In un primo momento appare come una coincidenza forzata, quella che ha
portato Mei a identificare nel cognome di Miyuki proprio Kazuya; ripensandoci
mentre il treno li ha portati di nuovo verso casa, però, quante possibilità ci
sono che un Miyuki e un Kuramochi oltre quelli conosciuti da loro abbiano un
rapporto di qualche tipo e abbiano rapporti con Narumiya? È la spiegazione che
si è dato Haruichi, pronunciandola con una vaga incertezza, ma Eijun continua a
essere confuso di fronte a quella possibilità. Tutta la sua perplessità non si
deve alla mancanza di accenni da parte di Miyuki, quanto più – per assurdo che
suoni anche a lui stesso in un certo senso – all’atteggiamento di Kuramochi: se
Narumiya conosce lui, o sa almeno di chi si tratti tanto da collegarlo a Miyuki
Kazuya, perché Youichi non gli ha detto nulla quando non ha fatto altro che
parlare per ore dell’esibizione del pianista a cui aveva assistito?
Eijun è al corrente della buona memoria di Kuramochi, di quale buon osservatore
sia e, sebbene il suo istinto in questo momento non gli comunichi altro se non
un vago senso negativo, non riesce a scacciare la sensazione che ci sia un
motivo se Kuramochi non ha detto nulla, un motivo su cui non dovrebbe indagare.
Per questo lo sguardo non cerca subito il volto di Miyuki quando questi gli
apre la porta del proprio appartamento, non senza una sfumatura di sorpresa
nello sguardo. A Eijun basta instaurare un contatto visivo per vedere qualcosa
negli occhi di Miyuki cambiare – lo vede
capire che qualcosa non va, che la sua non è una casuale visita di cortesia né
un’improvvisata sorpresa per passare del tempo insieme.
Kazuya si scosta di lato, invitandolo a entrare perché fuori fa freddo; alle
orecchie di Eijun quella considerazione arriva quasi ovattata, lontana: il suo
cervello sta viaggiando troppo velocemente e lui sa di non essere mai stato una
persona “di pensiero”, per così dire. Lui ha bisogno di vedere, di sentire, di provare per capire davvero perciò
tentare di portarsi sullo stesso livello di Miyuki, i cui pensieri viaggiano
così veloci che probabilmente nemmeno lui riesce a stargli dietro, lo sfianca.
Riprende più o meno coscienza di sé quando sente le mani calde di Miyuki
stringere le sue e vede la sua espressione mutare in un leggero fastidio,
quello tipico del rimprovero: «Hai le mani congelate.» osserva con poca
attenzione, perché non deve certo dirglielo per far sì che Eijun ne sia
cosciente. Ha nelle dita quella spiacevole sensazione di rigidità che, abituato
a fin troppo sport forse, di norma gli è quasi estranea. Si imbroncia, sebbene
non ritragga le mani da quelle del più grande: «Lo so, ma ho dimenticato i
guanti.» borbotta, ricevendo in risposta un sospiro leggero e un incurvarsi di
labbra rassegnato, mentre l’altro lo tira appena in un invito a entrare del
tutto abbandonando l’ingresso. Eijun si libera delle scarpe alla meno peggio,
senza interrompere il contatto piacevole con la pelle calda di Miyuki, ed entra
del tutto nell’appartamento. Una delle mani scivola via dalla presa altrui, ma
l’altra vi rimane e anche se le loro dita non si intrecciano e il tragitto fino
alla stanza con il tavolino basso a cui si sono seduti già una volta è breve,
Eijun si sente più tranquillo.
Si lasciano andare quasi di comune accordo quando prendono posto a due lati
diversi del kotatsu: sono le sei del
pomeriggio ma fuori sembra molto più tardi e il freddo fa sembrare a Eijun che
quello sia il posto migliore di tutti. Miyuki ha recuperato il telecomando
abbassando il volume della piccola tv così tanto che si avverte solo un ronzio
senza senso in sottofondo. Ora che ha le gambe al caldo sotto il kotatsu, quel rumore vago sarebbe quasi
soporifero se solo decidesse di sdraiarsi o di poggiare la testa sul tavolo. Se
fosse più tardi e si fosse presentato più a ridosso dell’ora di cena, pensa
Eijun, si ritroverebbe a osservare Miyuki muoversi ai fornelli nell’angolo
cottura a disposizione in quell’appartamento, e sarebbe una cosa così familiare
e calda che di sicuro si addormenterebbe così, quasi fosse la parte più
naturale della sua quotidianità con Kazuya.
Ma, ricorda a se stesso, non è lì per farsi preparare da mangiare dall’altro.
«Miyuki» ne richiama l’attenzione quando lui sta per alzarsi di nuovo, forse
con l’intento di preparare qualcosa di caldo da bere dimostrandosi un buon
padrone di casa; si ferma con la mano sul tavolo senza usarla ancora come perno
per alzarsi, una posizione di innaturale immobilità mentre lo guarda e cerca di
anticipare ciò che Sawamura sta per pronunciare: «conosci Narumiya Mei?»
