alza la mano, e con uno scrocchio e un sibilo fastidioso, un cerchio compare e si dibatte di fronte a quegli occhi che lo guardano.
Vacui, irreali.
 
 
McDoyle aggrottò le sopracciglia.
– E scusi, lei è qui?
Emily scosse la testa.
– No. Se ne è andata nell’isola di Moesko, non ha voluto dire perché.
L’ispettore trattenne a stento un sospiro frustrato. Non aveva mai analizzato un caso simile, in quarant’anni di carriera. Era come un puzzle di cui si perdevano continuamente i pezzi. Quando il quadro sembrava un po’ più chiaro, ecco che veniva fuori un nuovo punto interrogativo.
Rimase in silenzio.
– Comunque, la descrizione che la signora Johnson mi ha fatto prima che io cominciassi, corrispondeva perfettamente a Samara. È molto dolce, ma anche molto solitaria. Forse è questo che ha fatto incupire il clima, qui all’orfanotrofio.  Mi creda, ho fatto la babysitter quando ero al liceo, e credo che lei sia la bambina più seria ed ermetica che io abbia mai visto. Ho saputo anche del caso di cui si sta occupando lei, signore, ma secondo me è impossibile che una bambina di sette anni abbia fatto tutto questo. È, come potrei dire... paranormale. Assurdo. Non credo a queste cose, io – aggiunse, con una vaga risatina.
McDoyle sorrise. Quella ragazza aveva una bella mente, lo aveva già capito. Era loquace, preparata e sapeva quello che diceva. Un’ottima persona con cui parlare.
Ma quegli occhi...
Lo condusse fino ad una delle porte in legno massiccio dell’orfanotrofio.
Che cos’hanno?
– Questa è la sua stanza – fece, abbassando la voce. – Una cosa importantissima da sapere: Samara è molto sensibile. Non alzi la voce con lei, potrebbe spaventarsi e chiudersi in se stessa – lo avvertì, prima di bussare.
– Samara – disse poi dolcemente, affacciandosi alla porta socchiusa. – Hai visite. Posso far entrare questo signore?
Dopo la domanda di Emily ci fu un lungo silenzio, che per McDoyle fu quasi insopportabile.
Poi una vocina delicata lo interruppe.
– Sì.
È lei, è la bambina della registrazione!
– Bene – si rivolse a lui, di nuovo sottovoce. – Faccia attenzione – aggiunse poi, prima di sparire.
Faccia attenzione.
McDoyle immaginò che quello fosse una specie di consiglio.
Ma se davvero lo era, perché invece gli sembrava più un avvertimento?

 
  
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