A Eijun non serve davvero una risposta: non ha mai visto Miyuki assumere
un’espressione come quella che gli si forma in viso nel momento esatto in cui
lui pronuncia quelle parole. C’è un misto di sorpresa e incredulità nello
sguardo altrui, ma ciò che colpisce Eijun come un pugno in pieno stomaco è il
riuscire a leggergli negli occhi quanto Kazuya vorrebbe essere in qualunque
posto tranne che lì, a parlare di tutto tranne quello e con chiunque tranne lui.
Miyuki non dice nulla all’inizio: si alza, gli dà le spalle e si muove con una
calma fuori luogo verso il lavello, andando a riempire il bollitore con l’acqua
per poi sistemarlo sul fornello e accendere quest’ultimo. Eijun lo vede aprire
lo sportello della credenza per recuperare due tazze e i filtri per il tè, e la
cosa più strana è proprio che Miyuki non gli abbia nemmeno chiesto se ne vuole,
se ha senso prepararne anche per lui, se non preferirebbe altro da bere. Eijun
è lontano dal poter affermare di riuscire a capire Miyuki prima ancora che
questi parli, anzi, ma la tensione nelle spalle del più grande è così evidente
da rendere – per una volta – i suoi sentimenti trasparenti come altrimenti non
sarebbero mai.
Stringe i pugni, non sapendo se provare a incalzarlo nuovamente ripetendo la
domanda o se lasciargli il tempo che serve; Eijun non è mai stato una persona
paziente, e con Miyuki non è certo portato a diventarlo tutto a un tratto, ma
il problema è che quel ragazzo per lui è ancora incomprensibile quasi come lo
era il primo giorno e questo lo spaventa. Forse chi li conosce attribuirebbe a
lui – Sawamura – quell’accostamento ma per Eijun Kazuya è come una bomba a
orologeria: l’attimo prima una calma piatta fa sembrare sia tutto a posto, e
quello dopo c’è solo un forte rumore, un’esplosione che non ti dà neanche il
tempo di capire cosa stia succedendo, e poi il caos completo. Miyuki è con lui
ora, sta riuscendo a mantenere equilibrata la situazione fra loro per adesso,
ma cosa gli assicura che tra qualche istante non lo starà mandando via?
Lo vede voltarsi e spostarsi di lato, in modo da potersi poggiare contro il
piano da lavoro dell’angolo cottura
e guardarlo. Kazuya sospira piano, tirando fuori l’aria lentamente e le
spalle si rilassano un poco. Quando parla non gli chiede come lo sappia o come
gli sia venuto in mente di domandarglielo.
«Sì,» gli risponde «siamo stati insieme.»
È strano come la sensazione di uno stomaco chiuso sparisca senza che il motivo
sia il provare sollievo di fronte a una rassicurazione di qualche tipo. Eijun
si sente stordito perché tante, troppe domande si affollano in un ronzio senza
senso nella sua testa e quasi gli scatenano un moto di nausea. Non è la presa
di coscienza di Miyuki che prima di lui ha avuto altre storie, perché lo sapeva
già, Miyuki stesso aveva accennato a qualcosa del genere – e in ogni caso è del
tutto normale sia così. Non è nemmeno una questione di accostare alla figura
finora vaga di una persona al fianco di Kazuya il viso di Narumiya, quanto la
pressante consapevolezza di come l’altro non lo avrebbe mai accennato se lui
non lo avesse chiesto, se il caso non gli avesse fatto cogliere quel qualcosa
tra i due a cui non era riuscito a dare un nome fino a quel momento.
«…Oh.» si sente pronunciare quell’unica sillaba per
la quale impreca contro se stesso, conscio di quanto suoni stupida; sta davvero
cercando la domanda giusta da fare, ma l’altro lo ferma. Anche quello è un
aspetto strano di Miyuki: le persone sulla difensiva spesso diventano
aggressive, brusche. In lui invece c’è il gelo di chi chiude chiunque altro
fuori. Eijun sente quasi l’istinto di fuggire – una cosa che non gli appartiene
– quando si ritrova a formulare nella propria mente come essere allontanato da
una persona come Kazuya significhi esserlo in maniera definitiva, senza
compromessi, senza chiarimenti.
Apre la bocca per parlare, ma lo sguardo altrui lo inchioda lì dove si trova,
tanto nel fisico quanto nella mente; Eijun capisce che la conversazione non
andrà da nessuna parte quando gli sente pronunciare un impersonale «Non ci
siamo lasciati in buoni rapporti.»
«Ma—»
«E non ho intenzione di parlarne.» chiarisce ulteriormente Miyuki, incrociando
le braccia al petto. Eijun si chiede se una persona possa chiudersi al mondo
più di come stia facendo l’altro in quel momento. Sa di non essere una persona
con una grande sensibilità, o di averla ma di non possedere il tatto adatto ad
affrontare alcuni discorsi o certe situazioni, eppure Eijun non lo capisce; è
troppo abituato a come la sua famiglia affronta le cose, forse, al modo in cui
suo nonno strilli anche quando non serve o a quello bonario in cui sua madre li
rimprovera come se fossero tutti e tre figli suoi, ma Eijun non ha mai pensato
di risolvere un problema – uno serio
– senza la propria famiglia. Miyuki invece è il suo esatto opposto, e per
quanto persino lui capisca come la cosa non sia colpa dell’altro e non si possa
risolvere quando l’ambiente in cui sono cresciuti non potrebbe essere più
diverso, si chiede come possa resistere da solo e soprattutto come si impari a
guardare negli occhi chi ti è affezionato abbastanza da preoccuparsi per te e
lasciar trasparire in quel modo quanto non si abbia intenzione di lasciarlo
avvicinare. È come se Miyuki vedesse in chi gli sta di fronte, lui compreso,
una minaccia prima di qualsiasi altra cosa.
Forse è per quello che con Narumiya le cose non sono andate bene.
«È una storia vecchia, in ogni caso.»
«Puoi almeno risparmiarmi la stronzata, Miyuki?»
Lui è il primo a non aspettarselo, e lo sguardo confuso che alza sul ragazzo di
fronte a lui forse è una prova anche troppo diretta di come le parole non siano
state pronunciate dopo un pensiero articolato e diverse considerazioni
razionali; ma dopotutto Eijun, nel bene e nel male, è istinto. Una parte di lui
sa di non avere il diritto di forzare la spiegazione di nessuno, e l’altra odia
non avere quel diritto. Deglutisce. Il danno lo ha fatto comunque.
«Le storie sono vecchie quando non te ne importa nulla e quando nemmeno te le
ricordi. Non quelle di cui hai paura di parlare o che ti fanno fare quella
faccia.»
«Quale faccia, di grazia?»
«Dovresti guardarti e dirmelo tu. Ma forse è una delle tante cose che non puoi
dirmi. Tieniti la tua storia con Narumiya, tanto fai sempre così: “proviamo”.
Cosa vuoi provare non lo so, Miyuki, però—»
«Non avevo capito» lo interrompe Kazuya, negli occhi un monito preciso «che
strare insieme significasse dirci tutto. Forse dovresti leggere meno shoujo, Sawamura.»
pronuncia ed Eijun dubita se ne penta. Miyuki ci crede, in quello che dice.
Per un momento ha la tentazione, molto forte, di coprire la distanza fra loro e
dargli un pugno in faccia per vedere se quell’espressione sia reale o solo una
delle tante maschere che non sarebbe sorpreso di trovare su di lui; magari il
colpo lo sveglierebbe e Kazuya capirebbe che il problema non è sapere tutto di
lui, ma solo non avere l’angoscia di sentirsi un estraneo mentre cerca di stare
insieme a lui. Cambia idea, quando è in piedi, e non solo perché capisce quanto
inutile sarebbe qualsiasi parola pronunciata in quel momento.
Le uniche due che si concede sono «Ci sentiamo.» e dopo quelle raggiunge
l’ingresso; non sbatte neanche la porta, ma quando è fuori prova così tanta
rabbia che vorrebbe prenderla a calci fino a scardinarla.
Non si stupisce di come Eijun non si faccia sentire per i due giorni
successivi, perché ha capito nel momento stesso in cui lo ha lasciato uscire
dalla porta del proprio appartamento come l’assenza di un rimbrotto da parte
del più giovane collimasse con l’implicito “ci risentiamo quando sarai meno
stronzo o quando io sarò meno arrabbiato”. Nemmeno la chiamata di Kuramochi il
terzo giorno di silenzio da parte di Sawamura lo stupisce: l’altro non fa
accenno alla questione, ma Miyuki è sicuro ne sappia qualcosa o abbia almeno
intuito a grandi linee l’accaduto, sebbene senza interrogare nessuno dei due
diretti interessati per avere i dettagli. Kazuya è abbastanza certo che Youichi
viva nell’eterna indecisione tra il mandarli al diavolo entrambi risparmiandosi
il vivere una situazione sentimentale che non lo riguarda in prima persona e
l’istinto di protezione verso Eijun che Kuramochi è sicuro di nascondere molto
bene.
È quando i giorni di silenzio diventano un’intera settimana che Miyuki inizia a
essere sinceramente stupito. Una parte di lui ne è grato, perché considera
quell’assenza di contatti la soluzione perfetta per non dover condividere
qualcosa di vecchio a cui riesce a non pensare senza difficoltà, di solito – ci
riusciva bene, prima che Sawamura si dichiarasse e gli facesse considerare i
(pochi) pro e i (molti) contro di una nuova relazione; Miyuki all’idea di un
rapporto stabile si è arreso, e dal momento che gli manca la premessa base per
quelli di una sola notte, era riuscito a risolvere la questione in maniera
molto pratica: evitare complicazioni.
Sa bene di essere sorpreso perché sovrapporre l’immagine di Eijun a quella di
Mei a volte è anche troppo facile, nonostante non abbiano pressoché nulla in
comune e lui ne sia consapevole; eppure è stato più facile aspettarsi che Eijun
arrivasse anche a litigare con lui insistendo fino allo sfinimento, che
supporre l’altro avrebbe avuto il tatto o la pazienza di lasciar cadere
l’argomento in quel modo.
Il libro di anatomia sembra farsi beffe di lui, mostrandogli la stessa pagina
sulla quale sta tentando di concentrarsi da almeno venti minuti. Ci rinuncia
con uno sbuffo stizzito, chiudendolo e recuperando la matita con cui stava
segnando alcune piccole annotazioni, riponendo tutto nella borsa; impiega poco
a indossare sciarpa e giacchetto, a recuperare le chiavi di casa e a uscire dal
proprio appartamento con la tracolla a poggiare sulla spalla sinistra, diretto
verso l’unico posto dove sa di potersi portare dietro qualcosa da studiare
senza essere disturbato. A volte il vociare in sottofondo lo aiuta, perché è un
ronzio sul quale non ha bisogno di concentrarsi e che al tempo stesso lo
distrae abbastanza dalla formulazione di un qualsiasi pensiero che non sia
leggere mentalmente le parole davanti ai suoi occhi; è un po’ come
autosuggestionarsi, forse. È abbastanza sicuro di averne sentito parlare in tv
mentre cucinava, ma non ci ha prestato particolare attenzione.
Casa sua non è troppo lontana dal ristorante in cui lavora Kuramochi, anche se
Miyuki opta quasi subito per l’autobus perché nonostante si vada verso la
primavera l’inverno non è ancora così lontano da risparmiare loro il freddo a
quell’ora.
Non è così difficile trovare un posto a sedere. Le strade di Tokyo, già quasi del
tutto inglobate dal buio ma illuminate dalle insegne e dai cartelloni
pubblicitari, passano tutte uguali sotto i suoi occhi, la testa a poggiare
appena contro il vetro del finestrino. Sa bene che presto o tardi avrebbe
potuto toccare l’argomento “relazioni precedenti” con Eijun, specie se aveva
intenzione di portare avanti la loro, di relazione; ma forse una parte di lui
si era convinta si trattasse di un’eventualità ancora incerta e distante,
qualcosa che Sawamura avrebbe potuto non chiedere mai. Mentirebbe se dicesse di
non pensare mai al modo in cui lui e Mei si sono lasciati, ma mentirebbe anche
dicendo che ha lasciato condizionare tutta la sua vita da quello; gli è rimasto
nella giusta misura, quella da cui ha capito di dover mettere una certa
distanza tra sé e le persone fin dall’inizio, di non dover lasciare possibilità
a un malinteso di venirsi a creare ed è la stessa misura dalla quale ha imparato che molte volte le persone
promettono prima di conoscere i propri limiti. Non è necessariamente una colpa,
Miyuki non è mai riuscito davvero a pensare alle volte in cui gli è stato detto
che in fondo “andava bene” e poi bene
non andava; è coerente con se stesso e con gli altri abbastanza da capire da un
punto di vista razionale come ci siano state sempre le migliori intenzioni
nelle parole pronunciate dagli altri. Sa meglio di chiunque altro quanto Mei ci
abbia creduto, ricorda la schiettezza e la sicurezza che gli ha visto nello
sguardo; ma erano dei ragazzini – non che adesso siano uomini di mondo,
comunque – e non erano all’altezza.
Nessuno dei due. Che Mei, all’epoca, abbia letto nelle sue parole un “non sei all’altezza” a cui Kazuya non ha
davvero mai pensato è un’altra questione; Narumiya però non è mai stato il tipo
con cui ragionare a mente fredda e così il modo in cui si sono lasciati è stato
discutibile sotto così tanti aspetti che per Kazuya è stato impossibile
pensare, allora, a un modo per migliorare le cose.
E come tutti i rapporti della sua vita che si sono conclusi, le persone con cui
li ha intrattenuti sono state spinte via tanto da allontanarsi ed essere
allontanate in un modo che alla lunga non poteva divenire altro se non
definitivo.
Abbozza un sorriso, tornando in posizione dritta, intravedendo la fermata prima
di quella a cui deve scendere e preparandosi a prenotarla non appena il signore
in piedi a metà della vettura sarà sceso alla propria, le porte chiuse alle sue
spalle. Ogni tanto, in passato, in tanti tragitti in autobus o in treno gli è
capitato di osservare distrattamente qualche persona, tutti sconosciuti; non
gli è mai stato facile immaginare le storie degli altri, e a dire il vero non
ci si è mai applicato davvero, non essendo interessato alla cosa. Ma si è
chiesto se il modo in cui lui si rapporta al suo prossimo abbia pecche o pregi
in particolare, se sia giusto mettere dei paletti precisi e indistruttibili –
dal suo punto di vista sì. Per come la vede lui, la chiarezza verso i
sentimenti degli altri è anch’essa una forma di rispetto, dire subito di no, piuttosto
che trascinarsi dietro qualcosa di cui non si è granché sicuri per poi dare
comunque la stessa risposta è quasi meschino e, benché non abbia mai preteso da
se stesso di essere una persona modello, è giunto presto alla conclusione che
non sarebbe stato in grado di esprimere sentimenti a metà, nel bene e nel male.
Certo, lui non è comunque granché nell’esternazione; lo considera un effetto
collaterale di un sacco di fattori della sua vita, ma non si è mai sentito
sfortunato o diverso dagli altri al punto da farsene una malattia.
Quando da bambino gli avevano insegnato come scrivere il proprio nome e cognome
in kanji,
sostituendo un tondeggiante e infantile hiragana, Miyuki si era sentito molto fiero del suo cognome
al punto che verso l'ultimo anno delle elementari e l'inizio delle medie si era
sentito elogiato ogni volta che gli si rivolgevano con quello. Non era così
importante che non usassero un meno formale "Kazuya" – non lo
preoccupava come l'assenza di un nome proprio dimostrasse l'inizio della mancanza
di una sfera relazionale più intima –, perché "Miyuki" aveva
quell'ideogramma che all’epoca gli aveva fatto brillare gli occhi: «Miyuki-kun» lo aveva chiamato la maestra sorridendo
benevola di fronte al foglio con il suo primo tentativo di scrittura in kanji «il tuo è
un cognome fortunato, perché contiene il carattere di felicità.»
A un certo punto della sua vita, Kazuya si è chiesto se la felicità che tanto
fa mostra di sé nel suo cognome non sia l'unica che proverà negli anni; o se
non sia lì, come un monito onnipresente, a farsi beffe di lui e del fatto che
non sarà mai capace di donarne alla sua persona importante. Se sarà mai in grado di averne una.
Alla fine si è convinto di non averne bisogno: forse può farsi bastare la
felicità che ha nel nome. Potrebbe non essere così male, dopotutto.
«Scende?» lo riscuote la voce dell’autista, che dalla sua postazione di guida
si è sporto per assicurarsi sia tutto a posto. Poco distante dalla testa di
Miyuki, in alto, lampeggia l’avviso di fermata prenotata e le porte davanti a
lui devono essersi aperte qualche secondo fa senza che se ne rendesse conto.
Borbotta delle scuse vaghe e scende, il freddo della strada che lo colpisce di
nuovo in viso; per sua fortuna il ristorante per famiglie dove lavora Kuramochi
non è distante e dunque il vento leggero non ha il tempo di penetrare oltre il
giacchetto pesante. La sua entrata è annunciata al personale del posto da un
tintinnio a cui Kazuya è abituato al punto da non badarci neanche troppo,
ormai. Una collega di Kuramochi lo riconosce e pare stupita dalla sua presenza
lì, forse perché di solito questa combacia con i giorni in cui è sicuro di
trovare Youichi di turno.
«Miyuki-san» pronuncia a mo’ di saluto, senza celare la vaga sorpresa nella
propria voce. È più piccola di loro, da quanto il suo ex compagno di scuola gli
ha riferito blaterando di tanto in tanto durante le pause: dovrebbe avere
persino un anno in meno di Sawamura, in effetti, e la statura minuta insieme al
fisico esile e ai lineamenti ancora un po’ tondeggianti e da bambina la fanno
sembrare anche più giovane. Se non ricorda male, il suo nome ha qualcosa a che
fare con l’estate. «Kuramochi-senpai oggi non è di
turno.» gli comunica, credendo erroneamente – non che possa davvero darle torto
– che la sua presenza lì sia subordinata a quella dell’altro. Le sorride,
annuendo: «Lo so.» si limita a dire «C’è un tavolo disponibile? Anatomia
pretende tutta l’attenzione possibile.» fa presente e lei annuisce con un
sorriso entusiasta, privo di alcuna malizia, accompagnandolo al tavolo fino a
fargli cenno di accomodarsi e posando sulla superficie in legno il menù che
Kazuya conosce quasi a memoria.
«Torno subito.» assicura lei sparendo oltre il bancone, dove Miyuki sa esserci
la cucina. Il ristorante dove lavora Youichi è accogliente, di dimensioni medie
e con un arredamento modesto che sa di casa; uno sguardo basta a capire il tipo
di clientela a cui sono abituati, con dei seggiolini pieghevoli addossati in un
angolo e pronti all’uso per le famiglie che li necessitano. Al momento non è
granché affollato: poco distante dal suo tavolo Kazuya vede con chiarezza una
coppia a cui non dà più di venticinque, ventisei anni al massimo;
dall’ingresso, in un punto invisibile dalla sua posizione, ha intravisto una
famiglia con due ragazzini e per raggiungere il proprio tavolo è passato vicino
a un gruppo misto di liceali con libri e quaderni sparpagliati ovunque e che
immagina siano lì dal primo pomeriggio. Sta tirando fuori il libro quando la
collega di Kuramochi appare di nuovo al suo fianco e posa un bicchiere d’acqua
pieno sul tavolo. Uno sguardo veloce alla targhetta appuntata sulla camicetta
bianca gli suggerisce il nome, più o meno: «Hotaru-chan?» tenta e lei sorride
più divertita che altro.
«Complimenti, Miyuki-san.» replica «Molti sbagliano e leggono Kei*.» ammette, per nulla disturbata dall’errore comune. Ha
l’aria di una persona socievole e Miyuki non fatica a capire come possa andare
d’accordo con Kuramochi; sembra il tipo da avere buoni rapporti con chiunque,
in modo simile e al tempo stesso diverso da Eijun.
«Per ora vorrei del caffè. Per la cena preferisco aspettare un po’.» comunica e
lei si limita ad annuire, congedandosi una seconda volta. In un primo momento,
Miyuki riesce a concentrarsi molto meglio, grazie alla capacità del suo
cervello di recepire i rumori intorno a lui senza per forza focalizzarsi sugli
stessi, così tra quello e le nozioni è occupato abbastanza a lungo da superare
indenne più di un paragrafo. Di tanto in tanto allunga la mano verso il caffè
che a un certo punto Hotaru ha lasciato sul suo
tavolo e ne sorseggia un poco, apprezzando il liquido caldo e amaro che scende
per la gola dandogli quella piacevole sensazione di calore nello stomaco.
L’incantesimo durerebbe di più, se non gli arrivasse all’orecchio
l’inconfondibile risata di Kuramochi dall’ingresso del ristorante e non ha
davvero bisogno di voltarsi per accertarsene o per fargli cenno di raggiungerlo
– anche perché potendo, e sa di non potere, lo eviterebbe. Lui e Youichi
volenti o nolenti si conoscono da abbastanza tempo per saper riconoscere quando
stanno esagerando l’uno nei confronti dell’altro, quando hanno bisogno dei
propri spazi e quando invece uno dei due ha bisogno che l’altro gli dica quanto
stia andando troppo oltre un tacito limite. In verità il bisogno è quasi sempre
di chi lo dice e molto spesso è di Kuramochi; Kazuya ha piena coscienza di
essere fortunato, dal momento che Youichi ha comunque la sensibilità adatta a
capire che essere pressante è la regola d’oro per ottenere da Miyuki l’esatto
opposto di ciò che si vuole.
Come volevasi dimostrare, l’altro rientra nel suo campo visivo quando si ferma
accanto al suo tavolo, rivolto verso di lui. Sanno entrambi che era solo
questione di tempo, non perché Kuramochi smani dalla voglia di impicciarsi dei
fatti suoi, ma perché il suo avviso via messaggio era stato già chiaro nel suo
subliminale “non volevo davvero finirci
di mezzo ma beh, come sempre è successo”; così Miyuki era certo che presto
o tardi avrebbe voluto parlare con lui e che, non trovandolo a casa, lo avrebbe
cercato lì. Dopotutto a quell’ora non sono molti i posti da lui frequentati con
assiduità.
Youichi non gli domanda se può sedersi al suo tavolo, lo fa e basta. Gli si
sistema di fronte, posando il giacchetto con tutta calma e sistemando il cellulare
sul tavolo. Miyuki non alza lo sguardo, perciò non saprebbe dire di preciso se
l’altro stia guardando lui, l’interno del locale o il telefono che fastidioso e
abbandonato a se stesso fa lampeggiare una lucina verde, avviso di un’e-mail
ricevuta.
Quando Kuramochi parla, tuttavia, spostare l’attenzione su di lui diventa
imperativo.
«Non ti dirò che te lo avevo detto, per questa storia di Narumiya, perché in
effetti devo averci pensato senza renderti nota la cosa.» è la sua premessa, le
braccia incrociate al petto e l’aria di chi ha ragione, sa di averne e sguazza
nell’idea stessa «Ma» calca la parola «te
l’avevo detto, di non mettermi più in mezzo alle paturnie sentimentali che
ti riguardano.»
«Fino a prova contraria, non l’ho fatto.» replica divertito con un mezzo
sorriso.
«Sta’ zitto.» ribatte Kuramochi «Lo fai indirettamente ogni volta che il tuo
inesistente tatto si abbatte su Sawamura. Purtroppo per me siete la coppia peggiore possibile dal momento che tu sei
uno stronzo con problemi relazionali e lui un’anima emotiva relegata nel corpo
di un cretino.»
«Wow, Kuramochi-kun, non pensavo articolassi parole
come “relazionale” e “relegata”.» lo sfotte apertamente, guadagnandosi
un’occhiata assassina che lo fa ridacchiare. A seguito di quello scambio, tuttavia,
segue un silenzio consapevole da parte di entrambi almeno finché Youichi non
sospira e si lascia andare contro lo schienale della propria sedia.
«Offrimi la cena.»
«E se non avessi intenzione di cenare?»
«Stronzate. Offrimi da mangiare, me lo devi per i danni morali.» fa presente
come se fosse un dovere per Miyuki sfamarlo; Kazuya si chiede quando arriverà
al punto «E comunque, lasciami dire che siete entrambi molto stupidi. Su Eijun
non avevo dubbi, ma speravo che tu bilanciassi un po’.» ah ecco, si dice Miyuki. Le parole dell’altro hanno sempre avuto la
capacità innata di essere a metà tra un rimprovero e una lamentela legittima,
per cui ammette di non essere mai stato in grado di prendere male quanto gli
veniva detto. Si sono scontrati, ovvio, e Miyuki sa esattamente come fargli
capire quando sta oltrepassando il limite di ciò di cui non vuole parlare con
nessuno e su cui non accetta opinioni esterne, nemmeno da lui e neanche quando
è certo ci siano dietro le migliori intenzioni.
È quello il modo in cui sono sempre riusciti a convivere negli stessi spazi, ed
è il motivo per cui a volte è tentato di far presente a Kuramochi come lui sia
la sua relazione – sebbene non romantica – che dura da più tempo; sarebbe
esilarante vedere la sua espressione schifata.
«Dico sul serio» riprende Kuramochi «odio dovermi mettere in mezzo agli affari
tuoi, ma non ti costerebbe niente essere meno… meno
Miyuki.»
«Solo perché non voglio parlare di cosa è successo con Mei? Pensavo di averne
il diritto.» replica, il tono calmo mentre alza lo sguardo su Youichi; c’è un
implicito fargli presente come non abbia intenzione di renderlo partecipe,
proprio come non lo ha fatto all’epoca. Ha sempre saputo che Kuramochi aveva
intuito qualcosa, ma vista la sensibilità che gli ha impedito di fare domande
scomode Miyuki non lo ha mai considerato un grosso problema. Sarebbe un
discorso diverso, se all’improvviso l’altro pretendesse di avere con lui il
tipo di comunicazione che non hanno avuto mai.
«Miyuki, hai presente che in una relazione siete due persone? Perché mi sembra
ti sfugga, ogni tanto.» è il commento acido a cui Kuramochi dà voce, e per un
momento c’è Narumiya davanti ai suoi occhi, con il suo cipiglio orgoglioso e
arrogante e una divisa scolastica che Miyuki non indossa più già da diverso
tempo. Sbuffa dal naso, arrendendosi a posare sul libro aperto la penna con cui
stava scribacchiando note qua e là.
Potrebbe liquidare il tutto con diverse battute su come Kuramochi non sembri
molto esperto in fatto di relazioni, se non passivamente attraverso quelle
degli altri forse, ma per una volta si risparmia l’antipatia gratuita nella
speranza di essere chiaro tanto da non dover più riprendere il discorso: «E le
due persone in questione devono essere per forza identiche in tutto e per
tutto?» è una domanda retorica, e l’altro lo capisce bene visto come non si
sprechi nemmeno a pensare di rispondere. Con un gesto veloce e meccanico,
Miyuki sistema gli occhiali sul naso: «Sono stato con Narumiya e le cose non
sono andate bene. Perché non era destino? Perché eravamo diversi, o perché
eravamo troppo simili? Cosa cambia saperlo, visto che in ogni caso non ci siamo
mai più sentiti al telefono né con nessun altro mezzo? Potrei capire la
curiosità se avessimo mantenuto un qualche tipo di rapporto, ma dal momento che
considero molto probabile ignorarci se anche ci incrociassimo per strada, non
vedo l’utilità di raccontare a Sawamura quali siano stati i nostri problemi.»
chiarisce, e spera di farlo una volta per tutte. Forse Kuramochi non è
convinto, visto come inarca un sopracciglio man mano che lui parla e come
scuote la testa rassegnato alla fine; o almeno suppone sia in risposta alle sue
parole, almeno fin quando non c’è la voce di Eijun a rispondere al posto loro.
«Perché vorrei non essere lo stesso problema.» sbotta, lì in piedi a guardarlo
senza esitazioni, nonostante tutto. Miyuki ammette di non essersi aspettato
quel tipo di risposta e, allo stesso tempo, si rende conto di quanto sia adatta
a Sawamura; gli basta guardarlo per capire che è sincero, e quella frase non è
pronunciata tanto per dire, per far sembrare nobile un’intenzione che nobile
non è. Per qualche istante, Kazuya tace e pensa davvero con altrettanta sincerità che Eijun una risposta la
meriterebbe, una soddisfacente e priva di tutti quegli accorgimenti di cui
Miyuki si fa forte mentre parla alle persone – sono quelli che alla lunga
diventano semplici da utilizzare, naturali tanto da non sembrare più un
artificio a un certo punto – eppure c’è qualcosa a frenarlo ancora. Non sa se
sia il poco tempo passato da quando ha deciso di provare a stare con l’altro, o
la sua indole, o se Kuramochi abbia ragione a etichettarlo come uno “stronzo con
problemi relazionali” ma la prima cosa che fa è sospirare, con lentezza
controllata.
Il senso di colpa non è mai stato una cosa che lo abbia portato ad agire in un
modo piuttosto che in un altro; se così fosse stato, è probabile non sarebbe
nemmeno andata male con Narumiya.
«Potresti esserlo.» glielo dice chiaro e tondo e la sedia di Kuramochi gratta a
terra nel momento in cui lui si alza di scatto. Kazuya non ha bisogno di alzare
lo sguardo per sapere che l’altro lo sta guardando con una gran voglia di
prenderlo a pugni: «Però mi prendo il rischio.» aggiunge «Sawamura tu non sei
una persona che pensa troppo alle cose o a come parlare con gli altri.
Cercheresti di fare attenzione a tutto quello che dici o che fai. Non sarebbe
da te. Sarebbe il comportamento di un’altra persona. Apprezzo le buone
intenzioni, ma Narumiya non è una cosa di cui voglio parlare adesso.» conclude.
Non ha idea di quanto suoni davvero chiaro quel “saresti un’altra persona ed è con te che voglio provare ad avere una
relazione, non con un altro” che nella sua testa è palese, così deve
sottostare al silenzio che si forma al tavolo fatto di sguardi che Kuramochi
alterna tra loro due e da pugni che vengono stretti fino a far sbiancare le
nocche da parte di Eijun; li vede bene, perché rimanendo seduto se li trova
all’altezza dello sguardo quando Sawamura abbassa il proprio. A sorpresa, Kuramochi
si allontana con un verso stizzito, per lasciargli modo di parlare da soli
suppone. È al bancone, lontano anche dal campo visivo di Miyuki, quando Eijun
reclama la sua attenzione con una domanda pronunciata a tono così basso da non
sembrare nemmeno lui a parlare.
«Se io diventassi un problema, però, me lo diresti?»
Kazuya lo guarda, e gli occhi ambrati dell’altro mandano un ultimatum che a
Miyuki sembra chiaro e tondo: pretende sincerità.
Lui non è mai andato d’accordo con gli ultimatum, ma suppone di doverglielo.
Vorrebbe avere un approccio normale alle persone, per una volta, almeno verso
quelle che si prendono la briga di stare con lui.
«Te lo direi.» risponde, sentendo lo sguardo di Sawamura su di sé ancor prima
di incrociare i suoi occhi con i propri «Te lo direi.» ripete, serio.
Alla fine non cenano lì. È Eijun a chiedergli di mangiare insieme, solo da
un’altra parte; assicura persino come gli vada bene prendere qualcosa di
precotto in un conbini
e guardare qualche stupido programma alla tv – si guadagna uno scappellotto
scherzoso da Miyuki, perché chi crede lui sia? Non può cucinargli una cena da
ristorante di lusso, ma può fare qualcosa di meglio del negozio all’angolo. A
un certo punto, mentre aspettando l’autobus, Kazuya non si lamenta nemmeno troppo
nel sentire la mano di Eijun scivolare nella tasca del suo giacchetto: non cerca di stringere la
sua, ma la sfiora quasi fosse casuale; ha le mani calde, ma per fortuna non
borbotta nulla contro il freddo così Miyuki gli risparmia una battuta al puro
scopo di prenderlo in giro. C’è un’atmosfera strana tra loro, meno rilassata
del solito ma nemmeno troppo tesa.
Vorrebbe continuasse così. Vorrebbe veder arrivare l’autobus, salirci su,
sedersi uno di fianco all’altro per le poche fermate utili a raggiungere il suo
appartamento e poi mettersi ai fornelli, di un umore di certo migliore di
quello con cui è uscito.
Immagina che il suo karma abbia da
ridire in merito.
«Sei serio?» è la voce che gli arriva all’orecchio. Pensava di aver rimosso
dalla sua vita e dalla sua testa anche il suono della voce di Mei, e invece a
quanto pare non è così se riesce a riconoscerlo prima che l’altro posi una mano
sulla spalla e lo obblighi a voltarsi verso di lui. A essere onesto, Miyuki
pensava sarebbe stato più strano rivedere Narumiya, ma si riscopre con addosso
una patina di calma gelida di cui non c’è molto di che vantarsi, dal punto di
vista strettamente umano. Sente i muscoli del proprio viso muoversi fino a
mostrare un sorriso di cortesia.
Il volto di Mei muta in un’espressione a metà tra incredulità e qualcosa di
molto vicino al disprezzo, e Kazuya in quel momento sa che l’altro ha capito
quel che c’era da carpire nella sua espressione.
Considero molto probabile ignorarci se
anche ci incrociassimo per strada; lui, almeno, lo farebbe.
Mei no.
*Kei/Hotaru
pur essendo due nomi diversi vengono trascritti con lo stesso ideogramma. Da
qui il comune e plausibile errore di lettura nel caso della targhetta della
collega di Kuramochi.
Giusto per ulteriore chiarimento, l’ideogramma di “yuki”
nel cognome “Miyuki” è lo stesso con cui si scrive parte della parola “felicità”.